mercoledì 30 novembre 2022

Secondo giorno Novena in preparazione della festa dell'Immacolata - La macchia del peccato originale non è in te (canto, meditazione e preghiera)

 Novena in preparazione della festa dell'Immacolata

Ogni anno, l’8 dicembre, la Chiesa celebra la festa mariana più solenne dell’Avvento che è la Solennità dell’Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria. ...

La preghiera della Novena in preparazione alla festa dell'Immacolata è stata composta in occasione della festa da Papa Pio XII nel 1950.

Vogliamo celebrare questi nove giorni proponendo l'ascolto del canto dell’inno del IV secolo secondo una delle più antiche tradizioni francescane Tota pulchra, che è una composizione che nasce dall’unione di alcune antifone dei Primi Vespri della festa ...

In ognuno di questi nove giorni che ci separano dalla festa ci lasceremo guidare dall’inno Tota Pulchra che proporremo in ciascun giorno in diverse versioni e via via ne mediteremo il testo che qui di seguito riportiamo in latino ed anche nella traduzione in italiano

Tota pulchra

Tota pulchra es, Maria.
Tota pulchra es, Maria.

Et macula originalis non est in Te.
Et macula originalis non est in Te.

Tu gloria Ierusalem.
Tu laetitia Israel.

Tu honorificentia populi nostri.
Tu advocata peccatorum.

O Maria, o Maria!
Virgo prudentissima.

Mater clementissima,
ora pro nobis.

Intercede pro nobis
ad Dominum Iesum Christum.


Traduzione:

Tutta bella

Tutta bella sei, Maria,
Tutta bella sei, Maria.

E il peccato originale non è in te.
E il peccato originale non è in te.

Tu sei la gloria di Gerusalemme,
Tu letizia d’Israele.

Tu onore del nostro popolo,
tu avvocata dei peccatori.

O Maria, O Maria!
Vergine prudentissima.

Madre clementissima,
prega per noi.

Intercedi per noi
presso il Signore Gesù Cristo.


Leggi tutto: 


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Secondo giorno
La macchia del peccato originale non è in te

Ascoltiamo
Canto gregoriano studio di Giovanni Vianini, Milano


2° Giorno

Et macula originalis non est in te. La macchia del peccato originale non è in te.

Meditazione

Dio ti ha talmente amata da preservarti da ogni macchia del peccato originale, non hai avuto nessuna imperfezione né morale, né naturale perché nella tua libertà hai detto sì al progetto di Dio. Quel sì poi ti ha preservata dal maligno e da tutte le sue opere. 
Aiutaci a vivere il nostro sì di ogni giorno!


Preghiera 

O giglio immacolato di purità, Maria, ci congratuliamo con te, che fin dal primo istante della tua Concezione sei stata arricchita di grazia, e dell’uso perfetto di ragione. Ringraziamo ed adoriamo la SS. Trinità, che ti ha elargito doni sublimi, e ci confondiamo dinanzi a te nel vederci così poveri di virtù. Tu che così pienamente fosti ricolma di celeste grazia, partecipane all’anima nostra, e facci ricchi dei tesori del tuo Immacolato Concepimento. Ave Maria.

OREMUS · O Dio, che nell’Immacolata Concezione della Vergine hai preparato una degna dimora per il tuo Figlio, e in previsione della morte di Lui l’hai preservata da ogni macchia di peccato, concedi anche a noi, per sua intercessione, di venire incontro a te in santità e purezza di spirito. Per il nostro Signore. Amen.


Agonia della Chiesa? di Giuseppe Savagnone

Agonia della Chiesa? 
di Giuseppe Savagnone



Una difesa non richiesta e fuorviante

L’assurda proposta, presentata alla Camera dalla Lega, di incentivare con un bonus chi si fosse sposato in chiesa col rito cattolico, anche se poi ritirata (per l’evidente vizio di costituzionalità), è solo l’ultimo sintomo di una situazione in cui a difendere le pratiche religiose sono rimasti spesso dei poco illuminati sostenitori della tradizione religiosa, che, con la loro rozzezza – si pensi al vangelo e al rosario sventolati da Salvini nei suoi comizi di qualche anno fa – ne evidenziano piuttosto il tramonto.

Perché il problema è reale, anche se la soluzione non è promettere soldi. È vero infatti, che i matrimoni religiosi diminuiscono ogni anno. In un contesto in cui le coppie ricorrono sempre più tardi e sempre meno al matrimonio per legittimare la loro convivenza, l’ultimo rapporto Istat segnala che «sono in particolare i primi matrimoni religiosi ad aver subito la contrazione più forte dal 2011 al 2019 (-29,9 %), con un’incidenza sui primi matrimoni che è diminuita dal 70,1 % al 58,4 %». Ormai solo poco più di metà dei giovani che si sposano lo fanno in chiesa.

Chi ancora accetta la logica del matrimonio, lo fa sempre più spesso in municipio: «Nell’ultimo decennio si è assistito, all’opposto, a un incremento continuo del ricorso al solo rito civile per la celebrazione delle prime nozze: dal 29,9 % del totale dei primi matrimoni del 2011 al 43,4 % del 2021».

Ma è abbastanza ovvio che non si risolve la questione “pagando” gli sposi perché lo facciano secondo il rito tradizionale. Non è certo questo l’interesse della Chiesa. Ci sono già fin troppi matrimoni la cui validità canonica è viziata da fattori che ne inficiano il significato propriamente religioso. E in ogni caso il problema è molto più radicale di quello economico. La crisi del matrimonio cattolico ha origini molto più profonde. Siamo davanti una eclisse del cristianesimo – non solo in Italia, ma in tutta l’Europa – che neppure l’effervescente testimonianza di papa Bergoglio riesce a mascherare.

L’Europa scristianizzata

Nell’immediato dopoguerra, l’arcivescovo di Parigi, il card. Suhard, pubblicò una lettera pastorale che, nell’edizione italiana, apparve col titolo, un po’ allarmistico, Agonia della Chiesa. Oggi, a distanza di quasi un secolo, questa espressione non appare più esagerata, almeno per quanto riguarda l’Europa. La scristianizzazione del continente che storicamente è stato la culla della civiltà cristiana è troppo evidente per avere bisogno di illustrazioni.

Basti pensare che, mentre i “padri” del progetto di un’Europa unita – uomini come Robert Schumann, Alcide De Gasperi, Konrad Adenauer – erano anche dei ferventi cattolici e vedevano nel cristianesimo l’anima spirituale della nuova realtà politica che essi auspicavano, pochi mesi fa il parlamento europeo ha votato a larga maggioranza una mozione che chiede l’inserimento del diritto di aborto nella Carta dei diritti fondamentali. Stridente, emblematico contrasto fra un sogno e la sua realizzazione concreta.

Ma è solo il sintomo di un clima culturale che ha ormai ridotto drasticamente l’influenza della visione cristiana sulla popolazione del Vecchio Continente. Siamo immersi in un clima che si potrebbe definire post-cristiano, perché, se pure risente in qualche modo dell’originaria prospettiva religiosa, la declina attraverso il filtro dell’illuminismo e del liberalismo. La concezione della persona che sembra dominare pressoché incontrastata si ispira a un individualismo che assolutizza i diritti dei singoli nella loro sfera privata – secondo il noto principio che “la libertà di ciascuno finisce dove comincia quella dell’altro” – e riduce ad una funzione puramente formale il ruolo delle comunità e dell’autorità, anche di quelle civili, ma innanzi tutto di quelle religiose.

