lunedì 31 ottobre 2022

Intenzione di preghiera per il mese di Novembre 2022: Preghiamo per i bambini che soffrono. (video e testo in italiano)

Intenzione di preghiera per il mese di Novembre 2022


Preghiamo per i bambini che soffrono

Il video con l'intenzione di preghiera per il mese di Novembre è stato diffuso oggi attraverso la Rete Mondiale di Preghiera del Papa sul tema "Per i bambini che soffrono".
Papa Francesco, che ha sempre dimostrato grande affetto per i bambini e un'attenzione particolare alle loro condizioni di vita, richiama tutti alla responsabilità nei loro confronti troppo spesso dimenticata chiudendo gli occhi di fronte al loro sfruttamento ed alla mancanza di rispetto dei loro diritti.

Guarda il video


Il testo in italiano del videomessaggio del Papa

Ci sono ancora milioni di bambini e bambine che soffrono 
e vivono in condizioni molto simili alla schiavitù. 
Non sono numeri: sono esseri umani con un nome,
 con un volto proprio, con un'identità che Dio ha dato loro. 

Troppo spesso dimentichiamo la nostra responsabilità 
e chiudiamo gli occhi di fronte allo sfruttamento di questi bambini, 
che non hanno il diritto di giocare, di studiare, di sognare. 
Non hanno neanche il calore di una famiglia. 

Ogni bambino emarginato, abbandonato dalla sua famiglia, 
senza istruzione, senza assistenza medica, è un grido! 
Un grido che si eleva a Dio e denuncia il sistema che noi adulti abbiamo costruito. 

Un bambino abbandonato è colpa nostra. 
Non possiamo più permettere che si sentano soli e abbandonati: 
devono ricevere un'educazione e sentire l'amore di una famiglia,
 per sapere che Dio non li dimentica. 

Preghiamo perché i bambini e le bambine che soffrono 
– quelli che vivono in strada, le vittime delle guerre, gli orfani – 
possano avere accesso all’educazione e possano riscoprire l’affetto di una famiglia.


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Il video con l'intenzione di preghiera per il mese di Novembre viene annunciato con un tweet.



“Il cristiano è un uomo di pace, non un uomo in pace. Fare la pace è la sua vocazione” (Primo Mazzolari). I movimenti cattolici ed ecumenici insieme a Francesco per la pace

“Il cristiano è un uomo di pace,
 non un uomo in pace.
 Fare la pace è la sua vocazione”
(Primo Mazzolari).

I movimenti cattolici ed ecumenici
insieme a Francesco per la pace
in vista della grande manifestazione nazionale a Roma  
il 5 novembre 
per il cessate il fuoco immediato in Ucraina e il negoziato



A pochi giorni dalla grande manifestazione per la pace del 5 novembre a Roma e uniti a Papa Francesco, offriamo questo contributo di riflessione al dibattito e al confronto in corso sul drammatico problema della guerra e sulla necessità di avviare concreti percorsi di pace.

Dal 24 febbraio 2022 la Russia di Putin con l’invasione dell’Ucraina ha portato la guerra nel cuore dell’Europa. Una guerra che comporta in prevalenza vittime civili, tra cui in maggioranza donne, bambini e anziani, a causa di bombardamenti su abitazioni, scuole, ospedali, centri culturali, chiese, convogli umanitari. Questa guerra si pone accanto alle tante altre sparse per il mondo, per lo più guerre dimenticate perché lontane da noi.

Da quando è apparso sulla terra l’uomo ha cominciato a combattere contro i propri simili: Caino ha ucciso Abele. E poi tutta una sequela di guerre: di conquista e di indipendenza, guerre rivoluzionarie e guerre controrivoluzionarie, guerre sante e guerre di religione, guerre difensive e guerre offensive, crociate… fino alle due guerre mondiali. Con la creazione delle Nazioni Unite si pensava che la guerra fosse ormai un’opzione non più prevista, una metodologia barbara, dunque superata, per la soluzione dei conflitti. E invece no. Eccoci ancora con il dramma della guerra vicino a noi.

Don Primo Mazzolari, dopo l’esperienza drammatica di due guerre mondiali, era giunto alla conclusione, in “Tu non uccidere”, che la guerra è sempre un fratricidio, un oltraggio a Dio e all’uomo, e di conseguenza, tutte le guerre, anche quelle rivoluzionarie, difensive ecc., sono da rifiutare senza mezzi termini. È quanto aveva scritto ai governanti dei Paesi belligeranti anche Papa Benedetto XV nel pieno della prima guerra mondiale, indicandola come «una follia, un’inutile strage». E come non ricordare Paolo VI all’Onu nel 1965 con il suo grido rivolto ai potenti del mondo: «Mai più la guerra, mai più la guerra, lasciate cadere le armi dalle vostre mani. Non si può amare con le armi in pugno»?

Un grido, questo, ripetuto da Giovanni Paolo II nel tentativo di scongiurare la guerra in Iraq e l’invasione del Kuwait e da Benedetto XVI ad Assisi accanto ai leader religiosi mondiali.

Ora, di fronte al drammatico conflitto in corso in Ucraina, è papa Francesco a ricordarci costantemente che la guerra è «una follia, un orrore, un sacrilegio, una logica perversa»: «Quanto sangue deve ancora scorrere perché capiamo che la guerra non è mai una soluzione, ma solo distruzione? In nome di Dio e in nome del senso di umanità che alberga in ogni cuore, rinnovo il mio appello affinché si giunga subito al cessate il fuoco. Tacciano le armi e si cerchino le condizioni per avviare negoziati capaci di condurre a soluzioni non imposte con la forza, ma concordate, giuste e stabili. E tali saranno se fondate sul rispetto del sacrosanto valore della vita umana, nonché della sovranità e dell’integrità territoriale di ogni Paese, come pure dei diritti delle minoranze e delle legittime preoccupazioni» (Angelus di domenica 3 ottobre 2022).

Come realtà del mondo cattolico italiano e dei movimenti ecumenici e nonviolenti a base spirituale, vogliamo unire la nostra voce a quella di Papa Francesco per chiedere un impegno più determinato nella ricerca della pace.

Affidarsi esclusivamente alla logica delle armi rappresenta il fallimento della politica. Il nostro Paese deve da protagonista far valere le ragioni della pace in sede di Unione Europea, di Nazioni Unite e in sede Nato. Il dialogo, il confronto, la diplomazia sono le strade da percorrere con determinazione.

Servono urgentemente concrete scelte e forti gesti di pace. Di fronte all’evocazione del possibile utilizzo di ordigni atomici, e dunque di fronte al terribile rischio dello scatenarsi di un conflitto mondiale, un gesto dirompente di pace sarebbe certamente la scelta da parte del nostro Paese di ratificare il “Trattato Onu di proibizione delle armi nucleari”, armi di distruzione di massa, dunque eticamente inaccettabili. L’abbiamo già chiesto ad alta voce in 44 presidenti nazionali di realtà del mondo cattolico e come movimenti ecumenici e nonviolenti a base spirituale, con la sottoscrizione, nella primavera del 2021, del documento “L’Italia ratifichi il Trattato Onu di proibizione delle armi nucleari”, e poi con un secondo documento del gennaio 2022. L’hanno chiesto centinaia di Sindaci di ogni colore politico. L’hanno chiesto in un loro documento i vescovi italiani. L’hanno chiesto associazioni e movimenti della società civile.

Rinnoviamo ora questa richiesta al nuovo Governo e al nuovo Parlamento affinché pongano urgentemente all’ordine del giorno la ratifica del “Trattato Onu di proibizione delle armi nucleari”, a indicare che il nostro Paese non vuole più armi nucleari sul proprio territorio e che sollecita anche i propri alleati a percorrere questa strada di pace. Purtroppo, anche dopo tante guerre, noi non abbiamo ancora imparato la lezione e continuiamo ogni volta ad armarci, a fare affari con la vendita di armi e a prepararci alla guerra.

