giovedì 31 luglio 2014

Discernere... di Antonio Savone




Discernere...
di Antonio Savone





‘… i pescatori la tirano a riva, si mettono a sedere…’
Solo pochi giorni fa abbiamo avuto modo di ascoltare queste parole di Mt e oggi la liturgia feriale ce le consegna nuovamente mettendole nella bisaccia del nostro andare. Quanta serenità in quella immagine dei pescatori seduti a riva! Gli uomini del regno, afferma Gesù, sono quelli che sanno fare propria l’arte di sedersi per vagliare con attenzione con calma.
In queste parole di Gesù viene messo a tema un rischio, quello di spaventarsi e allarmarsi senza motivo. Per questo è necessario concedersi tempo, il tempo che occorre per passare al vaglio sentimenti, pensieri, emozioni, desideri, chiamando per nome le cose e non temendo di buttare via i cattivi. Il discernimento si compie solo prendendo tempo, curando le disposizioni del cuore e assicurando una giusta comodità. Occorre, perciò, la stessa diligenza dello scriba per non rischiare di essere superficiali e distratti: fare nostre, perciò, l’arte dell’attesa e la forza della pazienza.

La nostra vita come la vita della Chiesa è simile a una rete gettata nel mare: in me c’è il santo ed il peccatore, l’uomo di fede e l’incredulo, colui che è capace di compiere il bene e colui che compie il male. Sta a noi lasciarci continuamente illuminare dalla luce e dalla grazia dello Spirito perché sappiamo diventare conformi a quell’uomo che Dio ha pensato.
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"LA PALESTINA. PREGARE, NON TACERE E AGIRE" di Giancarla Codrignani

Gaza, luglio 2014

LA PALESTINA. 
PREGARE, NON TACERE E AGIRE

di Giancarla Codrignani





Domenica 20 luglio Papa Francesco ha invitato a pregare per le comunità cristiane in Medio Oriente. Pregare in silenzio.

Il peso di un silenzio
Il silenzio significava che non si chiedevano tutele speciali per i cristiani, ormai chiaramente perseguitati in non pochi dei luoghi in cui sono stati da sempre minoranza rispettata. Infatti né Saddam Hussein in Iraq, né Bashar al Assad in Siria, né tanto meno Abu Mazen in Palestina – dove i cattolici sono poco meno del 2% e a Gaza c’è una parrocchia – hanno perseguitato i cristiani. Quel silenzio, tuttavia, pesa come un macigno perché è diventato simbolico: perfino i tanti (certo meno rispetto ad analoghe manifestazioni di anni passati) che in questi giorni hanno partecipato a iniziative di protesta e di sostegno alle vittime palestinesi, di fatto si trovano con le mani legate.

La domanda “che fare?”, se viene posta quando le armi sparano, rimette di fatto la possibilità della pace dentro la contesa e induce anche i testimoni a prendere posizione. Così la guerra si allarga e al massimo le mediazioni possono ottenere qualche pausa alle stragi. Sembrano mesi, ma sono passati pochi giorni da quando il Papa aveva cercato di incoraggiare la pace invitando in Vaticano Peres e Abu Mazen e il mondo aveva applaudito l’abbraccio. Eppure nessun governo ha voluto approfittarne, raccogliere il messaggio e proseguire iniziative distensive e pressioni anche nei confronti di Hamas, la parte palestinese più radicale, che, a sua volta, aveva appena siglato un’intesa insperata con l’Anp, sempre considerata troppo moderata. Nella dissolvenza che ne era seguita l’apparizione televisiva del Presidente dell’Autorità palestinese che abbracciava il presidente dello Stato Ebraico non aveva certo sollevato entusiasmi nei territori occupati. Una frangia incontrollata aveva sequestrato e ucciso tre studenti israeliani e altrettanto orribilmente era seguito l’assassinio di un ragazzo palestinese, di cui Israele aveva subito arrestato gli autori. Hamas ha rinfacciato a Israele la responsabilità dell’atto efferato e ha fatto partire i primi missili: Netanyahu non aspettava altro per sferrare l’attacco a Gaza.

Qual è la pace che si vuole?
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mercoledì 30 luglio 2014

"Non lasciamo soli i Palestinesi" di p.Alex Zanotelli - “La disfatta morale di Israele ci perseguiterà per anni” di Amira Hass



Non lasciamo soli i Palestinesi 

di p.Alex Zanotelli







"La solitudine del popolo palestinese è la vergogna del mondo. Una immensa sofferenza che dura da 70 anni, sfociata adesso in un urlo di disperazione per questa assurda e impari guerra tra Israele e Palestina. E come risposta c’è solo silenzio, indifferenza, sia da parte dell’Unione Europea, sempre più assente, sia da parte dell’Italia, sempre più legata ad Israele, sia da parte della chiesa italiana, sempre più silente.
E’ un grido di dolore che mi tocca profondamente come credente nel Dio della vita, come missionario inviato a costruire un mondo ‘altro’ da quello che abbiamo.  ... "

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Non lasciamo soli i Palestinesi di p.Alex Zanotelli


“La disfatta morale di Israele
 ci perseguiterà per anni”
di  Amira Hass

Scrive la giornalista israeliana su Haaretz: “Se vittoria vuol dire causare al nemico una pila di bambini massacrati, allora Israele ha vinto. Queste vittorie si aggiungono alla nostra implosione morale, la sconfitta etica di una società che ora si impegna a non fare un’auto-analisi, che si bea nell’autocommiserazione a proposito di ritardi nei voli aerei?”