La crisi nell’ambito ecclesiale

La crisi del cristianesimo è così anche crisi delle Chiese e di quella cattolica in particolare. Sono eloquenti alcuni dati: in Olanda i cattolici oggi sono circa 3,5 milioni su una popolazione di 17 milioni e soltanto 150.000 vanno a messa la domenica. In Germania, le persone che frequentano la messa domenicale sono il 6% e, solo nel 2019, 272.771 persone hanno deciso di abbandonare deliberatamente la Chiesa cattolica. In Francia la partecipazione alle messe è ormai sotto il 4% e i matrimoni in chiesa rappresentano il 40%. A confronto in Italia, col 19% di partecipazione alla messa domenicale e il 58,4% di matrimoni religiosi la crisi è ancora molto meno marcata.

Eppure c’è, ed è evidente. Anche là dove rimane una sensibilità religiosa, essa tende sempre di più a esprimersi in credenze e comportamenti fortemente soggettivi. È venuta meno l’adesione incondizionata ad un orizzonte organico di verità di fede. Ormai la maggior parte degli stessi “credenti” ha una sua “lista” personale delle cose in cui crede e di quelle in cui non crede.

Ma è la stessa struttura ecclesiale che appare in seria difficoltà. Sintomatica la forte diminuzione delle vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata. I seminari sono spesso enormi edifici, costruiti in altri tempi per ospitare un numero ingente di futuri presbiteri, e oggi dati parzialmente o totalmente in affitto per ospitare scuole o altri enti pubblici. Ci sono diocesi dove una percentuale sempre maggiore di presbiteri è costituita da stranieri. Per non parlare degli ordini religiosi, in particolare di quelli femminili, i quali ormai hanno le loro nuove vocazioni quasi esclusivamente in Africa e in Asia.

Ma la crisi dei presbiteri e dei religiosi, prima ancora di essere quantitativa, riguarda la loro percezione della propria identità, in un mondo che è profondamente cambiato e dove già l’idea stessa di una scelta definitiva, com’è quella del sacerdozio ordinato o della consacrazione, appare problematica.

A questa difficoltà di fondo si sono aggiunte le sconvolgenti rivelazioni sulla diffusione degli abusi sui minori commessi da sacerdoti e l’onda di discredito e di sospetto che esse hanno gettato, per colpa di alcuni (troppi!), sull’intera categoria.

Così accade che oggi, nella Chiesa, l’incertezza più profonda e più sottile circa la propria identità e le motivazioni della propria scelta serpeggia proprio tra i presbiteri. Ed è una fragilità che si riflette nel modo di interpretare la propria missione e di esercitare il proprio ministero.

Tra vecchio e nuovo

A confronto, il laicato appare più vivace e determinato, ma spesso manca ancora della piena consapevolezza e della formazione necessarie per svolgere con efficacia il proprio ruolo, che non è di semplice fiancheggiatore del clero (come in passato veniva inteso), ma di protagonista a pieno titolo della vita e della missione della Chiesa. Per non dire che una eredità ancora molto radicata di clericalismo, presente nelle comunità ecclesiali, continua a pesare nelle parrocchie e nelle diocesi, impedendo nella maggior parte dei casi una coraggiosa valorizzazione delle competenze dei laici e dunque una reale condivisione del carico pastorale. Stenta a svilupparsi, così, quella necessaria sinergia tra pastori e fedeli, che oggi più e mai appare necessaria ad entrambi per ridare slancio alla comunità ecclesiale.

Una forte corrente tradizionalista, nata in polemica più o meno aperta con il rinnovamento proposto dal Concilio, accusa proprio questo sforzo di modernizzazione della Chiesa di avere indebolito lo spirito di fedeltà che la rendeva salda di fronte alle difficoltà. È una polemica che già serpeggiava durante il pontificato di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI, che del messaggio conciliare sono stati per la verità interpreti molto prudenti, e che è esplosa sotto il pontificato di papa Francesco, molto più esplicitamente impegnato ad attuare lo spirito del Concilio. Come se la tradizione si riducesse alla conservazione del passato e non fosse, piuttosto, la rilettura di quest’ultimo alla luce dei problemi e delle opportunità del presente e nella proiezione verso le prospettive del futuro. E come se la fedeltà alla radici escludesse il rischio della crescita.

La lotta che ci attende

Non è certo la prima volta che la barca di Pietro si trova ad affrontare flutti tempestosi che la scuotono con violenza. Non si tratta di eludere la crisi, ma di affrontarla senza nascondere i problemi, e al tempo stesso senza lasciarsene scoraggiare. Il significato originario del termine greco agonía non è “morte”, ma “lotta”, “combattimento”.

La Chiesa è messa alla prova, come del resto è accaduto in altre epoche di transizione, e – come allora – solo con scelte coraggiose di rinnovamento potrà riscoprire e riproporre efficacemente il senso della sua missione.
Nella sua lettera pastorale il card. Suhard attribuiva grande importanza, per questo, alla capacità dei cristiani di impegnarsi in un grande sforzo di creatività culturale, essenziale per il mondo e, al tempo, stesso, per assolvere in esso la loro missione.
Vorremmo vedere maggiore consapevolezza di questa urgenza nelle nostre diocesi e nelle nostre parrocchie, ancora spesso dominate da un ritualismo che lascia poco spazio alla riflessione e al dibattito culturale. «Il più grave errore in cui potrebbero cadere i cristiani del xx secolo», scriveva l’arcivescovo di Parigi, «l’errore che i loro discendenti non perdonerebbero loro mai, sarebbe di lasciare che il mondo si faccia e si unifichi senza di essi, senza Dio – o contro di Lui; sarebbe di accontentarsi per il loro apostolato di ricette e di espedienti. Questo errore noi non vorremmo commetterlo».

In un mondo che ha smarrito in larghissima misura il senso della realtà e della stessa vita umana – sostituita nella scala di valori dal profitto capitalistico, dalla logica della violenza, dalla omologazione dei fenomeni di massa – , bisogna ricominciare a esercitare il diritto/dovere di pensare i problemi in termini nuovi.

Il Vangelo è per questo la migliore risorsa. Ma bisogna saper attingere ad esso gli stimoli per una svolta – della società e al tempo stesso della comunità cristiana – e avere il coraggio di tradurli in pratica.
Il cammino sinodale che sta impegnano la Chiesa universale e quella italiana in particolare può essere per tutto questo una grande occasione. A patto di non ridurlo a una prassi meramente formale. È il momento di cambiare passo. Dipende da ciascuno dare un contributo perché questo avvenga.


(Fonte: rubrica "Chiaroscuri" - 25.11.2022)

martedì 29 novembre 2022

Tota Pulchra, inno mariano per la Novena in preparazione della festa dell'Immacolata - Primo giorno: Tutta bella sei Maria! (canto, meditazione e preghiera)

Tota Pulchra
Inno mariano per la Novena dell'Immacolata
Primo giorno

Ogni anno, l’8 dicembre, la Chiesa celebra la festa mariana più solenne dell’Avvento che è la Solennità dell’Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria.

Nel 1854 il Papa Pio IX, con la bolla Ineffabilis Deus, proclama il dogma che definisce Immacolata la Vergine Maria, cioè “concepita senza peccato”. La devozione a Maria Immacolata precede di millenni la proclamazione del dogma, che non introduce una novità, ma conferma una lunga tradizione. Fin dalle origini del Cristianesimo i fedeli hanno sempre venerato la madre di Gesù, come la “Tutta santa”. I Padri della Chiesa d’Oriente, definivano Maria come: “germe non avvelenato, giglio purissimo…”.
La preghiera della Novena in preparazione alla festa dell'Immacolata è stata composta in occasione della festa da Papa Pio XII nel 1950.