Forse sarebbe opportuno con determinazione e coraggio percorrere altre strade. Forse sarebbe opportuno riempire di precise scelte e contenuti quella che Giorgio La Pira chiamava «l’utopia della pace ». Prima che sia troppo tardi.

«La vera risposta non sono altre armi, altre sanzioni, altre alleanze politico-militari ma un’altra impostazione, un modo diverso di governare il mondo e di impostare le relazioni internazionali» (papa Francesco, 24 marzo 2022).

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Ecco tutti i firmatari dell'appello:

Emiliano Manfredonia
Presidente nazionale delle Acli

Giuseppe Notarstefano
Presidente nazionale di Azione Cattolica Italiana

Giovanni Paolo Ramonda
Presidente dell’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII

Gabriele Bardo e Cristiana Formosa
Responsabili nazionali del Movimento dei Focolari Italia

Monsignor Giovanni Ricchiuti
Presidente nazionale di Pax Christi

Davide Prosperi
Presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione

Adriano Roccucci
Responsabile nazionale per l’Italia della Comunità di Sant’Egidio

Don Luigi Ciotti
Presidente del Gruppo Abele e di Libera

Ernesto Preziosi
Presidente di Argomenti 2000

Ernesto Olivero
Fondatore del Sermig (Servizio Missionario Giovani)

Luigi d’Andrea
Presidente nazionale del Meic (Movimento Ecclesiale di Impegno Culturale)

Allegra Tonnarini e Tommaso Perrucci
Presidenti nazionali della Fuci(Federazione Universitaria Cattolica Italiana)

Roberta Vincini e Francesco Scoppola
Presidenti del Comitato Nazionale dell’Agesci

Franco Vaccari
Presidente di Rondine, Cittadella della Pace

Antonio Di Matteo
Presidente nazionale Mcl (Movimento Cristiano Lavoratori)

Paola Da Ros
Presidente Federazione Nazionale Italiana Società di San Vincenzo De Paoli Odv

Luciano Caimi
Presidente di Città dell’Uomo – associazione fondata da Giuseppe Lazzati

Ivana Borsotto
Presidente della Focsiv (Federazione Organismi Cristiani Servizio Internazionale Volontario)

Rosalba Candela
Presidente dell’Uciim (Unione Cattolica Italiana Insegnanti Medi)

Giuseppe Desideri
Presidente dell’Aimc (Associazione Italiana Maestri Cattolici)

Don Riccardo Battocchio
Presidente nazionale dell’Ati (Associazione Teologica Italiana)

Lucia Vantini
Presidente del Coordinamento delle Teologhe italiane

Vittorio Bosio
Presidente nazionale del Csi (Centro Sportivo Italiano)

Massimiliano Costa
Presidente nazionale del Masci (Movimento Adulti Scout Cattolici Italiani)

Patrizia Giunti
Presidente della Fondazione Giorgio La Pira (Firenze)

Marco Salvatori
Centro Internazionale Studenti Giorgio La Pira (Firenze)

Andrea Cecconi
Presidente della Fondazione Ernesto Balducci (Fiesole)

Paola Bignardi e don Luigi Pisani
Presidente e vicepresidente della Fondazione Don Primo Mazzolari (Bozzolo)

Agostino Burberi
Presidente della Fondazione Don Lorenzo Milani (Barbiana)

Rosanna Tommasi
Presidente del Centro Internazionale Hélder Câmara di Milano

Fulvio De Giorgi e Celestina Antonacci
Presidenti dell’associazione La Rosa Bianca

Giuseppe Rotunno
Presidente del Comitato per una Civiltà dell’Amore

Maria Grazia Di Tullio
Associazione Francescani nel Mondo aps

Franco Ferrari
Presidente dell’associazione Viandanti e della Rete Viandanti (costituita da 19 gruppi e 12 riviste di varie città)

Vittorio Bellavite
Coordinatore nazionale di Noi Siamo Chiesa

Don Albino Bizzotto e Lisa Clark
Presidente e vicepresidente dell’associazione Beati i Costruttori di Pace

Carla Biavati
Ipri-Ccp (Istituto Italiano Ricerca per la Pace-Corpi Civili di Pace)

Paolo Sales
Per la Segreteria nazionale delle Comunità Cristiane di Base Italiane

Maurizio Gardini
Presidente nazionale di Confcooperative (Confederazione Cooperative Italiane)

Fabio Caneri
Coordinatore della rete C3dem (Costituzione, Concilio, Cittadinanza,) composta da 26 associazioni di varie parti d’Italia

Gabriele Tomasoni
Presidente nazionale del Mec (Movimento Ecclesiale Carmelitano)

Alfonso Barbarisi
Presidente Aidu – Associazione Italiana Docenti Universitari Cattolici

Enzo Sanfilippo e Maria Albanese
Responsabili italiani della comunità dell’Arca di Lanza Del Vasto

Ambrogio Bongiovanni
Presidente della Fondazione Magis

Pierangelo Monti
Presidente Mir (Movimento Internazionale della Riconciliazione)

Antonio Fersini
Ministro Regionale Ofs Lazio

Suor Paola Moggi
Per la segreteria della Fesmi (Federazione Stampa Missionaria Italiana)


«Gesù ci guarda sempre con amore ... noi cristiani dobbiamo avere lo sguardo di Cristo» Papa Francesco Angelus 30/10/2022 (testo e video)

ANGELUS

Piazza San Pietro
Domenica, 30 ottobre 2022


Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Oggi, nella Liturgia, il Vangelo narra l’incontro tra Gesù e Zaccheo, capo dei pubblicani nella città di Gerico (Lc 19,1-10). Al centro di questo racconto c’è il verbo cercare. Stiamo attenti: cercare. Zaccheo «cercava di vedere chi era Gesù» (v. 3) e Gesù, dopo averlo incontrato, afferma: «Il Figlio dell’uomo è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto» (v. 10). Soffermiamoci un po’ sui due sguardi che si cercano: lo sguardo di Zaccheo che cerca Gesù e lo sguardo di Gesù che cerca Zaccheo.

Lo sguardo di Zaccheo. Si tratta di un pubblicano, cioè uno di quegli ebrei che raccoglievano le tasse per conto dei dominatori romani – un traditore della patria – e approfittavano di questa loro posizione. Per questo, Zaccheo era ricco, odiato da tutti e additato come peccatore. Il testo dice che «era piccolo di statura» (v. 3) e con questo forse allude anche alla sua bassezza interiore, alla sua vita mediocre, disonesta, con lo sguardo sempre rivolto in basso. Ma l’importante è che era piccolino. Eppure, Zaccheo vuole vedere Gesù. Qualcosa lo spinge a vederlo. «Corse avanti – dice il Vangelo – e, per riuscire a vederlo, salì su un sicomoro, perché doveva passare di là» (v. 4). Salì su un sicomoro: Zaccheo, l’uomo che dominava tutto, fa il ridicolo, va sulla strada del ridicolo per vedere Gesù. Pensiamo un po’ cosa accadrebbe se, per esempio, un ministro dell’economia salisse su un albero per guardare un’altra cosa: rischia la beffa. E Zaccheo ha rischiato la beffa per vedere Gesù, ha fatto il ridicolo. Zaccheo, nella sua bassezza, sente il bisogno di cercare un altro sguardo, quello di Cristo. Ancora non lo conosce, ma aspetta qualcuno che lo liberi della sua condizione – moralmente bassa –, che lo faccia uscire dalla palude in cui si trova. Questo è fondamentale: Zaccheo ci insegna che, nella vita, non è mai tutto perduto. Per favore, mai tutto è perduto, mai! Sempre possiamo fare spazio al desiderio di ricominciare, di ripartire, di convertirci. E questo è quello che fa Zaccheo.