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A Caserta uno storico incontro di Papa Francesco con i Pentecostali (cronaca, testi e video)

Il papa fa il bis. Di nuovo a Caserta dopo la messa celebrata sabato scorso davanti alla Reggia. Il pontefice dopo essere atterrato stamane all’eliporto della Scuola dell’Aeronautica militare, si è recato a bordo di una Ford Focus in via Giotto, dove si trova l’abitazione del leader della locale comunità evangelica pentecostale, Giovanni Traettino. Qui Francesco si è intrattenuto per un incontro privato. La città è blindata. Francesco si è poi recato nella chiesa della Riconciliazione a Caserta a bordo di un’auto blu, accompagnato dal pastore Traettino. Il papa ha con sé una borsa nera da lavoro. Con la mano ha fatto un cenno di saluto ai fedeli che dai balconi dei palazzi circostanti lo hanno chiamato per poi entrare nell’edificio in costruzione accolto dall’applauso dei 350 evangelici presenti...
Ha incontrato e benedetto tre giovani disabili casertani, due ragazze e un ragazzo, quest’ultimo con una grave malattia in stato terminale, Papa Francesco, nel corso della sua seconda visita casertana. Momenti toccanti...


Si è riavvolto presso la Chiesa pentecostale della riconciliazione di Caserta il filo d’amicizia iniziato nella lontana Buenos Aires, tra Jorge Mario Bergoglio e il pastore evangelico pentecostale Giovanni Traettino. Un incontro, quello che è avvenuto stamattina tra i due amici, che assume un valore significativo. Bergoglio è oggi il massimo rappresentante di Santa Romana Chiesa, per cui ogni suo incontro e ogni suo gesto generano ampia risonanza. E rappresentano un passo del cammino della Chiesa nella storia.
All’incontro, che si è svolto in un edificio ancora in costruzione, hanno partecipato circa 200 persone, per lo più evangelici provenienti da Italia, Argentina, Stati Uniti e altri Paesi. Le urla e i canti hanno lasciato spazio a un silenzio solenne quando ha preso la parola il pastore Traettino, da anni impegnato nel dialogo tra carismatici cattolici e carismatici protestanti.
Le sue parole, rotte dalla commozione, hanno indotto i presenti a sciogliersi più volte in applausi di sostegno. “Carissimo papa Francesco, amato fratello mio”, è così che Traettino ha chiamato il Santo Padre, la cui visita l’ha definita “un dono grande e inatteso, impensabile fino a poco tempo addietro”. Il pastore ha poi invitato il Papa a guardare “negli occhi dei bambini e degli anziani, dei giovani e delle famiglie”, per poter “leggere” che “le vogliamo bene”...



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Mai un Papa si era spinto così avanti per l’unità dei cristiani. Il pastore evangelico Giovanni Traettino definisce «speranza per i cristiani» Francesco, la cui visita è «un dono, impensabile fino a poco tempo fa», che supera complicazioni protocollari». Traettino, fondatore e responsabile della «Comunità Cristiana di Caserta» e presidente della Chiesa Evangelica della Riconciliazione è riconosciuto dalle chiese locali che la compongono come un apostolo. 
... Bergoglio lo ha conosciuto nell’ambito del dialogo tra i carismatici cattolici (in Argentina era assistente nazionale del Rinnovamento nello Spirito) e i pentecostali. L’ha rivisto allo Stadio Olimpico lo scorso primo giugno. «Francesco sa andare direttamente al cuore incontrando il fratello lì dove è e così come è», spiega Traettino. Jorge Himitian, pastore della Comunità Evangelica di Buenos Aires, nel 2006, in un incontro ecumenico dei Carismatici nella capitale argentina, fece conoscere Bergoglio e Traettino...

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Antipasto di rustici, verdure e salumi; insalata di pasta per primo; mozzarella di bufala e melanzane "a funghetti" come secondo; pastiera e crostata per dolce: è stato all'insegna dei prodotti tipici della dieta mediterranea il menu offerto a Caserta a Papa Francesco. 
Il Pontefice - ha riferito una fedele che ha partecipato al pasto - ha apprezzato ma con molta sobrietà, e "non è sembrato una grande forchetta", per usare l'espressione con la quale la donna ha commentato il pranzo del Papa. Al piano inferiore dell'edificio dove si è svolto l'incontro con gli evangelici, Bergoglio ha pranzato assieme ai pastori e agli altri fedeli, in tutto una settantina di persone, seduto a tavola tra il pastore Traettino e un pastore evangelico indiano. Al suo arrivo, a Papa Francesco, in casa del pastore Traettino, prima dell'incontro con gli altri pastori e fedeli evangelici, era stato offerto un caffè con alcuni pasticcini.


Un anno senza padre Paolo


 


Un anno senza padre Paolo
di Roberto Zichittella


Un anno senza padre Paolo. Un anno senza la sua voce, i suoi articoli, i suoi appelli, le sue lettere. Ci manca. Perché tante volte, in questi 365 giorni così terribili per quella parte del mondo che egli ama, conosce e abita, padre Paolo avrebbe certamente saputo trovare le occasioni e le parole per aprirci gli occhi, per sferzarci, per scuoterci dalla nostra indifferenza e confusione, dalla nostra assuefazione al dolore degli altri e all’orrore. 
Nell’ultimo anno questo Medio Oriente impazzito ci ha portato nuove tragedie, nuove guerre, nuove crisi umanitarie. 
...
Chissà se padre Paolo, nel suo luogo di prigionia (perché vogliamo crederlo vivo) sa di tutto questo. E chissà quanto gli pesa non farci arrivare la sua parola, non poter comunicare, lui che da uomo libero sapeva farlo così bene. Gli è rimasta solo la preghiera, che sicuramente sta nutrendo i suoi giorni.
Per ovviare al suo forzato silenzio possiamo ritrovare le parole di padre Paolo nei suoi scritti. In questi giorni di ferro e di fuoco è utile rileggere queste righe, dedicate alla civiltà del Mediterraneo: “Questa civiltà è la nostra; non è di certo la sola al mondo, ma essa è chiamata a un immenso sforzo di armonia interiore ed esteriore. È esattamente il contrario della teoria dello «scontro di civiltà» previsto qualche anno fa. Noi ci pensiamo talmente incompatibili! Quando invece la nostra presenza, di cristiani, musulmani ed ebrei, è essenziale per l’autenticità della nostra civiltà”.