Vogliamo celebrare questi nove giorni proponendo l'ascolto del canto dell’inno del IV secolo secondo una delle più antiche tradizioni francescane Tota pulchra, che è una composizione che nasce dall’unione di alcune antifone dei Primi Vespri della festa dell’Immacolata Concezione, tratte dal Cantico dei Cantici e dal libro di Giuditta: la prima antifona Tota pulchra es Maria et originalis macula non est in te (Cantico dei Cantici, 4,7), e la terza Tu gloria Jerusalem, tu letitia Israel, tu honorificentia populi nostri (Giuditta, 15,10), usata anche per la Natività. «Tutta bella sei, o Maria, e non vi è in Te alcuna macchia. Tu gloria di Gerusalemme, Tu letizia di Israele, Tu onore del nostro popolo». A queste antifone la tradizione francescana ha aggiunto l’invocazione «Tu avvocata dei peccatori. O Maria! Prega per noi, intercedi per noi presso il Signore Gesù Cristo». 
Cantato dai frati francescani, in semplice melodia gregoriana, questo canto mariano si è diffuso tra i fedeli e ininterrottamente viene eseguito nelle Chiese e Cattedrali per la novena all’Immacolata.

In ognuno di questi nove giorni che ci separano dalla festa ci lasceremo guidare dall’inno Tota Pulchra che proporremo in ciascun giorno in diverse versioni e via via ne mediteremo il testo che qui di seguito riportiamo in latino ed anche la traduzione in italiano

Tota pulchra

Tota pulchra es, Maria.
Tota pulchra es, Maria.

Et macula originalis non est in Te.
Et macula originalis non est in Te.

Tu gloria Ierusalem.
Tu laetitia Israel.

Tu honorificentia populi nostri.
Tu advocata peccatorum.

O Maria, o Maria!
Virgo prudentissima.

Mater clementissima,
ora pro nobis.

Intercede pro nobis
ad Dominum Iesum Christum.


Traduzione:

Tutta bella

Tutta bella sei, Maria,
Tutta bella sei, Maria.

E il peccato originale non è in te.
E il peccato originale non è in te.

Tu sei la gloria di Gerusalemme,
Tu letizia d’Israele.

Tu onore del nostro popolo,
tu avvocata dei peccatori.

O Maria, O Maria!
Vergine prudentissima.

Madre clementissima,
prega per noi.

Intercedi per noi
presso il Signore Gesù Cristo.


Ascoltiamo

1° Giorno

Tota Pulchra es Maria. Tutta bella sei Maria!

Meditazione

Sei tutta bella perché sei stata rivestita dello splendore di Dio. In te Dio ha preparato la Sua dimora perché in te avrebbe abitato per nove mesi, dall’Incarnazione fino alla nascita a Betlemme. Contemplando la tua spirituale bellezza, combattiamo con te l’oscuro fascino del male.
Sei tutta bella perché sei la tutta santa.


Preghiera 

Eccoci ai tuoi santissimi piedi, o Vergine Immacolata, e ci rallegriamo grandemente con te che sin dall’eternità fosti eletta Madre del Verbo Eterno e preservata dalla colpa originale. Ringraziamo e benediciamo la SS. Trinità, che ti ha arricchita di questi privilegi nella tua Concezione. Ti supplichiamo umilmente a impetrarci la grazia di vincere quei tristi effetti che in noi ha prodotto il peccato originale. Tu fa’ che noi li superiamo e non lasciamo di amare il nostro Dio. Ave Maria.

OREMUS · O Dio, che nell’Immacolata Concezione della Vergine hai preparato una degna dimora per il tuo Figlio, e in previsione della morte di Lui l’hai preservata da ogni macchia di peccato, concedi anche a noi, per sua intercessione, di venire incontro a te in santità e purezza di spirito. Per il nostro Signore. Amen


Papa Francesco ai giovani: "Vi incoraggio a sognare in grande... Fatevi poeti di pace!" (cronaca, testo e video)

Papa Francesco ai giovani:
"Vi incoraggio a sognare in grande...
Fatevi poeti di pace!"


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UN PATTO EDUCATIVO PER SRADICARE LA GUERRA DALLA STORIA: 
6 MILA GIOVANI DAL PAPA

«Ragazzi siate poeti di pace», ha detto Francesco ai tantissimi studenti che affollavano l'Aula Paolo VI insieme con i loro insegnanti (e con Flavio Lotti coordinatore nazionale della Tavola della pace). Ricordata la Pacem in terris che nel 2023 festeggerà 60 anni.

 





«La pace è un cammino e noi siamo a una tappa importante di questo cammino». Con queste parole Flavio Lotti, coordinatore nazionale della Tavola della Pace, ha accolto i numerosi partecipanti all’udienza col Papa in una gremitissima Aula Paolo VI dedicando questo evento a tutte le vittime delle guerre, delle violenze, dei soprusi e delle torture. Lotti ha chiesto un momento di silenzio perché ciascuno Immaginasse il volto di un bambino o una bambina che in quel momento stava urlando disperatamente Pace. Il momento più commovente nell’attesa del Santo Padre.

Nei loro interventi, insegnanti e dirigenti scolastici hanno sottolineato l’importanza di un “patto educativo” nel costruire la cultura del rispetto e della solidarietà contrapposta a quello dell’egoismo e della guerra. Una di loro con la sorella ha intonato le note struggenti dell’inno Dona Nobis pacem.

Stefania Proietti, sindaca di Assisi, città simbolo al riguardo (e mèta da decenni della famosa Marcia per la pace Perugia-Assisi, organizzata per la prima volta il 24 settembre 1961, per volere, tra gli altri, di Aldo Capitini) ha agggiunto: «La luce è sempre più forte del buio, e questo rappresenta la speranza della pace mentre divampa la guerra».

«Dobbiamo prenderci cura del Creato, di tutto l’ambiente e delle persone che stanno attorno a noi per una ragione semplice: avere ancora un futuro», spiegano gli studenti col loro linguaggio semplice, ma autentico, che va dritto al cuore.

«Voi ragazzi», ha detto a sua volta il cardinale José Tolentino Calaça de Mendonça dal 26 settembre 2022 prefetto del pontificio Dicastero per la cultura e l'educazione, «siete maestri nell’uso delle nuove tecnologie. Progressivamente tutti stanno entrando nel mondo digitale, ma avere più destrezza non significa purtroppo usarle positivamente. Occorre educare a una sapienza digitale, ampliando non solo la mente e anche il cuore. Vi chiedo un esercizio un secondo di pausa per la pace ripetendo nel cuore il nome del nostro maestro più grande, Gesù».

Giuseppe Giulietti, presidente della Fnsi (Federazione nazionale stampa italiana), si è rivolto ai giornalisti perché diano più spazio e voce ai laboratori di pace anche i comunicatori devono mettersi in gioco, respingere parole di morte e di odio. La Carta di Assisi dice una cosa fondamentale: non scrivere degli altri quello che non vorresti si scrivesse di te. I muri dell’odio e della discriminazione vanno abbattuti.