Decisivo in questo senso è il secondo aspetto: lo sguardo di Gesù. Egli è stato inviato dal Padre a cercare chi si è perduto; e quando arriva a Gerico, passa proprio accanto all’albero dove sta Zaccheo. Il Vangelo narra che «Gesù alzò lo sguardo e gli disse: “Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua”» (v. 5). È un’immagine molto bella, perché se Gesù deve alzare lo sguardo, significa che guarda Zaccheo dal basso. Questa è la storia della salvezza: Dio non ci ha guardato dall’alto per umiliarci e giudicarci, no; al contrario, si è abbassato fino a lavarci i piedi, guardandoci dal basso e restituendoci dignità. Così, l’incrocio di sguardi tra Zaccheo e Gesù sembra riassumere l’intera storia della salvezza: l’umanità con le sue miserie cerca la redenzione, ma anzitutto Dio con misericordia cerca la creatura per salvarla.

Fratelli, sorelle, ricordiamoci questo: lo sguardo di Dio non si ferma mai al nostro passato pieno di errori, ma guarda con infinita fiducia a ciò che possiamo diventare. E se a volte ci sentiamo persone di bassa statura, non all’altezza delle sfide della vita e tanto meno del Vangelo, impantanati nei problemi e nei peccati, Gesù ci guarda sempre con amore; come con Zaccheo ci viene incontro, ci chiama per nome e, se lo accogliamo, viene a casa nostra. Allora possiamo chiederci: come guardiamo a noi stessi? Ci sentiamo inadeguati e ci rassegniamo, oppure proprio lì, quando ci sentiamo giù, cerchiamo l’incontro con Gesù? E poi: che sguardo abbiamo verso coloro che hanno sbagliato e faticano a rialzarsi dalla polvere dei loro errori? È uno sguardo dall’alto, che giudica, disprezza, che esclude? Ricordiamoci che è lecito guardare una persona dall’alto in basso soltanto per aiutarla a sollevarsi: niente di più. Soltanto in questo è lecito guardare dall’alto in basso. Ma noi cristiani dobbiamo avere lo sguardo di Cristo, che abbraccia dal basso, che cerca chi è perduto, con compassione. Questo è, e dev’essere, lo sguardo della Chiesa, sempre, lo sguardo di Cristo, non lo sguardo condannatore.

Preghiamo Maria, di cui il Signore ha guardato l’umiltà, e chiediamole il dono di uno sguardo nuovo su di noi e sugli altri.

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Dopo l'Angelus

Cari fratelli e sorelle!

Mentre celebriamo la vittoria di Cristo sul male e sulla morte, preghiamo per le vittime dell’attentato terroristico che, a Mogadiscio, ha ucciso più di cento persone, tra cui molti bambini. Dio converta i cuori dei violenti!

E preghiamo il Signore Risorto anche per quanti – soprattutto giovani – sono morti questa notte a Seul, per le tragiche conseguenze di un’improvvisa calca della folla.

Ieri a Medellín, in Colombia, è stata beatificata Maria Berenice Duque Hencker, fondatrice delle Piccole Suore dell’Annunciazione. La sua lunga vita, conclusa nel 1993, l’ha spesa tutta al servizio di Dio e dei fratelli, specialmente i piccoli e gli esclusi. Il suo zelo apostolico, che la spinse a portare il messaggio di Gesù oltre i confini del suo Paese, rafforzi in tutti il desiderio di partecipare, con la preghiera e la carità, alla diffusione del Vangelo nel mondo. Un applauso alla nuova Beata, tutti!

Saluto tutti voi, romani e pellegrini di vari Paesi: famiglie, gruppi parrocchiali, associazioni, singoli fedeli. In particolare saluto, dalla Spagna, i fedeli di Cordoba e la corale “Orfeón Donostiarra” di San Sebastián, che celebra 125 anni di attività; i ragazzi e le ragazze del Movimento Hakuna; il gruppo di San Paolo del Brasile; e i chierici, le religiose e i religiosi indonesiani residenti a Roma. Saluto i partecipanti al convegno promosso dalla rete mondiale “Uniservitate” e dalla LUMSA; come pure i bambini della prima Comunione di Napoli e i gruppi di fedeli da Magreta, Nocera Inferiore e Nardò. E i ragazzi dell’Immacolata.

Non dimentichiamo, per favore, nella nostra preghiera e nel nostro dolore del cuore, la martoriata Ucraina. Preghiamo per la pace, non ci stanchiamo di farlo!

Auguro a tutti una buona domenica. E, per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Buon pranzo e arrivederci dopodomani per la festa di tutti i Santi.

Guarda il video



domenica 30 ottobre 2022

Papa Francesco: Il nostro motto è «Mi interessa!» (VIDEO INTEGRALE)

Papa Francesco: 
Il nostro motto
 è «Mi interessa!»
Il cristiano si interessa alla realtà sociale e dà il proprio contributo; 
che il nostro motto non è “me ne frego”, ma “mi interessa!”
29 ottobre 2022 - Discorso ai giovani dell'Azione Cattolica


Cari giovani di Azione Cattolica, buongiorno e benvenuti!... Almeno sapete fare rumore, è già una cosa, avanti!

Ringrazio il Presidente nazionale per le sue parole.

Vi dico subito che apprezzo molto il fatto che a voi sta a cuore la parrocchia. Anche a me sta a cuore! 
La parrocchia. Ci sono movimenti, ci sono cose che ruotano… La parrocchia: la radice è nella parrocchia. Ma io sono di un’altra generazione. Sono nato e cresciuto in un contesto sociale ed ecclesiale diverso, quando la parrocchia – con il suo parroco – era un punto di riferimento centrale per la vita della gente: la Messa domenicale, la catechesi, i sacramenti… La realtà socio-culturale in cui vivete voi è molto cambiata, lo sappiamo; e già da tempo – prima in altri Paesi, poi anche in Italia – la missione della Chiesa è stata ripensata, in particolare la parrocchia. Ma, in tutto questo, rimane una cosa essenziale: per noi, per me e per voi, per il nostro cammino di fede e di crescita, l’esperienza parrocchiale è stata ed è importante, insostituibile. È l’ambiente “normale” dove abbiamo imparato ad ascoltare il Vangelo, a conoscere il Signore Gesù, ad offrire un servizio con gratuità, a pregare in comunità, a condividere progetti e iniziative, a sentirci parte del popolo santo di Dio…

Tutto questo voi lo avete vissuto anche attraverso l’Azione Cattolica, cioè un’esperienza associativa che è, per così dire, “intrecciata” con quella della comunità parrocchiale. Alcuni di voi immagino che abbiate fatto parte di un gruppo ACR, l’Azione Cattolica dei Ragazzi; e lì già si impara tantissimo di che cosa significa far parte di una comunità cristiana: partecipare, condividere, collaborare e pregare insieme…

Questo è molto importante: imparare attraverso l’esperienza che nella Chiesa siamo tutti fratelli per il Battesimo; che tutti siamo protagonisti e responsabili; che abbiamo doni diversi e tutti per il bene della comunità; che la vita è vocazione, seguire Gesù; che la fede è un dono da donare, un dono da testimoniare. E poi, ancora: che il cristiano si interessa alla realtà sociale e dà il proprio contributo; che il nostro motto non è “me ne frego”, ma “mi interessa!”. State attenti, state attenti voi, che è più pericolosa di un cancro la malattia del menefreghismo nei giovani. Per favore, state attenti! Abbiamo imparato che la miseria umana non è un destino che tocca ad alcuni sfortunati, ma quasi sempre il frutto di ingiustizie da estirpare. E così via, abbiamo imparato tutte queste cose. Queste realtà di vita si imparano spesso in parrocchia e nell’Azione Cattolica. Quanti giovani si sono formati a questa scuola! Quanti hanno dato la loro testimonianza sia nella Chiesa sia nella società, nelle diverse vocazioni e soprattutto come fedeli laici, che hanno portato avanti da adulti e da anziani lo stile di vita maturato da giovani, nella parrocchia.

Dunque, cari giovani, siamo di generazioni diverse, ma abbiamo in comune l’amore per la Chiesa e la passione per la parrocchia, che è la Chiesa in mezzo alle case, in mezzo al popolo. E sulla base di questa passione vorrei condividere con voi alcune sottolineature, cercando di sintonizzarmi con il vostro cammino e il vostro impegno.