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martedì 29 luglio 2014

«I poveri mi hanno convertito» intervista ad Alex Zanotelli


Intervista ad Alex Zanotelli 
a cura di Gerolamo Fazzini



«I poveri mi hanno convertito: scrivilo». Finisce sì, con una frase che sa di "testamento spirituale”, l'intervista che padre Alex Zanotelli ha concesso a Credere, nella quale ha rivisitato mezzo secolo di vita missionaria, sempre giocata in prima linea: in Africa (dapprima Sudan, poi Kenya), alla direzione di Nigrizia e, oggi, nel cuore di Napoli.
Il comboniano, che contende a padre Piero Gheddo del Pime la palma del più noto missionario italiano, compirà 76 anni il prossimo 28 agosto e da poco ha celebrato il cinquantesimo di sacerdozio a Verona, poi nel suo paese natale, Livo, in Trentino.

Padre Alex, perché i poveri ti hanno convertito?
«Perché, come spiega papa Francesco, nella mia esperienza missionaria ho toccato con mano che noi annunciamo il Vangelo, ma Dio è già lì, ci precede sempre. Un episodio che non potrò mai dimenticare mi è accaduto a Korogocho, la baraccopoli di Nairobi dove ho vissuto: andavamo a celebrare l'Eucaristia nelle baracche, con i malati di Aids. Una sera arrivo al capezzale di Florence, una ragazza che la madre aveva avviato alla prostituzione all'età di 11 anni; a 15 aveva contratto l'Aids, a 17 stava morendo. La stanza è tutta buia, accendiamo una candela e mi metto a pregare. 
Poi le chiedo: "Florence, chi è il volto di Dio per te oggi?': Lei resta in silenzio, poi il suo viso si illumina in un sorriso: "Sono io il volto di Dio!',' mormora lei, che non era cristiana e non frequentava la Chiesa. Io, sul letto di morte, non riuscirò a fare una preghiera del genere».

Perché ti sei fatto missionario e perché comboniano?
«La mia vocazione nasce da ragazzino in Val di Non. La scelta missionaria è nata all'indomani di un incontro con un comboniano: io ero uno dei peggiori della classe, ma avevo dentro un forte desiderio di donare la vita. Da lì è nato l'amore per Comboni. La mamma, una delle persone più altruiste che abbia mai conosciuto, mi ha appoggiato. Papà, invece, non era molto contento della mia scelta, almeno all'inizio».



lunedì 28 luglio 2014

Omelia di P. Alberto Neglia (video)


XVII Domenica del Tempo Ordinario (anno A)
27-07-2014


Omelia di P. Alberto Neglia
Fraternità Carmelitana di Pozzo di Pozzo di Gotto




... A volte noi cerchiamo la felicità, la bontà di Dio, il tesoro che è Dio, chissà dove, lo cerchiamo di qua e di là. Davvero il Signore ci parla attraverso il volto di un familiare, di un figlio, di una moglie, di un marito, di una persona anziana... oppure ci parla come dice Agostino: "io ti cercavo fuori e Tu eri dentro il mio cuore". Quindi non dobbiamo andare a cercare chissà dove, ma dobbiamo sempre porci una domanda: che senso dare alla nostra vita? allora ci accorgiamo che, se ci poniamo delle domande serie ed ascoltiamo attentamente il Vangelo di Gesù e lo assimiliamo, piano piano scopriamo che davvero il Regno di Dio, questa perla preziosa di cui ci innamoriamo, questo volto di Dio che si è manifestato in Gesù che ci seduce, che ci prende l'esistenza se ci innamoriamo, piano piano possiamo riorganizzare tutta la nostra vita a partire da questo rapporto intimo e profondo con il Signore che si è manifestato in Gesù e daremo un senso vero, autentico e troveremo la gioia di vivere... Così ha fatto Maria...

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Aspettando padre Paolo Dall'Oglio

Non si sa più nulla di te, caro padre Paolo. Non si sa nemmeno, con esattezza, il giorno in cui dobbiamo celebrare l'anniversario della tua scomparsa: c'è chi dice il 27 luglio, chi il 28, ma probabilmente il giorno del rapimento è il 29. Poco importa, naturalmente. Ci importa, adesso, dirti che il pensiero e la preghiera non sono mai mancati in questi dodici mesi pieni di tristezza e di ansia. 

Noi crediamo, vogliamo credere, che tu sia vivo, a combattere - per quello che ti è possibile - per la pace, a gridare per il dialogo (combattere per la pace, gridare per il dialogo sono frasi che sembrano un controsenso, ma nel tuo caso ci paiono proprio azzeccate) e vorremmo mandarti, seppure a distanza, un grazie e un abbraccio.
...

Ti abbracciamo, dovunque tu sia. Sono tempi duri per i costruttori di ponti: in Siria, in Ucraina, in Israele e in mille altri luoghi... Ma sappiamo che non basta questa consapevolezza a scoraggiarti. “Io ovviamente annuncerò, fino al martirio se necessario, la Buona Novella dell’amore di Gesù!”, scrivevi in un libro di qualche anno fa (Mar Musa. Un monastero, un uomo, un deserto, Paoline 2008); parole che forse dovrebbe andarsi a rileggere soprattutto chi - prima e persino dopo il rapimento - ti ha dipinto come un cristiano all'acqua di rose, un doppiogiochista al servizio dell'Islam. E poi proseguivi: “L’unico mezzo per donare la propria vita per Gesù consiste nell’aiutare ognuno a essere un pellegrino di verità”. 

È quello che hai sempre cercato di fare e certamente farai ancora, tu per primo pellegrino in cammino sulle orme di Abramo. Ti aspettiamo, abuna, per continuare a pellegrinare insieme. 