A ravvivare l’attesa anche le canzoni e la chitarra di Erica Boschiero. Commovente quella che ha scritto per i morti in mare: La memoria dell’acqua. Durante l’esecuzione centinaia di piccole luci agitate dai ragazzi hanno accompagnato le note

Poi è arrivato il Papa e la gioia si è scatenata in voci che hanno urlato più volte il nome di Francesco che ha sorriso commosso dall’affetto. Lotti lo ha ringraziato per tutto quello che sta facendo a favore della fratellanza umana. «Qui, ha aggiunto Lotti, c’è un frammento della scuola e della società che crede nei giovani e nel potere del fattore educativo. Non vediamo impegno serio per la pace, anzi i costruttori di pace sono spesso attaccati. Penso all’ipocrisia di chi parla di pace e poi vende armi, o scatena la guerra dei ricchi contro i poveri. Quest’anno per educare ed educarci alla cura e alla pace abbiamo inventato i quaderni degli esercizi di pace». Lotti ha annunciato una giornata speciale di maggio ad Assisi.

«Mi congratulo, ha detto il Papa, per il ricco programma educativo che culminerà nella Marcia della pace ad Assisi, città crocevia di pace dove san Francesco che ha affascinato anche me, tanto da averne preso il nome, lasciò ogni ricchezza per Madonna povertà. Non solo le scuole e le istituzioni cattoliche ma anche i laici e chi appartiene ad altre confessioni possono cooperare per la cura e la pace. Non dobbiamo aspettare una minaccia o la paura del nucleare per parlare di pace; è un fatto che ci riguarda sempre», ha detto ancora Francesco, ricordando la parabola del Buon Samaritano.

Jorge Mario Bergoglio ha poi rievocato due figure Giovanni XXIII e la sua enciclica Pacem in terris appello al disarmo e al dialogo che riscosse attenzione non solo nel mondo cattolico. Pochi mesi dopo questa enciclica Martin Luther King nel 1964 pronuncio il famoso discorso “Io ho un sogno”. Voi cari ragazzi e ragazze qual è il vostro sogno. Vi incoraggio a sognare in grande come papa Giovanni e Martin Luther King. Francesco ha invitato tutti a partecipare alla GMG e a vivere l’Avvento con gesti di cuore e essere “poeti di pace”
(fonte: Famiglia Cristiana, articolo di Luciano Regolo 28/11/2022)



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Il Papa ai giovani: sognate la pace! 
Ci riguarda sempre, non solo in caso di attacco nucleare

Francesco incontra in Aula Paolo VI migliaia di studenti e insegnanti che partecipano all’incontro per l’educazione alla pace e alla cura promosso dalla Rete Nazionale delle Scuole di Pace. A loro l’invito ad essere "poeti di pace" e a “sognare in grande” ispirandosi all’esempio di Martin Luther King e Giovanni XXIII. Richiamando la figura di Roncalli, il Pontefice ricorda la "Pacem in Terris" che compie 60 anni: "Leggetela e studiatela, è attualissima"


Cita Borges e San Francesco, poi indica un obiettivo, essere "poeti di pace", e due modelli da seguire: il “Papa buono” Giovanni XXIII ("leggete e studiate la Pacem in Terris", dice) e Martin Luther King, due sognatori, due profeti. Il Papa incontra in Aula Paolo VI circa 6 mila tra studenti e insegnanti che partecipano all’incontro per l’educazione alla pace e alla cura promosso dalla Rete Nazionale delle Scuole per la Pace. L’udienza con il Papa è il culmine di una serie di attività e iniziative di formazione che si concluderanno con la Marcia Perugia-Assisi, nel maggio del prossimo anno, in occasione della quale saranno presentati i risultati del lavoro e delle proposte di ragazzi e ragazze.

Prendersi cura

Tutti sono riuniti oggi nella grande aula vaticana, quasi interamente gremita, per accogliere il Papa, giunto con mezz’ora di anticipo rispetto all’orario previsto. Tanti gli interventi e le testimonianze, tanti i momenti musicali, alternati a minuti di silenzio per le vittime dei conflitti e di chi muore in acqua. Tanti anche gli appelli a “ripudiare la guerra” e favorire la pace. Una pace che si costruisce prendendosi “cura” dei nostri fratelli e delle nostre sorelle, dice Papa Francesco nel suo discorso, citando il motto dell'evento.

Spesso parliamo di pace quando ci sentiamo direttamente minacciati, come nel caso di un possibile attacco nucleare o di una guerra combattuta alle nostre porte. Così come ci interessiamo ai diritti dei migranti quando abbiamo qualche parente o amico emigrato. In realtà, la pace ci riguarda sempre! Come sempre ci riguarda l’altro, il fratello e la sorella, e di lui e di lei dobbiamo prenderci cura.

Una risposta al Patto Educativo Globale

Il Papa plaude al programma educativo delle Scuole per la Pace che, rileva, sono una risposta all’appello per un Patto Educativo Globale lanciato tre anni fa a tutti coloro che operano nel campo educativo, affinché si facciano “promotori” dei valori di cura, pace, giustizia, bene, bellezza, fratellanza. All’appello, osserva Francesco rallegrandosi, hanno risposto e stanno rispondendo non solo scuole, università e organizzazioni cattoliche, ma anche istituzioni pubbliche, laiche e altre religioni.

Insieme

Questa è la chiave, dice il Pontefice: unirsi, andare avanti insieme. “Anche nel nostro tempo possiamo incontrare valide testimonianze di persone o istituzioni che lavorano per la pace e si prendono cura di chi è nel bisogno”.

Pensiamo per esempio a coloro che hanno ricevuto il premio Nobel per la pace, ma anche a tanti sconosciuti che in maniera silenziosa operano per questa causa

Il modello del Buon Samaritano

Francesco indica come “modello per eccellenza del prendersi cura” il buon samaritano del Vangelo, che ha soccorso uno sconosciuto ferito lungo la strada. “Non sapeva se quello sfortunato fosse una brava persona o un furfante, se fosse ricco o povero, istruito o ignorante… Non sapeva se quella sventura ‘se la fosse cercata’ o no”. Il Vangelo dice: “Lo vide e ne ebbe compassione”, quindi “non si è fatto tante domande” ma “ha seguito il movimento della compassione”.

Leggete la "Pacem in Terris"

Non solo il samaritano, altre due sono le figure che il Papa indica come “testimoni” di riferimento. Il primo è San Giovanni XXIII.

Fu chiamato il “Papa buono”, e anche il “Papa della pace”, perché in quegli inizi difficili degli anni Sessanta marcati da forti tensioni – la costruzione del muro di Berlino, la crisi di Cuba, la guerra fredda e la minaccia nucleare – pubblicò la famosa e profetica Enciclica Pacem in terris. L’anno prossimo saranno 60 anni, ed è attualissima!

Papa Giovanni, afferma Francesco, “si rivolse a tutti gli uomini di buona volontà, chiedendo la soluzione pacifica di tutte le guerre attraverso il dialogo e il disarmo. Fu un appello che riscosse una grande attenzione nel mondo, ben oltre la comunità cattolica, perché aveva colto un bisogno di tutta l’umanità, che è ancora quello di oggi. Per questo vi invito leggere e studiare la Pacem in terris, e a seguire questa strada per difendere e diffondere la pace”.

"I have a dream"

Sempre da quegli anni proviene la testimonianza di “un altro profeta del nostro tempo”, Martin Luther King, premio Nobel per la pace nel 1964, che pronunciò lo storico discorso: “I have a dream”.