Anzitutto, voi volete contribuire a far crescere la Chiesa nella fraternità. Vi ringrazio! Su questo siamo perfettamente sintonizzati. Sì, ma come farlo? Prima di tutto, non spaventatevi se – come avete notato – nelle comunità vedete che è un po’ debole la dimensione comunitaria. È una cosa molto importante, ma non spaventatevi, perché si tratta di un dato sociale, che si è aggravato con la pandemia. Oggi, specialmente i giovani, sono estremamente diversi rispetto a 50 anni fa: non c’è più la voglia di fare riunioni, dibattiti, assemblee… Per un verso, è una cosa buona, anche per voi: l’Azione Cattolica non dev’essere una “Sessione” Cattolica!, e la Chiesa non va avanti con le riunioni! Ma, per altro verso, l’individualismo, la chiusura nel privato o in piccoli gruppetti, la tendenza a relazionarsi “a distanza” contagiano anche le comunità cristiane. Se ci verifichiamo, siamo tutti un po’ influenzati da questa cultura egoistica. Dunque bisogna reagire, e anche voi potete farlo incominciando con un lavoro su voi stessi.

E dico un “lavoro” perché è un cammino impegnativo e richiede costanza. La fraternità non si improvvisa e non si costruisce solo con emozioni, slogan, eventi… No, la fraternità è un lavoro che ciascuno fa su di sé insieme con il Signore, con lo Spirito Santo, che crea l’armonia tra le diversità. Vi consiglio di rileggere quella parte dell’Esortazione Christus vivit intitolata “Percorsi di fraternità”. Sono pochi numeri: dal 163 al 167. Christus vivit, Percorsi di fraternità. Mi raccomando, leggetela. Il punto di partenza è l’uscire da sé stessi per aprirsi agli altri e andare loro incontro (cfr n. 163). 
Lo Spirito di Gesù Risorto opera questo: ci fa uscire da noi stessi, ci apre all’incontro. Attenzione! Non è alienazione, no, è relazione, nella quale ci si riconosce e si cresce insieme. La realtà fondamentale per noi è che nella Chiesa questo movimento lo viviamo in Cristo, attraverso l’Eucaristia: Lui esce da sé e viene in noi perché noi usciamo da noi stessi e ci uniamo a Lui, e in Lui ci ritroviamo in una comunione nuova, libera, gratuita, oblativa. La fraternità nella Chiesa è fondata in Cristo, nella sua presenza in noi e tra noi. Grazie a Lui ci accogliamo, ci sopportiamo – l’amore cristiano si edifica sul sopportarsi – e ci perdoniamo. Mi fermo qui. Voi mi capite bene, sono realtà che vivete, sono la vostra, la nostra gioia!

E qui mi fermo su un punto che per me è come la malattia più grave in una comunità parrocchiale: il chiacchiericcio. Il chiacchiericcio che sempre si fa come strumento di arrampicamento, di promozione, di auto-promozione: sporcare l’altro perché io vada più avanti. Per favore, il chiacchiericcio non è cristiano, è diabolico perché divide. Attenti, voi giovani, per favore. Lasciamo questo per le zitelle… Mai chiacchierare di un altro. E se tu hai una cosa contro l’altro, vai e dillo in faccia; sii uomo, sii donna: in faccia, sempre. A volte poi riceverai un pugno, ma hai detto la verità, l’hai detto in faccia con carità fraterna. Per favore, le critiche nascoste sono cose del diavolo. Se volete criticare, tutti insieme, criticatevi tra voi, ma non fuori, contro di voi.

E con queste cose che ho detto si comprende in che senso i cristiani diventano “lievito” nella società: se un cristiano è in Cristo, se è un fratello nel Signore, se è animato dallo Spirito, non può che essere lievito dove vive: lievito di umanità, perché Gesù Cristo è l’Uomo perfetto e il suo Vangelo è forza umanizzante. Mi piace molto un’espressione che voi usate: “essere impastati in questo mondo”. È il principio di incarnazione, la strada di Gesù: portare la vita nuova dall’interno, non da fuori, no, da dentro. Ma a una condizione, però, che sembrerebbe ovvia ma non lo è: che il lievito sia lievito, che il sale sia sale, che la luce sia luce. Ma se il lievito è un’altra cosa, non va; se il sale è un’altra cosa, non va; se la luce è oscurità, non va. Altrimenti, se, stando nel mondo, ci mondanizziamo, perdiamo la novità di Cristo e non abbiamo più niente da dire o da dare. E qui viene buona l’altra vostra espressione che mi ha colpito: “essere giovani credenti responsabili credibili”. È quello che dice Gesù quando, da una parte afferma: «Voi siete il sale della terra», e poi subito avverte: attenzione a non perdere il sapore! (cfr Mt 5,13). “Questo, da ragazzo, da ragazza, era uno bravo, una brava, di Azione Cattolica, andava avanti, dappertutto… Adesso è uno tiepido, una tiepida, è uno che non si fa sentire, una persona spiritualmente noiosa e annoiata, che non ha forza di portare avanti il Vangelo”. State attenti: che il sale rimanga sale, che il lievito rimanga lievito, che la luce rimanga luce!

Giovani credenti, responsabili e credibili: questo io vi auguro. Potrebbe diventare anche questa una formula, un “modo di dire”. Ma non è così, perché queste parole sono incarnate nei santi, nei giovani santi! La Madre Chiesa ce ne propone molti, pensiamo – limitandoci solo ad alcuni italiani – a Francesco e Chiara d’Assisi, Rosa da Viterbo, Gabriele dell’Addolorata, Domenico Savio, Gemma Galgani, Maria Goretti, Pier Giorgio Frassati, Chiara Badano, Carlo Acutis. Loro ci insegnano che cosa vuol dire essere lievito, essere nel mondo, non del mondo. Pier Giorgio Frassati è stato un membro attivo ed entusiasta dell’Azione Cattolica Italiana, in particolare della FUCI, e dimostra come si può essere giovani credenti responsabili credibili, credenti felici, sorridenti. 
Guai ai giovani con la faccia da veglia funebre: hanno perso tutto.

Cari amici e amiche, ci sarebbero tante cose che potremmo condividere sulla vita in parrocchia e sulla testimonianza nella società. Ma non ne abbiamo il tempo – né abbiamo la pazienza per continuare a parlare! –. Vorrei aggiungere solo un suggerimento, che mi viene anche dal fatto che ottobre è il mese del Rosario: imparate dalla Vergine Maria a custodire e meditare nel vostro cuore la vita di Gesù, i misteri di Gesù. Rispecchiatevi ogni giorno negli eventi gioiosi, luminosi, dolorosi, gloriosi della sua vita, ed essi vi permetteranno di vivere l’ordinario in modo straordinario, cioè con la novità dello Spirito, con la novità del Vangelo.

Grazie di essere venuti e grazie della vostra testimonianza! Andate avanti con gioia e coraggio. Di cuore benedico voi e tutti i giovani dell’Azione Cattolica. Buon cammino nelle vostre parrocchie e impastati come lievito nel mondo! E per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Grazie!

GUARDA IL VIDEO
Discorso integrale


Preghiera dei Fedeli - Fraternità Carmelitana di Pozzo di Gotto (ME) - XXXI Domenica T.O.

Fraternità Carmelitana 
di Pozzo di Gotto (ME)

Preghiera dei Fedeli


  XXXI Domenica T.O. Anno C
30 Ottobre 2022 

Per chi presiede

Fratelli e sorelle, per il nostro Dio nessuna persona e nessun’altra creatura può essere oggetto di disprezzo o di disgusto, perché tutto è caro ai suoi occhi. Proprio per questo Gesù è venuto in mezzo a noi, non per condannare, ma per cercare e salvare i perduti. Riconoscenti e pieni di gioia, innalziamo al Signore Gesù le nostre preghiere ed insieme diciamo:


R/  Signore, amante della vita, ascoltaci


Lettore


- Dona, Signore, alla tua Chiesa uno sguardo puro, capace di esprimere amore e misericordia verso tutti. Fa’ che essa non dimentichi mai di essere santa, perché amata gratuitamente da Te, ma anche peccatrice per la fragilità dei suoi membri. Il suo stare in mezzo all’umanità possa essere il segno visibile del tuo amore che perdona, rialza e rinnova l’esistenza. Preghiamo.

