lunedì 20 maggio 2024

Papa Francesco a Verona 18/05/2024: Incontro con i detenuti (cronaca/sintesi, foto, testo e video)

VISITA DEL SANTO PADRE FRANCESCO
A VERONA 

Sabato, 18 maggio 2024

____________________________________


11.45 Terminato l’incontro in Arena, il Santo Padre raggiunge in auto la Casa Circondariale di Montorio
Il Santo Padre è accolto da:
- Dottoressa Francesca Gioieni, Direttore
- Dott. Mario Piramide, Direttore della Polizia Penitenziaria
Nella Casa Circondariale il Santo Padre saluta gli Agenti di Polizia Penitenziaria, i Detenuti, e i Volontari
*Discorso del Santo Padre
13.00 Segue il pranzo con i Detenuti


____________________________________

INCONTRO CON GLI AGENTI DI POLIZIA PENITENZIARIA, I DETENUTI E I VOLONTARI

Casa Circondariale di Montorio (Verona)

Papa Francesco: "voglio invitarvi a non cedere allo sconforto. 

La vita è sempre degna di essere vissuta, sempre! 

e c’è sempre speranza per il futuro"

_________________________________________


Lasciata l’Arena, il Papa ha raggiunto in automobile, salutato da migliaia di persone lungo il percorso, la Casa circondariale di Montorio per l’incontro con i detenuti, un appuntamento ormai fisso nei programmi delle visite papali. E, come in altre occasioni, è stato un momento di grande intensità e commozione. Ad accoglierlo all’ingresso Francesca Gioieni, direttore del carcere, e Mario Piramide, direttore della Polizia penitenziaria.

Durante il tragitto verso il luogo dell’incontro con i detenuti, il campo di calcio, il Pontefice ha salutato i familiari delle guardie carcerarie, i volontari, un centinaio, che svolgono il loro servizio, tra i quali quelli legati alla cappellania del carcere, e gli operatori socio-sanitari, gli agenti di custodia, fermandosi spesso a parlare con alcuni di loro.

Poi, appena l’auto elettrica su cui viaggiava è spuntata da dietro un edificio, è esploso l’entusiasmo dei 550 detenuti, tra cui 50 donne, che lo attendevano sul prato: più della metà sono stranieri e molti sono musulmani.

Il Papa è passato tra i vari settori salutando praticamente tutti, stringendo mani, ascoltando le loro domande, rispondendo alle sollecitazioni. Alcune detenuti gli hanno offerto dei fiori.

In un clima di forte emozione, dopo un brano eseguito da un gruppo musicale formato da detenuti, ha parlato la direttrice, poi è stata la volta di un detenuto che ha letto un breve saluto.

Subito dopo il Pontefice ha tenuto il suo discorso nel quale, facendo anche un riferimento ai casi di suicidio avvenuti nel carcere, ha invitato i presenti a «non cedere alla sconforto», perché «la vita è sempre degna di essere vissuta... anche quando tutto sembra spegnersi».

Al termine alcuni detenuti hanno consegnato al Papa un cesto in cui sono stati raccolti pensieri e lettere, e una formella con la scritta, carica di speranza nel futuro e nella possibilità di una rinascita personale, “Io credo in”. La stessa raffigurata in un grande murale realizzato per l’occasione nella sala in cui Francesco si è poi fermato a pranzo con 96 ospiti del carcere — era presente anche l’imam Mohsen Khochtali, membro del consiglio islamico di Verona — mentre altri 12 hanno invece prestato servizio ai tavoli. A sua volta il Papa ha donato al carcere un quadro raffigurante una Madonna con Bambino.

Aver deciso di pranzare in questo luogo è l’ennesima testimonianza della particolare attenzione di Francesco verso il mondo del carcere.

«Quello trascorso qui dal Pontefice è il tempo più lungo tra i diversi momenti dei questa visita a Verona», fa notare il cappellano, fra’ Paolo Crivelli, riprendendo un concetto sottolineato dal saluto del detenuto, e che ci racconta anche i vari momenti dell’attesa di questo incontro: «Il primo, dopo l’annuncio, è stato quello dell’indifferenza: i detenuti sono abituati a crearsi aspettative che poi vanno deluse, lasciando un grande senso di frustrazione. Il secondo è stato di rabbia, ovvero la convinzione che sarebbero stati esclusi da questo momento, e il lavoro è stato quello di far capire che invece il Papa sarebbe venuto per loro. Il terzo e ultimo è stato invece il fermento, ovvero la consapevolezza che i protagonisti sarebbero stati loro, che loro sarebbero stati al centro dell’attenzione. E questa — sottolinea il cappellano — è una cosa straordinaria per quanti hanno bisogno di riscoprire il loro valore come persone umane, di riscoprire il senso della dignità perduta».