In un contesto americano fortemente segnato dalle discriminazioni razziali, aveva fatto sognare tutti con l’idea di un mondo di giustizia, libertà e uguaglianza. Disse: “Io ho un sogno: che i miei quattro figli piccoli vivranno un giorno in una nazione dove non saranno giudicati per il colore della loro pelle, ma per la dignità della loro persona”.

Sognare in grande, sognare a Lisbona

Quello era il desiderio di King: “Qual è il vostro sogno per il mondo di oggi e di domani?”, domanda il Papa ai ragazzi. E li incoraggia “a sognare in grande”, proprio come Giovanni XXIII e Martin Luther King.

Su questa scia, Francesco rinnova l’invito a partecipare nell’agosto 2023 alla Giornata Mondiale della Gioventù di Lisbona. “Chi di voi potrà venire – sottolinea - si incontrerà con tantissimi altri ragazzi e ragazze di ogni parte del mondo, tutti uniti dal sogno della fraternità basata sulla fede nel Dio che è Pace, il Padre di Gesù Cristo e Padre nostro”.

E se non potrete venire fisicamente, vi invito comunque a seguire e a partecipare, perché ormai, con i mezzi di oggi, questo è possibile

Poeti di pace

A conclusione dell’udienza, Papa Francesco augura a tutti “un buon cammino nel tempo di Avvento”: “Un cammino fatto di tanti piccoli gesti di pace, ogni giorno: gesti di accoglienza, di incontro, di comprensione, di vicinanza, di perdono, di servizio… Gesti fatti con il cuore”. Cita infine il poeta Borges quando “termina, o meglio, non termina una sua poesia con queste parole: Ringraziare voglio... per Whitman e Francesco d’Assisi che scrissero già questa poesia, per il fatto che questa poesia è inesauribile e si confonde con la somma delle creature e non arriverà mai all’ultimo verso e cambia secondo gli uomini’.

“Che anche voi – è l’augurio del Papa - possiate accogliere l’invito del poeta di continuare la sua poesia, aggiungendo ciascuno ciò per cui vuole ringraziare. Che ognuno di voi possa diventare poeta della pace! Poeta della pace, capito?”.

Ancora con un sottofondo musicale, il Papa a fine udienza si concede ad un bagno di folla passando in sedia a rotelle tra bambini e ragazzi presenti che dopo aver sventolato striscioni e cartelli, cercano ognuno con il proprio smartphone di immortalare l'incontro ravvicinato con il Vescovo di Roma.
(fonte: Vatican News, articolo di Salvatore Cernuzio 28/11/2022)

Guarda il video


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Di seguito il testo integrale del discorso di Papa Francesco

DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
A STUDENTI E INSEGNANTI PARTECIPANTI ALL’INCONTRO
PER L’EDUCAZIONE ALLA PACE E ALLA CURA

Aula Paolo VI
Lunedì, 28 novembre 2022


Cari ragazzi e ragazze, cari insegnanti, buongiorno e benvenuti!

Sono contento che abbiate risposto con entusiasmo all’invito della Rete Nazionale delle Scuole per la Pace. Grazie di essere venuti! E grazie a tutti coloro che hanno organizzato questo incontro, in particolare al Dottor Lotti.

Mi congratulo con voi studenti e con i vostri educatori per il ricco programma di attività e di formazione che avete intrapreso, che culminerà con la Marcia Perugia-Assisi nel maggio del prossimo anno, dove avrete la possibilità di presentare i risultati del vostro lavoro e le vostre proposte.

Assisi è diventata ormai un centro mondiale di promozione della pace, grazie alla figura carismatica di quel giovane assisano spensierato e ribelle di nome Francesco
, il quale lasciò la sua famiglia e le ricchezze per seguire il Signore e sposare Madonna povertà. Quel giovane sognatore ancora oggi è fonte di ispirazione per ciò che riguarda la pace, la fratellanza, l’amore per i poveri, l’ecologia, l’economia. Lungo i secoli San Francesco ha affascinato tante persone, così come ha affascinato anche me che come Papa ho voluto prendere il suo nome.

Il vostro programma educativo “Per la pace, con la cura” vuole rispondere all’appello per un Patto Educativo Globale, che ho rivolto tre anni fa a tutti coloro che operano nel campo educativo, affinché «si facciano promotori dei valori di cura, di pace, di giustizia, di bene, di bellezza, di accoglienza dell’altro e di fratellanza» (Videomessaggio del 15 ottobre 2020). E mi rallegra vedere che non solo le scuole, le università e le organizzazioni cattoliche stanno rispondendo a questo appello, ma anche istituzioni pubbliche, laiche e di altre religioni.

Perché ci sia la pace, come dice bene il vostro motto, bisogna “prendersi cura”. Spesso parliamo di pace quando ci sentiamo direttamente minacciati, come nel caso di un possibile attacco nucleare o di una guerra combattuta alle nostre porte. Così come ci interessiamo ai diritti dei migranti quando abbiamo qualche parente o amico emigrato. In realtà, la pace ci riguarda sempre, sempre! Come sempre ci riguarda l’altro, il fratello e la sorella, e di lui e di lei dobbiamo prenderci cura.

Un modello per eccellenza del prendersi cura è quel samaritano del Vangelo, che ha soccorso uno sconosciuto che ha trovato ferito lungo la strada. Il samaritano non sapeva se quello sfortunato fosse una brava persona o un furfante, se fosse ricco o povero, istruito o ignorante, giudeo, samaritano come lui o straniero; non sapeva se quella sventura “se la fosse cercata” o no. Il Vangelo dice: «Lo vide e ne ebbe compassione» (Lc 10,33). Lo vide e ebbe compassione. Anche altri, prima di lui, avevano visto quell’uomo, ma erano andati dritti per la loro strada. Il samaritano non si è fatto tante domande, ha seguito il movimento della compassione.

Anche nel nostro tempo possiamo incontrare valide testimonianze di persone o istituzioni che lavorano per la pace e si prendono cura di chi è nel bisogno. Pensiamo per esempio a coloro che hanno ricevuto il premio Nobel per la pace, ma anche a tanti sconosciuti che in maniera silenziosa operano per questa causa.

Oggi vorrei ricordare due figure di testimoni. La prima è quella di San Giovanni XXIII. Fu chiamato il “Papa buono”, e anche il “Papa della pace”, perché in quegli inizi difficili degli anni Sessanta marcati da forti tensioni – la costruzione del muro di Berlino, la crisi di Cuba, la guerra fredda e la minaccia nucleare – pubblicò la famosa e profetica Enciclica Pacem in terris. L’anno prossimo saranno 60 anni, ed è attualissima! Papa Giovanni si rivolse a tutti gli uomini di buona volontà, chiedendo la soluzione pacifica di tutte le guerre attraverso il dialogo e il disarmo. Fu un appello che riscosse una grande attenzione nel mondo, ben oltre la comunità cattolica, perché aveva colto un bisogno di tutta l’umanità, che è ancora quello di oggi. Per questo vi invito leggere e studiare la Pacem in terris, e a seguire questa strada per difendere e diffondere la pace.

Pochi mesi dopo la pubblicazione di quell’Enciclica, un altro profeta del nostro tempo, Martin Luther King, premio Nobel per la pace nel 1964, pronunciò lo storico discorso in cui disse: “Io ho un sogno”. In un contesto americano fortemente segnato dalle discriminazioni razziali, aveva fatto sognare tutti con l’idea di un mondo di giustizia, libertà e uguaglianza. Disse: “Io ho un sogno: che i miei quattro figli piccoli vivranno un giorno in una nazione dove non saranno giudicati per il colore della loro pelle, ma per la dignità della loro persona”.