- Ti affidiamo, Signore, il dialogo islamico-cristiano. Solo la conoscenza reciproca può far scomparire i pregiudizi e far venir meno le ragioni della violenza. Fa’ che cristiani e musulmani possano contribuire insieme a dare a questo mondo un volto di fraternità e di crescita in umanità. Preghiamo.

- Il vento del tuo Spirito Santo spinga governanti e popoli a ritenere vecchio ed obsoleto il modo di risolvere i conflitti tra gli Stati, ricorrendo alla follia della guerra, perché fiduciosi nella forza delle armi. Dona, Signore, lucidità e sapienza a tutti i governi coinvolti in questa inutile guerra tra Russia ed Ucraina, affinché si giunga subito al “cessate il fuoco” e il dialogo abbia il sopravvento sulle armi. Preghiamo.

- Tu, Signore, hai manifestato a Zaccheo la tua decisa volontà di fare della sua casa la tua dimora. Vieni; Signore, ad abitare nelle nostre case: la tua presenza amante trasformi le relazioni familiari, perché ognuno sia lento all’ira e pronto ad amare, a perdonare e a servire l’altro. Preghiamo.

- Davanti a te, Signore ricco di misericordia, ci ricordiamo dei nostri parenti e amici defunti [pausa di silenzio]; ci ricordiamo delle vittime della omofobia e della misoginia, dell’usura, della corruzione e della mafia. Dona a tutti di riposare nella pace del tuo Regno. Preghiamo.


Per chi presiede

Esaudisci, Signore Gesù, le suppliche della tua Chiesa in preghiera. Aiutaci ad essere misericordiosi e compassionevoli verso ogni persona umana che ha perduto il senso vero della vita e che desidera ricominciare una vita nuova. Te lo chiediamo perché sei nostro Fratello e Signore, vivente nei secoli dei secoli. AMEN.


"Un cuore che ascolta - lev shomea" n. 52/2021-2022 anno C

"Un cuore che ascolta - lev shomea"

"Concedi al tuo servo un cuore docile,
perché sappia rendere giustizia al tuo popolo
e sappia distinguere il bene dal male" (1Re 3,9)



Traccia di riflessione sul Vangelo
a cura di Santino Coppolino

 XXXI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)

Vangelo:


Insieme alla parabola del Samaritano (10,25-37) e alle parabole della misericordia (15,1-32), questo brano può essere considerato un "Vangelo nel Vangelo". Nella persona di Zaccheo, infatti, si realizza ancora una volta quella salvezza impossibile per gli uomini, ma possibile a Dio. Zaccheo (che significa: il Puro oppure : Dio fa memoria) è figura di tutti coloro che, agli occhi della religione, sono ritenuti insalvabili. Egli è l'immagine vivente della Gerico biblica, la città ritenuta inespugnabile, le cui mura crollarono al suono delle trombe, simbolo della voce tonante di Dio. Allo stesso modo crolla adesso la falsa sicurezza delle ricchezze di Zaccheo dopo che Gesù gli ha fatto visita e gli ha annunciato la sua Parola. Gesù, come tante altre volte nel Vangelo di Luca, si accosta all'impuro Zaccheo senza temere di contrarre l'impurità, si ferma in casa sua perché DEVE, perché questo è il progetto d'amore del Padre: «che nessun figlio vada perduto!» (Gv 17,12). «Nessuno, infatti, può essere dichiarato impuro (cfr. At 10,15) perché il Padre ha purificato tutti con il sangue del suo Figlio» (cit.). Veramente esemplare è la risposta dal capo dei pubblicani che realizza non a parole, ma con la vita, «che cosa fare per ereditare la vita eterna» (10,25). Nella vita di Zaccheo si attua quel radicale cambiamento di mentalità (metanoia), quella reale conversione del cuore che gli consente di fare giustizia (tzedakà), di liberarsi di quella diabolica zavorra che lo schiaccia fino a terra e gli impedisce di vedere Gesù. Solo adesso Zaccheo, dopo aver fatto esperienza vitale della misericordia del Padre, può finalmente cominciare una nuova vita e seguire il Maestro fino a Gerusalemme, pervenendo così «alla misura della statura della pienezza di Cristo» (Ef 4,13).


sabato 29 ottobre 2022

DEVO FERMARMI A CASA TUA - All'avvicinarsi di Cristo si deve sempre sentire aria di libertà ... cambia prospettiva. - XXXI Domenica Tempo Ordinario Anno C - Commento al Vangelo a cura di P. Ermes Ronchi

DEVO FERMARMI A CASA TUA


 All'avvicinarsi di Cristo si deve sempre sentire aria di libertà ...
cambia prospettiva.


I commenti di p. Ermes al Vangelo della domenica sono due:
  • il primo per gli amici dei social
  • il secondo pubblicato su Avvenire

In quel tempo, Gesù entrò nella città di Gèrico e la stava attraversando, quand’ecco un uomo, di nome Zacchèo, capo dei pubblicani e ricco, cercava di vedere chi era Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, perché era piccolo di statura. Allora corse avanti e, per riuscire a vederlo, salì su un sicomòro, perché doveva passare di là.
Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: «Zacchèo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua». Scese in fretta e lo accolse pieno di gioia. Vedendo ciò, tutti mormoravano: «È entrato in casa di un peccatore!».
Ma Zacchèo, alzatosi, disse al Signore: «Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto».

Gesù gli rispose: «Oggi per questa casa è venuta la salvezza, perché anch’egli è figlio di Abramo. Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto». Lc 19,1-10


per i social

DEVO FERMARMI A CASA TUA

All'avvicinarsi di Cristo si deve sempre sentire aria di libertà ... cambia prospettiva.

C'è un rabbi che riempie le strade di gente, e un piccolo uomo curioso «cercava di vedere Gesù».
Quello di Zaccheo si direbbe un caso disperato.
C'è il muro della folla e lui è basso. Gli basta solo vederlo, di parlargli non spera.
Ma poi per dirgli cosa, il ladro di Gerico, impuro, esattore delle tasse, ricco di bustarelle, favori, furti? Cosa c’entra lui con l'amico dei poveri?
Zaccheo, piccolo uomo, conosce i propri limiti ma non si piange addosso, piuttosto si inventa una soluzione: l'albero! E quell'albero diventa la sua libertà.

All'avvicinarsi di Cristo si deve sempre sentire aria di libertà.

«Corse avanti e salì su un sicomoro». Tre pennellate precise: corre, sale sull'albero, cambia prospettiva. Ed ecco che la bassa statura diventa la sua fortuna, l’uomo piccolo di valori diventa un gigante di intraprendenza del bene.
Anche Gesù sa cambiare prospettiva: passa e alza lo sguardo.

Ed è subito sintonia, tenerezza chiamata per nome: Zaccheo, scendi. Tra l'albero e la strada uno scambio di sguardi centra il cuore del piccolo uomo, raggiungendone la parte migliore.
Poi, la sorpresa delle parole: devo fermarmi a casa tua.
A Dio manca qualcosa, manca Zaccheo, manca l'ultima pecora, manco io.

Zaccheo cerca di vedere Gesù e scopre che Gesù cerca di vedere lui.
Il cercatore si sente cercato, l'amante si scopre amato, ed è subito festa.

Se Gesù avesse detto: “Zaccheo ti conosco, so che sei un ladro, ma se restituisci il maltolto oggi verrò a casa tua”, il pubblicano sarebbe sicuramente rimasto sull'albero.
Invece dice: “devo fermarmi”, per stare con te. Anche Zaccheo come un discepolo (li scelse perché stessero con lui Mc 3, 14).

Dio «deve», ma non per la mia buona condotta, il suo sguardo si posa su ciò che mi manca per una vita piena. Parola che interpella la mia parte migliore, che nessun peccato potrà cancellare.

