mercoledì 31 luglio 2024

Olimpiadi 2024. Le lacrime di Benedetta e le reazioni dei veri campioni.

Olimpiadi 2024. 
Le lacrime di Benedetta

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Benedetta Pilato, il talento di gioire (anche) per un bronzo sfiorato

Ha solo 19 anni e avrà tempo per riprovarci. Forse per questo piangeva, prima che il mondo dei feroci vedesse solo lo sconforto dell’insuccesso

La nuotatrice Benedetta Pilato - ANSA

Piangere di gioia, senza che si capisca se sono lacrime di delusione. Oppure il contrario. Perché il confine è sottile. E la mente, a volte, può mentire anche a te stesso, confondere i sentimenti, ribaltare il cuore. Piangere per la felicità di un quarto posto, scaricando così la tensione e l’attesa, mentre il mondo fuori sospetta che sia rabbia per una medaglia sfumata. Un centesimo appena, un soffio di fiato, una goccia d’acqua che cambia il mondo. E a volte anche la vita.

È successo a Benedetta Pilato, in questa Olimpiade già così piena di quarti posti azzurri, rabbia e sospetti. Perde il bronzo per un niente sul cronometro nei 100 metri rana di nuoto. Esce dall’acqua, va alla postazione Rai, e gocciola dagli occhi: «Ci ho provato fino alla fine – dice –, mi dispiace, però sono lacrime di gioia, ve lo giuro. Sono felice: un anno fa non ero neanche in grado di fare questa gara e oggi ho nuotato la finale olimpica. Questo è solo il punto di partenza. Tutti si aspettavano di vedermi sul podio, tranne me. Un centesimo è davvero una beffa. Ma sono felice, è andata bene così... ».

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Non è la prima, non sarà l’ultima. Prendete Filippo Macchi, argento nel fioretto dopo una contestatissima decisione degli arbitri che gli ha scippato la medaglia d’oro. Si è arrabbiato in pedana, ha protestato il giusto. Poi, a mente fredda, ha abbassato i toni: «La scherma – ha detto – è uno sport a discrezione degli arbitri. Ma se sono arrivato secondo è anche colpa mia perché vincevo 14-12 e avrei dovuto essere abbastanza bravo da chiuderla prima, questa finale. L’avversario che mi ha battuto? È un campione, e lo applaudo sinceramente».

Ecco, si chiama stile. La parola che racconta meglio di tutte come siamo, anzi, come possiamo essere nelle difficoltà, nelle emergenze e nelle pressioni. Lì si capisce di che materiale siano fatti gli uomini e le donne. A volte basta un pensiero, una parola detta o non detta, perché lo stile è anche non dire quando è più opportuno tacere. L’Olimpiade ne offre a mazzi di storie del genere. Di persone capaci di vincere ma soprattutto di perdere.

E allora viene in mente che sarebbe bello se potessimo essere come loro, anche solo per un quarto d’ora al giorno. Se sapessimo dire: grazie, va bene così, è comunque un gran risultato. Se riuscissimo a essere concreti e seri, appassionati ma non fanatici, esclusivamente competitivi. Se fossimo capaci di accettare un verdetto, anche doloroso, o un limite che non si è riusciti a oltrepassare: in famiglia, al lavoro, nello sport. Se potessimo mantenere il senso di avercela fatta pur non essendo il numero uno in assoluto, pur avendo altri davanti. Se, insomma, sapessimo vincere e perdere con la stessa forza, compresa la debolezza. Se fossimo capaci di godere appieno delle tante vittorie parziali che ci capitano. Se, in una parola, fossimo diversi. Campioni, comunque campioni.



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Benedetta Pilato e gli altri, si può accettare di perdere di niente?

Hanno fatto discutere il pianto di Benedetta Pilato che si è detta felice a dispetto del quarto posto per un centesimo di secondo e la critica di Elisa Di Francisca che da ex atleta ha trovato incomprensibile la reazione. Ma esiste un modo "giusto" di reagire a caldo o ogni emozione è un caso a sé?


A caldo è tutto concesso, meno forse il vincente che infierisca a parole sull’avversario sconfitto, cosa che onestamente non si vede sovente: il vincitore in genere è sufficientemente focalizzato su di sé per non pensare ad altro ed è una fortuna. Per il resto la fine di una gara olimpica, che spesso è la gara della vita, è un frullatore di emozioni tale, da rendere comprensibili anche reazioni smisurate (rabbia esternata inclusa) e contraddizioni, più o meno apparenti. A chi esce con un quarto posto per un centesimo tutto si può chiedere fuorché la razionalità, sarebbe disumana.

Benedetta Pilato, reduce dalla più crudele delle sconfitte, quarta per un centesimo nei 100 rana, ha trovato lacrime ed emozioni confuse, nelle quali ha provato a spiegare che era contenta del percorso compiuto (lasciare casa, cambiare staff, provare a lasciarsi alle spalle la ferita della squalifica a Tokyo 2020, a 16 anni) anche se forse neanche lei avrebbe saputo discernere quale quota di soddisfazione e di sale ci fosse dentro le lacrime che stava profondendo davanti ai microfoni. Né a lei, né a Filippo Macchi, che negli stessi minuti ha perso la finale di fioretto individuale per una stoccata controversa ripetuta tre volte, si sarebbe potuto chiedere di contare fino a dieci prima di esprimersi: lei ha accettato di parlare dentro una tempesta emotiva a costo di essere incompresa, lui ha scelto di assorbirsela in silenzio a costo di sembrare scortese (per poi affidare a un post parole profonde e meditate).

Diverso è il caso di chi, pur essendoci passato, è chiamato a commentare in diretta: lì sì, varrebbe la pena di contare fino a dieci prima di infierire, anche se, magari proprio perché ci si è passati, non si comprende la reazione a caldo di chi accetta la sconfitta sul filo di lana. Ma può darsi pure che in Elisa Di Francisca e Valentina Vezzali, che hanno criticato in modi diversi chi secondo loro ha peccato di scarsa “cattiveria” agonistica, agisca interiormente l’inconscia consapevolezza ancestrale che nel duello, di cui la scherma è l’evoluzione incruenta, chi perde muore.

Il tema del contendere è il modo con cui si prende una sconfitta: c’è indubbiamente del vero nel fatto che la mentalità del campione implica la capacità di non accontentarsi, l’istinto famelico che serve a prendersi la gara proprio quando la posta è alta. Ad alto livello la competizione non prevede che si porga l’altra guancia, si deve volere (lealmente) vincere senza fare sconti, ma sarebbe (ed è) ingeneroso giudicare la reazione a caldo di chi non ce l’ha fatta. Anche i grandi campioni a volte perdono, senza smettere di essere tali, perché non tutti i giorni sono uguali, perché a volte sbagliano come tutti gli esseri umani, perché c’è un avversario che è stato più forte anche solo per la centesima frazione di un secondo, perché nella testa ci sono scorie difficili da smaltire.

