lunedì 30 settembre 2019

«Quando un popolo cura i vecchi e i bambini, li ha come tesoro, questo è il segnale della presenza di Dio, è la promessa di un futuro» - Papa Francesco - S. Messa Cappella della Casa Santa Marta - (video e testo)


S. Messa - Cappella della Casa Santa Marta, Vaticano
30 settembre 2019
inizio 7 a.m. fine 7:45 a.m. 

Papa Francesco:
“La cultura della speranza”



Quanto è forte l’amore di Dio per il suo popolo nonostante questo lo abbia lasciato, lo abbia tradito, si sia dimenticato di Lui. In Dio è sempre un ardore di fiamma da cui scaturisce la promessa di salvezza per ciascuno di noi. Papa Francesco nell’omelia della messa a Casa Santa Marta di lunedì 30 settembre, rilegge così l’ottavo capitolo del libro del profeta Zaccaria dove è scritto: «Così dice il Signore degli eserciti: Sono molto geloso di Sion, un grande ardore m’infiamma per lei. Così dice il Signore: Tornerò a Sion e dimorerò a Gerusalemme». Grazie all’amore di Dio, dunque, Gerusalemme tornerà a vivere.

E nella Prima Lettura sono chiari — fa notare Francesco — anche i «segni della presenza del Signore» col suo popolo, una «presenza che ci fa più umani» che ci rende «maturi». Sono i segni dell’abbondanza della vita, dell’abbondanza di fanciulli e anziani che animano le nostre piazze, le società, le famiglie. «Il segno della vita, il segno del rispetto alla vita, dell’amore alla vita, il segno di far crescere la vita» ha sottolineato il Papa «è il segno della presenza di Dio nelle nostre comunità e anche il segno della presenza di Dio che fa maturare un popolo, quando ci sono degli anziani».

«È bello questo — osserva, citando ancora Zaccaria — : “Siederanno ancora nelle piazze di Gerusalemme ognuno con il bastone in mano, per la loro longevità”, è un segnale. E anche tanti bambini, usa un’espressione bella, “formicoleranno”. Tanti! L’abbondanza della vecchiaia e della fanciullezza. È questo il segnale, quando un popolo cura i vecchi e i bambini, li ha come tesoro, questo è il segnale della presenza di Dio, è la promessa di un futuro».

Torna nelle parole del Papa l’amata profezia di Gioele: «I vostri anziani faranno sogni, i vostri giovani avranno visioni». È così, ripete, tra gli uni e gli altri c’è uno scambio reciproco, cosa che non succede quando, al contrario, a prevalere nella nostra civiltà è la cultura dello scarto, una «rovina» che ci fa «rimandare al mittente» i bambini che arrivano o ci fa adottare come «criterio» quello di chiudere nelle case di riposo gli anziani perché «non producono, perché impediscono la vita normale».

Ecco allora alla memoria del Papa torna il racconto della nonna, citato in altre occasioni, per far comprendere cosa significhi trascurare anziani e bambini. È la storia di una famiglia in cui il papà decise di spostare il nonno a mangiare da solo in cucina in quanto, invecchiando, aveva iniziato a far cadere la zuppa e a sporcarsi. Ma un giorno quel papà, rincasando, trovò suo figlio che stava costruendo un tavolo in legno perché, quello stesso isolamento, sarebbe toccato prima o poi anche a lui. «Quando si trascurano bambini e anziani» si finisce negli effetti delle società moderne, che Francesco rimarca parlando di tradizioni non comprese e di inverno demografico: «Quando un Paese invecchia e non ci sono dei bambini», nota il Papa, «tu non vedi le carrozzine dei bambini sulle strade, non vedi le donne incinte: “Un bambino, meglio di no...”. Quando tu leggi che in quel Paese sono più i pensionati che i lavoratori. È tragico! E quanti Paesi — rimarca Francesco — oggi incominciano a vivere questo inverno demografico. E poi quando si trascurano i vecchi si perde — diciamolo senza vergogna — la tradizione, la tradizione che non è un museo di cose vecchie, è la garanzia del futuro, è il succo delle radici che fa crescere l’albero e dare fiori e frutti. È una società sterile per ambedue le parti e così finisce male».

«Si è vero», aggiunge ancora il Papa, «la gioventù si può comprare»: oggi ci sono tante ditte che la offrono sotto forma di trucchi, chirurgia plastica e lifting, ma — è la riflessione di Francesco — finisce sempre tutto nel «ridicolo».

Quale dunque il cuore del messaggio di Dio? È quello che il Papa chiama «cultura della speranza» e che è rappresentata appunto da «vecchi e giovani». Sono loro la certezza della sopravvivenza di «un Paese, di una patria, della Chiesa». E la conclusione dell’omelia riporta ai tanti viaggi del Papa nel mondo, quando i genitori sollevano i bambini per la benedizione e lo fanno come a mostrare i propri «gioielli», un’immagine che deve far riflettere: «E non dimentico mai» ricorda il Papa «quella vecchietta sulla piazza centrale di Iaşi, in Romania, quando mi guardò — era come le nonne romene, col velo —, aveva il nipote in braccio e me lo ha fatto vedere, come dicendo: “Questa è la mia vittoria, questo è il mio trionfo”. Quell’immagine, che poi ha fatto il giro del mondo, ci dice più che di questa predica. Pertanto — conclude Francesco — l’amore di Dio è sempre seminare amore e far crescere il popolo. Non cultura dello scarto. Mi viene da dire, scusatemi, a voi, parroci, quando alla sera fate l’esame di coscienza, domandate questo: come oggi mi sono comportato con i bambini e con i vecchi? Ci aiuterà».
(fonte: L'Osservatore Romano, articolo di Gabriella Ceraso)

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Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato - Papa Francesco Omelia: «Non possiamo rimanere insensibili, con il cuore anestetizzato, di fronte alla miseria di tanti innocenti. Non possiamo non piangere. Non possiamo non reagire.» - Angelus: «Ho voluto questa opera artistica qui in Piazza San Pietro, affinché ricordi a tutti la sfida evangelica dell’accoglienza.» (foto, testo e video)


SANTA MESSA IN OCCASIONE DELLA GIORNATA MONDIALE DEL MIGRANTE E DEL RIFUGIATO
Piazza San Pietro
XXVI Domenica del Tempo Ordinario
29 settembre 2019

Uomini e donne dai molteplici tratti somatici, abiti tradizionali, canti, movimenti di danza, letture e preghiere pronunciate in varie lingue portano il mondo in Piazza San Pietro dove Papa Francesco celebra la santa Messa nella Giornata mondiale del Migrante e del Rifugiato.
Amare il prossimo, avverte il Papa, significa farsi prossimi di tutti i viandanti abbandonati sulle nostre strade.










