sabato 26 luglio 2014

"Un cuore che ascolta - lev shomea" - n. 35/2013-2014 (A) di Santino Coppolino

'Un cuore che ascolta - lev shomea'
Concedi al tuo servo un cuore docile,
perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male" (1Re 3,9)

Traccia di riflessione sul Vangelo della domenica
di Santino Coppolino


VangeloMt 13,44-52





L'immagine del Regno che Gesù ci sta presentando è quella dell'aver trovato in esso la risposta alla pienezza di vita che ogni uomo si porta dentro. E la parola chiave che scaturisce da questa scoperta è la gioia, una gioia incontenibile, una gioia che è la caratteristica di coloro che credono in Gesù: il Regno è per la gioia ed è gioia, e la gioia è la forza di decidersi per il Regno, un tesoro da custodire, vivere e condividere.
Gesù ci esorta a scoprire nel suo messaggio e nell'imitazione della sua vita, quella pienezza alla quale ogni uomo aspira, la perla preziosa che ci fa vendere tutto per possederla, il guadagno autentico per il quale l'apostolo Paolo può esclamare: 
"Per lui ho lasciato perdere tutte queste cose, e le considero come spazzatura"(Fil 3,8)
E' la gioia di questa scoperta che avviene, a volte dopo una faticosa ricerca, a volte in maniera apparentemente accidentale, che determina tutte le azioni successive, che imprime loro una particolare accelerazione. Bisogna essere disposti a lasciare tutto quello che si ha, (non soltanto i beni materiali, ma principalmente i programmi, i progetti e la propria visione di vita, per condividere il progetto di vita del Padre), per entrare in possesso dell'unico grande tesoro, della perla preziosa: è la Metànoia. E' il richiamo allo "Shemà", il comando di amare "il Signore Dio tuo con tutte le tue forze" (Dt 6,5), che significa: con tutti i tuoi beni. 
Le parabole spiegano come si faccia ad amare Dio rinunciando a tutto: ciò è possibile solo se si considera il suo Regno, la sua Signoria su di noi, come un tesoro infinitamente più grande e prezioso di ogni altro bene, per il quale vale gioiosamente la pena di rinunciare a tutte le altre cose. Non si tratta perciò di una perdita, bensì di un guadagno, un guadagno che ci chiama a responsabilità, a vivere in prima persona il tesoro di essere figli, perché possiamo, come scribi divenuti discepoli, riconoscere sul volto del Nazareno le promesse contenute nella Torah, il compimento delle profezie, perché il velo che ne impediva la piena visione, solo da Gesù è stato tolto.