Benedetta Pilato, che ha un forziere da campionessa consumata, avviato a 14 anni con l’oro europeo nei 50 rana, aveva con la distanza doppia un rapporto ambivalente e un conto aperto iniziato a Tokyo con la mancata qualificazione in finale con squalifica per gambata irregolare, rimediato nel 2022 con il titolo mondiale e poi proseguito con un 9° posto al Mondiale di Doha 2024. È probabile che la sua reazione contenesse questa altalena di incertezze. Forse Benedetta ha confusamente sentito, più emotivamente che razionalmente, di essere a un centesimo dal bronzo olimpico ma anche dalla sconfitta dei suoi fantasmi, a un'età, 19 anni, in cui è in vasca c'è ancora tanto potenziale futuro da costruire. L’altra caratteristica che rende i campioni tali, infatti, oltre al saper cogliere le occasioni, è il sapersi mettere alle spalle sconfitte ed errori per guardare avanti. Se ci pensa bene, chi c’è passato di sicuro lo sa. Anche se ogni storia è un caso a sé e va rispettata e anche se tra un’ultima stoccata e un centesimo di secondo nel nuoto, discipline diversissime, passano una serie di differenze difficili da quantificare.
(fonte: Famiglia Cristiana, articolo di Elisa Chiari 30/07/2024)


Il Papa a Ostia tra giostrai e circensi: grazie perché fate sorridere la gente, vi sostengo

Il Papa a Ostia tra giostrai e circensi:
grazie perché fate sorridere la gente, vi sostengo

Francesco in visita oggi pomeriggio nel Luna Park di Ostia Lido per incontrare le comunità dello spettacolo viaggiante e del circo e suor Geneviève Jeanningros che, con la consorella Anna Amelia, svolge da oltre 50 anni una pastorale di vicinanza a questa gente, spesso "messa in riserva": vi sostengo e vi ringrazio per quello che fate. In omaggio al Pontefice uno spettacolo di giocolieri e acrobati e abbracci e regali dai bambini: "Sono contento di vedere questa gioia"

Il Papa nel Luna Park di Ostia Lido

“Il Luna Park di Ostia ti abbraccia”. Uno striscione bianco, piccolo, sottile, quasi perso tra i vari ingranaggi e colori del Raktor, la prima giostra – quella che ti fa finire a testa in giù – all’ingresso del parco di Ostia Lido ha dato il benvenuto oggi pomeriggio, 31 luglio, a Francesco. Il Papa ha interrotto per un giorno l’unico mese di ‘ferie’ estive per recarsi nello storico parco giochi a circa un’ora da Roma e incontrare, come già aveva fatto nel 2015, giostrai e circensi, categoria in sofferenza da dopo la pandemia di Covid che spesso – come hanno detto alcuni rappresentanti della comunità - è messa “in riserva”. A loro il Papa ha dato tutto il suo sostegno, ma in particolare ha voluto esprimere personalmente la gratitudine “perché fate sorridere la gente”. Non una cosa da poco in un tempo di guerre, di crisi e dolori sociali.

La benedizione alla statua della Madonna

Occasione della visita era la benedizione di una statua, all’interno del parco, della “Madonna protettrice dello Spettacolo Viaggiante e del Circo”. Una immagine in gesso della Vergine (“Abbiamo bisogno della Madonna che ci protegge”, hanno detto i giostrai) posta su una colonnina, davanti alla quale il Papa si è fermato per alcuni istanti al suo arrivo facendosi il segno della croce.

La Fiat 500 L con a bordo il Papa nel Luna Park di Ostia Lido

L'abbraccio con suor Geneviéve

Arrivato intorno alle 15.05 sotto una calura di 35 gradi, con la Fiat 500 L che avanzava tra altalene e autoscontri, l’arrivo di Francesco è stato segnato dallo schiocco di due baci inviati con la mano da suor Geneviève Jeanningros. È lei, la piccola sorella di Gesù, da 56 anni in una roulotte con la consorella Anna Amelia in mezzo ai giostrai per una pastorale che abbraccia l’eredità di Charles de Foucauld di “andare dove la Chiesa fatica ad andare”, ad aver organizzato la visita. Lei, la “enfant terrible”, come l’ha apostrofata affettuosamente il Papa che la vede ogni mercoledì a fine udienza generale, dove l’anziana ma guizzante religiosa porta da anni gruppi di nomadi, circensi e persone Lgbt+.

L'incontro con la gente nella sala giochi

“Ma che gioia grandissima che ci regala!”, ha esordito la suora con il suo accento francese, abbracciando il Pontefice. Insieme al parroco della vicina parrocchia di Regina Pacis, don Giovanni Vincenzo Patané, suor Geneviéve ha condotto il Papa in una sala utilizzata per le feste di compleanno dei bambini. Un fragoroso applauso è risuonato all’ingresso del Vescovo di Roma, in sedia a rotelle, con gli assistenti con in mano caramelle e Rosari da distribuire alla gente, in questo curioso scenario. Una statua di Spider Man, una piscina di palline, gonfiabili, distributori di gadget e slot machine, pareti colorate e dipinte coi personaggi dei cartoons: qui Jorge Mario Bergoglio, affiancato da suor Geneviéve e suor Anna Amelia, ha preso posto e si è vissuto il momento con questo gruppo così diversificato.

Il Papa saluta una famiglia

Saluti e regali

Non un dialogo, non un saluto, non una visita nel senso stretto del termine, ma un momento, appunto, in alcuni tratti anche divertentemente confusionario, per stare insieme. Francesco ha preso il microfono e ha detto qualche parola: “Ringrazio tutti voi per quello che fate, per far sorridere la gente”. Ha salutato alcuni bambini che già lo avevano incontrato, piccolissimi, nel 2018 quando aveva celebrato il Corpus Domini a Santa Monica. Ha scherzato quando in tanti hanno ringraziato suor Geneviéve per la sua opera di vicinanza: “Lei sta pure nel circo? Lavora coi leoni?”. “Ce le vogliono levare le suore, non lo permetteremo!”, ha urlato un uomo nel pubblico. “Avanti, io vi appoggio”, ha detto il Papa.

Uno spettacolo di clown e acrobati

Ha poi abbracciato Oscar, 9 anni, che gli ha portato una busta con un carillon a forma di carosello: “Il simbolo delle giostre”. Insieme a questo una letterina privata e una busta azzurra: “Dentro ci sono 5 euro, così ti puoi comprare un gelato”, ha spiegato il bambino. “Un gelato?” è scoppiato a ridere il Papa. Si è fatto serio in più occasioni, quando una mamma gli ha presentato la figlia di cui di recente ha scoperto una malattia o quando un bambino ricciolino si è messo a piangere sussurrandogli qualcosa nell’orecchio. Ha ringraziato la responsabile del Gruppo di preghiera delle mamme che gli hanno assicurato un Rosario per lui e ha guardato con curiosità il gruppetto di acrobati, clown e giocolieri che si sono esibiti in un piccolo spettacolo in suo omaggio, alzando il pollice o ridendo quando gli hanno fatto lo scherzo di un palloncino non annodato che gli è volato tra le mani.

Un momento del breve spettacolo offerto al Papa

"Grazie della sua umiltà"

“Siamo gente piccola possiamo solo ringraziarla. Ci ha fatto un regalo grandissimo”, hanno detto i vari responsabili di questa che loro stessi hanno definito una “grande famiglia”. “Grazie a tutti voi di questa accoglienza così bella. Grazie ai bambini”. “Sono contento – ha aggiunto Papa Francesco – di vedere questa gioia. Avanti coraggio sempre con la gioia”. Da lì foto, singole e di gruppo, strette di mano, una carezza a Maria di 91 anni, un videomessaggio per “nonna Laura” al cellulare del nipote Massimo, la firma anche della preghiera a Maria Madre dello spettacolo viaggiante e del circo stampatagli dal parroco don Giovanni che ha definito il Luna Park “un piccolo angolo di Paradiso”. “La parrocchia ogni tanto stressa, venire qua fa respirare gioia, si respira aria di comunità, una ‘parrocchia piccola’ dove ci si conosce tutti, si può discutere ma ci si ritrova”, ha detto. Mentre un ragazzo, interrompendo il flusso, ha preso il microfono e ha esclamato: “In una giornata in cui i capi di Stato la chiamano per dei consigli, lei invece di parlare con loro è in mezzo a noi per donarci la sua presenza. Grazie della sua umiltà”.

“Grazie a voi”, ha replicato il Papa, “grazie per aiutare alla gioia”. E dopo un saluto ancora a suor Geneviéve, si è congedato dal parco attraversando in auto la piccola folla di persone e giornalisti venuti a immortalare questo momento che ha reso speciale un sonnecchiante pomeriggio di fine luglio a Ostia Lido.