OMELIA

Il Salmo Responsoriale ci ha ricordato che il Signore sostiene i forestieri, assieme alle vedove e agli orfani del popolo. Il salmista fa esplicita menzione di quelle categorie che sono particolarmente vulnerabili, spesso dimenticate ed esposte a soprusi. I forestieri, le vedove e gli orfani sono i senza diritti, gli esclusi, gli emarginati, per i quali il Signore ha una particolare sollecitudine. Per questo Dio chiede agli Israeliti di avere un’attenzione speciale per loro.

Nel libro dell’Esodo, il Signore ammonisce il popolo di non maltrattare in alcun modo le vedove e gli orfani, perché Egli ascolta il loro grido (cfr 22,23). Lo stesso avvertimento viene ripreso due volte nel Deuteronomio (cfr 24,17; 27,19), con l’aggiunta degli stranieri tra le categorie protette. E la ragione di tale monito è spiegata chiaramente nello stesso libro: il Dio di Israele è Colui «che fa giustizia all’orfano e alla vedova, che ama lo straniero e gli dà pane e vestito» (10,18). Questa preoccupazione amorosa verso i meno privilegiati è presentata come un tratto distintivo del Dio di Israele, ed è anche richiesta, come un dovere morale, a tutti coloro che vogliono appartenere al suo popolo.

Ecco perché dobbiamo avere un’attenzione particolare verso i forestieri, come pure per le vedove, gli orfani e tutti gli scartati dei nostri giorni. Nel Messaggio per questa 105a Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato si ripete come un ritornello il tema: “Non si tratta solo di migranti”. Ed è vero: non si tratta solo di forestieri, si tratta di tutti gli abitanti delle periferie esistenziali che, assieme ai migranti e ai rifugiati, sono vittime della cultura dello scarto. Il Signore ci chiede di mettere in pratica la carità nei loro confronti; ci chiede di restaurare la loro umanità, assieme alla nostra, senza escludere nessuno, senza lasciare fuori nessuno.

Ma, contemporaneamente all’esercizio della carità, il Signore ci chiede di riflettere sulle ingiustizie che generano esclusione, in particolare sui privilegi di pochi che, per essere conservati, vanno a scapito di molti. «Il mondo odierno è ogni giorno più elitista e crudele con gli esclusi. È una verità che dà dolore: questo mondo è ogni giorno più elitista, più crudele con gli esclusi. I Paesi in via di sviluppo continuano ad essere depauperati delle loro migliori risorse naturali e umane a beneficio di pochi mercati privilegiati. Le guerre interessano solo alcune regioni del mondo, ma le armi per farle vengono prodotte e vendute in altre regioni, le quali poi non vogliono farsi carico dei rifugiati prodotti da tali conflitti. Chi ne fa le spese sono sempre i piccoli, i poveri, i più vulnerabili, ai quali si impedisce di sedersi a tavola e si lasciano le “briciole” del banchetto» (Messaggio per la 105a Giornata Mondiale del Migrante e Rifugiato).

È in questo senso che vanno comprese le dure parole del profeta Amos proclamate nella prima Lettura (6,1.4-7). Guai, guai agli spensierati e ai gaudenti di Sion, che non si preoccupano della rovina del popolo di Dio, che pure è sotto gli occhi di tutti. Essi non si accorgono dello sfacelo di Israele, perché sono troppo occupati ad assicurarsi il buon vivere, cibi prelibati e bevande raffinate. È impressionante come, a distanza di 28 secoli, questi ammonimenti conservino intatta la loro attualità. Anche oggi infatti la «cultura del benessere […] ci porta a pensare a noi stessi, ci rende insensibili alle grida degli altri, […] porta all’indifferenza verso gli altri, anzi porta alla globalizzazione dell’indifferenza» (Omelia a Lampedusa, 8 luglio 2013).

Alla fine rischiamo di diventare anche noi come quell’uomo ricco di cui ci parla il Vangelo, il quale non si cura del povero Lazzaro «coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola» (Lc 16,20-21). Troppo intento a comprarsi vestiti eleganti e a organizzare lauti banchetti, il ricco della parabola non vede le sofferenze di Lazzaro. E anche noi, troppo presi dal preservare il nostro benessere, rischiamo di non accorgerci del fratello e della sorella in difficoltà.

Ma come cristiani non possiamo essere indifferenti di fronte al dramma delle vecchie e nuove povertà, delle solitudini più buie, del disprezzo e della discriminazione di chi non appartiene al “nostro” gruppo. Non possiamo rimanere insensibili, con il cuore anestetizzato, di fronte alla miseria di tanti innocenti. Non possiamo non piangere. Non possiamo non reagire. Chiediamo al Signore la grazia di piangere, quel pianto che converte il cuore davanti a questi peccati.

Se vogliamo essere uomini e donne di Dio, come chiede San Paolo a Timoteo, dobbiamo «conservare senza macchia e in modo irreprensibile il comandamento» (1Tm 6,14); e il comandamento è amare Dio e amare il prossimo. Non si possono separare! E amare il prossimo come se stessi vuol dire anche impegnarsi seriamente per costruire un mondo più giusto, dove tutti abbiano accesso ai beni della terra, dove tutti abbiano la possibilità di realizzarsi come persone e come famiglie, dove a tutti siano garantiti i diritti fondamentali e la dignità.

Amare il prossimo significa sentire compassione per la sofferenza dei fratelli e delle sorelle, avvicinarsi, toccare le loro piaghe, condividere le loro storie, per manifestare concretamente la tenerezza di Dio nei loro confronti. Significa farsi prossimi di tutti i viandanti malmenati e abbandonati sulle strade del mondo, per lenire le loro ferite e portarli al più vicino luogo di accoglienza, dove si possa provvedere ai loro bisogni.

Questo santo comandamento Dio l’ha dato al suo popolo, e l’ha sigillato col sangue del suo Figlio Gesù, perché sia fonte di benedizione per tutta l’umanità. Perché insieme possiamo impegnarci nella costruzione della famiglia umana secondo il progetto originario, rivelato in Gesù Cristo: tutti fratelli, figli dell’unico Padre.

Oggi abbiamo bisogno anche di una madre, e affidiamo all’amore materno di Maria, Madonna della Strada, Madonna delle tante strade dolorose, affidiamo a lei i migranti e i rifugiati, assieme agli abitanti delle periferie del mondo e a coloro che si fanno loro compagni di viaggio.


