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venerdì 14 agosto 2015

Perché la penso esattamente al contrario di Umberto Eco sui social di Leonardo Becchetti - Le parole di Umberto Eco (VIDEO) - L'intervento di Gianluca Nicoletti

Perché la penso esattamente al contrario di Umberto Eco sui social 

di Leonardo Becchetti


I media tradizionali (giornali, tv) non perdono occasione per attaccare i social. Sotto sotto si coglie un desiderio larvato di mantenere un incontrastato monopolio nell’intermediazione delle opinioni. Anche se gli stessi media tradizionali fingono di dimenticare che le arguzie o le sciocchezze che transitano sui social sono una miniera inesauribile di quelle piccole notizie di cui sono disperatamente a caccia in un mondo dove ormai trionfa il liveblogging e bisogna trovare ed inventare continuamente eventi in tempo reale. L’attacco più rumoroso ospitato dai giornali è quello di Umberto Eco “i social hanno dato la parola a legioni di imbecilli”. Peccato che senza i social quelli che hanno la parola sono veramente pochi, troppo pochi, fanno tutti parte della schiera dei vincenti e non tutti (non è assolutamente il caso di Umberto Eco) particolarmente saggi e brillanti.

I limiti dei social sono evidenti
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Eppure nonostante tutti questi limiti c’è la nitida sensazione che i social rappresentino una tappa importante nell’evoluzione, dalla fase del villaggio globale a quella di una vera e propria comunità mondiale.
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In positivo i social possono essere uno straordinario strumento di trasmissione di contenuti, una rassegna stampa concentrata, un modo per condividere, chiamarsi a raccolta, una straordinaria palestra di dialettica dove anche i big possono cogliere gli umori di chi è più distante da loro e capire il modo in cui ragiona. Per un politico ad esempio sono una palestra incredibile per cogliere gli umori della gente con una velocità di apprendimento molto più rapida di quando i social non esistevano e per capire cosa pensava la gente bisognava aspettare la domanda o l’intervento di qualcuno del pubblico meno timido di altri al momento di un comizio. E ognuno sceglie chi seguire.

Le sparate contro i social ricordano quelle contro la ferrovia, l’energia elettrica, l’automobile ed ogni infernale prodotto del progresso. E’ evidente che i social sono un mezzo e ci vuole saggezza per usarli tam quam, ovvero tanto quanto ci sono utili per raggiungere il fine della nostra vita e dare senso a ciò che facciamo. Ma il punto più importante è che essi rappresentano un passo avanti della democrazia proprio per la capacità di dare voce a tutti. Democrazia vuol dire anche che io posso non essere d’accordo con le tue opinioni (o posso considerarle poco intelligenti) ma difendo il tuo diritto di esprimerle. Magnifichiamo sempre le assemblee convocate nell’antica Atene o nei cantoni svizzeri. Oggi abbiamo una tribuna rumorosa e vivace permanente dove ciascuno può esprimersi.

Una delle immagini più belle e visionarie che anticipa l’avvento dei social è quella di un teologo e scienziato illustre come Tehillard de Chardin quando parla di “noosfera”, definita come una specie di “coscienza collettiva” degli esseri umani che scaturisce dall'interazione fra le menti umane. Secondo la visione evoluzionsitica di Tehillard l’umanità si organizza progressivamente in forme di reti sociali più complesse in direzione di una sempre crescente integrazione ed unificazione.

Inutile e contro la storia e il progresso dell’umanità dunque demonizzare i social o sperare nella loro estinzione. Il nostro compito è abitarli nel modo migliore
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Perché la penso esattamente al contrario di Umberto Eco sui social di Leonardo Becchetti


L'attaco ai social di  Umberto Eco

«I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli».
Attacca internet Umberto Eco nel breve incontro (11.06.2015) con i giornalisti nell’Aula Magna della Cavallerizza Reale a Torino, dopo aver ricevuto dal rettore Gianmaria Ajani la laurea honoris causa in “Comunicazione e Cultura dei media” perché «ha arricchito la cultura italiana e internazionale nei campi della filosofia, dell’analisi della società contemporanea e della letteratura, ha rinnovato profondamente lo studio della comunicazione e della semiotica».

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Non si produce pensiero nella cultura digitale
 se non si accetta di stare gomito a gomito con il lato imbecille della forza
di Gianluca Nicoletti

... E’ vero, Internet è il libero scatenamento di ogni menzogna, consolidamento di ogni superstizione, sublimazione di ogni velleità. Proprio per questo la contemporaneità ci affascina, è una tigre da cavalcare per non essere da lei divorati. Pensare che ancora possano esistere gabbie capaci di contenerla e quanto di più lontano dalla realtà si possa immaginare. Non è questione di supporto del sapere di rango inferiore, può anche essere come dice il professor Eco che si ritornerà al cartaceo, ma equivarrà al ritorno al vinile, alle foto con la Polaroid, al cosplay steampunk che sogna un futuro d’ipertecnologia a vapore e abiti vittoriani. Sono nostalgie che hanno la loro gloriosa rinascita nella memoria digitale, riportano ogni folle idea del passato a un funzionale stratagemma perché quei milioni d’imbecilli possano, a loro piacere, ricostruirsi un’epica individuale, senza aver mai compiuto un gesto veramente epico in tutta la loro vita… 

E allora? Chi siamo noi per negare il diritto all’imbecillità di evolvere con strumenti individuali? Non credo ai comitati di saggi, ai maestri di vita digitale che fanno dai giornali l’analisi critica della rete. Le loro sentenze avrebbero quel profumino di abiti conservati in naftalina che oggi emanano le muffe lezioncine sulla buona televisione, sul servizio pubblico, sulla qualità dei programmi, su questo è buono e questo fa male. Siamo tutti intossicati, per questo oggi l’intellettuale deve fare sua la follia del funambolo. Chi vorrebbe curare gli altri e ancora si proclama sano, è in realtà (digitalmente) già morto.