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martedì 16 novembre 2010

Aung San Suu Kyi libera

Non c'è dubbio. Il posto in cui vorrei essere ora è Rangoon, Birmania. Se non altro per respirare l'aria che si respira i questo momento. essere testimone della liberazione di una delle ultime eroine dei nostri tempi.
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Oggi è la più rispettata icona internazionale della libertà, e certo non per aver vinto il Premio Nobel, che altri hanno ottenuto, incluso Kissinger. Parte del suo carisma è la grazia naturale, regale, in cui si sovrappongono figura esile e volontà titanica, femminilità e qualità di condottiero. Nel suo Paese molti la considerano una sorta di divinità materna, e in questo colgono l'unicità di quelle donne che quando una società collassa, così come è collassata la società birmana sotto l'oppressione di una dittatura tra le più corrotte del pianeta, rappresentano una sorta di nucleo biologico, primordiale, che non distoglie mai gli occhi dall'orizzonte, dal futuro.
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L'icona della dissidenza: «La base della democrazia è la libertà di parola. Sarete voi a controllarmi»
Lavorare con tutte le forze democratiche, senza perdere la speranza per un futuro migliore. È questo il messaggio dato da Aung San Suu Kyi nel primo discorso tenuto dopo sette anni di arresti domiciliari, un bagno di folla - alcune stime parlano di 40 mila persone - davanti alla sede della sua «Lega nazionale per la democrazia» (Nld), con il quale la leader dell'opposizione ha confermato di voler tornare attiva in politica. «La base della democrazia è la libertà di parola - ha detto il premio Nobel per la pace - e anche se penso di sapere cosa volete, vi chiedo di dirmelo voi stessi. Insieme, decideremo quello che vogliamo, e per ottenerlo dobbiamo agire nel modo giusto. Non c'è motivo di scoraggiarsi», ha proseguito Suu Kyi, 65 anni, aggiungendo poi di «non provare rancore» verso la giunta militare che l'ha privata della libertà per 15 degli ultimi 21 anni.
Leggi tutto: Il primo discorso di Aung San Suu Kyi: «Non perdete la speranza»














Guarda anche il video «La base della democrazia è la libertà di parola»