La statua di Maria Madre dello spettacolo viaggiante e del circo

(fonte: Vatican News, articolo di Salvatore Cernuzio 31/07/2024)

Intenzione di preghiera per il mese di Agosto 2024: Preghiamo per i leader politici. (commento, testo, video e tweet)

Intenzione di preghiera per il mese di Agosto 2024 
Preghiamo per i leader politici.


  • Nel Video del Papa di Agosto, Francesco invita a pregare per i leader politici perché “lavorino per il bene comune”.
  • Nel videomessaggio che accompagna la sua intenzione di preghiera, il Papa dice che sebbene la “politica non goda di buona fama”, “è molto più nobile di quanto sembri”.
  • Il Papa invita anche a ringraziare “i molti politici che svolgono il loro compito con uno spirito di servizio, non di potere”.
 
Guarda il video

Il testo in italiano del videomessaggio del Papa

Oggi la politica non gode di buona fama: 
corruzione, scandali, lontana dalla vita quotidiana delle persone.

Ma possiamo progredire verso la fraternità universale senza una buona politica? No.

Come disse Paolo VI, la politica è una delle forme più alte di carità, 
perché cerca il bene comune.

Parlo della Politica con la P maiuscola, non della roba da politicanti. 
Parlo della politica che ascolta la realtà, che è al servizio dei poveri, 
non di quella rinchiusa in grandi edifici con lunghi corridoi.

Parlo della politica che si preoccupa dei disoccupati 
e sa molto bene quanto possa essere triste una domenica, 
quando il lunedì è un altro giorno senza poter andare a lavorare.

Se la vediamo così, la politica è molto più nobile di quanto sembri.

Ringraziamo i molti politici che svolgono il loro compito 
con uno spirito di servizio, non di potere, 
per tutti i loro sforzi per il bene comune.

Preghiamo perché i leader politici siano al servizio della propria gente, 
lavorando per lo sviluppo umano integrale, 
lavorando per il bene comune, 
prendendosi cura di chi ha perso il lavoro e privilegiando i più poveri.

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Nel suo videomessaggio, diffuso dalla Rete Mondiale di Preghiera del Papa, Francesco ammette che sebbene “oggi la politica non gode di buona fama”, “è molto più nobile di quanto sembri”. E aggiunge che sarà possibile “progredire verso la fraternità universale” solo attraverso “una buona politica”.

Un mondo senza politica?

“Oggi la politica non gode di buona fama: corruzione, scandali, lontana dalla vita quotidiana delle persone”. Le prime parole del Papa, nel messaggio che introduce la sua intenzione di preghiera di questo mese, sembrano dire quello che molti di noi pensano: che la politica, cioè, sia un affare sporco nelle mani di chi pensa solo ad arricchirsi o a conquistare potere. Chi fa politica, agli occhi della gente comune, va guardato con sospetto: avrà certamente qualche interesse personale da nascondere.

Con il passare dei secondi, però, si capisce bene che Francesco sta dicendo una cosa diversa. Sta ricordando a tutti noi che un’altra politica è sempre possibile: una “Politica con la P maiuscola”, come la chiama lui, al servizio della gente e in particolare dei più poveri. Noi tutti abbiamo bisogno di “una buona politica”, sottolinea Francesco, “se vogliamo progredire verso la fraternità universale”: la tentazione di farne a meno, spesso evocata dai populismi di ogni genere, è un grande inganno.

Le immagini che accompagnano le sue parole cercano proprio di raccontare questo, alternando situazioni di vita in due contesti diversi: uno in cui le persone fanno da sole (una donna rifugiata, un quarantenne disoccupato, dei bambini senz’acqua, un uomo senzatetto per strada) e un altro in cui, invece, hanno trovato una risposta – a volte di emergenza, a volte duratura – ai loro problemi. Il mondo senza una buona politica e il mondo con una buona politica, appunto.

Un servizio di carità per il popolo

La politica può mettere a dura prova la tenuta morale di chi vi partecipa. Allo stesso tempo, però, può anche essere una vocazione degna di santità e virtù. A questo proposito, all’inizio del video, il Papa riprende le parole di Paolo VI, che definì la politica come “una delle forme più alte di carità, perché cerca il bene comune”.

C’è infatti un valore sociale che supera gli individualismi a favore di un tutto più grande: il popolo. È per questo che i cristiani, specialmente i laici, sono chiamati a partecipare alla vita politica, per poter costruire una società più giusta e solidale. “Un individuo può aiutare una persona bisognosa ma, quando si unisce ad altri per dare vita a processi sociali di fraternità e di giustizia per tutti, entra nel ‘campo della più vasta carità, della carità politica’”, ha scritto proprio Papa Francesco, riflettendo su questo tema nella sua enciclica Fratelli Tutti (2020).

Al servizio dei poveri

Nel suo videomessaggio, Francesco dice che la buona politica non è “quella rinchiusa in grandi edifici con lunghi corridoi”, ma quella che “ascolta la realtà, è al servizio dei poveri e si preoccupa dei disoccupati”.

Quando un politico non lascia spazio al dialogo, alla cooperazione e all’impegno per la dignità delle persone – elementi chiave che il Papa sottolinea in Fratelli Tutti – non si raggiunge lo sviluppo integrale della società. Problemi come la fame e la povertà, le guerre o le crisi ambientali, solo per citarne alcuni, sono esacerbati da una leadership politica egoista e avida di potere.

Le sfide della politica

Padre Frédéric Fornos S.J., Direttore Internazionale della Rete Mondiale di Preghiera del Papa, commenta così l’intenzione di preghiera di questo mese: “Pregare per i politici? La classe politica è il risultato delle nostre azioni. Invece di continuare a screditarli con le nostre parole e i nostri pensieri, aiutiamoli ad essere gli uomini e le donne che vorremmo fossero. Preghiamo per loro come ci invita a fare Papa Francesco. Perché ci vuole un grande coraggio per essere dove sono e per cercare di vivere in modo integro! Mettono in gioco tutto: il loro tempo, la loro vita familiare, le loro capacità, la loro forza fisica, la loro reputazione. Quanto è facile pensare: ‘sono guidati dall’avidità, dal potere, dal denaro, dal loro ego’. E a volte è vero. Ma sono anche molti quelli che si impegnano realmente al servizio del bene comune. E noi? Che cosa facciamo? Che cosa faremmo al loro posto? Almeno possiamo pregare per loro”.


Anche nel mese di Agosto l'intenzione di preghiera del Papa è stata divulgata con un tweet


 

Nessuna tregua (olimpica)

Simul currebant - Giochi di pace

Nessuna tregua (olimpica)


L’applicazione della tregua olimpica avrebbe impedito anche che un razzo massacrasse dodici ragazzini, e ne ferisse oltre trenta, sorpresi sabato pomeriggio mentre giocavano a calcio a Majdam Shams, sulle alture del Golan. Sono morti cercando di far gol e sognando, chissà, di partecipare alle Olimpiadi o più semplicemente di far parte del Mamba, la squadra locale. Avevano tra i 10 e i 16 anni. Ai Giochi sono in gara anche loro coetanei: la più giovane è la skateboarder cinese Zheng Haohao con i suoi 11 anni. Però a Parigi la strage dei giovanissimi calciatori sembra avvolta dal silenzio: non una parola, non un gesto, come se l’omicidio di quei ragazzini che correvano dietro a un pallone non riguardasse anche tutto il mondo dello sport.

All’Angelus, domenica, Papa Francesco ha rilanciato l’appello per la pace: «Bruciare risorse alimentando guerre grandi e piccole», con il fiorente commercio delle armi mentre «c’è tanta gente che soffre per le calamità e la fame», «è uno scandalo che la comunità internazionale non dovrebbe tollerare, e contraddice lo spirito di fratellanza dei Giochi Olimpici appena iniziati».