Un lavoro di presa di coscienza e di valorizzazione, dunque, che, nel segno dell’inclusione, ha trovato spazio in altri momenti di questa giornata. Gli allestimenti in legno disposti sul palco dell’Arena di Pace sono stati infatti prodotti nella falegnameria che Reverse cooperativa impresa sociale gestisce all’interno del carcere dal 2016, e realizzati con materiali naturali, utilizzando legno proveniente da scarti produttivi e da filiera controllata, pensati per il riutilizzo.

Anche i tessuti scelti per i cuscini delle sedute sono stati realizzati nel laboratorio di sartoria della Casa circondariale, grazie al progetto Quid, cooperativa dedicata alla moda sostenibile e all’inclusione sociale. Il tutto nell’ambito di un progetto dedicato alla formazione con l’obiettivo di diffondere competenze, dignità del lavoro, fiducia in se stessi in vista di un pieno reinserimento nella società.

E un po’ di carcere, per così dire, sarà presente anche alla messa pomeridiana, che concluderà la visita e che viene celebrata da Francesco nello stadio Bentegodi: le ostie che verranno utilizzate sono infatti state realizzate dai detenuti di Castelfranco Emilia, grazie a un progetto della cooperativa Giorni nuovi.

Dopo il pranzo nella Casa circondariale il Papa si è recato al vescovado di Verona per una breve visita all’anziana madre di monsignor Pompili.
(fonte: L'Osservatore Romano, articolo di Gaetano Vallini 18/05/2024)

____________________________________










____________________________________

DISCORSO DEL SANTO PADRE 



Cari sorelle e fratelli, buongiorno!

Ringrazio la Signora Direttrice per la sua accoglienza, e il senso dell’umorismo! Il sorriso fa tanto bene. Ringrazio tutti voi, per il calore, la festa e l’affetto che mi mostrate. Un saluto va inoltre a tutti coloro che lavorano in questo istituto: agenti di custodia, educatori, operatori sanitari, personale amministrativo, volontari. Voglio salutare anche a tutti coloro che stanno guardando dalle finestre: un saluto a tutti voi! Ci tenevo molto a incontrarvi, tutti insieme.

Per me entrare in un carcere è sempre un momento importante, perché il carcere è un luogo di grande umanità. Sì, è un luogo di grande umanità. Di umanità provata, talvolta affaticata da difficoltà, sensi di colpa, giudizi, incomprensioni, sofferenze, ma nello stesso tempo carica di forza, di desiderio di perdono, di voglia di riscatto, come ha detto Duarte nel suo discorso.

E in questa umanità, qui, in tutti voi, in tutti noi, è presente oggi il volto di Cristo, il volto del Dio della misericordia e del perdono. Non dimenticate questo: Dio perdona tutto e perdona sempre, in questa umanità, qui, in tutti voi. Questo senso di guardare il Dio della misericordia.

Conosciamo la situazione delle carceri, spesso sovraffollate – nella mia terra, pure -, con conseguenti tensioni e fatiche. Per questo voglio dirvi che vi sono vicino, e rinnovo l’appello, specialmente a quanti possono agire in questo ambito, affinché si continui a lavorare per il miglioramento della vita carceraria. Una volta, una signora che lavorava nelle carceri e aveva un bel rapporto con le detenute – però era un carcere femminile –, una mamma di famiglia, molto umana la signora, mi ha detto che lei era devota a una santa. “Ma quale santa?” – “Santa Porta” – “Perché?” – “È la porta della speranza”. E tutti voi dovete guardare a questa porta della speranza. Non c’è vita umana senza orizzonti. Per favore, non perdere gli orizzonti, che si vedranno attraverso quella porta della speranza.