Guarda il videomessaggio dei familiari

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Angelus del 27 luglio 2014 - Testo e video


 27 luglio 2014 

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Le brevi similitudini proposte dall’odierna liturgia sono la conclusione del capitolo del Vangelo di Matteo dedicato alle parabole del Regno di Dio (13,44-52). Tra queste ci sono due piccoli capolavori: le parabole del tesoro nascosto nel campo e della perla di grande valore. Esse ci dicono che la scoperta del Regno di Dio può avvenire improvvisamente come per il contadino che arando, trova il tesoro insperato; oppure dopo lunga ricerca, come per il mercante di perle, che finalmente trova la perla preziosissima da tempo sognata. Ma in un caso e nell’altro resta il dato primario che il tesoro e la perla valgono più di tutti gli altri beni, e pertanto il contadino e il mercante, quando li trovano, rinunciano a tutto il resto per poterli acquistare. Non hanno bisogno di fare ragionamenti, o di pensarci, di riflettere: si accorgono subito del valore incomparabile di ciò che hanno trovato, e sono disposti a perdere tutto pur di averlo.

Così è per il Regno di Dio: chi lo trova non ha dubbi, sente che è quello che cercava, che attendeva e che risponde alle sue aspirazioni più autentiche. Ed è veramente così: chi conosce Gesù, chi lo incontra personalmente, rimane affascinato, attratto da tanta bontà, tanta verità, tanta bellezza, e tutto in una grande umiltà e semplicità. Cercare Gesù, incontrare Gesù: questo è il grande tesoro!
...
Cari fratelli e sorelle, la gioia di avere trovato il tesoro del Regno di Dio traspare, si vede. Il cristiano non può tenere nascosta la sua fede, perché traspare in ogni parola, in ogni gesto, anche in quelli più semplici e quotidiani: traspare l’amore che Dio ci ha donato mediante Gesù. Preghiamo, per intercessione della Vergine Maria, perché venga in noi e nel mondo intero il suo Regno di amore, di giustizia e di pace.

Dopo l'Angelus

Cari fratelli e sorelle,
domani ricorre il centesimo anniversario dello scoppio della Prima Guerra Mondiale, che causò milioni di vittime e immense distruzioni. Tale conflitto, che Papa Benedetto XV definì una “inutile strage”, sfociò, dopo quattro lunghi anni, in una pace risultata più fragile. Domani sarà una giornata di lutto nel ricordo di questo dramma. Mentre ricordiamo questo tragico evento, auspico che non si ripetano gli sbagli del passato, ma si tengano presenti le lezioni della storia, facendo sempre prevalere le ragioni della pace mediante un dialogo paziente e coraggioso.
In particolare, oggi il mio pensiero va a tre aree di crisi: quella mediorientale, quella irakena e quella ucraina. Vi chiedo di continuare a unirvi alla mia preghiera perché il Signore conceda alle popolazioni e alle Autorità di quelle zone la saggezza e la forza necessarie per portare avanti con determinazione il cammino della pace, affrontando ogni diatriba con la tenacia del dialogo e del negoziato e con la forza della riconciliazione. Al centro di ogni decisione non si pongano gli interessi particolari, ma il bene comune e il rispetto di ogni persona. Ricordiamo che tutto si perde con la guerra e nulla si perde con la pace.

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...

A tutti auguro buona domenica. E non dimenticatevi di pregare per me. Buon pranzo. Arrivederci!


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domenica 27 luglio 2014

XVII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO A) OMELIA di Papa Francesco (testo e video)

XVII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO A)
Vangelo Mt 13,44-52


OMELIA 
di Papa Francesco
Caserta 26/07/2014



Gesù si rivolgeva ai suoi ascoltatori con parole semplici, che tutti potevano capire. Anche questa sera – l’abbiamo sentito – Egli ci parla attraverso brevi parabole, che fanno riferimento alla vita quotidiana della gente di quel tempo. Le similitudini del tesoro nascosto nel campo e della perla di grande valore vedono come protagonisti un povero bracciante e un ricco mercante. Il mercante è da tutta la vita alla ricerca di un oggetto di valore, che appaghi la sua sete di bellezza e gira il mondo, senza arrendersi, nella speranza di trovare quello che sta cercando. L’altro, il contadino, non si è mai allontanato dal suo campo e compie il lavoro di sempre, con i soliti gesti quotidiani. Eppure per ambedue l’esito finale è lo stesso: la scoperta di qualcosa di prezioso, per l’uno un tesoro, per l’altro una perla di grande valore. Entrambi sono accomunati anche da un medesimo sentimento: la sorpresa e la gioia di aver trovato l’appagamento di ogni desiderio. Infine, tutti e due non esitano a vendere tutto per acquistare il tesoro che hanno trovato. Mediante queste due parabole Gesù insegna che cosa è il regno dei cieli, come lo si trova, cosa fare per possederlo.

Che cosa è il regno dei cieli? Gesù non si preoccupa di spiegarlo. Lo enuncia fin dall’inizio del suo Vangelo: «Il regno dei cieli è vicino»; - anche oggi è vicino, fra noi - tuttavia non lo fa mai vedere direttamente, ma sempre di riflesso, narrando l’agire di un padrone, di un re, di dieci vergini… Preferisce lasciarlo intuire, con parabole e similitudini, manifestandone soprattutto gli effetti: il regno dei cieli è capace di cambiare il mondo, come il lievito nascosto nella pasta; è piccolo ed umile come un granello di senape, che tuttavia diventerà grande come un albero. Le due parabole sulle quali vogliamo riflettere ci fanno capire che il regno di Dio si fa presente nella persona stessa di Gesù. È Lui il tesoro nascosto, è Lui la perla di grande valore. Si comprende la gioia del contadino e del mercante: hanno trovato! È la gioia di ognuno di noi quando scopriamo la vicinanza e la presenza di Gesù nella nostra vita. Una presenza che trasforma l’esistenza e ci rende aperti alle esigenze dei fratelli; una presenza che invita ad accogliere ogni altra presenza, anche quella dello straniero e dell’immigrato. È una presenza accogliente, è una presenza gioiosa, è una presenza feconda: così è il regno di Dio dentro di noi...