Guarda il video dell'omelia


Al termine della celebrazione, il cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Conferenza episcopale italiana, ringrazia Francesco per questa Messa che ha riunito intorno all’altare "gente di ogni dove, unita nello spirito di lode al Signore, padre di tutta l’umanità". Parla poi del dramma delle migrazioni che interpella la Chiesa che è in Italia. "Si tratta - dice - di un vasto movimento di popoli tormentati dalla violenza, dalla fame, dalla disperazione, che cerca aiuto presso i Paesi più ricchi e capaci". La risposta che trovano è spesso l'indifferenza. "Ma il Signore, con la sua Parola e il suo esempio di amore, ci invita ad essere solidali, a non assecondare le ingiustizie e l’empietà." E conclude: "Grazie, Santo Padre, per il suo esempio e la forza della sua parola. La Chiesa italiana, attraverso Caritas e Migrantes cerca di dar corpo al Vangelo della carità e della gioia". 



ANGELUS
Piazza San Pietro
Domenica, 29 settembre 2019


Cari fratelli e sorelle,

desidero salutare tutti voi che avete partecipato a questo momento di preghiera, con il quale abbiamo rinnovato l’attenzione della Chiesa per le diverse categorie di persone vulnerabili in movimento. In unione con i fedeli di tutte le Diocesi del mondo abbiamo celebrato la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, per riaffermare la necessità che nessuno rimanga escluso dalla società, che sia un cittadino residente da molto tempo o un nuovo arrivato.

Per sottolineare tale impegno, tra poco inaugurerò la scultura che ha come tema queste parole della Lettera agli Ebrei: «Non dimenticate l’ospitalità; alcuni, praticandola, senza saperlo hanno accolto degli angeli» (13,2). Tale scultura, in bronzo e argilla, raffigura un gruppo di migranti di varie culture e diversi periodi storici. Ho voluto questa opera artistica qui in Piazza San Pietro, affinché ricordi a tutti la sfida evangelica dell’accoglienza.

Domani, lunedì 30 settembre, si aprirà in Camerun un incontro di dialogo nazionale per la ricerca di una soluzione alla difficile crisi che da anni affligge il Paese. Sentendomi vicino alle sofferenze e alle speranze dell’amato popolo camerunese, invito tutti a pregare perché tale dialogo possa essere fruttuoso e condurre a soluzioni di pace giuste e durature, a beneficio di tutti. Maria, Regina della pace, interceda per noi.

Guarda il video dell'appello per il Camerun


Dopo la recita dell’Angelus e il lunghissimo giro in papamobile, Francesco inaugura la scultura intitolata “Angels Unwares”, Angeli Inconsapevoli, realizzata dall’artista canadese Timothy Schmalz, grazie al suggerimento di padre Michael Czerny sottosegretario della Sezione Migranti e Rifugiati del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, che verrà creato cardinale nel Concistoro del 5 ottobre prossimo. 
Come il Pontefice ha spiegato all'Angelus, il tema di quest’opera rimanda alla Lettera agli Ebrei in cui si legge: “Non dimenticate l’ospitalità; alcuni, praticandola, senza saperlo hanno accolto degli angeli”; proprio per questo lui l'ha voluta in mezzo alla piazza, centro del mondo e della cristianità, affinché ricordasse a tutti la sfida evangelica dell’accoglienza.
A togliere il telo bianco che copre la statua, una famiglia di camerunensi, che il Papa abbraccia e saluta. Poi il Pontefice si avvicina, tocca l’opera, posta accanto al Colonnato e visibile a tutti e la benedice. “Angels Unwares”, realizzata a grandezza naturale, raffigura appunto un gruppo di migranti e rifugiati, provenienti da diversi contesti culturali e razziali e anche da diversi periodi storici. Sono messi vicini, stretti, spalla a spalla, in piedi su una zattera, coi volti segnati dal dramma della fuga, del pericolo, del futuro incerto. All’interno di questa folla eterogenea di persone, spiccano al centro le ali di un angelo, come a suggerire la presenza del sacro tra di loro.
Sotto i loro piedi, un'imbarcazione che richiama i naufragi di questi anni nel Mediterraneo e che rappresenta tutta l'umanità sulla stessa barca. 
L'artista, presente in piazza San Pietro, è Timothy Schmalz, già autore dell'opera in bronzo "Gesù senza tetto", che si trova in Vaticano, presso l'Elemosineria apostolica. I volti raffigurati sono presi da foto e immagini di persone realmente esistite.










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Vedi anche i nostri post precedenti:

Papa Francesco con la Lettera apostolica in forma di Motu proprio “Aperuit illis” istituisce la Domenica della Parola di Dio


Il Papa istituisce la Domenica della Parola di Dio

Sarà celebrata la III Domenica del Tempo ordinario. Un giorno da vivere in modo solenne per riscoprire il senso pasquale e salvifico della Parola di Dio che spinge in modo sempre rinnovato ad uscire dall’individualismo per rinascere nella carità



Con la Lettera apostolica in forma di Motu proprio “Aperuit illis”, il Papa stabilisce che “la III Domenica del Tempo ordinario sia dedicata alla celebrazione, riflessione e divulgazione della Parola di Dio”. Il documento è stato pubblicato oggi, 30 settembre, nella memoria liturgica di San Girolamo, all’inizio del 1600° anniversario della morte del celebre traduttore della Bibbia in latino che affermava: “L’ignoranza delle Scritture è ignoranza di Cristo”.

Gesù apre le menti all’intelligenza delle Scritture

Francesco spiega che questa iniziativa, già pensata a conclusione del Giubileo straordinario della misericordia, intende rispondere a tanti fedeli che chiedevano che fosse istituita la Domenica della Parola di Dio. La Lettera inizia con il passo del Vangelo di Luca (Lc 24,45) in cui Gesù risorto appare ai discepoli mentre sono radunati insieme: "Allora aprì loro (aperuit illis) la mente all'intelligenza delle Scritture". "A quegli uomini impauriti e delusi - scrive il Papa - rivela il senso del mistero pasquale: che cioè, secondo il progetto eterno del Padre, Gesù doveva patire e risuscitare dai morti per offrire la conversione e il perdono dei peccati; e promette lo Spirito Santo che darà loro la forza di essere testimoni di questo Mistero di salvezza”.

La riscoperta della Parola di Dio nella Chiesa

Il Papa ricorda il Concilio Vaticano II, che “ha dato un grande impulso alla riscoperta della Parola di Dio con la Costituzione dogmatica Dei Verbum”, e Benedetto XVI che ha convocato il Sinodo nel 2008 sul tema “La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa” e ha scritto l’Esortazione Apostolica Verbum Domini, che “costituisce un insegnamento imprescindibile per le nostre comunità”. In questo documento - rileva - “viene approfondito il carattere performativo della Parola di Dio, soprattutto quando nell’azione liturgica emerge il suo carattere propriamente sacramentale”.

