Mentre la guerra infuria e divide, l’invocazione francescana risuona a Gerusalemme dove bambini e ragazzi studenti della Custodia celebrano la festa liturgica del Poverello d’Assisi
Pace e bene
per la Terra Santa
Pace e bene! Così salutava Francesco d’Assisi, il giovane convertito all’amore di Cristo, il santo della pace che desiderò e immaginò la pace nei tempi oscuri della guerra. Con lo stesso saluto francescano ho accolto nella nostra chiesa di San Salvatore i bambini e i ragazzi della Scuola della Custodia di Terra Santa a Gerusalemme celebrando la messa per la festa di san Francesco nel giorno del suo transito. I nostri bambini e ragazzi vivono con molte difficoltà la tragedia della guerra ma insieme abbiamo pregato per rinnovare ancora la speranza della pace. Dopo un anno doloroso, in Terra Santa la guerra urla ancora e la pace fa fatica a far sentire la sua voce. San Francesco incontrò a Damietta il sultano al-Malik al-Kamil; si presentò povero, umile, armato solo della sua fede in Cristo e il sultano lo ascoltò perché lo riconobbe come uomo di Dio. Un altro Francesco, uomo di Dio dei nostri tempi, cerca la strada del dialogo per affermare il bisogno, la necessità e il desiderio di pace. Ero presente ad Abu Dhabi il 4 febbraio 2019 quando Papa Francesco e il Grande Imam di Al-Azhar, Ahmad Al-Tayyeb, firmarono il Documento sulla fratellanza umana. Fu una dichiarazione storica che Papa Francesco aveva voluto fortemente. Insieme ad Al-Tayyeb chiedeva di sentirsi fratelli e lavorare insieme per la pace giusta, per garantire i diritti umani essenziali e il reciproco rispetto per la libertà religiosa. Il Pontefice e il Grande Imam, uniti, chiedevano agli uomini di fede di credere nella fratellanza umana, di impegnarsi a lavorare insieme per sconfiggere l’odio e la violenza, soprattutto quando odio e violenza sono causati da motivi religiosi.
Il dialogo porta sempre soluzioni. C’è dialogo se c’è un incontro. E dall’incontro nasce la conoscenza dell’altro, del proprio prossimo. Papa Francesco ha sempre affermato che l’odio e la violenza sono incompatibili con la fede, con ogni fede. E chiede ai credenti, a ogni credente di essere testimone e di operare per il bene della pace nel rispetto della differenza. Accogliendo i numerosi appelli del Pontefice in questo anno di guerra, abbiamo più volte chiesto ai potenti del mondo di tornare al dialogo, di arrivare a trattative di pace con intenzioni di pace. Abbiamo chiesto responsabilità nel dare opportunità di pace attraverso proposte concrete e ferme: senza escludere ogni possibile mediazione e senza favorire chi vuole e sostiene la guerra, la morte e la distruzione fisica e morale dell’umanità. Dobbiamo credere nell’uomo creato da Dio a sua immagine, non possiamo più accettare esseri umani sordi alle grida di dolore dei propri simili, non possiamo più accettare esseri umani ciechi davanti agli occhi disperati di propri simili che chiedono indulgenza e pace. Abbiamo chiesto senso di responsabilità a chi può fermare la guerra e non lo fa. Abbiamo chiesto il coraggio della pace nella verità e nella giustizia. E ci sarà giustizia vera quando ogni essere umano non avrà fame e sete, se potrà vivere in sicurezza nella sua terra e nella sua casa, godere dei diritti umani essenziali come la salute fisica e mentale, se gli sarà offerto un livello di istruzione che gli consenta di esprimere il suo pensiero e libertà di agire nella legalità, se gli saranno concessi il rispetto e la dignità dovuti a ogni essere umano.
Abbiamo chiesto agli organismi internazionali di applicare le leggi di diritto internazionale già esistenti per tutelare tutta la “comunità umana”. Non ci siano criteri diversi di applicazione ma siano garantiti i diritti umani essenziali a ogni cittadino del mondo. Abbiamo chiesto alla comunità internazionale maggiore presenza, controllo, autorevolezza per evitare privilegi e interessi e per fermare la catastrofe. Abbiamo chiesto di limitare la fabbricazione, l’uso e il commercio delle armi per non dare ancora strumenti di morte a mani fratricide. Dopo un anno di guerra sta venendo meno la speranza perché viviamo nella violenza quotidiana e non vediamo e non sentiamo condannare e fermare la guerra. Lavorare per la pace significa impegnarsi per affrontare e per risolvere la gravità della guerra, senza girarsi di spalle davanti a un bambino che muore, senza rimandare la possibile salvezza di tante vite, senza aspettare ancora di sfamare e di soccorrere chi ha perso tutto ma che ha diritto al rispetto della dignità umana. La pace fino a ora è stata desiderata, sperata, immaginata.
Mai avrei pensato che la guerra iniziata con il terribile attacco del 7 ottobre potesse così tanto allungarsi nei tempi e allargarsi e dilatarsi dal sud fino al nord di questa importante area geografica. L’amata Terra Santa è stretta in una spirale di violenza che parte da lontano e allarga sempre e ancora il raggio di azione. La guerra distrugge le case costruite con sacrificio e con le mani da uomini responsabili di altre vite. Case che custodivano storie di famiglie e sentimenti, gioie e dolori, ora sono un cumulo di macerie. È incomprensibile allontanare un popolo dalla propria terra, distruggendo e uccidendo, spingendo i sopravvissuti verso luoghi sconosciuti, affrontando pericoli e insicurezze, vivendo nella paura, nella sofferenza e nel disagio.
La pace si concretizza offrendo il diritto allo studio a bambini e a ragazzi che vivono la curiosità e l’entusiasmo dei loro anni. Questo diritto essenziale è stato negato a Gaza dove sono morti 15.000 bambini e ragazzi, dove si sono interrotti bruscamente i percorsi scolastici di centinaia di migliaia di studenti e dove 39.000 ragazzi non hanno potuto affrontare gli esami di maturità alla fine dello scorso anno scolastico. Quando ricomincerà un nuovo anno scolastico a Gaza? Più di 42.000 morti, più di 96.000 feriti e un numero non calcolabile di dispersi sotto le macerie: ogni morto innocente non rappresenta solo un numero del triste bilancio di questa tragedia. Ci sono storie di vita dietro numeri tanto alti di morti, di feriti, di dispersi, di sopravvissuti che dovranno affrontare dolore e sofferenza per il resto dei loro giorni. Possiamo e dobbiamo solo implorare il Dio di tutti, che è Dio di amore, di illuminare le menti di tutti i governanti del mondo intero. Che ognuno di essi sia responsabile e si faccia veramente carico dei bisogni essenziali della vita delle persone.
Le guerre devono essere abolite, eliminate, perché la guerra non può far parte della storia dell’uomo e dei suoi valori universali. La guerra è sempre una sconfitta come dice Papa Francesco. È uno scandalo non fermare la guerra ed è immorale distruggere il futuro di tanti per gli interessi del presente di pochi. Desiderare la pace è un diritto e, allo stesso tempo, un dovere per l’umanità e la pace è il suo progetto di vita più coraggioso.
p. Ibrahim Faltas
Vicario custodiale
(fonte: L'Osservatore Romano 04 ottobre 2024)