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sabato 26 luglio 2014

"Un cuore che ascolta - lev shomea" - n. 35/2013-2014 (A) di Santino Coppolino

'Un cuore che ascolta - lev shomea'
Concedi al tuo servo un cuore docile,
perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male" (1Re 3,9)

Traccia di riflessione sul Vangelo della domenica
di Santino Coppolino


VangeloMt 13,44-52





L'immagine del Regno che Gesù ci sta presentando è quella dell'aver trovato in esso la risposta alla pienezza di vita che ogni uomo si porta dentro. E la parola chiave che scaturisce da questa scoperta è la gioia, una gioia incontenibile, una gioia che è la caratteristica di coloro che credono in Gesù: il Regno è per la gioia ed è gioia, e la gioia è la forza di decidersi per il Regno, un tesoro da custodire, vivere e condividere.
Gesù ci esorta a scoprire nel suo messaggio e nell'imitazione della sua vita, quella pienezza alla quale ogni uomo aspira, la perla preziosa che ci fa vendere tutto per possederla, il guadagno autentico per il quale l'apostolo Paolo può esclamare: 
"Per lui ho lasciato perdere tutte queste cose, e le considero come spazzatura"(Fil 3,8)
E' la gioia di questa scoperta che avviene, a volte dopo una faticosa ricerca, a volte in maniera apparentemente accidentale, che determina tutte le azioni successive, che imprime loro una particolare accelerazione. Bisogna essere disposti a lasciare tutto quello che si ha, (non soltanto i beni materiali, ma principalmente i programmi, i progetti e la propria visione di vita, per condividere il progetto di vita del Padre), per entrare in possesso dell'unico grande tesoro, della perla preziosa: è la Metànoia. E' il richiamo allo "Shemà", il comando di amare "il Signore Dio tuo con tutte le tue forze" (Dt 6,5), che significa: con tutti i tuoi beni. 
Le parabole spiegano come si faccia ad amare Dio rinunciando a tutto: ciò è possibile solo se si considera il suo Regno, la sua Signoria su di noi, come un tesoro infinitamente più grande e prezioso di ogni altro bene, per il quale vale gioiosamente la pena di rinunciare a tutte le altre cose. Non si tratta perciò di una perdita, bensì di un guadagno, un guadagno che ci chiama a responsabilità, a vivere in prima persona il tesoro di essere figli, perché possiamo, come scribi divenuti discepoli, riconoscere sul volto del Nazareno le promesse contenute nella Torah, il compimento delle profezie, perché il velo che ne impediva la piena visione, solo da Gesù è stato tolto.  


"La politica dei sogni" di Francesco Comina

La politica dei sogni
di Francesco Comina


Per te, caro don Tonino, la politica si misura unicamente sui sogni. 
E sulla loro capacità di andar lontano. Di essere arditi e impossibili. 
Noi, invece, restiamo irretiti nel pessimismo.



Scusami, don Tonino, se cedo con troppa insistenza al pessimismo e ti offro uno sguardo cupo della situazione nel nostro tempo. Ti vedo un poco risentito perché non sono ancora riuscito a dire qualcosa di buono. Tu sei lì, appoggiato allo scoglio col taccuino in mano in cerca di una ispirazione poetica, pronto a carpire i segni della speranza, e io ti getto addosso tutto lo sconforto del mondo. Lo sai benissimo che stiamo vivendo il tempo della deriva politica, dell’appiattimento culturale, della frammentazione sociale. Su molte questioni hai avuto modo di intervenire e di farti sentire. Essere nel mondo – ci hai insegnato – significa guardare con gli occhi irretorti quello che accade intorno a noi, anche nella penombra, significa scendere in piazza per difendere i diritti dei più deboli, dei migranti, dei prigionieri, vuol dire denunciare le storture senza mai abbandonare i telescopi della speranza anche quando sembra che tutto sia perduto per sempre. Ricordi la lezione di padre Balducci? Ogni volta che l’umanità si è trovata di fronte al pericolo dell’annientamento – ricordava sulla scorta dei grandi antropologi – è emersa una risposta creativa che ha riaperto processi del tutto innovativi. E, citando Ernst Bloch, annotava: “Che sui passaggi intermedi della sua nascita ci sia buio non fa meraviglia. Sappiamo per esperienza che ai piedi del faro non c’è luce”.
Per te la politica si misura unicamente sui sogni. Quanto più aridi di sogni diventano i parlamenti tanto più cupa si fa la crisi e, al contrario, tanto più compatto è il numero dei parlamentari che sognano, tanto più solida si fa la speranza. Converrai con me che in Italia oggi lo sguardo onirico si è rattrappito al punto che vien voglia di guardare indietro, di richiamare alla memoria uomini della prima Repubblica come il sindaco “santo” di Firenze Giorgio La Pira o Giuseppe Dossetti, uomini come Moro, De Gasperi, Lazzatti, donne che hanno vissuto pienamente l’idea politica come Teresa Mattei o Tina Anselmi. La politica, negli anni del dopoguerra, aveva una dimensione alta. La città stava sul monte – per dirla con La Pira – era la comunità che sperimentava l’azione per il bene comune. C’era, insomma, nella visione di questa politica, un’idea di amore per il prossimo, dato di volta in volta, con il suo volto.

Leggi tutto: La politica dei sogni


venerdì 25 luglio 2014

"Non ci sono più cristiani a Mosul"



"Non ci sono più cristiani a Mosul"



Uccisi, depredati o, nel migliore dei casi, cacciati da una città che abitavano da (almeno) 1.400 anni: è il destino dei cristiani di Mosul, la seconda città dell'Iraq, travolta dall'offensiva dei terroristi dell'Isis (Stato islamico dell'Iraq e del Levante), il gruppo islamico radicale che - nato e cresciuto in Siria grazie all'incancrenirsi della guerra civile e all'inerzia dell'Occidente - nelle ultime settimane sta conquistando porzioni crescenti dell'antica Mesopotamia. Prendendo di mira, è bene ricordarlo, non solo i cristiani ma tutte le minoranze, a partire dai musulmani sciiti. 