E a Parigi atlete e atleti condividono storie di riscatto e di speranza che, nella loro essenza, sono esperienze di fraternità. La schermitrice italo-brasiliana Nathalie Moellhausen, 38 anni, ha affrontato in pedana la canadese Ruien Xiao nonostante un tumore alla colonna vertebrale scoperto cinque mesi fa e che, proprio negli ultimi giorni, l’aveva costretta in ospedale. Durante l’incontro si è sentita male ma non si è voluta ritirare: ha perso 15-11 e subito è stata ricoverata per un intervento chirurgico. Moellhausen ai Giochi voleva proprio esserci, anche per un gesto solidale con le persone che vivono l’esperienza della malattia.

Nella prova di cross country di mountain bike è arrivata terza ma gli abbracci sono stati tutti per lei: Jenny Rissveds, svedese, 30 anni, è caduta nella depressione, con disturbi alimentari, dopo aver vinto l’oro ai Giochi del 2016. Il successo ottenuto «troppo presto» a prezzo di rinunce forzate e anche la morte improvvisa dei nonni «hanno spento la luce» nella sua vita. «Per due anni sono rimasta completamente bloccata» racconta Rissveds.

Con un percorso di riscatto è «tornata a vivere e al ciclismo», fondando il Team 31 per richiamare l’articolo della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, approvata dall’Onu nel 1989, che riconosce «al fanciullo il diritto di dedicarsi al gioco e ad attività ricreative proprie della sua età». Rissveds non perde occasione per denunciare «i rischi per la salute mentale» degli atleti: ieri in gara c’erano, tra gli altri, il nuotatore britannico Adam Peaty e la ginnasta statunitense Simone Biles, che non nascondono il «buco nero» nelle loro vite.

La prima ad abbracciare Rissveds dopo il traguardo è stata la statunitense Haley Batten, 25 anni, giunta seconda, che le è stata vicina «sulla strada della rinascita», in particolare dopo aver avuto, l’anno scorso, una commozione cerebrale per una caduta. Sono amiche vere: Rissveds, in piena corsa per le medaglie, passando davanti ai box ha avvertito il meccanico degli Stati Uniti che Batten era attardata da una foratura. Il pronto cambio della ruota ha consentito il recupero della ciclista che ha poi superato l’amica in volata.
(fonte: L'Osservatore Romano, articolo di Giampaolo Mattei 29/07/2024)

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martedì 30 luglio 2024

Renato Sacco Sì, è uno scandalo!

Renato Sacco
Sì, è uno scandalo!

PUBBLICATO IN MOSAICO DI PACE IL 29 LUGLIO 2024


Unisco anche la mia piccola voce per gridare allo scandalo. Non è possibile tollerare certe cose. La comunità internazionale di fronte a questo scandalo non può tacere.

Credo sia questione di civiltà. In questo modo rischiamo di assuefarci a tutto. Dobbiamo reagire! Lo ritengo uno scandalo: come uomo, membro dell’umanità intera. Come cittadino italiano. E come credente. Mi sento offeso anche come credente, come cristiano. Come si può accettare tutto questo? Credo dovrebbe esserci un moto di indignazione corale. Da parte di tutti, a partire da tutti coloro che hanno nel vangelo la lampada come guida dei propri passi. No, io non lo accetto. Non ci sto, non posso vedere e sentire certe cose.

Ovviamente mi riferisco a quanto detto da papa Francesco all’Angelus di domenica: "E mentre nel mondo c’è tanta gente che soffre per le calamità e la fame, si continua a costruire e vendere armi e a bruciare risorse alimentando guerre grandi e piccole. Questo è uno scandalo che la comunità internazionale non dovrebbe tollerare, e contraddice lo spirito di fratellanza dei Giochi Olimpici appena iniziati. Non dimentichiamo, fratelli e sorelle: la guerra è una sconfitta!"

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Vedi anche il post:


Alberto Pellai LE PAROLE DEL PADRE DI FILIPPO TURETTA SONO UN ABISSO DI DOLORE. NON GIUDICHIAMOLO

Alberto Pellai

LE PAROLE DEL PADRE DI FILIPPO TURETTA SONO UN ABISSO DI DOLORE. NON GIUDICHIAMOLO

Quelle frasi insensate, dette in un momento di disperazione, non andavano rese pubbliche

Foto Ansa da uno speciale del TG1

Penso che sia stato un errore enorme riportare sui media le conversazioni tra un genitore e il figlio 23enne in carcere per femminicidio. Perché in quelle parole non si troverà mai la verità di nessuno, ma solo il senso di disperazione e ineluttabilità di fronte a qualcosa che nessun genitore potrà mai normalizzare o accettare nella propria dignità di persona, così come nella propria identità paterna o materna. Incontrare in carcere un figlio che si è macchiato di un assassinio trova i suoi genitori incapaci di capire cosa dire e cosa fare.

Se non sbaglio, quei due genitori che oggi si trovano raccontati su tutti i media nazionali, quando il loro figlio assassino è stato catturato e consegnato alla giustizia hanno chiesto di rimandare per settimane il loro primo colloquio con quello stesso figlio, scoprendosi totalmente incapaci di capire che cosa una mamma e un papà possano fare o dire in un contesto di simile gravità. Le frasi che sono state dette in un colloquio che mai avrebbe dovuto diventare pubblico rappresentano, probabilmente, un tentativo con cui tenere a freno la paura che un figlio si faccia fuori. In quelle parole non c’è il credo di un genitore, ma la sua disperazione. Non c’è il desiderio di assolvere l’enorme errore di un figlio, ma solo un tentativo per fare in modo che non si tolga la vita.

Così come un medico non guarda la fedina penale di un suo paziente a cui deve salvare la vita, lo stesso fa un genitore con il proprio figlio assassino. Desidera, comunque, che resti vivo. Perché a quel figlio ha dato la vita. Perché nel tenerlo vivo, spera che la vita e un tempo lunghissimo di espiazione si trasformino in occasioni di riparazione e riabilitazione. C’è un padre che ha raccontato al mondo tutto questo: è il papà di Erika, che non ha mai smesso di andare a trovarla e di esserle padre nonostante sia stata l’assassina di sua moglie e di suo figlio. Nessuno di noi può minimamente immaginare che abisso di dolore vivono questi genitori, un dolore che è probabilmente identico a quello dei genitori che vedono i propri figli e figlie assassinate. E questo messaggio è stata una delle prime dichiarazioni ufficiali fatte proprio da Gino Cecchettin, il padre di Giulia.

Tutto ciò che viene reso pubblico di questa vicenda negli ultimi giorni, non è altro che uno spaventoso e macabro circo che non ha nulla a che fare con i temi che riguardano la prevenzione della violenza di genere. Dietro alle pubblicazioni dei dialoghi resi pubblici, c’è solo l’insensibile avidità con cui questo mondo della comunicazione non si ferma più davanti a nulla, inventando spaventose scene ed immagini di una pornografia del dolore che non conosce limiti. In cui tutti diventano gladiatori pensando di essere giustizieri. Io penso che il problema non sia nelle parole che un padre disperato ha detto ad un figlio disperato. Io ritengo che il problema stia nel fatto che quelle parole non avrebbero mai dovuto essere rese pubbliche, generando solo reazioni scomposte.

