Helder Camara
Nato a Fortalesa (Brasile), il 7 febbraio 1909 e morto a Recife (Brasile), il 27 agosto 1999.
Nato in una famiglia numerosa, cresciuto in un ambiente ecclesiastico piuttosto conservatore, ordinato sacerdote nel 1931, si convertì ai poveri quando nel 1952 diventò ausiliare del cardinale di Rio de Janeiro: è in quel periodo che il giovane e dinamico vescovo si conquista sul campo il soprannome di “vescovo delle favelas”.
Nel 1952 è tra i promotori della Conferenza episcopale brasiliana, di cui diventa segretario per dodici anni. Tre anni dopo propone la convocazione a Rio della prima Conferenza dei vescovi latinoamericani.
Nel 1964 Camara viene nominato arcivescovo di Recife, la regione più povera del paese. Negli anni successivi il suo impegno a servizio dei più deboli continuerà senza sosta.
Le sue battaglie hanno un senso evangelico profondo, come esprime con le parole: “La rivoluzione sociale di cui il mondo ha bisogno non è un colpo di Stato, non è una guerra. E’ una trasformazione profonda e radicale che suppone Grazia divina”.
Fu uno dei protagonisti del Concilio Vaticano II. Fece parte del gruppo per la Chiesa dei poveri, promosso a Roma da Padre Gautier e fu tra gli ispiratori del “Patto delle Catacombe”, in cui i vescovi presenti, attraverso la stesura di un documento sottoscritto da centinaia di loro, sollecitavano loro stessi ad un impegno personale circa un maggior distacco dal denaro, a condurre una vita più sobria e per una Chiesa povera, come aveva suggerito papa Giovanni XXIII.
Prima e dopo il Concilio, Camara, denunciava il fatto che la stragrande maggioranza dell’umanità si trovava in una situazione di povertà e disagio, mentre la minoranza benestante organizzava il mondo secondo i propri interessi e questa minoranza corrispondeva in gran parte al mondo cristiano.
Helder Camara va annoverato tra coloro che hanno chiamato a una svolta decisiva la Chiesa del nostro tempo, come dimostrano alcune sue affermazioni: “L’unica guerra legittima è quella che si dichiara all’ignoranza e alla miseria”.
“Se Marx avesse visto intorno a sé una Chiesa incarnata, continuatrice dell’incarnazione di Cristo, se avesse vissuto con cristiani che amavano, in modo reale e con i fatti, gli uomini, come espressione per eccellenza dell’amore di Dio, se avesse vissuto nei giorni del Vaticano II, che ha riassunto tutto ciò che di meglio dice e insegna la teologia circa le realtà terrene, Marx non avrebbe presentato la religione come l’oppio dei popoli e la Chiesa come alienata e alienante”.
E’ morto a novant’anni nella sua casetta di Recife, coi muri sbrecciati per le raffiche di mitra, sparate per intimidirlo negli anni sessanta, quando in Brasile e in quasi tutta l’America Latina dominavano i dittatori.
Ha lasciato una traccia pastorale profonda per la sua straordinaria carica profetica.
Fu uno dei vescovi latinoamericani più amati, grazie alla sua passione per una Chiesa povera e dei poveri, alla sua attenzione per le persone e alla sua fede incarnata.
Per tutta la sua vita ha dovuto fare i conti con questa sua battaglia in favore dei poveri.
Una delle sue frasi passate alla storia è la seguente:
“Quando do da mangiare a un povero, mi chiamano santo, ma quando chiedo perché i poveri non hanno cibo, allora mi chiamano comunista”.
Per tutta la vita Camara ha manifestato una premura per gli ultimi che, prima ancora di assumere i toni della denuncia sociale, si configurava come attenzione alle persone in gesti semplici.
Sono tratti, i suoi, che lo accomunano a papa Bergoglio, come anche lo stile di sobrietà estrema e la presa di distanza dalla mondanità, che Bergoglio non smette di indicare come uno dei mali della Chiesa attuale.