Con un'azione che ricorda i peggiori pogrom della storia, i terroristi dell'Isis e le milizie sunnite che danno loro man forte hanno addirittura segnato le case dei cristiani di Mosul con il corrispettivo arabo della lettera N, iniziale di Nazareni, il nome con cui i seguaci di Gesù sono chiamati spesso nel mondo musulmano arabo. Ai tremila che avevano resistito durante gli anni, già molto difficili, della guerra civile post-Saddam, è stato intimato di andarsene. Non pochi, naturalmente, quelli che sono stati sommariamente uccisi o sono spariti nel nulla. Distrutti o danneggiati anche molti edifici, tra cui il palazzo episcopale dei siro-cattolici e l'antico monastero di Mar Behnam, da cui i monaci sono stati brutalmente cacciati (così come molte sono state anche le moschee sciite distrutte). 

«Ormai nessun cristiano si trova più a Mosul - ha dichiarato lunedì a Radio Vaticana mons. Saad Syroub, vescovo ausiliare caldeo di Baghdad -. Le famiglie fuggite sono in una situazione molto difficile, perché non hanno niente: sono state derubate della loro macchina, dei soldi, della casa, del lavoro. E non possono tornare. Quindi la situazione è molto critica; c’è bisogno di un intervento urgente per aiutare queste famiglie». 

Proprio sulla necessità di un aiuto concreto e immediato insiste un testo firmato da tutti i vescovi iracheni (che rappresentano il mosaico di confessioni cristiane presenti nel Paese) e diffuso martedì scorso. Con una nemmeno troppo implicita condanna della latitanza delle istituzioni di Baghdad e dell'Occidente, i vescovi scrivono: «Attendiamo azioni concrete per rassicurare il nostro popolo, e non soltanto comunicati stampa di denuncia e di condanna: sostegno finanziario agli sfollati che hanno perduto tutto, pagare immediatamente i salari dei dipendenti statali, indennizzare tutti coloro che hanno subito perdite materiali e assicurare alloggio e continuità nella erogazione dei servizi sociali e scolastici per le famiglie che potrebbero dover trascorrere lungo tempo lontano dalle proprie case». 

Se in questo momento prevalgono le necessità materiali resta, sullo sfondo, la preoccupazione per il destino che attende i cristiani nel lungo periodo, in Iraq così come in molti altri Paesi del Medio Oriente...



Le incomprensioni nella sequela – San Giacomo apostolo - di Antonio Savone


Le incomprensioni nella sequela
San Giacomo apostolo

di Antonio Savone


Lungo la strada che sta portando Gesù a Gerusalemme accade proprio di tutto: entusiasmo e resistenze, candidature e dinieghi. Qualcuno si tira indietro ancor prima di cominciare e qualcun altro pur continuando a seguirlo, in realtà è mille miglia lontano da Gesù e dal suo modo di pensare. Sarà necessario essere guariti nella propria cecità per entrare nella giusta comprensione del proprio stare alla sequela di Gesù.

Chissà cosa deve essere passato nel cuore del maestro di fronte alla sfacciataggine con la quale la madre dei figli di Zebedeo (Mc è più diretto e sostiene siano stai proprio loro a chiederlo) aveva avanzato la sua pretesa: Di’ che questi miei due figli siedano uno alla tua destra e uno alla tua sinistra nel tuo regno.

Non avevano capito nulla, o meglio, senz’altro avevano frainteso. Le parti si erano capovolte e Gesù a registrare l’insuccesso del suo annuncio.

Tra lucidità e incomprensione…

La prima volta – lo ricorderete – ci aveva pensato Pietro: Maestro, questo non ti accadrà mai…; la seconda tutti i discepoli che non avevano trovato di meglio che discutere chi tra loro fosse il più grande; e ora di nuovo. E come se non bastasse nessuno del gruppo a provare a ristabilire le parti. Anzi. Secondo Mc, si scagliano contro Giacomo e Giovanni non perché la loro pretesa era fuori luogo ma perché avevano osato scavalcare tutti con quella loro richiesta. Che gruppo di malassortiti! Non uno all’altezza di quel cammino di sequela che pure avevano intrapreso con tanta generosità. E Gesù davanti a loro che non si sdegna per l’angustia delle visioni dei suoi discepoli e che pazientemente prova a rionnadare i fili di un discorso non facile da condividere.

In realtà, a ben guardare, parafrasando un famoso proverbio, la madre dei figli di Zebedeo è sempre incinta: i figli di Zebedeo, infatti, sono molto più di due e rappresentano, in definitiva, un’autentica categoria storica. Non c’è gruppo religioso, politico, sociale che prima o poi non sollevi la questione del potere e della carriera. Della serie: a me cosa ne viene? Sembra proprio che non sia possibile stare nella vita in pura perdita, gratuitamente come il figlio dell’uomo che è venuto non per essere servito ma per servire e dare la sua vita



Non è un mondo per cristiani di Giuseppe Savagnone


Non è un mondo per cristiani 
di Giuseppe Savagnone 



Ci sono violenze in cui è difficile separare nettamente il ruolo dei carnefici da quello delle vittime. All'opinione pubblica mondiale, giustamente impressionata dal massacro di civili e dalle devastazioni indiscriminate di cui è responsabile in questi giorni l'esercito israeliano nella striscia di Gaza, non può sfuggire che questa azione militare si inserisce in una folle faida pluridecennale, in cui la posta in gioco è stata ed è, dichiaratamente, da parte palestinese, l'annientamento dello Stato d'Israele. Una faida che, peraltro, ha avuto il suo ultimo rilancio con l'assassinio di tre ragazzi ebrei e una pioggia di razzi lanciati da Hamas su obiettivi civili.