Una Parola che spinge verso l’unità

La Domenica della Parola di Dio - sottolinea il Pontefice - si colloca in un periodo dell’anno che invita a rafforzare i legami con gli ebrei e a pregare per l’unità dei cristiani: “Non si tratta di una mera coincidenza temporale: celebrare la Domenica della Parola di Dio esprime una valenza ecumenica, perché la Sacra Scrittura indica a quanti si pongono in ascolto il cammino da perseguire per giungere a un’unità autentica e solida”.

Come celebrare la Domenica della Parola di Dio

Francesco esorta a vivere questa domenica “come un giorno solenne. Sarà importante (…) che nella celebrazione eucaristica si possa intronizzare il testo sacro, così da rendere evidente all’assemblea il valore normativo che la Parola di Dio possiede (…) I Vescovi potranno in questa Domenica celebrare il rito del Lettorato o affidare un ministero simile, per richiamare l’importanza della proclamazione della Parola di Dio nella liturgia. È fondamentale, infatti, che non venga meno ogni sforzo perché si preparino alcuni fedeli ad essere veri annunciatori della Parola con una preparazione adeguata (…) i parroci potranno trovare le forme per la consegna della Bibbia, o di un suo libro, a tutta l’assemblea in modo da far emergere l’importanza di continuare nella vita quotidiana la lettura, l’approfondimento e la preghiera con la Sacra Scrittura, con un particolare riferimento alla lectio divina”.

La Bibbia, libro del Popolo di Dio non di pochi privilegiati

“La Bibbia - scrive il Papa - non può essere solo patrimonio di alcuni e tanto meno una raccolta di libri per pochi privilegiati (…) Spesso, si verificano tendenze che cercano di monopolizzare il testo sacro relegandolo ad alcuni circoli o a gruppi prescelti. Non può essere così. La Bibbia è il libro del popolo del Signore che nel suo ascolto passa dalla dispersione e dalla divisione all’unità. La Parola di Dio unisce i credenti e li rende un solo popolo”.

Importanza dell’omelia per spiegare le Scritture

Anche in questa occasione, il Papa ribadisce l’importanza della preparazione dell’omelia: i Pastori “hanno la grande responsabilità di spiegare e permettere a tutti di comprendere la Sacra Scrittura (…) con un linguaggio semplice e adatto a chi ascolta (…) Per molti dei nostri fedeli, infatti, questa è l’unica occasione che possiedono per cogliere la bellezza della Parola di Dio e vederla riferita alla loro vita quotidiana (…) Non si può improvvisare il commento alle letture sacre. A noi predicatori è richiesto, piuttosto, l’impegno a non dilungarci oltre misura con omelie saccenti o argomenti estranei. Quando ci si ferma a meditare e pregare sul testo sacro, allora si è capaci di parlare con il cuore per raggiungere il cuore delle persone che ascoltano”.

Natura della Bibbia tra storia e salvezza

Ricordando l’episodio dei discepoli di Emmaus, il Papa ricorda anche “quanto sia inscindibile il rapporto tra la Sacra Scrittura e l’Eucaristia”. Quindi, cita alcuni passi della Costituzione conciliare Dei Verbum là dove illustra “la finalità salvifica, la dimensione spirituale e il principio dell’incarnazione per la Sacra Scrittura”. “La Bibbia non è una raccolta di libri di storia, né di cronaca, ma è interamente rivolta alla salvezza integrale della persona. L’innegabile radicamento storico dei libri contenuti nel testo sacro non deve far dimenticare questa finalità primordiale: la nostra salvezza. Tutto è indirizzato a questa finalità iscritta nella natura stessa della Bibbia, che è composta come storia di salvezza in cui Dio parla e agisce per andare incontro a tutti gli uomini e salvarli dal male e dalla morte”.

Senza lo Spirito Santo si rischia di cadere nel fondamentalismo

“Per raggiungere tale finalità salvifica, la Sacra Scrittura sotto l’azione dello Spirito Santo trasforma in Parola di Dio la parola degli uomini scritta in maniera umana. Il ruolo dello Spirito Santo nella Sacra Scrittura è fondamentale. Senza la sua azione, il rischio di rimanere rinchiusi nel solo testo scritto sarebbe sempre all’erta, rendendo facile l’interpretazione fondamentalista, da cui bisogna rimanere lontani per non tradire il carattere ispirato, dinamico e spirituale che il testo sacro possiede. Come ricorda l’Apostolo «La lettera uccide, lo Spirito invece dà vita» (2Cor 3,6)”.

Il Magistero ispirato dallo Spirito Santo nell’interpretare la Parola

Il Papa ricorda l’importante affermazione dei Padri conciliari “secondo cui la Sacra Scrittura deve essere «letta e interpretata alla luce dello stesso Spirito mediante il quale è stata scritta» (Dei Verbum, 12). Con Gesù Cristo la rivelazione di Dio raggiunge il suo compimento e la sua pienezza; eppure, lo Spirito Santo continua la sua azione. Sarebbe riduttivo, infatti, limitare l’azione dello Spirito Santo solo alla natura divinamente ispirata della Sacra Scrittura e ai suoi diversi autori. È necessario, pertanto, avere fiducia nell’azione dello Spirito Santo che continua a realizzare una sua peculiare forma di ispirazione quando la Chiesa insegna la Sacra Scrittura, quando il Magistero la interpreta autenticamente e quando ogni credente ne fa la propria norma spirituale”.

La fede biblica si fonda sulla Parola viva, non su un libro

Parlando dell’Incarnazione del Verbo di Dio che “dà forma e senso alla relazione tra la Parola di Dio e il linguaggio umano, con le sue condizioni storiche e culturali”, il Papa rileva che “spesso si corre il rischio di separare tra loro la Sacra Scrittura e la Tradizione, senza comprendere che insieme sono l’unica fonte della Rivelazione”. Infatti, la fede biblica “si fonda sulla Parola viva, non su un libro. Quando la Sacra Scrittura è letta nello stesso Spirito con cui è stata scritta, permane sempre nuova”. Così, “chi si nutre ogni giorno della Parola di Dio si fa, come Gesù, contemporaneo delle persone che incontra; non è tentato di cadere in nostalgie sterili per il passato, né in utopie disincarnate verso il futuro”.