(fonte: Fraternità Arché nella sezione “Testimoni” 27 Agosto 2024)
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Hélder Câmara, un regista del Concilio
di Graziano Zoni* (per Missione Oggi)
Mi è impossibile scrivere di Dom Hélder Câmara (1909- 1999) senza ripensare, anzi rivedere il mio primo incontro con lui. Era l’8 dicembre 1965, giorno di chiusura del Concilio Vaticano II. Andai di buon mattino alla Domus Mariae, dove risiedevano altri vescovi del Brasile, per incontrare “padre” Gianni Gazza, vescovo missionario saveriano di Abaetetuba (Pará), nella ricorrenza della sua consacrazione episcopale. Andammo a colazione insieme. Ad un certo punto si sedette allo stesso tavolo un vescovo in talare nera con una semplice croce pettorale di legno. In mezzo a tanto “rosso” e oro, sarebbe stato difficile non notarlo. Veloci presentazioni, e i due cominciano a chiacchierare. Un po’ in italiano, un po’ in brasiliano. Dom Hélder mangiava talmente poco che fece veloce e se ne andò. Mi venne spontanea una battuta: “Padre Gianni, il tuo amico è ancora in pigiama?”. Ed il padre Gazza mi disse: “Vedi, Graziano, tu non lo conosci ancora, ma questo piccolo vescovo ‘in pigiama’ sarà la nostra salvezza. Non solo della Chiesa, ma di tutta l’America latina ed anche oltre. Se vivrai, vedrai”. E il Signore ha voluto che vivessi, e che vedessi e sentissi la grandezza della testimonianza e dell’azione di questo straordinario vescovo.
Dopo quella colazione, non ebbi più occasione di incontrarlo fino al novembre 1972 quando Dom Hélder partecipò, a Firenze, alla marcia di Mani Tese sull’educazione alla Mondialità. Agli oltre 40 mila “giovani cittadini del mondo” che gremivano il Piazzale Michelangelo e le strade adiacenti Dom Hélder aprì il suo cuore oltre che le sue braccia: “Dio ponga nelle mie labbra, parole di verità, ma verità imbevuta di amore! […] Dio ponga nelle mie labbra parole di fede. Fede in Dio e fede nell’Uomo, fede nell’eternità e fede nel tempo, fede nel cielo e fede nella terra! […] Capite e amate Cristo, Figlio di Dio che s’incarna, si fa uomo, assume i problemi umani, diviene nostro fratello!”.
Questa fratellanza di tutti gli uomini con il Figlio di Dio, per Dom Hélder non era “come se”, ma una verità autentica, vissuta e comunicata a tutti, che si dicano credenti o non credenti. Era per lui la normalità, la più evidente, reale e sicura.
Totalmente mistico e totalmente attivo
Un giorno si presenta alla porta di Dom Hélder un uomo disperato, senza lavoro, con moglie e figli a carico. Sapendo che il Dom si sarebbe dato da fare, gli spiega la sua situazione disperata. E Dom Hélder, gli scrive un biglietto di “raccomandazione” per un suo amico direttore di un grande supermercato a Recife.
Nel biglietto c’è scritto: “Caro fratello, ti mando mio fratello Severino, disperato. Vedi di trovargli un lavoro”. Severino ringrazia e corre subito via. Dopo un po’ squilla il telefono e il direttore del supermercato assicura Dom Hélder che suo fratello Severino ha già un posto di lavoro. E Dom Hélder chiede: “Ma posso star tranquillo che mio fratello Severino è già a posto?”. Il direttore del supermercato, manifesta la sua meraviglia di vedere il fratello di Dom Hélder ridotto in quello situazione, e lo assicura; però gli viene un dubbio, e chiede: “Ma Dom Hélder, lei mi garantisce che Severino è proprio suo fratello?”. E il Dom con voce ferma e sicura risponde: “Sì, Severino è mio fratello, e mio fratello di sangue, perché il Sangue versato da Cristo sul Calvario lo ha versato per tutte le donne e gli uomini della terra. Quindi tutti noi, siamo fratelli e sorelle di Sangue!”. In queste parole si tocca con mano la mistica del Dom.
Al Concilio: un regista senza pari
In un recente libro del card. Etchegaray ho trovato il ritratto più completo di Dom Hélder, là dove afferma che durante il Concilio “ha dato prova di un’esemplare assiduità a tutte le assemblee generali, e tuttavia non ha mai preso la parola in pubblico davanti ai suoi fratelli. Ma non ha esitato a parlare e ad agire dietro le quinte, considerando il Concilio un’immensa drammaturgia che copriva la scena di tutto il mondo, e non solo quella della Chiesa. […] Dom Hélder era un personaggio complesso e contraddittorio ad un tempo. Timido, ma intraprendente. Riservato, ma dotato di ubiquità. Discreto, ma che amava il gioco dei mass media. Un regista senza pari. Indefettibilmente fedele a Pietro, ma svolgendo il ruolo di Paolo. Sicuro delle sue scelte, ma dubitando talvolta della loro pertinenza e preoccupato per le loro conseguenze”.