Non è così che si combatte la cultura della violenza. Anzi penso, che questo approccio serva solo ad alimentarla ulteriormente.
(fonte: Famiglia Cristiana 29/07/2024)


lunedì 29 luglio 2024

Don Mimmo Battaglia “VENGA IL TUO SPIRITO E SOFFI SULLE VELE DELLA NOSTRA CITTÀ”

Don Mimmo Battaglia: “VENGA IL TUO SPIRITO E SOFFI SULLE VELE DELLA NOSTRA CITTÀ”

Don Mimmo Battaglia ha celebrato in piazza Giovanni Paolo II l'esequie delle vittime del crollo della Vela Celeste


Ecco il testo dell’Omelia di Don Mimmo Battaglia all’esequie di Patrizia Della Ragione, Margherita Della Ragione e Roberto Abbruzzo, deceduti per il crollo della Vela Celeste.:


“Cari fratelli e sorelle,

ci troviamo qui in questa periferia della nostra città, periferia spesso simbolo di tutte le periferie non solo della nostra città ma del nostro paese, periferia che purtroppo oggi diventa il centro dell’attenzione di tutti non per la sua rinascita, ma perché ancora una volta l’odore della morte e della paura pervade le sue vie e i cuori dei suoi abitanti. Gli abitanti di Scampia, che per già molto tempo hanno subito etichette mediatiche frettolose e generalizzanti, che hanno tanto lottato per scrollarsi di dosso un’opinione pubblica che legge le situazioni con una superficialità spesso più attratta dalla decadenza del male che dai tanti segni primaverili di riscatto, oggi si ritrovano qui, insieme all’intera città, per piangere Roberto, Patrizia, Margherita e per pregare per la guarigione di Carmela, Martina, Giuseppe, Luisa, Patrizia, Mya, Anna, Greta, Morena Suamy e Annunziata, vittime di un crollo che va ben oltre le macerie di cemento e ferro, assurgendo a simbolo di un crollo sociale che deve essere arginato, prevenuto, evitato, non solo qui ma in tutte le periferie della nostra città, del nostro Sud, della nostra Italia! Periferie che possono rinascere, che possono diventare simbolo di una resurrezione possibile, come ci insegna proprio la nostra Scampia che, al di là di certe narrazioni parziali e stereotipate, ha saputo sempre rialzarsi, diventando un esempio di autentica resilienza e riscatto, grazie all’onestà e all’impegno di tanti suoi figli e figlie, Chiesa, società civile e istituzioni che, quando si alleano per il bene comune, possono compiere veri e propri miracoli.

Quest’ora però è l’ora del silenzio e della preghiera, l’ora dell’affidamento di queste sorelle e di questi fratelli alla tenerezza di un Dio che non è indifferente al nostro dolore ma che piuttosto ha scavato tra quelle macerie, si è fatto presente attraverso il soccorso dei volontari, della Croce Rossa, della Protezione Civile, dei Medici e degli Infermieri, della Caritas, delle Parrocchie e di tutte le Istituzioni che stanno facendo quanto è possibile per essere vicini alla sofferenza della nostra gente, al dolore di queste famiglie lacerate. Queste vite spezzate, queste storie interrotte sono ora tra le braccia di Dio e dove noi vediamo l’ombra della morte Dio vede la vita, dove noi pronunciamo la parola fine Dio pronuncia la parola inizio, dove per noi cala il sipario sul paesaggio di questo mondo per Dio si spalanca l’orizzonte della vita eterna, di una vita senza fine nel suo amore senza fine.

Afferrati dal dolore e dalla rabbia, oggi, facendo nostre le parole di Marta vorremmo dire a Gesù: “Signore, se tu fossi stato qui, nostro fratello Roberto, le nostre sorelle Margherita e Patrizia non sarebbero morti!”. Rimproverando così il Signore per la sua apparente assenza e non prestando attenzione alla promessa che oggi ci dona: “Queste vostre sorelle e questo vostro fratello risorgeranno”. Perché, anche noi, come Marta, pensando alla resurrezione futura, avvertiamo che quel giorno per noi è così lontano, quell’assenza è insopportabile e quell’attesa impossibile: “Si, Signore, sappiamo che risorgeranno, ma quel giorno per noi è troppo lontano e il dolore della mancanza è troppo forte”.


E mentre il nostro discorso si rivolge intimorito ad un futuro distante, Gesù irrompe con un presente che spacca il tempo e annulla le distanze, un presente che afferma una speranza capace di donare luce tra le ombre fitte della morte: “Io sono la risurrezione e la vita”. Lo sono ora, in questo momento, per te, per voi, per tutti. Si, il Signore Gesù è la resurrezione e la vita, il suo Vangelo è la buona notizia da cui ripartire, l’unica speranza che può illuminare la notte del dolore, la bussola che può davvero orientare – non solo Scampia ma tutte le periferie del nostro Sud – verso nuovi orizzonti di rinascita comunitaria, verso un futuro in cui il bene comune diventa un “sistema” di vita capace di rovesciare e sovvertire ogni sistema di morte!

Ecco, oggi il Signore dice ai familiari di Roberto, Patrizia e Margherita e a tutti noi: “Io ci sono, sono con voi, e sono la vita! Sono colui che ha accolto nel suo seno i vostri amati, che non li ha abbandonati nelle mani della morte, che ha raccolto il loro ultimo respiro trasformandolo in un soffio eterno di vita, sono colui che non consente che le loro vite spezzate vengano abbandonate nell’oblio, sono l’Amore che permette al vostro amore di rimanere vivo, intatto, forte, nonostante le distanze e la mancanza”.

Sorelle e fratelli, il nostro dolore e il nostro sgomento, le lacrime di queste famiglie segnate da queste morti assurde e improvvise si mescolano con le lacrime stesse di Gesù. Gesù piange dinanzi alla morte di Lazzaro. Gesù non è impassibile dinanzi al dolore e alla sofferenza dei suoi amici! Si, Dio piange con noi e per noi: siamo noi i suoi amici, Roberto, Patrizia e Margherita sono i suoi amici e Lui non consentirà mai, come non l’ha consentito per Lazzaro, che la morte li strappi via. Vedete, il contrario della morte, il suo opposto, il suo vero nemico non è la vita ma l’amore. Perché l’amore, come ci ricorda il Cantico dei Cantici, è più forte della morte. E nell’amore, nell’amore di Dio, tutti potremmo sempre ritrovarci, ricomponendo i legami, assottigliando l’udito, aguzzando la vista per imparare ad ascoltare e vedere coloro che abbiamo amato e che, custoditi dalla tenera mano di Dio, ci sono accanto sempre, seppur in un modo diverso e nuovo. Dalle lacrime di Dio impariamo il cuore di Dio. Il perché della nostra risurrezione sta in questo amore fino al pianto. Risorgiamo adesso, risorgeremo dopo la morte, perché amati.

Carissimi familiari di Roberto, Patrizia, Margherita, so bene che il vostro dolore è immenso e proprio per questo vorrei che sentiste la vostra comunità, la nostra Chiesa napoletana, vicina al vostro cuore ferito, pronta a portare con voi questa croce e a starvi accanto. Siamo con voi, disposti a condividere il vostro dolore e sostenervi con la forza della fede condivisa in Colui nel quale i vostri cari vivono e grazie al quale vi sono e vi saranno accanto per sempre!

Cari fratelli e sorelle in questa giornata di dolore non manchi però la preghiera incessante per i feriti ricoverati all’Ospedale del Mare, al Cardarelli e per i piccoli e le piccole ricoverate al Santobono: preghiamo per la loro guarigione e manifestiamo il nostro affetto e la nostra vicinanza concreta e fattiva ai loro familiari che vivono ore difficili ed estenuanti!

Che da questa nostra assemblea attraversata dal dolore, si innalzi un’invocazione al Cielo affinché lo Spirito dell’Amore, lo Spirito del Risorto soffi ancor più forte sulle nostre ferite, sulle ferite di chi ha perso una persona cara, di chi teme di perderla, di chi è stato costretto ad abbandonare la propria casa!

