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sabato 6 maggio 2017

"Verso Roma. Contemplazione della presenza di Dio e accoglienza: At 27-28" Egidio Palumbo

"Verso Roma. 
Contemplazione della presenza di Dio e accoglienza: At 27-28" 
a cura di fr. Egidio Palumbo
(VIDEO INTEGRALE)


Ottavo e ultimo incontro dei 
MERCOLEDÌ DELLA BIBBIA 2017
promossi dalla

Fraternità Carmelitana 
di Barcellona Pozzo di Gotto




22.03.2017


Esperienza della filantropia di Dio e accoglienza verso tutti

1. Odissea di un viaggio (At 27,1-28,16)

Nell’autunno del 60 Paolo, consegnato dal procuratore al centurione Giulio, viene imbarcato per Roma nel porto di Cesarea assieme ad altri prigionieri. Di fronte all’opposizione dei Giudei, Paolo, rivendicando la sua cittadinanza romana (At 22,25-28), si è appellato a Cesare e perciò verrà giudicato dal tribunale imperiale di Roma (At 25,10-12; 28,19). Lo accompagna di certo almeno un cristiano, Aristarco un Macedone di Tessalonica, che era stato con lui ad Efeso (At 19,29) e nel passaggio attraverso la Macedonia prima del suo ritorno a Gerusalemme (At 20,4).

Come narra Luca il viaggio verso Roma? La partenza è tranquilla, ma poi accade l’odissea della tempesta, del nubifragio e dell’approdo avventuroso all’isola di Malta e lì il tranquillo soggiorno di tre mesi; poi la ripartenza per Roma, con alcune brevi soste o soggiorni a Siracusa, a Reggio Calabria, a Pozzuoli e poi finalmente a Roma. Non si può negare che in questa narrazione non vi sia un fondamento storico, ma l’evangelista Luca ne ha fatto una lettura teologica: per lui la storia umana e la storia della salvezza non procedono parallele, ma la seconda interseca la prima e la valorizza per quel sentimento di vera umanizzazione che essa sa esprimere e attraverso il quale avanza nella storia il disegno di Dio. È attraverso le mediazioni umane che Dio opera dentro le complessità, le ambiguità e i paradossi della storia umana, trasformandola in storia di salvezza, in un modo che non è affatto “miracolistico”, ma che lo stesso ci sorprende perché difficilmente catalogabile dentro i nostri abituali “criteri di storicità”. Visto da un’altra prospettiva, possiamo dire che Luca – evangelista-pittore, come ritiene la tradizione – con il suo stile narrativo descrive con cura avvenimenti e persone, rappresentandoli al “vivo”, affinché si possa discernere e contemplare in essi la presenza di Dio operante nella storia e ascoltare la sua Parola che salva
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Una parabola della presenza di Dio nel viaggio esistenziale dell’umanità. Si sa che per la fede biblica il mare simbolicamente rappresenta il mondo e la storia umana fatta di mille imprevisti, e una nave o una barca che l’attraversano è metafora del bello e faticoso viaggio della vita. Nel narrare il viaggio di Paolo verso Roma, Luca ci presenta uno spaccato di umanità: in tutto 276 persone (At 27,37). Oltre al prigioniero Paolo e al cristiano Aristarco, vi sono altri prigionieri, ovviamente arrestati per motivi totalmente diversi da quelli dell’Apostolo: essi rappresentano i maledetti di questo mondo, gli scarti di umanità; su di loro, infatti, il centurione romano ha potere di vita e di morte.
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Ma Paolo nel naufragio dell’umanità ci sta anche e soprattutto come “prigioniero” di Cristo, ovvero come profeta-testimone del Dio di Gesù Cristo, partecipe fino in fondo del mistero pasquale di Cristo. Paolo non è come il profeta Giona che fugge dalla missione che Dio gli ha affidato (il libro di Giona è sullo sfondo di queste pagine). Infatti nel naufragio, quando la speranza era ormai perduta, Paolo esorta tutti ad avere coraggio perché, anche se si perderà la nave, il Dio di Gesù Cristo conserverà tutti in vita, a motivo del fatto che Paolo ha una missione da compiere, quella di andare a Roma per testimoniare davanti a Cesare (At 27,21-26). Ma la situazione diventa sempre più angosciante e pericolosa, tanto che gli stessi marinai cercano di fuggire. E allora interviene ancora il profeta-testimone Paolo facendo capire al centurione e ai soldati di prendere dei provvedimenti, perché ci si salva non da soli ma insieme (At 27,31). Da qui comprendiamo l’invito pressante di Paolo a prendere cibo, necessario per la salvezza: prendere cibo insieme rende più uniti, più solidali, più amici. Per questo Paolo celebra una specie di “eucaristia sul mondo” (At 27,33-36): Dio ci salva nel naufragio e non dal naufragio, e ci salva insieme come figli e come fratelli. E così, dopo un altro tentativo di salvarsi da soli, questa volta da parte dei soldati a danno dei prigionieri, tentativo fallito grazie all’intervento del centurione, finalmente tutti, aiutandosi l’un l’altro, possono raggiungere la terra dell’isola di Malta, chi a nuoto, chi su tavole, chi su rottami, tutti stremati ma salvi (At 27,42-44). E anche nell’isola di Malta Paolo nell’episodio del morso della vipera (At 28,3-6) e della guarigione dalla febbre del padre di Publio (At 28,8) testimonia la sua fede nel Dio di Gesù Cristo: Egli ci rende immuni dal veleno del serpente, ovvero dal male che avvelena le relazioni tra gli uomini, quando lo assumiamo dentro di noi e ci impegniamo a vincerlo con il bene; come pure ci libera dalla febbre delirante del potere e ci ridona il senso del servizio gratuito e generoso verso l’altro. 
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