Zaccheo, solito alla legge dello sfruttamento, capisce da Gesù che la vita è altro, e fa più di ciò che esigeva la legge, forse meno di quello che Gesù vorrebbe, ma in totale libertà. Cuore nuovo, cuore libero, vangelo.
Gesù non gli elenca gli errori, non lo giudica, non punta il dito. Il rabbi lo conquista con la sorpresa dell'amicizia, che ripara le vite in frantumi.

Allora scese “in fretta” e lo accolse pieno di gioia. Sono poche parole: fretta, accogliere, gioia, ma che dicono sulla conversione più di tanti trattati. E mentre la casa si riempie di amici, Zaccheo si libera delle cose: «Metà di tutto è per i poveri e se ho rubato...». Ora può abbracciare l’intera sua vita di difetti e generosità, può coprire il male di bene.

Così oggi Dio viene a casa mia, a tavola con me.

E Gerico diventa ogni strada del mondo dove per ognuno c'è un albero, per ognuno uno sguardo. La casa di Zaccheo è la mia, e sulla soglia ti attendo: vieni!

per Avvenire

Zaccheo, non ci sono casi disperati per Gesù  (...)

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Migranti. Verso il rinnovo del memorandum. TONIO DELL'OLIO: Accordi sulla pelle dei poveri - APPELLO: NON RINNOVATE L'INFAMIA DI QUELL'ACCORDO

Migranti. Verso il rinnovo del memorandum.
TONIO DELL'OLIO: 
Accordi sulla pelle dei poveri



NON RINNOVATE L'INFAMIA DI QUELL'ACCORDO
E le persone in carne ed ossa trasformate in migranti dalla fame di pane e di diritti, dalla guerra e dalla violenza, diventano pedine di un gioco sporco sulla scacchiera degli affari.

Ministri e trafficanti libici o trafficanti travestiti da ministri o da guardiacoste stroncano giovani vite per alzare il prezzo. In questi giorni – come da anni – si mettono in acqua più gommoni stracarichi di umanità dolente e si spingono verso Lampedusa. È vicino il rinnovo del contratto con l'Italia e bisogna alzare il prezzo. "È la legge del mercato, bellezza. Domanda e offerta". E qui devono capire che la domanda è altissima. Piuttosto che perseguire un'equa distribuzione degli stranieri in Europa, attrezzarsi per accoglienza e integrazione, aiutarli a casa loro… i governi italiani che si sono succeduti nel tempo, hanno scelto di finanziare i trafficanti con accordi milionari sulla pelle di donne, uomini e bimbi reclusi senza pane nei lager della Libia senza governo. Che siano tutte le vittime dormienti in fondo al mare – vite spezzate dal calcolo – a disturbare i sonni dei ministri e a pretendere giustizia e dignità: non rinnovate l'infamia di quell'accordo. Nello stesso tempo in cui si siglano patti perché arrivi copioso in Italia il gas del Nordafrica, dalle stesse sponde chiediamo che si condannino, a morte certa, persone e sogni.

(Fonte: Mosaico dei giorni del 28.10.2022)

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Memorandum Italia-Libia
“5 anni di illegalità 
e di crimini contro l’umanità”

Se entro il 2 novembre il governo italiano non deciderà per la sua revoca, il Memorandum Italia–Libia verrà automaticamente rinnovato per altri 3 anni. Per questo motivo oltre 40 organizzazioni chiedono all’Italia e all’Europa di riconoscere le proprie responsabilità e di non rinnovare gli accordi con la Libia.

“A cinque anni dal Memorandum Italia–Libia, il bilancio delle ricadute sulla vita di uomini, donne e bambini migranti è tragico – affermano le organizzazioni in una nota -. Dal 2017 ad oggi quasi 100.000 persone sono state intercettate in mare dalla Guardia costiera libica e riportate forzatamente in Libia, un paese che non può essere considerato sicuro. La vita dei migranti e rifugiati in Libia è costantemente a rischio, tra detenzioni arbitrarie, abusi, violenze e sfruttamento. Significa non avere alcun diritto e nessuna tutela”.

“L'Italia e l’Unione Europea continuano a impiegare in Libia sempre più risorse pubbliche e a considerarlo un paese con cui poter stringere accordi, all’interno di un complesso sistema basato sulle politiche di esternalizzazione delle frontiere, che delega ai paesi di origine e transito la gestione dei flussi migratori, con il sostegno economico e la collaborazione dell’Unione Europea e degli Stati membri. Il Memorandum Italia – Libia crea le condizioni per la violazione dei diritti di migranti e rifugiati agevolando indirettamente pratiche di sfruttamento e di tortura perpetrate in maniera sistematica e tali da costituire crimini contro l’umanità”, affermano le organizzazioni che ieri, 26 ottobre, sono scese in piazza con la società civile contro il rinnovo degli accordi.
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Tito Brandsma. Nella gratuità del dono la vera grandezza dell’uomo - Gregorio Battaglia (VIDEO INTEGRALE)

Tito Brandsma.
Nella gratuità del dono
la vera grandezza dell’uomo
Gregorio Battaglia, Carmelitano
(VIDEO INTEGRALE)

Terzo dei Mercoledì della Spiritualità 2022
tenuto il 26 ottobre 2022
e promossi dalla
Fraternità Carmelitana
di Barcellona Pozzo di Gotto



TESTIMONI DI SPERANZA NEGLI INFERI DELLA STORIA
Esperienze a confronto e attualità


... In un discorso tenuto il 16 luglio 1939 p. Titus attaccò in modo aperto la tentazione di accogliere come novità i nuovi principi veicolati dal nazismo, definendo questo movimento come vero e proprio nuovo paganesimo, che poteva costituire una minaccia ben più grave del vecchio paganesimo, che si trovarono ad affrontare i missionari dei primi secoli del cristianesimo. «Nella nuova versione – diceva p. Titus – l’amore è condannato e chiamato debolezza; solo lo sforzo personale e la forza fisica prevarrebbero. È detto che “la cristianità, con la sua professione di amore, ha fatto i suoi giorni e deve essere rimpiazzata dall’ancestrale potenza germanica”».

Egli era ben convinto che questa ondata di paganesimo aveva i giorni contati e che «alla fine i nuovi pagani dovrebbero di nuovo dire: “Guarda come si amano l’un l’altro”. Solo allora vinceremo il mondo».

Questo impegno a contrastare l’avanzata del nazismo, bollato come neo-paganesimo, p. Titus lo portò avanti sia nell’ambito culturale tra lezioni universitarie e conferenze, sia sul piano operativo, in quanto responsabile della pastorale dell’informazione e delle scuole cattoliche....


Nell’esaminare questa ideologia nazista P. Titus coglie benissimo il lavoro di mistificazione compiuto nei confronti dell’etica, per cui il male, che sarebbe l’eliminazione dell’altro, del diverso, si tramuta in bene, perché solo così questo popolo può brillare della propria luce e rispondere alla propria vocazione divina. Chiamare il male bene e far diventare virtù quello che in altri discorsi P. Titus chiama “codardia”, come la gratuita violenza esercitata verso chi è di fede ebraica, o verso il disabile e comunque verso l’altro, questo è il grande dramma del nazismo, che ha condotto alla seconda guerra mondiale.

La via della grandezza dell’uomo, invece, va collocata altrove, perché essa passa attraverso la capacità di prendersi cura dell’altro in un gesto di pura gratuità. È la via dell’amore o, come direbbe Paolo, è la via dell’agàpe, fatta di misericordia, di pazienza, di benevolenza, di dono disinteressato di sé. Per i nazisti questa sarebbe la via della debolezza, ma in effetti la loro esaltazione della forza, che distrugge ed annienta l’altro, è l’espressione più evidente della loro meschinità e della loro incapacità di rispondere alla vera vocazione alla vita. Così p. Titus pensa che sia opportuno proporre a questi studenti non tanto delle riflessioni teoriche su ciò che costituisce la vera grandezza dell’uomo, quanto piuttosto proporre dei modelli di vita vissuta, che possano costituire per loro veri punti di riferimento e di confronto

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Guarda anche:



I nostri post con gli incontri precedenti:

- Dov’è Dio e dov’è l’uomo, quando i cristiani si fanno la guerra?(Egidio Palumbo)

- Nazionalismi di ieri e di oggi (Maria Grazia Recupero)

I nostri post già pubblicati:


Enzo Bianchi Elogio della tristezza

Enzo Bianchi
Elogio della tristezza
 

La Repubblica - 24 Ottobre 2022 

Siamo ormai nell’autunno inoltrato: il sole è più pallido, le giornate uggiose e il vento fa cadere a terra le foglie spogliando gli alberi. Questa è la stagione che ispira sentimenti di malinconia e anche di tristezza in molti, ma soprattutto nei vecchi. E non è certo un caso che la tradizione religiosa abbia collocato proprio nell’autunno la memoria dei morti.