Venga Signore il tuo Spirito e soffi la tua consolazione sui cuori lacerati dei familiari e degli amici di Roberto, Margherita e Patrizia, accarezzi il loro dolore, accompagni i loro passi in questo tempo difficile abitato dall’assenza e dalla mancanza, sussurri al loro intimo la certezza della vita che non muore, allontani da loro la tentazione della disperazione e doni alla loro anima la capacità di sentire che il legame che li univa ai propri cari non è stato interrotto ma trasformato!

Venga Signore il tuo Spirito e soffi il tuo conforto sui feriti, sui loro familiari, sui medici e sugli infermieri che se ne prendono cura! Sia la loro forza in questo tempo di veglia e di cura, alimenti la lampada della loro speranza e faccia sentire loro l’affetto e la solidarietà della comunità cristiana e dell’intera famiglia di Napoli!

Venga il tuo Spirito e soffi sulle strade di Scampia, dove in queste ore gli sfollati camminano tra timori e speranze, dove tante persone costrette alla precarietà portano il peso di giorni difficili, dove tante famiglie lottano per un domani migliore, per un presente e un futuro abitato dalla giustizia e dalla pace!

Venga il tuo Spirito e soffi sulle vele della nostra città, non su quelle di ferro e cemento deteriorate dal tempo e dall’incuria, ma su quelle vive, quelle fatte di carne, su quelle che oggi più che mai devono essere dispiegate, su quelle che raccontano un passato di dolore e di lotta, e la cui stoffa lascia intravedere il colore della resilienza, della forza di chi non si arrende, della tenacia di chi spera ancora nel domani, della fede evangelica di chi trova bellezza anche nelle sue cicatrici!

Venga il tuo Spirito e soffi su chi ha il compito di governare e amministrare il bene comune, affinché attraverso politiche di risanamento e di inclusione, possa rispondere con azioni concrete e immediate alle vite segnate dalla sofferenza, perché la politica è autentica se fa sua l’etica della cura, e solo la cura può trasformare il dolore in speranza, la sfiducia dei singoli in un nuovo slancio comunitario!

Venga il tuo Spirito e sospinga le nostre barche alla deriva, i tanti battelli marginali che navigano ancora tra mille tempeste e anelano un porto in cui sentirsi al sicuro, soffi sulle vele spiegate dei tanti marinai i cui volti e i cui nomi sono sconosciuti ai potenti di questo mondo ma non al Signore!

Venga il tuo Spirito e soffi sulle vele di chi naviga controcorrente, bramando una città più giusta e accogliente, una città davvero solidale in cui nessuno riesca a dormire sereno se un solo bambino rischia la vita per il semplice fatto di abitare in una casa degradata di un edificio degradato, una città in cui nessuno si tiri fuori dall’esigenza di solidarietà e prossimità se una parte della comunità vive nel disagio e nella precarietà!

Venga il tuo Spirito e faccia risorgere da queste macerie e da questo dolore una comunità più giusta, in cui sia per sempre abbattuto quel muro invisibile che divide i figli di questa città, che separa le tante Napoli che si sfiorano senza mai incontrarsi!

Venga il tuo Spirito e soffi sulle vele della nostra anima, sospinga al largo la nostra amata Napoli, conforti ogni suo dolore, fasci le sue ferite e la conduca verso il porto sicuro della giustizia, della solidarietà e della pace!

Venga il tuo Spirito e ci convinca nell’intimo che la morte non è la fine di tutto, anche se fa male, e che la vita umana non finisce mai sotto una tomba.

Roberto, Patrizia, Margherita, noi vi prendiamo per mano e vi accompagniamo con la preghiera, l’unica cosa a noi possibile e concessa, nel melodioso e aureo silenzio dell’eternità, fonte inesauribile di speranza. E questa preghiera ci fa sentire la vostra vicinanza in quell’ovunque senza tempo né spazio né distanza.

E continuerete a suggerirci che non bisogna mai rassegnarsi, mai darsi per vinti, che la vita va vissuta con dignità e con coraggio, e che la speranza non deve morire mai. C’è una fessura aperta sull’oltre, su ciò che dura al di là del tramonto del giorno: credere nella resurrezione è sapere che il nostro amare non è inutile, ma sarà raccolto goccia a goccia e vissuto per sempre; che il nostro lottare non è inutile; che non va perduta nessuna generosa fatica, nessuna dolorosa pazienza. Che nessuna lacrima andrà perduta, mai.

Ci aiuti il Signore a far risorgere ogni giorno, ogni ora la speranza. E a vivere da risorti. Dalla parte della vita. Dalla parte della giustizia. Nella luce della resurrezione.
(fonte: Chiesa di Palermo 29/07/2024)

Il rifugiato e la star in fila a mensa

Il rifugiato e la star in fila a mensa


Un atleta del Team dei rifugiati, che vive e si allena in un campo profughi africano, in fila alla mensa del Villaggio olimpico con un cestista strapagato della Nba che non fa valere titoli e conto in banca per passare avanti. È la normalità in quella provvisoria “isola che non c’è” chiamata Olimpiadi: uno spazio dove, almeno per qualche giorno, ogni quattro anni, donne e uomini anche di Paesi in guerra vivono l’uno accanto all’altro anche se i potenti non accolgono la proposta della tregua olimpica. Uno spazio dove le atlete e gli atleti hanno la stessa dignità, indipendentemente dal medagliere, dalle classifiche agonistiche o dal Paese di provenienza.

A Parigi le Olimpiadi hanno preso il via — la sera di venerdì 26 luglio, al termine di una giornata iniziata con un massiccio attentato alla rete ferroviaria francese — con una controversa cerimonia di apertura che «ha purtroppo incluso scene di derisione e di scherno nei confronti del cristianesimo che deploriamo profondamente» afferma la Conferenza episcopale francese in un comunicato. «Ringraziamo i rappresentanti di altre confessioni religiose che ci hanno espresso la loro solidarietà» scrivono i vescovi francesi che aggiungono: «Questa mattina pensiamo a tutti i cristiani di ogni continente che sono stati feriti dall’oltraggio e dalla provocazione di certe scene. Vogliamo che capiscano che la celebrazione olimpica va ben oltre i pregiudizi ideologici di alcuni artisti». E concludono rilanciando l’autentico spirito olimpico: «Facciamo spazio al campo di gara, che porti verità, consolazione e gioia a tutti!».

Sì, spazio alle atlete e agli atleti — messi da parte ieri nella cerimonia di apertura — con le loro appassionanti storie umane di riscatto e di fraternità, di sacrificio e di lealtà, di spirito di gruppo e di inclusione. E proprio dando voce alle emozioni degli sportivi, il presidente del Comitato olimpico internazionale, Thomas Bach, li ha invitati «a prendersi cura l’uno dell’altro», uno stile che è più del fair play, indicando l’esperienza del Team olimpico dei rifugiati. La “squadra di tutti” che rappresenta oltre 100 milioni di sfollati nel mondo e non perde di vista la consapevolezza del ruolo inclusivo e sociale dello sport.

È d’accordo, pur senza nascondere storture e opacità, Nadia Comăneci — ieri tra i tedofori della fiaccola olimpica lungo la Senna — che ha pagato con abusi e violenze i suoi successi olimpici sotto il regime di Ceauşescu in Romania: «Si dice che l’eredità di un campione sia rappresentata dalle sue medaglie, dal suo posto in classifica e dai suoi record mondiali. Sono stata considerata “la migliore di tutti i tempi” nella ginnastica. Ma credo che un vero campione sia “qualcosa di più” delle sue prestazioni agonistiche. Non basta essere “la migliore”», perché «un vero campione» sa dare «il suo contributo alla società: proprio le Olimpiadi potrebbero rappresentare quel qualcosa in più».

