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lunedì 27 febbraio 2017

«La qualità della vita all’interno di una società si misura, in buona parte, dalla capacità di includere coloro che sono più deboli e bisognosi» Papa Francesco incontra la Comunità di Capodarco

 25 febbraio 2017 
 Udienza alla Comunità di Capodarco 

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Tanta gioia tra i circa 2600 partecipanti all’incontro del Papa con la Comunità di Capodarco, accompagnati dal fondatore, don Franco Monterubbianesi. Presenti operatori e volontari, che lavorano al fianco di disabili ed emarginati, e persone che - grazie al loro aiuto - hanno ritrovato la speranza di vivere, riuscendo a reinserirsi nella società.
Da mezzo secolo la comunità fondata da don Franco Monterubbianesi e presieduta da don Vinicio Albanesi, che hanno tenuto un breve discorso introduttivo, lavora per includere i più svantaggiati dal punto di vista fisico, psichico e sociale. Il fondatore ha chiamato accanto a sé, in rappresentanza della comunità, una mamma, un papà e una giovane.



Le 3 richieste di don Albanesi

«Abbiamo sofferto molto lo scarto» ha detto nel suo intervento don Albanesi citando un’espressione usata spesso dal Papa: la cultura dello scarto che inquina i nostri giorni, emarginando ed escludendo i più deboli quasi fossero dei rifiuti. Davanti a un ragazzo affetto da grave handicap, e la cui unica consolazione era appoggiarsi al braccio della madre, don Albanesi ha ricordato di aver detto a se stesso: «Questa vita vale come la vita del Papa».

Ed è forse con riferimento a quel pensiero che Francesco ha esordito, nell'unica aggiunta a braccio al testo scritto: «Sono lieto di quello che ho sentito, molto lieto». Ma avrebbe potuto riferirsi anche alle 3 richieste che don Albanesi, con suo parlare diretto, gli ha fatto: una riflessione, intesa come un testo a sua firma, sulla dignità delle persone; un'azione che riguardi l'iniqua distribuzione delle ricchezze; infine di leggere «almeno l'indice» del libro Il diaconato alle donne che gli ha donato. «Abbiamo aspettato 50 anni per incontrare Lei» aveva esordito. E ha concluso: «Non si curi di quanti vanno cincischiando sui dubia». Aggiungendo: «Le vogliamo bene, veramente bene».


Al termine del suo discorso papa Francesco ha invitato a recitare insieme un’Ave Maria, pregando quella Madre che a tutti dà forza. Poi si è intrattenuto per circa mezz'ora stringendo mani e salutando i presenti, che hanno ricambiato l'abbraccio con cori e applausi.

Il testo integrale del discorso di Papa Francesco

Cari fratelli e sorelle,

sono lieto di questo nostro incontro e lieto di quello che ho sentito, molto lieto, e vi saluto tutti con affetto. Ringrazio di cuore Don Franco Monterubbianesi, fondatore della vostra Comunità, e Don Vinicio Albanesi, attuale presidente, per le loro parole; e ringrazio voi che ci avete regalato le vostre testimonianze.

La Comunità di Capodarco, articolata in numerose realtà locali, ha celebrato l’anno scorso il suo 50° anniversario. Con voi, ringrazio il Signore per il bene compiuto in questi anni al servizio delle persone disabili, dei minori, di quanti vivono situazioni di dipendenza e di disagio, e delle loro famiglie. Voi avete scelto di stare dalla parte di queste persone meno tutelate, per offrire loro accoglienza, sostegno e speranza, in una dinamica di condivisione. In questo modo avete contribuito e contribuite a rendere migliore la società.

La qualità della vita all’interno di una società si misura, in buona parte, dalla capacità di includere coloro che sono più deboli e bisognosi, nel rispetto effettivo della loro dignità di uomini e di donne. E la maturità si raggiunge quando tale inclusione non è percepita come qualcosa di straordinario, ma di normale. Anche la persona con disabilità e fragilità fisiche, psichiche o morali, deve poter partecipare alla vita della società ed essere aiutata ad attuare le sue potenzialità nella varie dimensioni. Soltanto se vengono riconosciuti i diritti dei più deboli, una società può dire di essere fondata sul diritto e sulla giustizia. Una società che desse spazio solo alle persone pienamente funzionali, del tutto autonome e indipendenti non sarebbe una società degna dell’uomo. La discriminazione in base all’efficienza non è meno deplorevole di quella compiuta in base alla razza o al censo o alla religione.

In questi decenni, la vostra Comunità si è costantemente messa in ascolto attento e amoroso della vita delle persone, sforzandosi di rispondere ai bisogni di ciascuno tenendo conto delle loro capacità e dei loro limiti. Questo vostro approccio ai più deboli supera l’atteggiamento pietistico e assistenzialistico, per favorire il protagonismo della persona con difficoltà in un contesto comunitario non chiuso in se stesso ma aperto alla società. Vi incoraggio a proseguire su questa strada, che vede in primo piano l’azione personale e diretta dei disabili stessi. Di fronte ai problemi economici e alle conseguenze negative della globalizzazione, la vostra Comunità cerca di aiutare quanti si trovano nella prova a non sentirsi esclusi o emarginati, ma, al contrario, a camminare in prima linea, portando la testimonianza dell’esperienza personale. Si tratta di promuovere la dignità e il rispetto di ogni individuo, facendo sentire agli “sconfitti della vita” la tenerezza di Dio, Padre amorevole di ogni sua creatura.

Voglio ancora ringraziare per la testimonianza che date alla società, aiutandola a scoprire sempre più la dignità di tutti, a partire dagli ultimi, dai più svantaggiati. Le istituzioni, le associazioni e le varie agenzie di promozione sociale sono chiamate a favorire l’effettiva inclusione di queste persone. Voi lavorate per questo scopo con generosità e competenza, con l’aiuto coraggioso di famiglie e volontari, che ci ricordano il significato e il valore di ogni esistenza. Accogliendo tutti questi “piccoli” segnati da impedimenti mentali o fisici, o da ferite dell’anima, voi riconoscete in essi dei testimoni particolari della tenerezza di Dio, dai quali abbiamo molto da imparare e che hanno un posto privilegiato anche nella Chiesa. Di fatto, la loro partecipazione alla comunità ecclesiale apre la via a rapporti semplici e fraterni, e la loro preghiera filiale e spontanea ci invita tutti a rivolgerci al nostro Padre celeste.

La vostra Associazione ha avuto origine dai pellegrinaggi ai santuari di Lourdes e di Loreto, nei quali don Franco intuì il modo di poter valorizzare le risorse umane e spirituali insite in ogni persona diversamente abile. Nella vostra attività, tanto preziosa per la Chiesa e per la società, la Vergine Madre vi ha sempre accompagnato e continua a farlo, aiutandovi a ritrovare ogni volta nuove energie e a conservare sempre lo stile del Vangelo, la tenerezza, la premura, la vicinanza, e anche il coraggio, lo spirito di sacrificio, perché non è facile lavorare nel campo del disagio personale e sociale.

Cari fratelli e sorelle, vi ringrazio ancora della vostra visita. Vi benedico e vi accompagno con la preghiera, perché le vostre comunità continuino a camminare con gioia e con speranza. E anche voi, per favore, pregate per me. Grazie!

E vi invito a pregare nostra Madre, quella che dà forza alle mamme, alle donne, a voi, a tutti noi che lavoriamo. [Ave Maria]

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