Per cinque giorni la diciottenne Lal Bibi è stata rapita, violentata, torturata e incatenata al muro da un gruppo di potenti ufficiali della polizia afgana. Ma lei ha deciso di fare quel che alle donne afgane è vietato: sta reagendo, e insieme possiamo aiutare lei e tutte le donne afgane a ottenere giustizia.
Secondo una tradizione ancestrale, come donna che ha subìto violenza, Lal Bibi è stata “disonorata” e sarà costretta a uccidersi, come afferma pubblicamente lei stessa, a meno che i suoi aguzzini verranno consegnati alla giustizia per restituirle onore e dignità.
In genere il sistema giudiziario afgano non persegue casi simili e fino a questo momento i maggiori sospettati nel caso di Lal Bibi non sono stati chiamati a giudizio, probabilmente nella speranza che l’attenzione internazionale si attenui.
Ogni giorno che passa senza che avvenga alcun arresto spinge sempre più Lal Bibi al suicidio, ma c’è ancora speranza.
E' stata rapita e violentata per cinque giorni da alcuni poliziotti afghani. Il sesto giorno, anziché uccidersi come spesso accade alle vittime di stupro, è andata a denunciare i suoi aguzzini. Non è convinta di trovare giustizia, ma ha trovato l'appoggio di un gruppo di attivisti che hanno lanciato una petizione online. La storia di Lal Bibi, 18 anni, potrebbe spezzare per la prima volta una delle più antiche «usanze» dell'Afghanisan.
Grandi cambiamenti sociali nascono spesso da coraggiose scelte individuali.
La decisione di una ragazza afgana di denunciare i poliziotti che l’hanno rapita, torturata e violentata, potrebbe innescare uno storico cambiamento nella condizione delle donne in Afghanistan.
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