Uscire dall’individualismo e vivere nella carità

Francesco esorta a “non assuefarsi mai alla Parola di Dio” che richiama sempre in modo nuovo “all’amore misericordioso del Padre che chiede ai figli di vivere nella carità (…) La Parola di Dio è in grado di aprire i nostri occhi per permetterci di uscire dall’individualismo che conduce all’asfissia e alla sterilità mentre spalanca la strada della condivisione e della solidarietà”. La Lettera si conclude con il riferimento a Maria, che ci accompagna “nel cammino di accoglienza della Parola di Dio” insegnandoci la beatitudine di coloro che la ascoltano e la custodiscono.




Alex Zanotelli: "L'acqua sarà la prima grande vittima dei cambiamenti climatici. Impegnarsi in difesa di ‘sorella acqua’ significa impegnarsi per salvare il Pianeta."

Alex Zanotelli: 
"L'acqua sarà la prima grande vittima dei cambiamenti climatici. Impegnarsi in difesa di ‘sorella acqua’ significa impegnarsi per salvare il Pianeta."
Napoli, 27 settembre 2019. Foto di Ferdinando Kaiser

GIOVANI, L'ACQUA AL PRIMO POSTO
di Alex Zanotelli

L’acqua potabile sarà la vittima dei cambiamenti climatici in arrivo. Infatti con il surriscaldamento del Pianeta avremo lo scioglimento dei ghiacciai e dei nevai e sempre meno piogge, per cui avremo sempre meno acqua potabile a disposizione. L’acqua è già oggi scarsa. Infatti solo il 3% dell’acqua che c’è oggi nel mondo è potabile. Di questa il 2,70% è usata dall’agricoltura e dall’industria, in mano ai ricchi del mondo. Ciò significa che ben poco resta per gli impoveriti della terra (la maggioranza!). Già oggi una persona su tre non ha accesso all’acqua e quattro miliardi di persone non hanno accesso ai servizi sanitari ed igienici. Il potere economico-finanziario ha già fiutato che l’acqua è “l’oro blu” del futuro che spiazzerà “l’oro nero”. Ecco la nascita delle grandi multinazionali dell’acqua (Veolia,Suez..) che stanno mettendo le mani su gran parte dell’acqua del Pianeta facendo lauti guadagni. Se l’acqua diventerà una merce e fonte di lucro, questo significherà la morte di milioni di persone. Se oggi uccidiamo per fame 20-30 milioni di persone all’anno, domani, se l’acqua diventerà merce, avremo cento milioni di morti di sete. 

Per questo Papa Francesco, nell’enciclica Laudato Sì è così lapidario: ”L’accesso all’acqua potabile e sicura è un diritto umano, essenziale, fondamentale e universale perché determina la sopravvivenza delle persone e per questo è condizione per l’esercizio degli altri diritti umani.”(30) Questo il popolo italiano lo ha espresso nel Referendum del 2011 che ha sancito due punti fondamentali: l’acqua deve uscire dal mercato e non si può fare profitto su questo bene così prezioso. 

Purtroppo tutti i governi , che da allora si sono succeduti in questo paese (centro-destra, centro –sinistra e giallo-verde) non hanno recepito questa decisione del popolo italiano. Né i vari Presidenti della Repubblica hanno mai richiamato i rispettivi parlamenti a tradurre in legge il Referendum. L’ultimo governo giallo-verde (Cinque Stelle-Lega) aveva posto la ripubblicizzazione dell’acqua come primo punto del ‘Contratto’ di governo. Lo stesso Presidente della Camera, R. Fico, aveva convocato in Parlamento il Forum italiano dei movimenti per l’acqua ed aveva detto che legava la sua Presidenza alla ripubblicizzazione dell’acqua. Ed invece, non abbiamo ottenuto nulla. Ora siamo davanti a un nuovo governo giallo-rosso (Cinque Stelle-PD). Sarà la volta buona? Non sarà di certo un’operazione facile. 

Toccherà a noi dal basso premere sul governo perché obbedisca a quello che ventisei milioni di italiani hanno già deciso. La grande obiezione che pongono i poteri forti contro la ripubblicizzazione è il costo dell’operazione: venti-trenta miliardi di euro! I nostri esperti invece hanno dimostrato che la ripubblicizzazione dell’acqua potrebbe essere fatta con meno di due miliardi di euro come si può approfondire nel testo Il costo della ripubblicizzazione del servizio idrico integrato del Forum Italiano dei movimenti per l’acqua. 

Per questo chiedo a tutte le realtà di base impegnate per la gestione pubblica dell’acqua perché si mobilitino di nuovo per forzare questo governo a votare la Legge di iniziativa popolare che è già pronta in Commissione Ambiente.

Chiedo soprattutto ai giovani impegnati nel grande movimento Fridays for Future di mettere anche l’acqua fra le loro priorità perché sarà la prima grande vittima dei cambiamenti climatici.
Gli studenti che scenderanno in piazza il 27 settembre, Giornata mondiale dello sciopero scolastico, indetto da Greta Thunberg, chiedano con forza anche la gestione pubblica dell’acqua nel nostro paese. Questi giovanissimi, che scendono in piazza gridando con Greta: ”Non vi permetteremo di farla franca. Qui, ora, noi diciamo basta!”, fanno vergognare noi adulti che non riusciamo più a urlare, a gridare, a pretendere i nostri diritti. 

Noi adulti prendiamo esempio da questi giovani per forzare il governo giallo-rosso a ripubblicizzare l’acqua in questo paese. Sarebbe uno straordinario esempio per l’Europa e per il mondo. L’acqua è la madre di tutta la vita su questo pianeta. 
Impegnarsi in difesa di ‘sorella acqua’ significa impegnarsi per salvare il Pianeta.

domenica 29 settembre 2019

Preghiera dei Fedeli - Fraternità Carmelitana di Pozzo di Gotto (ME) - XXVI Domenica del Tempo Ordinario – Anno C




Fraternità Carmelitana 
di Pozzo di Gotto (ME)








Preghiera dei Fedeli

XXVI Domenica T. O. / Anno C

29 settembre 2019 


Colui che presiede

Fratelli e sorelle, dopo aver ricevuto il dono della Parola del Signore, esercitiamo la nostra responsabilità sacerdotale, innalzando a Dio nostro Padre preghiere per noi e per il mondo intero ed insieme diciamo:

R/ Convertici a Te, Signore

Lettore

- Guarda, o Dio, con bontà e tenerezza la tua Chiesa. Rafforza la sua fede nella tua Parola, perché nutrita dall’ascolto della Torah e dei Profeti possa essere sempre di più solidale con i poveri della terra e semente di un’umanità trasfigurata dalla luce del Signore Risorto. Preghiamo.