Seguendo le cronache del vostro istituto, con dolore ho appreso che purtroppo qui, recentemente, alcune persone, in un gesto estremo, hanno rinunciato a vivere. È un atto triste, questo, a cui solo una disperazione e un dolore insostenibili possono portare. Perciò, mentre mi unisco nella preghiera alle famiglie e a tutti voi, voglio invitarvi a non cedere allo sconforto, a guardare la porta come la porta della speranza. La vita è sempre degna di essere vissuta, sempre!, e c’è sempre speranza per il futuro, anche quando tutto sembra spegnersi. La nostra esistenza, quella di ciascuno di noi, è importante – noi non siamo materiale di scarto, l’esistenza è importante –, è un dono unico per noi e per gli altri, per tutti, e soprattutto per Dio, che mai ci abbandona, e che anzi sa ascoltare, gioire e piangere con noi e perdonare sempre. Con Lui al nostro fianco, con il Signore al nostro fianco, possiamo vincere la disperazione. E, come ha detto la direttrice, Dio è uno: le nostre culture ci hanno insegnato a chiamarlo con un nome, con un altro, e a trovarlo in maniere diverse, ma è lo stesso padre di tutti noi. È uno. E tutte le religioni, tutte le culture, guardano all’unico Dio con modalità differenti. Mai ci abbandona. Con Lui al nostro fianco, possiamo vincere la disperazione e vivere ogni istante come il tempo opportuno per ricominciare. Ricominciare. C’è una bella canzone piemontese che cercherò di tradurre in italiano che dice così – la cantano gli alpini –: “Nell’arte di ascendere, quello che importa non è non cadere, ma non rimanere caduto”. E a tutti noi che lavoriamo in questo carcere, anche come volontari, ai famigliari, a tutti noi, dico una cosa: è lecito guardare una persona dall’alto in basso soltanto una sola volta: per aiutarlo a sollevarsi. Perciò, nei momenti peggiori, non chiudiamoci in noi stessi: parliamo a Dio del nostro dolore e aiutiamoci a vicenda a portarlo, tra compagni di cammino e con le persone buone che ci troviamo al fianco. Non è debolezza chiedere aiuto, no: facciamolo con umiltà e fiducia e umanità. Tutti abbiamo bisogno gli uni degli altri, e tutti abbiamo diritto a sperare, al di là di ogni storia e di ogni errore o fallimento. È un diritto la speranza, che mai delude. Mai.

Tra pochi mesi inizierà l’Anno Santo: un anno di conversione, di rinnovamento e di liberazione per tutta la Chiesa; un anno di misericordia, in cui deporre la zavorra del passato e rinnovare lo slancio verso il futuro; in cui celebrare la possibilità di un cambiamento, per essere e, dove necessario, tornare ad essere veramente noi stessi, donando il meglio. Sia anche questo un segno che ci aiuti a rialzarci e a riprendere in mano, con fiducia, ogni giorno della nostra vita.

Cari amiche e cari amici, grazie per questo incontro. Vi dico la verità: mi fa bene. Voi mi state facendo bene, grazie. Continuiamo a camminare insieme, perché l’amore ci unisce al di là di ogni tipo di distanza. Vi ricordo nella preghiera e vi chiedo, per favore, di pregare per me: a favore, non contro! Pregate per me. E non dimenticate: “Nell’arte di salire quello che importa non è non cadere, ma non rimanere caduto”. Grazie.

***************

Guarda il video del discorso


***************

PAROLE A BRACCIO NEL CARCERE ALLA CONSEGNA DEI DONI

E adesso io darò un dono al carcere. Lo darò alla direttrice. Questo dono… Ho pensato a una virtù che Dio ha, e che noi dimentichiamo, no? Perché Dio ha tre virtù principali: vicinanza, compassione e tenerezza. Dio è vicino a tutti noi, Dio è compassionevole e Dio è tenero. E ho pensato alla tenerezza – non si parla tanto della tenerezza –, ho pensato a questo dono: la Madonna con il bambino che è proprio un gesto di tenerezza. E ho pensato anche che la figura di Maria è una figura comune sia al cristianesimo sia ai musulmani, è una figura comune, ci unisce tutti.

Adesso vorrei darvi la benedizione, ma la darò in silenzio, così ognuno la riceve da Dio nella modalità che crede. Un minuto di silenzio e do la benedizione a tutti voi.

Benedizione

Che il Signore vi benedica, vi aiuti ad andare avanti sempre, vi consoli nella tristezza e sia il vostro compagno nella gioia. Amen.

Buon pranzo e arrivederci!

***************

Guarda il video integrale