Ma questa tristezza sobria che ci coglie è un sentimento negativo, un’esperienza da rimuovere, una sensazione da scacciare al più presto? Perché oggi l’imperativo dominante è che non bisogna essere tristi. Eppure la tristezza, la malinconia, sono sentimenti necessari per vivere in pienezza e se noi fossimo privati di queste esperienze saremmo privati di qualcosa che ci aiuta a vedere e leggere la realtà diversamente e a vivere con più chiarezza la metafora, il ricordo del passato, nell’accettazione di ciò che non è più ma che è stato significativo nella nostra vita.

Per non conoscere la tristezza sarebbe auspicabile vivere in una prigione dorata? La leggenda narra che il padre di Gautama, colui che diventerà l’illuminato, il Buddha, desiderando che il figlio non conoscesse né la tristezza né il dolore fece recintare lo splendido giardino della sua reggia impedendogli così di uscire e di conoscere la realtà del mondo. Pensava che le ragioni per essere tristi stessero fuori del giardino! Ma un giorno Gautama riuscì a uscire e incontrò un malato, un vecchio decrepito e un morto. Conobbe la tristezza, ma quella fu la condizione attraverso la quale poté cercare l’illuminazione, acquisire la sapienza e diventare il Buddha.

La tristezza nasce da realtà umanissime: la mancanza, la sofferenza, la separazione, la malattia, la morte. Ma queste fanno parte della vita e non è possibile rimuoverle se non aderendo a illusioni.

È però decisivo che la tristezza originata dagli incontri che facciamo e dalla nostra consapevolezza non diventi un inquilino stabile nel nostro cuore e non finisca per possederlo occupandolo interamente. Se questo avvenisse la tristezza ci oscurerebbe lo sguardo del cuore e ci impedirebbe di vedere la luce di ogni giorno, il volto amico che ci appare in ogni incontro, la bellezza che sempre elusiva vince ogni bruttezza. In questo caso la tristezza diventerebbe sofferenza, addirittura disperazione, ma più spesso acedia: l’acedia infatti è la “cattiva tristezza” accompagnata da noia, mancanza di desiderio e di passioni.

Nella tristezza si può anche piangere come nella gioia, e le lacrime sono il linguaggio non verbale che dice “sì” alla vita. Bonjour tristesse! Lo possiamo dire quando la tristezza si affaccia nella sua sobrietà come malinconia, turbamento dominato, silenziosa mancanza. Diceva il piccolo principe: “Sai, quando si è tristi si amano i tramonti…”, si ama quel clima silenzioso in cui viene la sera, si concludono i giorni sempre più brevi dell’autunno. “Radiosa tristezza”, la chiamavano gli uomini e le donne spirituali della tradizione cristiana, “radiosa” perché è come la luce del tramonto che fa palpitare il cuore, fa tacere il cuore umile non altero, fa sentire che ci manca qualcosa, e ci fa attendere un altro giorno.

Recita un aiku: “Il camino è acceso, il silenzio mi avvolge, gusto la tristezza!“.
(fonte: blog dell'autore)

venerdì 28 ottobre 2022

DI CHE COSA STAVATE DISCUTENDO PER LA STRADA? Lettera pastorale dell'Arcivescovo Don Mimmo Battaglia

DI CHE COSA STAVATE
 DISCUTENDO PER LA STRADA?
 Don Mimmo Battaglia,
arcivescovo di Napoli
Lettera pastorale 2022/2023


Di che cosa stavate discutendo per la strada? 
Chiamati da Dio a servizio del mondo 

1. «In quel tempo Gesù e i suoi discepoli attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. Insegnava infatti ai suoi discepoli e diceva loro: il Figlio dell'Uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà. Essi però non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo» (Mc 9,30-32). 