- Ti affidiamo, o Dio, tutti i popoli della terra e coloro che li governano. Non distogliere il tuo sguardo di Pastore dal martoriato popolo afgano, da quello dello Yemen e della Siria. Scenda su tutti la rugiada delle tue benedizioni. Preghiamo.

- Affina, o Dio, il nostro sguardo, perché nei ragazzi e nelle ragazze, che scendono in piazza per manifestare contro i cambiamenti climatici, causati dall’attività umana, sappiamo riconoscere il soffio del tuo Santo Spirito, che suscita una parola profetica anche attraverso di loro. Preghiamo.

- Ricordati, o Dio, di quanti sperimentano la tragedia della carestia come nel Sahel africano, di quanti sono in viaggio per lavoro o in ricerca di una nuova patria. Ricordati di tutti i migranti, di quanti si ritrovano a vivere da anni nei campi di accoglienza. Le lacrime ed il sangue di tutte queste persone – “poveri Lazzari” – possano spezzare la durezza di un’economia senz’anima e senza umanità. Preghiamo.

- Ti preghiamo, o Dio, anche per noi, per i nostri familiari, per i nostri amici e per quanti non sappiamo amare o perdonare. Facci il dono di una vera conversione, perché il nostro stile di vita diventi più sobrio e più attento alla relazione con le persone. Preghiamo.

- Davanti a te, o Dio della vita, ricordiamo nella preghiera i nostri parenti e amici defunti; ricordiamo anche coloro che muoiono di fame, di malattie incurabili e di inquinamento. Dona a tutti la tua consolazione e la contemplazione del tuo Volto di luce. Preghiamo.

Colui che presiede

O Dio nostro Padre, che ci chiedi di essere attenti ai bisogni dell’altro e di condividere i nostri beni: aiutaci a rispettare la dignità delle persone e a salvaguardare il bene comune, per costruire una convivenza pacifica e serena. Te lo chiediamo per il tuo Figlio Gesù, nostro Fratello e Signore. AMEN.


"Un cuore che ascolta - lev shomea" - n. 47/2018-2019 (C) di Santino Coppolino


"Un cuore che ascolta - lev shomea"
Concedi al tuo servo un cuore docile,
perché sappia rendere giustizia al tuo popolo
e sappia distinguere il bene dal male" (1Re 3,9)

Traccia di riflessione
sul Vangelo della domenica
di Santino Coppolino


Vangelo: 
Lc 16,19-31

La parabola narrata da Gesù non ha la finalità di far paura o di mettere all'indice i ricchi ed esaltare i poveri, non è l'emissione di un giudizio di condanna; piuttosto è un atto d'amore e di correzione fraterna nei confronti di quanti hanno scelto di edificare la propria vita sopra la falsa sicurezza della ricchezza. E' un volere mettere in guardia i discepoli perché tengano bene aperti gli occhi sull'uso che fanno del «mammona di ingiustizia» (16,9). Gesù ha già proclamato che per amare Dio non c'è che un solo modo: prendersi cura di tutti i fratelli feriti che incontriamo nel cammino della nostra vita, avendo le sue stesse "viscere di misericordia" (cfr.Lc 10,25-37). «E' il tempo della nostra esistenza il ponte gettato sull'abisso tra l'inferno e l'utero di Abramo» (cit.). Se noi però rimaniamo indifferenti rifiutando la responsabilità dei fratelli, lasciandoli languire sull'uscio di casa nostra, se invece di edificare ponti intrecciando relazioni fraterne costruiamo muri invalicabili che ci dividono provocando la morte degli altri sordi al loro grido di dolore, allora saremo noi stessi gli artefici di quell'abisso che ci separa dalla Vita, per sempre impossibile da attraversare. Stolti e incapaci come siamo a riconoscere il Volto del Padre nei volti sfigurati dei tanti Lazzaro che ogni giorno siedono alla nostra porta, avremo miseramente fallito il fine ultimo della nostra esistenza: essere in pienezza il riflesso dell'immagine del Padre. 


sabato 28 settembre 2019

"Il ricco e il povero Lazzaro" di Enzo Bianchi - XXVI domenica T.O. – Anno C

Il ricco e il povero Lazzaro

Commento
 XXVI domenica T.O.  – Anno C

Letture:  Amos 6, 11-16; Salmo 145; 1 Timoteo 6,11-16; Luca 16, 19-31


In quel tempo, Gesù disse ai farisei:"19C'era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. 20Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, 21bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe. 22Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. 23Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. 24Allora gridando disse: «Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell'acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma». 25Ma Abramo rispose: «Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. 26Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi». 27E quello replicò: «Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, 28perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch'essi in questo luogo di tormento». 29Ma Abramo rispose: «Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro». 30E lui replicò: «No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno». 31Abramo rispose: «Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti»».

Dopo la parabola dell’economo ingiusto ascoltata domenica scorsa (cf. Lc 16,1-8), oggi ci viene proposta una seconda parabola di Gesù sull’uso della ricchezza, contenuta sempre nel capitolo 16 del vangelo secondo Luca: la parabola del ricco e del povero Lazzaro.

C’era un uomo ricco, che vestiva di porpora e bisso, banchettando splendidamente ogni giorno”. Di costui non si dice il nome, ma viene definito dal suo lusso e dal suo comportamento. I ricchi devono farsi vedere, devono imporsi e ostentare: da allora fino a oggi non è cambiato nulla, e chi pensa di essere potente e ricco, anche nella chiesa, vuole esibire i segni del potere e osa addirittura affermare che i segni che porta e di cui si riveste sono a gloria a Dio…

L’altra dimensione con cui i ricchi nell’antichità si facevano vedere era il loro banchettare con ostentazione. Per gli altri uomini la festa è un’occasione rara, per i poveri è impossibile, mentre per i ricchi ogni giorno è possibile festeggiare. Ma festeggiare cosa? Se stessi e la loro situazione privilegiata, senza mai pensare alla condivisione. Questo ricco, in particolare, mai aveva invitato i poveri, mai si era accorto del povero presente davanti alla sua porta, e dunque mai aveva praticato quella carità che la Torah stessa esigeva. Ma qual è la malattia più profonda di quest’uomo? Quella che papa Francesco, in una sua omelia mattutina, ha definito mondanità: l’atteggiamento di chi “è solo con il proprio egoismo, dunque è incapace di vedere la realtà”.

Accanto al ricco mondano, alla sua porta, sta un altro uomo, “gettato” là come una cosa, coperto di piaghe. Non è neanche un mendicante che chiede cibo, ma è abbandonato davanti alla porta della casa del ricco. Nessuno lo guarda né si accorge di lui, ma solo dei cani randagi, più umani degli esseri umani, passandogli accanto gli leccano le ferite. Questo povero ha fame e desidererebbe almeno ciò che i commensali lasciano cadere dalla tavola o buttano sul pavimento ai cani (cf. Mc 7,28; Mt 15,27). La sua condizione è tra le più disperate che possano capitare a quanti sono nella sofferenza. Eppure Gesù dice che costui, a differenza del ricco, ha un nome: ‘El‘azar, Lazzaro, cioè “Dio viene in aiuto”, nome che esprime veramente chi è questo povero, un uomo sul quale riposa la promessa di liberazione da parte di Dio.

In ogni caso, sia il ricco sia il povero condividono la condizione umana, per cui per entrambi giunge l’ora della morte, che tutti accomuna. Un salmo sapienziale, già citato altre volte, presenta un significativo ritornello: “L’uomo nel benessere non comprende, è come gli animali che, ignari, vanno verso il mattatoio” (cf. Sal 49,13.21). Il ricco della parabola non ricordava questo salmo per trarne lezione e neppure ricordava le esigenze di giustizia contenute nella Torah (cf. Es 23,11; Lv,19,10.15.18, ecc.) né i severi ammonimenti dei profeti (cf. Is 58,7; Ger 22,16, ecc.). Di conseguenza, era incapace di responsabilità verso l’altro, di condivisione. Il vero nome della povertà è condivisione, al punto che Gesù si è spinto fino ad affermare: “Fatevi degli amici con il denaro ingiusto, perché, quando questo verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne” (Lc 16,9). Ma questo ricco non l’ha capito…

Quando muore Lazzaro, il suo nome mostra tutta la sua verità, perché il funerale del povero (che forse non c’è stato materialmente, perché l’avranno gettato in una fossa comune!) è officiato dagli angeli, che vengono a prenderlo per condurlo nel seno di Abramo. La vita di Lazzaro non si è dissolta nel nulla, ma egli è portato nel regno di Dio, dove si trova il padre dei credenti, di cui egli è figlio: colui che era “gettato” presso la porta del ricco, ora è innalzato e partecipa al banchetto di Abramo (cf. Mt 8,11; Lc 13,28). Il ricco invece ha una sepoltura come gli si conviene, ma il testo è laconico, non precisa nulla di un suo eventuale ingresso nel Regno.

Ecco infatti, puntualmente, una nuova situazione, in cui i destini dei due uomini sono ancora una volta divergenti, ma a parti invertite. Ciò che appariva sulla terra viene smentito, si mostra come realtà effimera, mentre ci sono realtà invisibili che sono eterne (cf. 2Cor 4,18) e che dopo la morte si impongono: il povero ora si trova nel seno di Abramo, dove stanno i giusti, il ricco negli inferi. Alla morte viene subito decisa la sorte eterna degli esseri umani, preannuncio del giudizio finale, e le due vie percorse durante la vita danno l’esito della beatitudine oppure quello della maledizione. A Lazzaro è donata la comunione con Dio insieme a tutti quelli che Dio giustifica, mentre al ricco spetta come dimora l’inferno, cioè l’esclusione dal rapporto con Dio: egli passa dall’avere troppo al non avere nulla.

Nelle sofferenze dell’inferno, il ricco alza i suoi occhi e “da lontano” vede Abramo e Lazzaro nel suo grembo, come un figlio amato. Egli ora vive la stessa condizione sperimentata in vita dal povero, ed è anche nella stessa posizione: guarda dal basso verso l’alto, in attesa… Non ha potuto portare nulla con sé, i suoi privilegi sono finiti: lui che non ascoltava la supplica del povero, ora deve supplicare; si fa mendicante gridando verso Abramo, rinnovando per tre volte la sua richiesta di aiuto. Comincia con l’esclamare: “Padre Abramo, abbi pietà di me”, grido che durante la vita non aveva mai innalzato a Dio, “e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché sono torturato in questa fiamma”. Chiede insomma che Lazzaro compia un gesto di amore, che lui mai aveva fatto verso un bisognoso.

Ma Abramo gli risponde: “Figlio, durante la tua vita hai ricevuto i tuoi beni, mentre Lazzaro i suoi mali; ora egli qui è consolato, tu invece sei torturato”. Un modo schematico ma efficace per esprimere come il comportamento vissuto sulla terra abbia precise conseguenze nella vita oltre la morte: il comportamento terreno è già il giudizio, da esso dipendono la salvezza o la perdizione eterne (cf. Mt 25,31-46). Così la beatitudine rivolta da Gesù ai poveri e il “guai” indirizzato ai ricchi (cf. Lc 6,20-26) si realizzano pienamente. Poi Abramo continua servendosi dell’immagine dell’“abisso grande”, invalicabile, che separa le due situazioni e non permette spostamenti dall’uno all’altro “luogo”: la decisione è eterna e nessuno può sperare di cambiarla, ma si gioca nell’oggi…

Qui il racconto potrebbe finire, e invece il testo cambia tono. Udita la prima risposta di Abramo, il ricco riprende la sua invocazione. Non potendo fare nulla per sé, pensa ai suoi famigliari che sono ancora sulla terra. Lazzaro potrà almeno andare ad avvertire i suoi cinque fratelli, ad ammonirli prospettando loro la minaccia di quel luogo di tormento, se vivranno come l’uomo ricco. Ma ancora una volta “il padre nella fede” (cf. Rm 4,16-18) risponde negativamente, ricordandogli che Lazzaro non potrebbe annunciare nulla di nuovo, perché già Mosè e i Profeti, cioè le sante Scritture, indicano bene la via della salvezza. Le Scritture contenenti la parola di Dio dicono con chiarezza come gli uomini devono comportarsi nella vita, sono sufficienti per la salvezza. Occorre però ascoltarle, cioè fare loro obbedienza, realizzando concretamente quello che Dio vuole!

Ma il ricco non desiste e per la terza volta si rivolge ad Abramo: “Padre Abramo, se qualcuno dai morti andrà dai miei fratelli, saranno mossi a conversione”. Abramo allora con autorità chiude una volta per tutte la discussione: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, neppure se qualcuno risorge dai morti saranno persuasi”. Parole definitive, eppure ancora oggi molti cristiani faticano ad accoglierle, perché sono convinti che le Scritture non siano sufficienti, che occorrano miracoli straordinari per condurre alla fede…

No, i cristiani devono ascoltare le Scritture per credere, anche per credere alla resurrezione di Gesù, come il Risorto ricorderà agli Undici: “Bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella Legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi” (Lc 24,44). Egli stesso, del resto, poco prima aveva detto ai due discepoli in cammino verso Emmaus: “‘Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i Profeti! Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?’. E, cominciando da Mosè e da tutti i Profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui” (Lc 24,25-27). Non a caso anche nella professione di fede il cristiano confessa che “Cristo morì secondo le Scritture, fu sepolto ed è risorto il terzo giorno secondo le Scritture” (1Cor 15,3-4). Le Scritture testimoniano ciò che si è compiuto nella vita e nella morte di Gesù Cristo, testimoniano la sua resurrezione. Se il cristiano prende consapevolezza delle parole di Gesù (cf. Lc 24,6-7) e ascolta le Scritture dell’Antico Testamento, giunge alla fede nella sua resurrezione.