Reciprocamente, a chi (come alcuni notissimi giornalisti italiani) fanaticamente identifica le critiche alla politica israeliana con un'ennesima manifestazione di antisemitismo e considera l'operazione in corso un legittimo atto di autodifesa, è facile ricordare le innumerevoli vessazioni a cui Israele ha sottoposto in questi anni - e continua a sottoporre - uomini, donne e bambini palestinesi anche in tempo di "pace" e l'inaccettabilità di uno stile che ricorda purtroppo quello di cui gli stessi ebrei sono stati vittime al tempo del nazismo.

Ferma restando la solidarietà con gli innocenti che, dall'una e dall'altra parte, scontano le responsabilità dei loro capi, si capisce la difficoltà che le persone di buon senso hanno nel condannare unilateralmente l'una o l'altra fazione in conflitto, chiudendo gli occhi sui torti dell'altra. Più che attraverso una simile presa di posizione a favore dell'uno o dell'altro, la pace si può raggiungere attraverso una "conversione" di entrambi (è quello che ha tentato papa Francesco qualche tempo fa) alla logica del dialogo.

Ci sono, però, violenze dove la contrapposizione tra carnefici da una parte e vittime dall'altra è più evidente e in cui sarebbe più possibile e necessario schierarsi dalla parte delle seconde contro i primi. Ma, stranamente, sono quelle di cui si parla di meno e alle quali l'opinione pubblica - a livello sia internazionale che italiano - guarda con minore attenzione, se non addirittura con aperto disinteresse.

Una di queste è la sistematica persecuzione dei cristiani in alcune aree del mondo, come l'Iraq e la Nigeria, ad opera di fanatici che deliberatamente si propongono la loro eliminazione fisica dai territori che essi controllano. In Iraq - ma anche nelle zone della Siria coinvolte dall'offensiva conquistatrice dell'Isil, l'autoproclamatosi califfato islamico che ora controlla questi territori - ai cristiani è stato posta la drastica alternativa tra convertirsi all'islam o abbandonare le loro case, le loro terre, il loro lavoro, senza neppure portare con sé i loro averi mobili. Altrimenti, la morte.

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giovedì 24 luglio 2014

L'attualità del cardinal Martini: «Ogni popolo guardi il dolore dell’altro E la pace sarà vicina»

Questo testo è stato scritto dal cardinale Carlo Maria Martini alla fine del mese di agosto del 2003 in un momento di grave crisi e tensione tra Israele e Palestina.
Purtroppo dopo 13 anni è più che mai di grande attualità...



Torno da Gerusalemme avendo ancora negli orecchi il suono sinistro delle sirene della polizia e delle ambulanze dopo il terribile attentato di martedì 19 agosto. Ma ciò che sempre più ascolto dentro di me non è soltanto il dolore, lo sdegno, la riprovazione, che si estende a tutti gli atti di violenza, da qualunque parte provengano. È una parola più profonda e radicale, che abita nel cuore di ogni uomo e donna di questo mondo: non fabbricarti idoli! Questa parola risuona nella Bibbia a partire dalle prime parole del Decalogo e la percorre tutta quanta, dalla Genesi all'Apocalisse.
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Siamo nel vortice di una crisi di umanità che intacca il vincolo di solidarietà fra tutto quanto ha un volto umano. Nell'adorazione dell'idolo della potenza e del successo totale ad ogni costo è l'idea stessa di uomo, di umanità che viene offesa, è l'immagine stessa di Dio che viene sfigurata nell'immagine sfigurata dell'uomo. Ma proprio da questa situazione, dalla presa di coscienza di trovarsi in un tragico vicolo cieco di violenza - a cui ha fatto più volte allusione il Papa Giovanni Paolo II - può scaturire un grido di allarme salutare e urgente, più forte dell'idolatria del potere e della violenza.

È un grido che si traduce concretamente nel proclamare che non vi sono alternative al dialogo e alla pace. Lo sta da tempo ripetendo in tanti modi Giovanni Paolo II. Ma esso è un grido che precede le dichiarazioni pubbliche, per quanto accorate. Risuona infatti nel cuore di ogni uomo o donna di questo mondo che si ponga il problema della sopravvivenza umana. Di alternativo alla pace oggi vi è solo il terrore, comunque espresso. Quando la sola alternativa è il male assoluto, il dialogo non è solo una delle possibili vie di uscita, ma una necessità ineludibile. Per questo i leader di tutte le parti tra loro contrastanti debbono rischiare senza esitazioni il dialogo della pace.

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 Alla costruzione di muri di cemento e di pietra per dividere le parti contrastanti è preferibile un ponte di uomini che, pur garantendo la sicurezza di entrambe le parti, consenta alle due comunità di comunicare e di intendersi sempre più sulle cose essenziali e su quelle quotidiane.

Certamente l'odio che si è accumulato è grande e grava sui cuori. Vi sono persone e gruppi che se ne nutrono come di un veleno che mentre tiene in vita insieme uccide. Per superare l'idolo dell'odio e della violenza è molto importante imparare a guardare al dolore dell'altro. La memoria delle sofferenze accumulate in tanti anni alimenta l'odio quando essa è memoria soltanto di se stessi, quando è riferita esclusivamente a sé, al proprio gruppo, alla propria giusta causa. Se ciascun popolo guarderà solo al proprio dolore, allora prevarrà sempre la ragione del risentimento, della rappresaglia, della vendetta.

Ma se la memoria del dolore sarà anche memoria della sofferenza dell'altro, dell'estraneo e persino del nemico, allora essa può rappresentare l'inizio di un processo di comprensione. Dare voce al dolore altrui è premessa di ogni futura politica di pace. Non fabbricarti idoli: idolo è anche porre se stesso e i propri interessi al disopra di tutto, dimenticando l'altro, le sue sofferenze, i suoi problemi. Il superamento della schiavitù dell'idolo consiste nel mettere l'altro al centro, così da creare quella base di comprensione che permette di continuare il dialogo e le trattative. 




mercoledì 23 luglio 2014

Rimanere – S. Brigida di Svezia - di Antonio Savone


Rimanere... 