Sicuramente è così per Assunta Scutto, ventiduenne judoka in gara già stamani a Parigi, che arriva dalla “palestra del riscatto” di Scampia, quartiere di Napoli dove in questi giorni si raccolgono i pezzi di palazzi e di speranze. «Lo sport è sempre inclusivo e a Scampia sta costruendo il futuro di un sacco di persone» racconta, confidando di non aver mai pensato ad andarsene dalla periferia dove è nata: «Con la pulizia del judo cerco di aiutare Scampia a migliorare e, con l’aiuto di Dio che sento forte vicino a me, voglio continuare a farlo».
(fonte: L'Osservatore Romano, articolo di Giampaolo Mattei 27/07/2024)

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Per completezza d'informazione riportiamo anche le scuse degli organizzatori della cerimonia di apertura:

A due giorni dalla Cerimonia di apertura dei Giochi Olimpici, l'organizzazione di Parigi 2024 si è "scusata" con le religioni che hanno potuto sentirsi "offese" da alcuni passi della Cerimonia di apertura.

Contemporaneamente, su uno dei punti che aveva sollevato la protesta dei vescovi di Francia e di forze di destra ed estrema destra, le drag queen a una tavola che ricordava l'Ultima Cena, l'uomo che ha firmato la cerimonia, il "creativo" Thomas Jolly, ha negato in modo netto: "non mi sono ispirato all'Ultima Cena, era una festa con Dioniso, un rito pagano". ...



domenica 28 luglio 2024

Papa Francesco: «Offrire, rendere grazie e condividere.» Angelus del 28 luglio 2024 (Testo e video)

ANGELUS

Piazza San Pietro
Domenica, 28 luglio 2024


Cari fratelli e sorelle, buona domenica!

Oggi il Vangelo della Liturgia ci parla del miracolo dei pani e dei pesci (cfr Gv 6,1-15). Un miracolo, cioè un “segno”, i cui protagonisti compiono tre gesti che Gesù tornerà a ripetere nell’ultima cena. Quali sono questi gesti? Offrire, rendere grazie e condividere.

Primo: offrire. Il Vangelo parla di un ragazzo che ha cinque pani e due pesci (cfr Gv 6,9). È il gesto con cui riconosciamo di avere qualcosa di buono da dare, e diciamo il nostro “sì”, anche se ciò che abbiamo è troppo poco rispetto alle necessità. Questo viene sottolineato, nella Messa, quando il sacerdote offre sull’altare il pane e il vino, e ciascuno offre se stesso, la propria vita. È un gesto che può sembrare poca cosa, se pensiamo agli immensi bisogni dell’umanità, proprio come i cinque pani e i due pesci di fronte a una folla di migliaia di persone; ma Dio ne fa la materia per il miracolo più grande che esista: quello in cui Lui stesso, Lui stesso!, si rende presente in mezzo a noi, per la salvezza del mondo.

E così si comprende il secondo gesto: rendere grazie (cfr Gv 6,11). Il primo gesto è offrire, il secondo è rendere grazie. Dire cioè al Signore con umiltà, ma anche con gioia: “Tutto quello che ho è dono tuo, Signore, e per ringraziarti io posso solo ridarti quello che Tu per primo mi hai donato, assieme al tuo Figlio Gesù Cristo, aggiungendovi quello che posso”. Ognuno di noi può aggiungere qualche cosina. Cosa posso dare al Signore? Il piccolo cosa può dare? Il povero amore. Dire: “Signore, ti amo”. Noi poveracci: l’amore nostro è così piccolo! Ma possiamo darlo al Signore, il Signore lo accoglie.

Offrire, rendere grazie, e il terzo gesto è condividere. Nella Messa è la Comunione, quando insieme ci accostiamo all’altare per ricevere il Corpo e il Sangue di Cristo: frutto del dono di tutti trasformato dal Signore in cibo per tutti. È un momento bellissimo, quello della Comunione, che ci insegna a vivere ogni gesto d’amore come dono di grazia, sia per chi dà sia per chi riceve.

Fratelli, sorelle, chiediamoci: io credo davvero, per grazia di Dio, di avere qualcosa di unico da donare ai fratelli, oppure mi sento anonimamente “uno fra i tanti”? Sono protagonista di un bene da donare? Sono grato al Signore per i doni con cui continuamente mi manifesta il suo amore? Vivo la condivisione con gli altri come un momento di incontro e di arricchimento reciproco?

La Vergine Maria ci aiuti a vivere con fede ogni Celebrazione eucaristica, e a riconoscere e gustare ogni giorno i “miracoli” della grazia di Dio.

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Dopo l'Angelus

Cari fratelli e sorelle!

Assicuro la mia preghiera per le vittime della grossa frana che ha travolto un villaggio nel sud dell’Etiopia. Sono vicino a quella popolazione così provata e a quanti stanno portando soccorso.

E mentre nel mondo c’è tanta gente che soffre per le calamità e la fame, si continua a costruire e vendere armi e a bruciare risorse alimentando guerre grandi e piccole. Questo è uno scandalo che la comunità internazionale non dovrebbe tollerare, e contraddice lo spirito di fratellanza dei Giochi Olimpici appena iniziati. Non dimentichiamo, fratelli e sorelle: la guerra è una sconfitta!

Oggi si celebra la Giornata Mondiale dei Nonni e degli Anziani. Il tema “Nella vecchiaia non abbandonarmi” (cfr Sal 71,9). L’abbandono degli anziani è, infatti, una triste realtà alla quale non dobbiamo abituarci. Per molti di loro, soprattutto in queste giornate estive, la solitudine rischia di diventare un peso difficile da sopportare. La Giornata odierna ci chiama ad ascoltare la voce degli anziani che dicono: “Non abbandonarmi!” e a rispondere: “Non ti abbandonerò!”. Rafforziamo l’alleanza tra nipoti e nonni, tra giovani e anziani. Diciamo “no” alla solitudine degli anziani! Il nostro futuro dipende molto da come nonni e nipoti impareranno a vivere insieme. Non dimentichiamo gli anziani! E un applauso a tutti i nonni, a tutti!

Saluto tutti voi, romani e pellegrini venuti da varie parti d’Italia e del mondo. In particolare saluto i partecipanti al Congresso Generale dell’Unione dell’Apostolato Cattolico; i ragazzi dell’Azione Cattolica di Bologna e quelli dell’Unità pastorale Riviera del Po–Sermide, in diocesi di Mantova; il gruppo di diciottenni della diocesi di Verona; e gli animatori dell’Oratorio “Carlo Acutis” di Quartu Sant’Elena.

Mando un saluto a quanti partecipano alla conclusione della Festa della Madonna del Carmine a Trastevere: stasera ci sarà la processione della Madonna “fiumarola” sul Tevere. Impariamo da Maria, nostra Madre, a praticare il Vangelo nella vita quotidiana! Avevo sentito qualche canto neocatecumenale… Poi mi piacerebbe risentirlo!

Auguro a tutti una buona domenica. E per favore non dimenticatevi di pregare per me. Buon pranzo e arrivederci!

Guarda il video


Preghiera dei Fedeli - Fraternità Carmelitana di Pozzo di Gotto (ME) - XVII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO B

Fraternità Carmelitana 
di Pozzo di Gotto (ME)

Preghiera dei Fedeli

XVII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO B

28 luglio 2024 


Per chi presiede

Fratelli e sorelle, il Dio nostro, il Dio di Gesù si è rivelato come il difensore dei poveri, dei forestieri, dei derelitti. Nessuno è escluso dalla sua misericordia e dalla sua provvidenza. E nel suo Figlio Gesù, nato da Maria, ci ha dato un pane, che ci sostiene nel cammino della vita. A Lui, con umile fiducia innalziamo, le nostre preghiere ed insieme diciamo:

R/   ascoltaci, Signore 

  

Lettore

- Signore Gesù, Tu hai voluto consegnare alla tua Chiesa in memoria perenne il gesto dello spezzare il pane. Esso racchiude tutto il senso della tua vita donata e condivisa. Fa’ che tale gesto non sia una semplice ripetizione rituale, ma segni profondamente la nostra esistenza cristiana e caratterizzi il nostro modo di abitare in mezzo alla comunità degli uomini. Preghiamo.