E voi, ragazzi, ragazze: qual è il vostro sogno per il mondo di oggi e di domani? Vi incoraggio a sognare in grande, come Giovanni XXIII e Martin Luther King. E per questo vi invito a partecipare, l’anno prossimo, alla Giornata Mondiale della Gioventù, che vivremo a Lisbona. Chi di voi potrà venire, si incontrerà con tantissimi altri ragazzi e ragazze di ogni parte del mondo, tutti uniti dal sogno della fraternità basata sulla fede nel Dio che è Pace, il Padre di Gesù Cristo e Padre nostro. E se non potrete venire fisicamente, vi invito comunque a seguire e a partecipare, perché ormai, con i mezzi di oggi, questo è possibile.

Auguro a tutti voi un buon cammino nel tempo di Avvento che abbiamo iniziato ieri: un cammino fatto di tanti piccoli gesti di pace, ogni giorno: gesti di accoglienza, di incontro, di comprensione, di vicinanza, di perdono, di servizio… Gesti fatti con il cuore, come passi verso Betlemme, verso Gesù che è il Re della pace, anzi, che è Lui stesso la pace.

Il poeta Borges termina, o meglio, non termina una sua poesia con queste parole: “Ringraziare voglio... per Whitman e Francesco d’Assisi che scrissero già questa poesia, per il fatto che questa poesia è inesauribile e si confonde con la somma delle creature e non arriverà mai all’ultimo verso e cambia secondo gli uomini”. Che anche voi, ragazzi e ragazze, possiate accogliere l’invito del poeta di continuare la sua poesia, aggiungendo ciascuno ciò per cui vuole ringraziare, quello che vuole. Che ognuno di voi possa diventare “poeta della pace”! Fatevi poeti di pace: avete capito? Poeti di pace.

Grazie di essere venuti! Vi benedico tutti di cuore. E per favore, pregate per me. Grazie.

Guarda il video integrale dell'incontro




«DIO È AL NOSTRO SERVIZIO». LA LEZIONE DI FRANCESCO - di Matteo Zuppi

«DIO È AL NOSTRO SERVIZIO».
LA LEZIONE DI FRANCESCO
di Matteo Zuppi

Parte della prefazione del cardinale Matteo Maria Zuppi,
arcivescovo di Bologna e presidente della Cei,
al nuovo libro di papa Francesco:
“Ti racconto il Vangelo –
 Domenica dopo domenica, riflessioni su Matteo”
(Libreria Editrice Vaticana)



Dio è il Dio del servizio. Francesco lo dice con parole profonde: «Dio ci ha salvato servendoci. In genere pensiamo di essere noi a servire Dio. No, è lui che ci ha serviti gratuitamente, perché ci ha amati per primo. È difficile amare senza essere amati. Ed è ancora più difficile servire se non ci lasciamo servire da Dio».

Roberto Benigni, nel suo film La vita è bella, fa dire queste parole all’anziano zio che spiega al giovane cameriere la dignità del servire sul modello di Dio: «Tu stai servendo, ma non sei un servitore. Servire è l’arte suprema. Dio è il primo servitore. Dio serve gli uomini ma non è servo degli uomini». Proprio così. Dio ci serve e ci salva. Con gratuità, senza rinfacciarci i nostri peccati, i nostri sbagli, le nostre lontananze: «Dio ci ha salvato, ci salva gratis. Non ci fa pagare – annota Francesco –. Si tratta di un principio che Dio ha usato con noi e che noi dobbiamo usare con gli altri».

Ed è proprio qui che Francesco apre un orizzonte che vale per tutti, anche per i non credenti. Perché la vocazione cristiana ha un valore universale, coinvolge tutto. Ecco la Famiglia di Dio, coloro che ascoltano e mettono in pratica il Vangelo; ecco perché la casa comune può esserlo per davvero, anche oltre l’appartenenza riconosciuta. Il Vangelo parlerà dei giusti che saranno benedetti e anche di altri che pensavano di esserlo per appartenenza, e che resteranno fuori dall’amore di Dio. Il Vangelo ha una forza che raggiunge ogni persona, genera fraternità e libera dalla prigione dell’egoismo. Questa forza diventa accoglienza, sensibilità, gratuità, legami di amore che uniscono persone altrimenti lontane, spesso anche nemiche tra loro.

In maniera netta Francesco ci spiega qual è il modus operandi del cristiano: «La logica di Dio è la logica di farsi carico dell’altro. La logica di non lavarsene le mani, la logica di non guardare da un’altra parte. Il «che si arrangino» non entra nel vocabolario cristiano». Non è un caso che Francesco sia andato a pregare sulla tomba di don Lorenzo Milani, il prete che aveva fatto del “I care” (il “mi interessa”, “mi sta a cuore”) il proprio motto, suo e dei ragazzi che a Barbiana hanno ricevuto un’educazione umana, sociale e cristiana all’altezza della sfida dei tempi.

Certo. Non dobbiamo nascondercelo. E Francesco non lo fa. Una vita impegnata nel farsi carico dell’altro e dei suoi problemi incrocia necessariamente la croce. Come potrebbe essere diverso? «Non c’è vero amore senza croce, cioè senza prezzo da pagare di persona. E lo dicono tante mamme, tanti papà che si sacrificano tanto per i figli e sopportano dei veri sacrifici, delle croci, perché amano». Che bello questo riconoscimento della vita di tanti genitori, «santi della porta accanto», che abitano i nostri quartieri e i nostri paesi, e che portano avanti la trasmissione di una generazione anche quando tutto sembra voler andare in direzione contraria!

La croce non è un incidente nel percorso cristiano, bensì la controprova che stiamo seguendo veramente le tracce di Gesù. Pierre Claverie, un vescovo francese ucciso, da martire, in Algeria negli anni Novanta, lo aveva scritto con parole bellissime: «Non c’è vita senza spogliamento, poiché non c’è vita senza amore né amore senza abbandono di ogni possesso, senza gratuità assoluta, dono di sé nella fiducia più disarmata. Amare non è forse preferire l’altro alla propria vita? Senza la morte non ci sarebbe nulla da preferire a noi stessi. Essere pronti a dare la vita per qualcuno è davvero la prova decisiva del nostro amore. Al di qua di questo dono, non abbiamo ancora amato. O, più semplicemente, non abbiamo amato che noi stessi».

Ecco. Dobbiamo aprire gli occhi e scoprire le tante persone che non amano solo se stesse bensì hanno aperto il proprio cuore, nel quotidiano, al dolore e alle gioie degli altri: «Che bello essere cristiani che consolano, che portano i pesi degli altri, che incoraggiano: annunciatori di vita in tempo di morte!». Annunciare la vita in questo tempo di morte. I cristiani hanno questo dovere: sconfiggere il male e la morte perché hanno ricevuto una vita, la vita eterna, che si dispiega nella generosità del tempo e nella solidarietà che non tradisce. Penso ai tanti gesti di gratuità che durante la pandemia hanno costellato la nostra Italia; penso alla grande e diffusa solidarietà che si è manifestata verso gli ucraini profughi di una guerra assurda e fratricida; penso ai tanti volontari che non lasciano soli anziani, senza tetto, carcerati, persone disabili, e si fanno prossimi in una vicinanza che commuove e rinfranca.