Più chiaro di così Gesù non poteva essere. E quella non fu neanche l'unica volta, anche in altri momenti il Maestro si era pronunciato con questa franchezza. Più di una volta anziché fare ricorso al linguaggio certamente più dolce e più rassicurante delle parabole, era andato giù dritto al nocciolo della questione, al cuore del messaggio, senza troppi fronzoli, senza giri di parole: «mi uccideranno». Come dire: io capisco che questo vi scandalizza, che questa idea di un Dio che va verso il fallimento non coincide con la vostra immagine di Dio, che il vostro sogno messianico stride con il progetto che vi sto proponendo, ma se voglio essere fedele fino in fondo al sogno di Dio di cieli nuovi e terre nuove sarà inevitabile che io paghi sulla mia pelle l'incarnazione di questo Sogno. Ma non è uno sprovveduto il Maestro, ecco perché «non voleva che alcuno lo sapesse» che attraversavano la Galilea: senza troppo clamore, insomma, senza dare troppo nell'occhio. Certo, non finirà tutto lì, non vinceranno i suoi detrattori, non sarà il male ad avere il sopravvento, ma quando tu non riesci a vedere al di là dei tuoi orizzonti, quando neanche la tua fede ti è da supporto nei momenti di maggiore difficoltà, tu la realtà preferisci non affrontarla nella sua crudezza e nella sua drammatica chiarezza. Qualcosa dice che tutto si risolverà, che «il Figlio dell’uomo […] dopo tre giorni risorgerà», dice Gesù, ma non sembra essere questo in discussione: il problema è come si arriverà al terzo giorno, il problema è l’esperienza del fallimento, del silenzio, è l'assenza, è il non senso attraverso cui Lui, dice, si deve necessariamente passare. E però, dice Marco, «essi non capivano queste parole».... Eppure sono chiare, il messaggio di Gesù non lascia spazi a fraintendimenti. La verità è che loro quelle parole le hanno capite fin troppo bene. I discepoli lo hanno capito eccome che seguire il Maestro va molto aldilà della semplice adesione a un messaggio religioso, e che invece significa mettersi totalmente in discussione: mettere in discussione le proprie abitudini, le relazioni, la propria vita, il rapporto con Dio, l'idea stessa di Dio. Attraverso quell’esperienza totalmente umana che Gesù gli sta chiedendo di accettare e condividere, quella piccola comunità teme di aver capito che in Gesù di Nazareth, Dio sta chiedendo loro una fede adulta e che questo diventare adulti, per usare le parole di Dietrich Bonhoeffer, «ci conduce a riconoscere in modo più veritiero la nostra condizione davanti a Dio. Dio ci dà a conoscere – scrive ancora Bonhoeffer in “Resistenza e resa” – che dobbiamo vivere come uomini capaci di far fronte alla vita senza Dio. Il Dio che è con noi è il Dio che ci abbandona (Mc 15, 34)! Il Dio che ci fa vivere nel mondo senza l’ipotesi di lavoro “Dio”, è il Dio davanti al quale permanentemente stiamo. Dio si lascia cacciare fuori dal mondo sulla croce, Dio è impotente e debole nel mondo e appunto solo così egli ci sta al fianco e ci aiuta.
È assolutamente evidente, in Mt 8, 17, che Cristo non aiuta in forza della sua onnipotenza, ma in forza della sua debolezza, della sua sofferenza! Qui sta la differenza decisiva rispetto a qualsiasi religione. La religiosità umana rinvia l’uomo nella sua tribolazione alla potenza di Dio nel mondo. 
La Bibbia, invece, rinvia l’uomo all’impotenza e alla sofferenza di Dio: solo il Dio sofferente può aiutare» (1) . Insomma, una rivoluzione copernicana nel rapporto con Dio. E invece la verità è che non c'è peggior sordo di chi non vuol sentire. Anzi, a volte forse è bene non capire, o far finta di non capire. Ecco perché i discepoli «... avevano timore di interrogarlo», perché avevano paura della risposta, o meglio, avevano paura che la risposta di Gesù potesse confermare quello che in fondo avevano già capito ma che era troppo difficile da accettare. A volte è bene non farsi troppe domande, non porsi troppi problemi. Lo sappiamo bene che se ci guardiamo attorno, se ci lasciamo interpellare dalle sfide di un mondo che cambia, di questa società in continua trasformazione ci sarebbe davvero tanto da mettere in discussione, davvero tante sarebbero le domande a cui dare nuove risposte e tante prassi date come acquisite una volta per sempre da dover invece rimettere in gioco. Se in fondo stiamo bene come stiamo, se un equilibrio lo abbiamo trovato, certo con i suoi limiti, le sue contraddizioni, ma pur sempre raggiunto – e qui mi riferisco non solo alla nostra vita personale, al nostro percorso di fede, ma anche alle nostre attività pastorali, alla nostra vita ecclesiale – perché impelagarci in domande difficili, perché scomodare quesiti complicati tanto più che non sempre abbiamo le risposte a portata di mano e gli esiti certi? E perché avventurarci in strade nuove, nuovi percorsi, sperimentazioni pastorali che chissà dove potrebbero portarci?
...
Dignità Battesimale
4. Non è mio intento scomodare le tantissime pagine del Magistero o impelagarmi in chissà quali riflessioni teologiche, mi sembra però evidente che se vogliamo parlare di Conversione sinodale degli organismi di partecipazione non ci si può limitare a qualche piccolo aggiustamento o a generiche esortazioni moraliste a una maggior collaborazione per sgombrare invidie e gelosie dai nostri rapporti. Si tratta innanzi tutto di ridare centralità al tema dell’uguaglianza nella dignità battesimale.
 «Il sacerdozio ministeriale – scrive ancora il Papa nella Evangelii gaudium – è uno dei mezzi che Gesù utilizza al servizio del suo popolo ma la grande dignità viene dal battesimo» e quindi – aggiunge Francesco – «quando parliamo di potestà sacerdotale ci troviamo nell’ambito della funzione, non della dignità e della santità». E poi il passaggio che ritengo uno dei più decisivi e determinanti anche per questa nostra riflessione: «nella Chiesa le funzioni non danno luogo alla superiorità degli uni sugli altri (…). Anche quando la funzione del  sacerdozio ministeriale si considera gerarchica occorre tenere ben presente che è ordinata totalmente alla santità delle membra di Cristo» (EG 104). E qui mi sembra che ritorna ancora una volta alla luce l'immagine dello “stare in mezzo” (e “non sopra”) da parte del Risorto. Ecco perché il Papa quando parla della Chiesa usa sempre il plurale, lo stile del noi, e ne parla sempre come unico «soggetto dell’evangelizzazione» (EG 30), certo «sotto la guida del suo vescovo» ma come «comunità di discepoli missionari che prendono l’iniziativa, che si coinvolgono, che accompagnano, che fruttificano e festeggiano» (24). Per Francesco «i laici sono semplicemente l'immensa maggioranza del popolo di Dio. Al loro servizio c’è una minoranza: i ministri ordinati», leggo ancora dalla Evangelii gaudium (102); i laici rappresentano la dimensione costitutiva della Chiesa con un’enorme responsabilità nell’evangelizzazione, che talvolta però viene limitata, dice ancora il Papa, «a causa di un eccessivo clericalismo che li mantiene (i laici) al margine delle decisioni» (EG 102). Cosa che vale ancor di più per il ruolo della donna la cui presenza nella Chiesa deve essere «più incisiva» soprattutto «nei diversi luoghi dove vengono prese le decisioni importanti» (EG 103). 
Ci hanno battezzati laici
In una lettera del 19 marzo 2016 al Cardinale Marc Ouellet, Presidente della Pontificia Commissione per l’America Latina, il Papa scriveva che «tutti facciamo il nostro ingresso nella Chiesa come laici. Il primo sacramento, quello che suggella per sempre la nostra identità e di cui dovremmo essere sempre orgogliosi è il battesimo». E però, aggiungeva, «non possiamo riflettere sul tema del laicato ignorando una delle deformazioni più grandi (che l’America latina deve affrontare), il clericalismo. Questo atteggiamento non solo annulla la personalità dei cristiani, ma tende anche a sminuire e a sottovalutare la grazia battesimale che lo Spirito Santo ha posto nel cuore della nostra gente. Il clericalismo porta ad un’omologazione del laicato. Trattandolo come mandatario limita le diverse iniziative e sforzi e, oserei dire, le audacie necessarie per poter portare la Buona Novella del vangelo a tutti gli ambiti dell’attività sociale e soprattutto politica. Il clericalismo, lungi dal dare impulso ai diversi contributi e proposte, va spegnendo poco a poco il fuoco profetico di cui l’intera Chiesa è chiamata a rendere testimonianza nel cuore dei suoi popoli, il clericalismo dimentica che la visibilità e la sacramentalità della Chiesa appartengono a tutto il popolo di Dio”. E, conclude il Papa: “nessuno è stato battezzato prete, né vescovo. Ci hanno battezzati laici ed è il segno indelebile che nessuno potrà mai cancellare. Ci fa bene ricordare che la Chiesa non è una élite dei sacerdoti, dei consacrati, dei vescovi, ma che tutti formano il santo popolo fedele di Dio»  (4) .

Etica del dialogo
5. Il tema dell'uguaglianza battesimale, operazione necessaria per uscire dalle strettoie di un modello di Chiesa ancora molto centrato sul clero, mi sembra richiami contestualmente la necessità di trasformare le relazioni e rivedere il come si fa comunità. Sono partito da un brano del vangelo, mi sono poi soffermato su alcuni passaggi magisteriali, ma devo dirvi che sono affascinato dalla strada, dalla “odò”, e vi confesso che la cattedra alla quale io cerco di imparare tutti i giorni è quella della strada, della vita della gente, del rapporto con le persone. Io penso che sia la strada, la quotidianità delle persone, e quindi le relazioni personali il luogo teologico per eccellenza, e non può che essere una “etica del dialogo” il luogo a partire dal quale elaborare una conversione sinodale degli organismi di partecipazione. Ecco perché ritorno a dire in conclusione che è lo “stare in mezzo” e non sopra o defilati, lo stile intorno al quale operare questa conversione. Porto sempre con me una bellissima immagine su come intendere la comunità che si trova in uno scritto di don Tonino Bello, l’indimenticabile vescovo di Molfetta. Nelle “Linee programmatiche di impegno pastorale 1986-87” dal titolo “Insieme per camminare”, don Tonino scriveva: «Non ci sentiamo strumenti inseriti nella coralità di una orchestra. Eseguiamo, forse anche alla perfezione, ognuno il proprio spartito: ma i suoni si accavallano senza comporsi mai nell’armonia del concerto. Diamo prova di bravura personale, non di organicità collettiva. Esibiamo scampoli di virtuosismo, ma non prove di virtù. Col risultato tragico che spesso sperimentiamo: ogni volta che si annulla l’avverbio ‘insieme’, si annulla anche il verbo ‘camminare’. Se vogliamo, perciò camminare, dobbiamo metterci ‘insieme’. Riscopriremo il gusto dell’impegno, il sapore della lotta, la percezione della crescita, il coraggio dei gesti audaci, l’ottimismo non solo della ragione ma anche quello della volontà» (5) . Possiamo pure costruire comunità perfette, efficienti, dove tutto ruota alla perfezione, ognuno a suonare al meglio il proprio strumento dal proprio spartito, gli altri potranno dirci che siamo bravi, capaci, che abbiamo parrocchie e diocesi organizzatissime. Ma sarà solo l'armonia di una coralità a far passare il sogno del vangelo.
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