S. Brigida di Svezia

di Antonio Savone



Una serie di figure femminili costella il cammino della Chiesa in questi giorni di fine luglio. Oggi è la volta di Brigida di Svezia, donna che ha conosciuto l’esperienza dell’essere sposa, madre, vedova non con l’atteggiamento di chi deve spremere la vita in ogni suo momento ma facendo sì che ogni circostanza divenisse occasione per consegnare tutta se stessa. Una vita per Dio, quella di Brigida, capace di superare tutto ciò che potesse rientrare nella categoria dell’abitudine. A rileggere la vicenda di questa donna è la splendida pagina del vangelo di Gv.
Santa Brigida
Quella sera, durante la cena delle consegne, a degli uomini che di lì a poco avrebbero patito sulla loro pelle la forza dirompente della dispersione, Gesù rivelava che nessuno di noi è un naufrago dell’esistenza il cui unico appoggio è la zattera del proprio io. Ciascuno di noi è un essere voluto da qualcuno e ciascuno di noi vive nella misura in cui non decide di tagliare il proprio legame con le sue radici. Questo qualcuno per noi è il Signore: senza di me non potete far nulla. Continuamente Dio favorisce innesti facendo che sì che nuova linfa scorra nelle nostre esistenze. Il problema, semmai, è consentirglielo. Egli, infatti, rimane sempre e rimane sempre come colui che non recide il legame con noi.

Per questo Gesù accompagna questa rivelazione con l’invito a rimanere. Perché mai? Forte è la tentazione di dimenticare che questo legame è vitale per noi. Non poche volte a condizionarci è un bisogno di emancipazione da quel legame che, di solito, si risolve soltanto in una amara solitudine. Ogni uomo, sin dalle origini della vicenda umana, conosce sulla sua pelle il sospetto che questo legame con Dio sia mortifero. È la tentazione dell’autosufficienza, quella di essere un tralcio a sé, sebbene reciso dai canali vitali. Una tentazione che non poche volte si traduce come gusto del nulla.

Quella sera, sulle labbra di Gesù, l’invito a rimanere era quello dell’innamorato che implora il suo amore di non lasciarlo, di non andarsene. Il rimanere è il far sì che un incontro diventi relazione, storia. Quanti incontri suscitati da Dio non hanno poi avuto la perseveranza di una relazione!...




Maru e Mekdes... una storia nella storia

Maru non si è fermato neppure davanti al Mediterraneo che voleva inghiottirlo con il barcone con 104 profughi partito venerdì notte da Tripoli. Li ha salvati la Guardia Costiera sabato sera, perché l’uomo, 48 anni, un profugo etiope riparato da tanti anni in Sudan e con in tasca i documenti dell’Acnur, aveva lasciato il numero del satellitare a un’amica italiana, Cornelia Toelgyes, coraggiosa attivista per i diritti umani che da anni segue e documenta le vicende dei profughi sul blog Africa Express, che l’ha prontamente girato alla Guardia costiera. 
 Mekdes con la sua mamma
A Maru non interessa l’Italia. Lui ha uno scopo, è partito per ritrovare sua figlia che oggi ha cinque anni. E, quanto prima, si metterà sulla sua pista, che porta verso l’ignoto. Non la vede da un anno e mezzo, da quando lei e la madre, la sposa di Maru, dovettero lasciare Khartoum. L’etiope nella capitale sudanese aveva un lavoro in un ufficio delle Nazioni Unite. Ma agli integralisti islamici quella coppia mista, lui cristiano e lei musulmana, non andavano giù, e alla fine del 2012 la donna e la piccola furono minacciate di morte...


Erano le undici ed un quarto quando è arrivata la telefonata da un numero satellitare. In un certo senso ero preparata, ma si spera ugualmente che certe chiamate non arrivino mai. Maru mi aveva scritto ieri sera che stava per imbarcarsi da un porto della Libia: “Cornelia, sono Maru, la nostra imbarcazione è in difficoltà. Abbiamo bisogno di aiuto. Stiamo imbarcando acqua. Siamo in centoquattro”. La comunicazione è difficile. La linea cade spesso. Mi richiamano. Immediatamente avverto la nostra Marina Militare, prendono nota del mio SOS.
Durante la giornata di oggi mi hanno ritelefonato spesso. Ho parlato con tante persone diverse, in lingue diverse. Ogni volta erano più disperati. Il carburante era terminato. Non avevano né cibo né acqua con sé. Maledetti trafficanti. Acqua, cibo e carburante pesano. Meglio imbarcare qualche persona in più, piuttosto che le cose di prima necessità. Il guadagno prima di tutto. Se poi muoiono, chi se ne frega. Intanto il pagamento va fatto in anticipo, come un qualsiasi biglietto di trasporto.
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Maru è una storia nella storia. Le persone che sbarcano nella nostra terra portano nell’anima dolori indelebili. Sofferenze atroci, spesso anni di galera per immigrazione clandestina nei vari Paesi che sono costrette ad attraversare per raggiungere la meta. Quasi sempre sono obbligate ad affidarsi a contrabbandieri, che non di rado le vendono a trafficanti di esseri umani. Ricatti e riscatti sono all’ordine del giorno. La morte è sempre in agguato, l’unico conforto sono i sogni, gelosamente custoditi, insieme ai ricordi del passato.
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Il mondo occidentale ha costruito muri per proteggere le proprie frontiere, ma chi è disperato è disposto a sacrifici inimmaginabili, pur di conquistare un briciolo di liberta, il cui prezzo è altissimo. Spesso lo si paga con la vita. Il rifugiato lo sa. Ma è determinato nel ripetersi ogni giorno: “Forse ce la farò”.

Diceva Giacomo Leopardi: “Il forse è la parola più bella del vocabolario italiano, perché apre delle possibilità, non certezze. Perché non cerca la fine, ma va verso l’infinito…”


Vedi anche il nostro post precedente: