lunedì 30 settembre 2019

Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato - Papa Francesco Omelia: «Non possiamo rimanere insensibili, con il cuore anestetizzato, di fronte alla miseria di tanti innocenti. Non possiamo non piangere. Non possiamo non reagire.» - Angelus: «Ho voluto questa opera artistica qui in Piazza San Pietro, affinché ricordi a tutti la sfida evangelica dell’accoglienza.» (foto, testo e video)


SANTA MESSA IN OCCASIONE DELLA GIORNATA MONDIALE DEL MIGRANTE E DEL RIFUGIATO
Piazza San Pietro
XXVI Domenica del Tempo Ordinario
29 settembre 2019

Uomini e donne dai molteplici tratti somatici, abiti tradizionali, canti, movimenti di danza, letture e preghiere pronunciate in varie lingue portano il mondo in Piazza San Pietro dove Papa Francesco celebra la santa Messa nella Giornata mondiale del Migrante e del Rifugiato.
Amare il prossimo, avverte il Papa, significa farsi prossimi di tutti i viandanti abbandonati sulle nostre strade.










OMELIA

Il Salmo Responsoriale ci ha ricordato che il Signore sostiene i forestieri, assieme alle vedove e agli orfani del popolo. Il salmista fa esplicita menzione di quelle categorie che sono particolarmente vulnerabili, spesso dimenticate ed esposte a soprusi. I forestieri, le vedove e gli orfani sono i senza diritti, gli esclusi, gli emarginati, per i quali il Signore ha una particolare sollecitudine. Per questo Dio chiede agli Israeliti di avere un’attenzione speciale per loro.

Nel libro dell’Esodo, il Signore ammonisce il popolo di non maltrattare in alcun modo le vedove e gli orfani, perché Egli ascolta il loro grido (cfr 22,23). Lo stesso avvertimento viene ripreso due volte nel Deuteronomio (cfr 24,17; 27,19), con l’aggiunta degli stranieri tra le categorie protette. E la ragione di tale monito è spiegata chiaramente nello stesso libro: il Dio di Israele è Colui «che fa giustizia all’orfano e alla vedova, che ama lo straniero e gli dà pane e vestito» (10,18). Questa preoccupazione amorosa verso i meno privilegiati è presentata come un tratto distintivo del Dio di Israele, ed è anche richiesta, come un dovere morale, a tutti coloro che vogliono appartenere al suo popolo.

Ecco perché dobbiamo avere un’attenzione particolare verso i forestieri, come pure per le vedove, gli orfani e tutti gli scartati dei nostri giorni. Nel Messaggio per questa 105a Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato si ripete come un ritornello il tema: “Non si tratta solo di migranti”. Ed è vero: non si tratta solo di forestieri, si tratta di tutti gli abitanti delle periferie esistenziali che, assieme ai migranti e ai rifugiati, sono vittime della cultura dello scarto. Il Signore ci chiede di mettere in pratica la carità nei loro confronti; ci chiede di restaurare la loro umanità, assieme alla nostra, senza escludere nessuno, senza lasciare fuori nessuno.

Ma, contemporaneamente all’esercizio della carità, il Signore ci chiede di riflettere sulle ingiustizie che generano esclusione, in particolare sui privilegi di pochi che, per essere conservati, vanno a scapito di molti. «Il mondo odierno è ogni giorno più elitista e crudele con gli esclusi. È una verità che dà dolore: questo mondo è ogni giorno più elitista, più crudele con gli esclusi. I Paesi in via di sviluppo continuano ad essere depauperati delle loro migliori risorse naturali e umane a beneficio di pochi mercati privilegiati. Le guerre interessano solo alcune regioni del mondo, ma le armi per farle vengono prodotte e vendute in altre regioni, le quali poi non vogliono farsi carico dei rifugiati prodotti da tali conflitti. Chi ne fa le spese sono sempre i piccoli, i poveri, i più vulnerabili, ai quali si impedisce di sedersi a tavola e si lasciano le “briciole” del banchetto» (Messaggio per la 105a Giornata Mondiale del Migrante e Rifugiato).

È in questo senso che vanno comprese le dure parole del profeta Amos proclamate nella prima Lettura (6,1.4-7). Guai, guai agli spensierati e ai gaudenti di Sion, che non si preoccupano della rovina del popolo di Dio, che pure è sotto gli occhi di tutti. Essi non si accorgono dello sfacelo di Israele, perché sono troppo occupati ad assicurarsi il buon vivere, cibi prelibati e bevande raffinate. È impressionante come, a distanza di 28 secoli, questi ammonimenti conservino intatta la loro attualità. Anche oggi infatti la «cultura del benessere […] ci porta a pensare a noi stessi, ci rende insensibili alle grida degli altri, […] porta all’indifferenza verso gli altri, anzi porta alla globalizzazione dell’indifferenza» (Omelia a Lampedusa, 8 luglio 2013).

Alla fine rischiamo di diventare anche noi come quell’uomo ricco di cui ci parla il Vangelo, il quale non si cura del povero Lazzaro «coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola» (Lc 16,20-21). Troppo intento a comprarsi vestiti eleganti e a organizzare lauti banchetti, il ricco della parabola non vede le sofferenze di Lazzaro. E anche noi, troppo presi dal preservare il nostro benessere, rischiamo di non accorgerci del fratello e della sorella in difficoltà.

Ma come cristiani non possiamo essere indifferenti di fronte al dramma delle vecchie e nuove povertà, delle solitudini più buie, del disprezzo e della discriminazione di chi non appartiene al “nostro” gruppo. Non possiamo rimanere insensibili, con il cuore anestetizzato, di fronte alla miseria di tanti innocenti. Non possiamo non piangere. Non possiamo non reagire. Chiediamo al Signore la grazia di piangere, quel pianto che converte il cuore davanti a questi peccati.

Se vogliamo essere uomini e donne di Dio, come chiede San Paolo a Timoteo, dobbiamo «conservare senza macchia e in modo irreprensibile il comandamento» (1Tm 6,14); e il comandamento è amare Dio e amare il prossimo. Non si possono separare! E amare il prossimo come se stessi vuol dire anche impegnarsi seriamente per costruire un mondo più giusto, dove tutti abbiano accesso ai beni della terra, dove tutti abbiano la possibilità di realizzarsi come persone e come famiglie, dove a tutti siano garantiti i diritti fondamentali e la dignità.

Amare il prossimo significa sentire compassione per la sofferenza dei fratelli e delle sorelle, avvicinarsi, toccare le loro piaghe, condividere le loro storie, per manifestare concretamente la tenerezza di Dio nei loro confronti. Significa farsi prossimi di tutti i viandanti malmenati e abbandonati sulle strade del mondo, per lenire le loro ferite e portarli al più vicino luogo di accoglienza, dove si possa provvedere ai loro bisogni.

Questo santo comandamento Dio l’ha dato al suo popolo, e l’ha sigillato col sangue del suo Figlio Gesù, perché sia fonte di benedizione per tutta l’umanità. Perché insieme possiamo impegnarci nella costruzione della famiglia umana secondo il progetto originario, rivelato in Gesù Cristo: tutti fratelli, figli dell’unico Padre.

Oggi abbiamo bisogno anche di una madre, e affidiamo all’amore materno di Maria, Madonna della Strada, Madonna delle tante strade dolorose, affidiamo a lei i migranti e i rifugiati, assieme agli abitanti delle periferie del mondo e a coloro che si fanno loro compagni di viaggio.


Guarda il video dell'omelia


Al termine della celebrazione, il cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Conferenza episcopale italiana, ringrazia Francesco per questa Messa che ha riunito intorno all’altare "gente di ogni dove, unita nello spirito di lode al Signore, padre di tutta l’umanità". Parla poi del dramma delle migrazioni che interpella la Chiesa che è in Italia. "Si tratta - dice - di un vasto movimento di popoli tormentati dalla violenza, dalla fame, dalla disperazione, che cerca aiuto presso i Paesi più ricchi e capaci". La risposta che trovano è spesso l'indifferenza. "Ma il Signore, con la sua Parola e il suo esempio di amore, ci invita ad essere solidali, a non assecondare le ingiustizie e l’empietà." E conclude: "Grazie, Santo Padre, per il suo esempio e la forza della sua parola. La Chiesa italiana, attraverso Caritas e Migrantes cerca di dar corpo al Vangelo della carità e della gioia". 



ANGELUS
Piazza San Pietro
Domenica, 29 settembre 2019


Cari fratelli e sorelle,

desidero salutare tutti voi che avete partecipato a questo momento di preghiera, con il quale abbiamo rinnovato l’attenzione della Chiesa per le diverse categorie di persone vulnerabili in movimento. In unione con i fedeli di tutte le Diocesi del mondo abbiamo celebrato la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, per riaffermare la necessità che nessuno rimanga escluso dalla società, che sia un cittadino residente da molto tempo o un nuovo arrivato.

Per sottolineare tale impegno, tra poco inaugurerò la scultura che ha come tema queste parole della Lettera agli Ebrei: «Non dimenticate l’ospitalità; alcuni, praticandola, senza saperlo hanno accolto degli angeli» (13,2). Tale scultura, in bronzo e argilla, raffigura un gruppo di migranti di varie culture e diversi periodi storici. Ho voluto questa opera artistica qui in Piazza San Pietro, affinché ricordi a tutti la sfida evangelica dell’accoglienza.

Domani, lunedì 30 settembre, si aprirà in Camerun un incontro di dialogo nazionale per la ricerca di una soluzione alla difficile crisi che da anni affligge il Paese. Sentendomi vicino alle sofferenze e alle speranze dell’amato popolo camerunese, invito tutti a pregare perché tale dialogo possa essere fruttuoso e condurre a soluzioni di pace giuste e durature, a beneficio di tutti. Maria, Regina della pace, interceda per noi.

Guarda il video dell'appello per il Camerun


Dopo la recita dell’Angelus e il lunghissimo giro in papamobile, Francesco inaugura la scultura intitolata “Angels Unwares”, Angeli Inconsapevoli, realizzata dall’artista canadese Timothy Schmalz, grazie al suggerimento di padre Michael Czerny sottosegretario della Sezione Migranti e Rifugiati del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, che verrà creato cardinale nel Concistoro del 5 ottobre prossimo. 
Come il Pontefice ha spiegato all'Angelus, il tema di quest’opera rimanda alla Lettera agli Ebrei in cui si legge: “Non dimenticate l’ospitalità; alcuni, praticandola, senza saperlo hanno accolto degli angeli”; proprio per questo lui l'ha voluta in mezzo alla piazza, centro del mondo e della cristianità, affinché ricordasse a tutti la sfida evangelica dell’accoglienza.
A togliere il telo bianco che copre la statua, una famiglia di camerunensi, che il Papa abbraccia e saluta. Poi il Pontefice si avvicina, tocca l’opera, posta accanto al Colonnato e visibile a tutti e la benedice. “Angels Unwares”, realizzata a grandezza naturale, raffigura appunto un gruppo di migranti e rifugiati, provenienti da diversi contesti culturali e razziali e anche da diversi periodi storici. Sono messi vicini, stretti, spalla a spalla, in piedi su una zattera, coi volti segnati dal dramma della fuga, del pericolo, del futuro incerto. All’interno di questa folla eterogenea di persone, spiccano al centro le ali di un angelo, come a suggerire la presenza del sacro tra di loro.
Sotto i loro piedi, un'imbarcazione che richiama i naufragi di questi anni nel Mediterraneo e che rappresenta tutta l'umanità sulla stessa barca. 
L'artista, presente in piazza San Pietro, è Timothy Schmalz, già autore dell'opera in bronzo "Gesù senza tetto", che si trova in Vaticano, presso l'Elemosineria apostolica. I volti raffigurati sono presi da foto e immagini di persone realmente esistite.










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