Il senso della comunità e del perdono.
L’intelligenza e la preghiera delle mani
Il lavoro è già terra promessa
di Luigino Bruni
È bello vedere un pugno di muratori, arrestati da una difficoltà, riflettere ciascuno per proprio conto, indicare diversi mezzi d'azione, e applicare unanimemente il metodo concepito da uno di loro, il quale può avere o non avere una autorità ufficiale sugli altri. In simili momenti l'immagine di una collettività appare pura. (Simone Weil, in G. Borrello, Il lavoro e la grazia).
Esiste un profondo rapporto tra comunità e perdono. Non si dà comunità senza perdono, ed è il perdono il grande generatore e rigeneratore delle comunità. Cum-munus (dono reciproco) e per-dono. Le relazioni sociali che non hanno bisogno di perdono sono quelle funzionali, burocratiche, anonime, contrattuali, dove non essendoci incontri im-mediati non c’è bisogno del perdono, che diventa solo una parola stonata e straniera.
Qui sono sufficienti la mediazione del superiore gerarchico, le compensazioni monetarie, i ricorsi, le cause in tribunale. Nelle comunità, invece, sono soprattutto i corpi a parlare e ad incontrarsi; e quindi ci si ferisce spesso, più o meno intenzionalmente. Solo il perdono può curare veramente le ferite delle relazioni comunitarie (nelle famiglie, ma anche in molte imprese), dove i risarcimenti in moneta, i decreti ingiuntivi e i tribunali non sono di nessun aiuto per ricominciare, e non fanno altro che decretare la morte delle comunità e spesso anche delle anime delle persone. Nelle comunità dovremmo, semplicemente e dolorosamente, solo perdonarci. È il perdono che trasforma un popolo in una comunità. Siamo riusciti a diventare comunità quando, dopo le pazze guerre fratricide, ci siamo perdonati collettivamente, ci siamo riconciliati piangendo insieme sulle tombe dei morti di tutti, gioendo, cantando e ballando nelle feste di tutti. È così che abbiamo fatto anche i ‘miracoli’ economici. Soltanto i popoli-comunità sanno fare grandi economie; i popoli-e-basta vivono (quando vivono) grazie alle rendite da capitali generati ieri da altri popoli-comunità. Torneremo a vedere nuovi miracoli economici e civili se saremo capaci di tornare ad essere comunità, certamente in un modo tutto nuovo e diverso, ma ancora comunità: ancora cum-munus e per-dono.
“Mosè radunò tutta la comunità degli Israeliti e disse loro: ‘Queste sono le cose che il Signore ha comandato di fare’” (Esodo 35,1). Dopo il vitello d’oro, dopo il perdono richiesto da Mosè a YHWH e ottenuto, dopo la nuova alleanza, ecco comparire nel libro dell’Esodo la parola comunità. Quel popolo (‘am) è diventato ‘la comunità (‘eda) degli israeliti’.
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La Bibbia nel lodare e benedire anche il lavoro delle mani, ha innovato rispetto a tutta una cultura antica che considerava attività impura il lavoro delle mani, e dunque degna solo degli schiavi e dei servi. È grande allora il valore di questo capitolo dell’Esodo che pone il lavoro delle mani al centro della nuova alleanza, oggetto di una specifica benedizione di Mosè. Come il tabernacolo, l’arca, il santuario. Mosè dà la sua benedizione ad ‘ogni genere di lavoro’: per ‘ideare progetti’ e per ‘intagliare, incastonare’. Benedice gli artisti, gli architetti, gli artigiani. La benedizione sul lavoro è una sola. La dignità è la stessa. Il lavoro di chi idea progetti e il lavoro dell’artista e dell’artigiano che danno forma e ‘carni’ a quelle idee, ricevono il medesimo spirito all’interno dell’unica benedizione del lavoro. Uno solo è lo spirito della vita, di tutta la vita.
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Non tutto il lavoro umano, però, è benedetto e riempito dallo spirito di Dio. C’è anche il lavoro per
costruire i vitelli d’oro. Quei lavoratori, quegli stessi artigiani che ora stanno per costruire il
santuario, avevano costruito il vitello d’oro nell’accampamento alle pendici del Sinai. Con quelle
stesse mani e con quegli stessi talenti. Ma quel lavoro aveva ottenuto la maledizione più grande.
Artisti, artigiani, lavoratori possono edificare cattedrali come possono costruire i vitelli d’oro e gli
idoli. Le mani, l’intelligenza e il lavoro degli artigiani, possono essere usati – lo sono stati e lo sono
ancora – anche per costruire mine anti-uomo, i non-luoghi dell’azzardo o le disumane sale bingo.
Oggi ci sono mani e intelligenze a servizio dei vitelli d’oro e degli idoli, e altre mani e menti che
continuano a costruire ‘cattedrali’. È solo questa la differenza in dignità del lavoro che la Bibbia ci
pone davanti, e che la nostra società dei consumi non vede più. La qualità e la dignità morale delle
società si dovrebbe misurare – se tornassimo all’Esodo – a partire dalla riduzione dei lavori al
servizio degli idoli e dalla creazione, al loro posto, di lavori che edificano il bene - che sono ancora
la grande maggioranza.
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Il lavoro è già terra promessa di Luigino Bruni (PDF)
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