Apriamo il cuore alla forza disarmata della Parola di Dio. Lasciamoci interrogare dalla semplicità evangelica con cui Francesco scuote un vangelo ridotto a rassicurante benessere o a mediocre e consolatoria benedizione del nostro individualismo. Lasciamoci ferire dall’amore tenero e forte di Cristo. Leggiamo e rileggiamo questi commenti di papa Francesco, perché la convinzione e la passione con cui il nostro Papa ci aiuta a vivere l’Evangelii gaudium diventi cammino e vita quotidiana.

(Fonte:  “La Stampa” del 27 novembre 2022)

lunedì 28 novembre 2022

La violenza uccide il futuro

All’Angelus l’appello del Pontefice per la fine degli scontri e per la pace in Terra Santa

La violenza uccide il futuro


«La violenza uccide il futuro, spezzando la vita dei più giovani e indebolendo le speranze di pace» in Terra Santa. Il preoccupato monito di Papa Francesco riecheggia in piazza San Pietro all’Angelus nella prima domenica di Avvento. Il Pontefice denuncia «l’aumento della violenza e degli scontri che da mesi avvengono nello Stato di Palestina e in quello di Israele», riferendosi in particolare ai «due vili attentati» che mercoledì scorso «a Gerusalemme hanno ferito tante persone e ucciso un ragazzo israeliano», e alla morte, nello «stesso giorno, durante gli scontri armati a Nablus», di «un ragazzo palestinese». Esortando a pregare per le giovani vittime «e per le loro famiglie, in particolare per le loro mamme», il vescovo di Roma auspica «che le autorità israeliane e palestinesi abbiano maggiormente a cuore la ricerca del dialogo, costruendo la fiducia reciproca, senza la quale non ci sarà mai una soluzione di pace» nella regione. Senza dimenticare «il martoriato popolo ucraino», il Papa assicura anche vicinanza alla popolazione di Ischia colpita da alluvione, mentre prima della recita della preghiera mariana, commentando il Vangelo, parla dell’importanza del tempo liturgico che conduce al Natale, con un invito a lasciarsi «scuotere dal torpore» e a «riconoscere la presenza di Dio nelle situazioni quotidiane».
(fonte: L'Osservatore Romano 28 novembre 2022)


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LA BELLEZZA DI SENTIRSI ATTESI - Prima Lettera per l'Avvento 2022 - Don Mimmo Battaglia, arcivescovo di Napoli

LA BELLEZZA 
DI SENTIRSI ATTESI
Prima Lettera per l'Avvento 2022
Don Mimmo Battaglia,
Arcivescovo di Napoli




“Caro Renato,

scrivo a te, agli albori di questo nuovo Tempo di Avvento che ci è donato, ripensando al nostro incontro di domenica scorsa. Ho ascoltato con molta attenzione quanto hai voluto condividere con noi durante la Giornata diocesana dei Giovani e, ancora una volta, ti dico grazie! Per quello che sei. Per le scelte che hai operato. Per il tuo coraggio. Sai, Renato, io credo che decidere di tornare a Napoli è stato un gesto coraggioso. In questa terra ti sei formato all’interno di una famiglia che ti ha messo nel cuore un seme di vangelo. Poi c’è stato un tempo lungo che ti ha portato in giro per il mondo affinché quel seme potesse germogliare. E sei arrivato, così, a una scelta importante: portare frutto nella terra che ti ha generato. Aver coniugato l’economia alla terra e la creatività che ti contraddistingue, ti hanno portato ad accogliere una sfida: fare impresa a Napoli, nell’agricoltura di innovazione, custodendo la nostra casa comune. Avrai imparato dai ritmi della terra che c’è il tempo della semina e il tempo del raccolto, e tutto il resto è custodire. Proprio per questo immagino la comunità ecclesiale come un luogo privilegiato in cui poter custodire i tuoi sogni affinché crescano come il seme, fino a diventare frutto. L’attesa del raccolto è sempre faticosa, perché è un’attesa laboriosa. E io vorrei che tu ci sentissi al tuo fianco non per insegnarti qualcosa, ma per imparare da te la cura e il rispetto del creato che ci è donato, ad agire con ritmi più vicini al battito del pianeta.

In questa tua storia, in quanto ci hai raccontato a cuore aperto, mi sembra di scorgere proprio i segni di un’attesa, attesa che nasce da un sogno che chiede di diventare segno, attesa che nutre di speranza il nostro cammino e ci invita a non arrenderci, a non fermarci al primo ostacolo, ma a provare a scorgere l’alba di un giorno nuovo anche dentro alle notti più buie. Un’attesa che si nutre della cura di quel seme piantato nel cuore di ciascuno di noi, della sua custodia, del paziente innaffiarlo giorno dopo giorno perché germogli e porti frutti di vita buona.

È necessario essere attenti per poter vegliare. È necessario svegliarsi dal torpore di una vita spenta e mediocre per poter riaccendere i desideri del cuore. È necessario sapersi attesi per poter attendere. E noi, Renato, ciascuno di noi è l’attesa di Dio. Il Signore si fida di noi e affida alle nostre mani e al nostro cuore la cura di quella casa comune fatta di volti, storie, di sguardi che si intrecciano, di vite che si intessono, di strade che si intersecano tra loro per dire a noi stessi e al mondo che insieme si può fiorire meglio, che si può vivere da innamorati che attendono l’amato sapendo di essere essi stessi amati, che i sogni possono diventare segni. Come quello che ci hai raccontato tu, Renato.

Vorrei invitarti, allora, alla pazienza e alla custodia. Vorrei invitare te e tutti, ogni umo e ogni donna di questa amata terra, alla pazienza e alla custodia. Vorrei invitarvi all’amore. Vorrei invitarvi a scorgere in quel sogno che abita dentro di voi, il sogno che Dio tesse per la vostra vita. Che il vostro sogno sia impregnato di Dio. Che il vostro cuore sia pregno di Lui. Del desiderio di vederlo germogliare in ogni frutto che la terra, qualunque essa sia, vorrà donarvi. 
Nella certezza che lui verrà e che dove c’è lui sboccia la bellezza.

Sii paziente, Renato, e fatti custode. Sii paziente, Chiesa mia, e fatti custode. E non pensare mai che quei frutti saranno solo per te. Lascia che chiunque possa innamorarsi della tua terra e del tuo sogno. Permetti a chiunque di essere custode insieme a te. Sii capace di attendere insieme al fratello e alla sorella che ti sono accanto.

Vegliate: il vangelo di questa prima domenica di Avvento sembra quasi dirci che quell’attesa non possiamo viverla da soli, che quel sogno non può essere ridotto solo a quello che vediamo noi. Vegliate. Fatelo insieme. Facciamolo insieme. Tu, Renato, insieme ai tuoi amici. Giovani insieme ad altri giovani. Giovani che sono comunità, giovani che fanno comunità. Sarà questo il frutto più bello della nostra attesa condivisa: esserci messi insieme per sognare sentieri di bene, per gettare semi di bellezza, per rendere la nostra Chiesa casa in cui ognuno possa sentirsi accolto e custodito. Possa sentirsi atteso.

E, se è vero che ogni volto è specchio del Volto, nell’attesa di ogni fratello e di ogni sorella potremo imparare a scorgere l’attesa di Dio. È Dio che ci attende per primo e noi abbiamo bisogno di questa attesa. Abbiamo bisogno di sapere che nessuno sforzo sarà vano, che nessuna lacrima andrà persa, che nessuna fatica sarà inutile. Verrà e sarà carezza sul cuore. Verrà e sarà calore che avvolge. Verrà e sarà gioia piena e senza fine.