- Sii vicino, Signore Gesù, a tutte le comunità ecclesiali, che ogni domenica si radunano nel tuo Nome per celebrare l’Eucarestia. Fa’ che – sull’esempio di Maria, nostra Madre e Sorella – la loro vita si traduca in un vero rendimento di lode e di ringraziamento. E dona a tutti e a ciascun battezzato la coscienza del mistero che celebra, perché il tuo pane spezzato e condiviso faccia crescere la comunione fraterna tra i partecipanti e il senso di vera fraternità umana nel territorio in cui essi vivono. Preghiamo.

- Ti affidiamo, Signore Gesù, i progetti e gli impegni di tante associazioni, che hanno a cuore la fame e la miseria degli altri. Sostieni con la tua grazia tutte quelle organizzazioni non governative che sono presenti in varie parti del mondo per affrontare il dramma provocato dalle guerre, dalla fame e dalle malattie. Dona a tutti loro uno sguardo di vera compassione. Preghiamo.

- Ti affidiamo ancora, Signore Gesù, le nostre vite, le nostre case, i nostri familiari, i nostri anici e i nostri vicini. Ti vogliamo affidare anche tutte quelle persone che non riusciamo ad amare o con le quali siamo in conflitto. Ispiraci pensieri di pace, di mitezza e di grande comprensione verso gli altri. Preghiamo.

- Davanti a Te, Gesù Pane di vita, ci ricordiamo dei nostri parenti e amici defunti e delle vittime del coronavirus [pausa di silenzio]; ci ricordiamo anche di tutti coloro che muoiono a causa della fame, dell’inquinamento e di malasanità. Dona a tutti di contemplare il tuo Volto di luce e di pace. Preghiamo.


Per chi presiede

Signore Gesù, aiutaci a dare alla nostra vita il volto di una esistenza eucaristica: la compassione, il dono di sé, la condivisione e la solidarietà contribuiscano a superare ogni forma di mercificazione e di egoismo, e a rendere più umano e fraterno il nostro mondo. Te lo chiediamo perché tu sei nostro Signore e Fratello, vivente nei secoli dei secoli. AMEN.


"Un cuore che ascolta - lev shomea" n° 36 - 2023/2024 anno B

"Un cuore che ascolta - lev shomea"

"Concedi al tuo servo un cuore docile,
perché sappia rendere giustizia al tuo popolo
e sappia distinguere il bene dal male" (1Re 3,9)



Traccia di riflessione sul Vangelo
a cura di Santino Coppolino


XVII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO B 

Vangelo:

Gv 6,1-15

Cuore del capitolo sesto del Vangelo di Giovanni è il "tema del Pane" dove il termine è presente per ben 21 volte sulle 25 di tutto il Vangelo. Si tratta di un pane che i discepoli ancora non conoscono, che non può essere acquistato con denaro, un pane che sazia ogni fame dell'uomo e dona la «Vita Eterna», la Grazia, cioè, di vivere della stessa vita di Dio vivendo da fratelli. Questo Pane di Vita è Gesù, e solo chi vive di Lui, chi si fa figlio nel Figlio vivendo da fratello, ne può mangiare. Chi, invece, prende parte al banchetto della vita vivendo solo per se stesso «mangia e beve la propria condanna» (1Cor 11,29). A differenza dei Sinottici, Giovanni non narra l'istituzione dell'Eucaristia perché, in effetti, ne ha fatto l'argomento principale di tutto il suo Vangelo. Nel sesto capitolo, infatti, l'evangelista ne illumina il Mistero, esplicitando le reali conseguenze per la sua comunità nei capitoli che seguono (13-17). Il Pane della Vita, dono di Grazia, è amarci gli uni gli altri come da Gesù siamo amati, spezzando anche noi, come Lui ha fatto, la nostra vita per i nostri fratelli. Perciò, il Comando di Gesù: «fate questo in memoria di me», non significa tanto ripetere senza fine le sue parole e i suoi gesti sul pane e sul vino, trasformando tutto in un rito, ma è il «comandamento nuovo» di offrire la nostra vita nell'amore e per amore. Come Lui ha fatto. 

sabato 27 luglio 2024

PRIMA DEL PANE, IL LIEVITO - Modello del discepolo oggi è un ragazzo che dona ciò che ha... Noi siamo ricchi solo di ciò che abbiamo donato alla fame d’altri. - XVII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO B - Commento al Vangelo a cura di P. Ermes Ronchi

PRIMA DEL PANE, IL LIEVITO
 

Modello del discepolo oggi è un ragazzo che dona ciò che ha...
Noi siamo ricchi solo di ciò che abbiamo donato alla fame d’altri.
 

In quel tempo, Gesù salì sul monte e là si pose a sedere con i suoi discepoli. Era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei. Allora disse a Filippo: «Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?». Gli disse allora uno dei suoi discepoli, Andrea, fratello di Simon Pietro: «C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci. Allora Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li diede a quelli che erano seduti, e lo stesso fece dei pesci. Allora la gente, visto il segno che egli aveva compiuto, diceva: «Questi è davvero il profeta, colui che viene nel mondo!». Ma Gesù, sapendo che venivano a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sul monte, lui da solo. Gv 6,1-15


PRIMA DEL PANE, IL LIEVITO
 
Modello del discepolo oggi è un ragazzo che dona ciò che ha...
Noi siamo ricchi solo di ciò che abbiamo donato alla fame d’altri.

Domenica del pane che trabocca dalle mani, dalle ceste, che sembra non finire mai. E mentre lo distribuivano, non veniva a mancare; e mentre passava di mano in mano, restava in ogni mano.

Quello del pane è l’unico segno riferito da tutti e quattro i Vangeli. Marco e Matteo ne riportano addirittura due redazioni. Si tratta, evidentemente, di un evento decisivo per capire la vita e il messaggio di Gesù.

Con il segno del pane, più che davanti ad un eclatante miracolo siamo di fronte ad una fessura di mistero.

Il racconto è pieno di simboli bellissimi: è ormai primavera; c’è molta erba che richiama i pascoli e il Salmo del buon pastore; c’è il monte grande simbolo della casa di Dio; è vicina la pasqua; ci sono i numeri: cinque pani e due pesci che compongono il sette, simbolo della pienezza; c’è il pane d’orzo, pane di primizia perché l’orzo è il primo dei cereali che matura, primo pane nuovo; e c’è un ragazzo, neppure un uomo adulto, una primizia d’uomo. Un Vangelo pieno d’inizi e di gemme che fioriscono, per grazia.

Modello del discepolo oggi è un ragazzo senza nome né volto, che dona ciò che ha, senza pensarci, e così innesca la spirale della condivisione, il miracolo del dono. Il problema del nostro mondo non è la penuria di pane, ma la povertà di quel lievito che incalza e spinge a condividere, a fare di ciò che hai un sacramento di comunione. «Al mondo, il cristiano non fornisce pane, fornisce lievito» (Miguel de Unamuno).

«Credo sia più facile moltiplicare il pane che non distribuirlo. C’è tanto di quel pane sulla terra che a condividerlo basterebbe per tutti» (D. M. Turoldo).

Prese i pani, ringraziò, diede. “Ricevimi, donami, donandomi mi otterrai di nuovo” (Rig Veda). L'uomo può solo ricevere la vita, il creato, le persone, sono il suo pane. Può solo ringraziare, benedire, donare. E basteranno le briciole a riempire dodici ceste. Noi siamo ricchi solo di ciò che abbiamo donato alla fame d’altri.