Questa parabola ci scuote, scuote soprattutto noi che viviamo nell’abbondanza di una società opulenta, che sa nascondere così bene i poveri al punto di non accorgersi più della loro presenza. Ci sono ancora mendicanti sulle strade, ma noi diffidiamo delle loro reale miseria; ci sono stranieri emarginati e disprezzati, ma noi ci sentiamo autorizzati a non condividere con loro i nostri beni. Dobbiamo confessarlo: i poveri ci sono di imbarazzo perché sono “il sacramento del peccato del mondo” (Giovanni Moioli), sono il segno della nostra ingiustizia. E quando li pensiamo come segno-sacramento di Cristo, sovente finiamo per dare loro le briciole, o anche qualche aiuto, ma tenendoli distanti da noi. Eppure nel giorno del giudizio scopriremo che Dio sta dalla parte dei poveri, scopriremo che a loro era indirizzata la beatitudine di Gesù, che ripetiamo magari ritenendola rivolta a noi. Siamo infine ammoniti a praticare l’ascolto del fratello nel bisogno che è di fronte a noi e l’ascolto delle Scritture, non l’uno senza l’altro: è sul mettere in pratica qui e ora queste due realtà strettamente collegate tra loro che si gioca già oggi il nostro giudizio finale.



29 settembre Giornata del migrante e del rifugiato... “Non si tratta solo di migranti”


Don De Robertis: 
non si tratta solo di Migranti (persone, non aggettivi)

Domani, domenica 29 settembre, si celebrerà in Italia e in tutto il mondo la Giornata del migrante e del rifugiato. Il tema scelto quest’anno da papa Francesco per il suo messaggio –. Non si tratta solo di migranti – ci invita a riflessioni stringenti. Anzitutto ci ricorda, come più volte aveva già fatto il Santo Padre in questo 2019, che nessun essere umano può essere ridotto a un aggettivo: «Migranti è un aggettivo, le persone sono sostantivi». Essi sono uomini, donne, bambini, padri, madri e sposi, portatori di molteplici storie, interessi e ricchezze come ciascuno di noi. In secondo luogo, il Papa vuole dirci che nella posizione che assumiamo verso il forestiero non è in gioco solo il “loro” destino, ma anche il “nostro”: «L’atteggiamento nei loro confronti rappresenta un campanello d’allarme che avvisa del declino morale a cui si va incontro se si continua a concedere terreno alla “cultura dello scarto”. Infatti, su questa via, ogni soggetto che non rientra nei canoni del benessere fisico, psichico e sociale diventa a rischio di emarginazione e di esclusione».

Forse non è un caso che in questi ultimi anni in Italia abbiamo visto crescere l’ostilità verso le persone straniere, l’indifferenza di fronte al dramma di quanti cercano di raggiungere le nostre coste, e insieme la litigiosità, la solitudine e la violenza presenti nella nostra società. Veramente, come scrive ancora il Papa nel suo messaggio, «la presenza dei migranti e dei rifugiati – come, in generale, delle persone vulnerabili – rappresenta oggi un invito a recuperare alcune dimensioni essenziali della nostra esistenza cristiana e della nostra umanità, che rischiano di assopirsi in un tenore di vita ricco di comodità». Infine, non si tratta solo di migranti perché è della stessa presenza viva di Cristo nella nostra società che si tratta, che non è assicurata dalla presenza dei crocifissi o di altri simboli religiosi, ma dallo spazio che facciamo a coloro con cui ha voluto identificarsi: abbracciare o respingere il forestiero, la persona vulnerabile, significa abbracciare o respingere Cristo, così come leggiamo nel Vangelo e vediamo nella vita dei santi.

Domani, 29 settembre, piazza San Pietro si riempirà di gente di ogni parte del mondo, con i suoi colori, i suoi canti, le sue lingue, le sue danze. Sarà una occasione unica per incontrarci. Sarà una immagine di quella Italia bella che vogliamo costruire e che già esiste, dove le differenze non sono temute ma accolte come una ricchezza, e insieme composte a formare un’unica sinfonia, una costruzione comune. A questa celebrazione siete invitati anche tutti voi, nelle vostre città o in piazza San Pietro, perché… non si tratta solo di migranti.
(fonte: MigrantesOnline 28/09/2019)


Vedi anche il nostro post: 


L’Italia, con 5.255.503 cittadini stranieri regolarmente residenti (8,7% della popolazione totale residente in Italia) si colloca al terzo posto nell’Unione Europea. Gli occupati stranieri sono cresciuti rispetto al primo semestre 2017 (+2,5%). Nell’anno scolastico 2017/2018 gli alunni stranieri nelle scuole italiane sono 841.719 (9,7% della popolazione scolastica). Nel corso della campagna elettorale 2018 si sono registrati 787 commenti e dichiarazioni di incitamento all’odio, il 91% delle quali ha avuto come oggetto i migranti



Risposte complesse a fenomeni complessi ed epocali, come l’immigrazione, senza cercare scorciatoie ideologiche che non risolvono la questione e inaspriscono il clima. A voler trovare un filo rosso nella mattinata di presentazione del XXVIII Rapporto immigrazione 2018-2019 di Caritas e Migrantes, la parola chiave sarebbe «l’autentica riscoperta dello spirito missionario», visto che come Chiesa «si è chiamati ad essere al servizio di una umanità ferita». Il presidente della Cei, cardinale Gualtiero Bassetti, intervenendo stamattina a Roma alla presentazione del report infatti sottolinea come l’immigrazione è «una ferita del presente» ed è triste quel Paese che non riesce a sanarla. Ricordando poi l’impegno di due organismi come Caritas e Fondazione Migrantes definiti «polmoni» della Chiesa italiana, il responsabile dei vescovi sottolinea come la mobilità umana sia un fenomeno ormai globale (basta pensare alla ricerca scientifica) e bisogna considerare «i migranti prima di tutto come persone e la parte più evidente dell’iceberg degli scartati», per questo – aggiunge - «dobbiamo aprire spazi di luce in cui affermare una cultura nuova».