Anche i momenti più delicati del suo rapporto con “Roma”, il crescente ostracismo e la progressiva emarginazione di cui fu vittima, Dom Hélder li viveva con molta serenità e grande rispetto. Ma, certo, non senza sofferenza. Conservo una sua breve lettera del 25 ottobre 1989, molto chiara al riguardo: “Finché in Italia si continua a parlare del ‘caso del seminario Mons. Camara’ è segno che bisogna che eviti di venire, soprattutto a Roma. È vero che sono convinto di avere ragione, ma per nessuna ragione accetterei di dare l’impressione di essere in lotta col Vaticano. Dio esiste!”. Queste poche righe confermano quanto il card. Etchegaray ha scritto di Dom Hélder definendolo “indefettibilmente fedele a Pietro, ma svolgendo il ruolo di Paolo”.
Roma, due del mattino
Non posso terminare questo mio breve memoriale del Dom senza segnalare una vera “opera” di dom Hélder, che riporta le lettere che Dom Hélder scriveva dal Concilio, quasi ogni giorno alla sua “Famiglia” della diocesi di Rio, prima, e di Recife, poi. Titolo del libro: Roma, due del mattino. Il tempo della sua veglia notturna, della sua “Messa sul mondo”. Vi scopriamo tutto il lavoro di Dom Hélder durante il Concilio, con contatti personali sistematici, per discutere e preparare gli incontri in aula e nei circoli ristretti, il “metodo Helder”, valido anche ai giorni nostri, fatto di dialogo e rispetto, con tutti, di tutti. Dom Hélder, la notte, non dormiva molto. Spesso la passava senza coricarsi.
Ma di “sogni” ne ha fatti e diffusi molti.
Ed ha lavorato ed incitato a lavorare tutte “le minoranze abramitiche” presenti nel mondo, ad unirsi, a fare alleanze… Qualche sogno è diventato realtà, altri restano ancora “sogni”.
LO SPIRITO DEL CONCILIO
Sentite come Dom Hélder racconta un episodio verificatosi in plenaria, che coinvolse il card. Ottaviani, prefetto dell’allora Sant’Uffizio:
“31.10.1962 – Il cardinal Ottaviani ha preso nuovamente la parola. Se avesse detto: ‘Padri Conciliari è evidente che nel Concilio, oltre allo Spirito Santo che guida noi tutti, ci sono il Papa e i Padri Conciliari. E basta. Qui io non sono altro che uno di voi. Sia quindi permesso a un vostro fratello…’ vi garantisco che sarebbe stato ascoltato e forse anche seguito. Invece si è alzato, al solito, come se fosse l’Inquisitore, distribuendo censure, indicando eresie, sollevando allarmi. È stato ascoltato in un silenzio sepolcrale.
All’improvviso il presidente della sessione (il card. J. Bernard Alfrink, arcivescovo di Utrecht, Olanda) ha detto: ‘Reverendissimo Padre, mi voglia perdonare, ma il suo tempo è terminato’. Lui ha voluto insistere. Il presidente è stato irremovibile nel togliergli la parola e il plenario ha applaudito vigorosamente. Questo è lo spirito del Concilio”
(da: Roma, due del mattino, San Paolo, Cinisello Balsamo 2009).
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*Graziano Zoni (1937 - 2017) Dopo diversi anni di militanza in Azione Cattolica, dal 1974 al 1987 Graziano Zoni è stato presidente di Mani Tese ed ha coordinato, a livello nazionale, il Coordinamento Contro la fame cambia la vita e la Campagna Contro i mercanti di morte per una legge sul controllo del commercio delle armi. Dal 1987 al 2008 è stato presidente di Emmaus Italia, movimento internazionale in cui ha continuato a impegnarsi anche successivamente. Ha rivestito incarichi anche in altre associazioni impegnate con l'Africa e per la cooperazione internazionale. Su queste tematiche sociali ha collaborato con diverse riviste.