“Dicono che c’è un tempo per seminare


E uno più lungo per aspettare


Io dico che c’era un tempo sognato


Che bisognava sognare”


(Ivano Fossati, C’è tempo)


È il nostro tempo. È il tempo dei sogni seminati, dei passi condivisi, dei segni concreti. È il tempo dell’attesa. È il tempo della pazienza. È il tempo della custodia. È il tempo della cura che genera la comunità, che cammina e cresce insieme. È il tempo dell’amore. È il nostro tempo.


Buon tempo, Renato. Buon tempo, miei amati giovani. Buon tempo, buon Avvento mia Chiesa.


†don Mimmo


«Fratelli e sorelle, in questo tempo di Avvento lasciamoci scuotere dal torpore e svegliamoci dal sonno!» Papa Francesco Angelus 27/11/2022 (Testo e video)

ANGELUS

Piazza San Pietro
Domenica, 27 novembre 2022


Cari fratelli e sorelle, buongiorno, buona domenica!

Nel Vangelo della Liturgia odierna ascoltiamo una bella promessa che ci introduce nel Tempo di Avvento: «Il Signore vostro verrà» (Mt 24,42). Questo è il fondamento della nostra speranza, è ciò che ci sostiene anche nei momenti più difficili e dolorosi della nostra vita: Dio viene, Dio è vicino e viene. Non dimentichiamolo mai! Sempre il Signore viene, il Signore ci fa visita, il Signore si fa vicino, e ritornerà alla fine dei tempi per accoglierci nel suo abbraccio. Davanti a questa parola, ci chiediamo: come viene il Signore? E come riconoscerlo e accoglierlo? Soffermiamoci brevemente su questi due interrogativi.

La prima domanda: come viene il Signore? Tante volte abbiamo sentito dire che il Signore è presente nel nostro cammino, che ci accompagna e ci parla. Ma forse, distratti come siamo da tante cose, questa verità rimane per noi solo teorica; sì, sappiamo che il Signore viene ma non la viviamo questa verità oppure immaginiamo che il Signore venga in modo eclatante, magari attraverso qualche segno prodigioso. E invece Gesù dice che avverrà “come ai giorni di Noè” (cfr v. 37). E cosa facevano ai giorni di Noè? Semplicemente le cose normali e quotidiane della vita, come sempre: «mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito» (v. 38). Teniamo conto di questo: Dio è nascosto nella nostra vita, sempre c’è, è nascosto nelle situazioni più comuni e ordinarie della nostra vita. Non viene in eventi straordinari, ma nelle cose di ogni giorno, si manifesta nelle cose di ogni giorno. Lui è lì, nel nostro lavoro quotidiano, in un incontro casuale, nel volto di una persona che ha bisogno, anche quando affrontiamo giornate che appaiono grigie e monotone, proprio lì c’è il Signore, che ci chiama, ci parla e ispira le nostre azioni.

Tuttavia, c’è una seconda domanda: come riconoscere e accogliere il Signore? Dobbiamo essere svegli, attenti, vigilanti. Gesù ci avverte: c’è il pericolo di non accorgerci della sua venuta ed essere impreparati alla sua visita. Ho ricordato altre volte quanto diceva Sant’Agostino: «Temo il Signore che passa» (Serm. 88,14.13), cioè temo che Lui passi e io non lo riconosca! Infatti, di quelle persone del tempo di Noè, Gesù dice che mangiavano e bevevano «e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e travolse tutti» (v. 39). Facciamo attenzione a questo: non si accorsero di nulla! Erano presi dalle loro cose e non si resero conto che stava per venire il diluvio. Infatti Gesù dice che, quando Lui verrà, «due uomini saranno nel campo: uno verrà portato via e l’altro lasciato» (v. 40). In che senso? Qual è la differenza? Semplicemente che uno è stato vigilante, aspettava, capace di scorgere la presenza di Dio nella vita quotidiana; l’altro, invece, era distratto, ha “tirato a campare” e non si è accorto di nulla.

Fratelli e sorelle, in questo tempo di Avvento lasciamoci scuotere dal torpore e svegliamoci dal sonno! Proviamo a chiederci: sono consapevole di ciò che vivo, sono attento, sono sveglio? Cerco di riconoscere la presenza di Dio nelle situazioni quotidiane, oppure sono distratto e un po’ travolto dalle cose? Se non ci accorgiamo oggi della sua venuta, saremo impreparati anche quando verrà alla fine dei tempi. Perciò, fratelli e sorelle, restiamo vigilanti! Aspettando che il Signore venga, aspettando che il Signore ci avvicini, perché Lui c’è, ma aspettando attenti. E la Vergine Santa, Donna dell’attesa, che ha saputo cogliere il passaggio di Dio nell’umile e nascosta vita di Nazaret e lo ha accolto nel suo grembo, ci aiuti in questo cammino di essere attenti per aspettare il Signore che è fra noi e passa.

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Dopo l'Angelus

Cari fratelli e sorelle!

Seguo con preoccupazione l’aumento della violenza e degli scontri che da mesi avvengono nello Stato di Palestina e in quello di Israele. Mercoledì scorso due vili attentati a Gerusalemme hanno ferito tante persone e ucciso un ragazzo israeliano; e lo stesso giorno, durante gli scontri armati a Nablus, è morto un ragazzo palestinese. La violenza uccide il futuro, spezzando la vita dei più giovani e indebolendo le speranze di pace. Preghiamo per questi giovani morti e per le loro famiglie, in particolare per le loro mamme. Auspico che le autorità israeliane e palestinesi abbiano maggiormente a cuore la ricerca del dialogo, costruendo la fiducia reciproca, senza la quale non ci sarà mai una soluzione di pace in Terra Santa.

Sono vicino alla popolazione dell’Isola d’Ischia, colpita da un’alluvione. Prego per le vittime, per quanti soffrono e per tutti coloro che sono intervenuti in soccorso.

E ricordo anche Burkhard Scheffler, morto tre giorni fa qui sotto il colonnato di Piazza San Pietro: morto di freddo.

Saluto con affetto tutti voi, provenienti dall’Italia e da vari Paesi, in particolare i pellegrini di Varsavia e di Granada, i rappresentanti della comunità romena e quelli della comunità di Timor Orientale presenti a Roma, come pure gli ecuadoregni che celebrano la festa della Madonna di El Quinche. Saluto i volontari della Croce Rossa di Acerenza, l’Ente Nazionale Pro Loco d’Italia, i fedeli di Torino, Pinerolo, Palermo, Grottammare e Campobasso. Un grazie speciale rivolgo ai panificatori italiani, con l’augurio di poter superare le attuali difficoltà.

Saluto i partecipanti alla Marcia che si è svolta questa mattina per denunciare la violenza sessuale sulle donne, purtroppo una realtà generale e diffusa dappertutto e utilizzata anche come arma di guerra. Non stanchiamoci di dire no alla guerra, no alla violenza, sì al dialogo, sì alla pace; in particolare per il martoriato popolo ucraino. Ieri abbiamo ricorda la tragedia dell’Holodomor.

Rivolgo il mio saluto al segretariato del FIAC (Forum Internazionale di Azione Cattolica), riunito a Roma in occasione dell’VIII Assemblea.

E auguro a tutti una buona domenica e un buon cammino di Avvento. Per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Buon pranzo e arrivederci!

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