domenica 30 giugno 2024

Preghiera dei Fedeli - Fraternità Carmelitana di Pozzo di Gotto (ME) - XIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO B

Fraternità Carmelitana 
di Pozzo di Gotto (ME)

Preghiera dei Fedeli


XIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO B

30 giugno 2024 

Per chi presiede

Fratelli e sorelle, Dio, nostro Padre e Madre, non è il Dio che vuole la morte, ma è il Dio, che ama la vita e vuole che ogni sua creatura viva in pienezza. È questo il Dio che Gesù ha voluto rendere presente e annunciare attraverso i suoi gesti di guarigione. Perciò a Lui, al Figlio Gesù nostro Liberatore, eleviamo con grande fiducia le nostre preghiere ed insieme diciamo:

R/   Signore della vita, ascoltaci

  

Lettore

- Custodisci e guida, Signore Gesù, la tua Chiesa. Fa’ che ogni credente possa fare una vera esperienza di Te, incontrandoti nel libro del Vangelo, nel sacramento dell’eucarestia e nel volto di ogni povero e di ogni fratello e sorella in umanità. La tua presenza amorosa faccia crescere in tutta la Chiesa una fede vera, fatta di fiducia e di abbandono alla tua parola, che risana e che dà vita. Preghiamo.

- Sii vicino, Signore Gesù, ad ogni comunità cristiana riunita nel tuo nome. Fa’ che cresca all’interno di ognuna di esse l’attenzione per chi è in difficoltà, perché nessuno si senta isolato o scartato. Ma fa crescere anche in ogni comunità il bisogno di condividere i doni ricevuti con le altre comunità sparse nel mondo, perché ci sia uguaglianza e tutti possano gustare la bellezza di appartenere all’unico Padre, che è nei cieli. Preghiamo.

- Tu, Signore Gesù, che scruti i cuori e spezzi ogni loro durezza, guarda e parla al cuore dei popoli della terra e dei loro governanti. Fa’ che si spezzi nel mondo questa logica perversa della corsa al predominio ed al sentirsi superiori a tutti gli altri, del vivere in competizione gli contro gli altri, del folle ricorso alla guerra ed all’uso di armi. Fa’ che anche i giovani siano educati non alla violenza, al razzismo e al disprezzo dell’altro, ma alla pace e al rispetto della vita. Preghiamo.

- Ti preghiamo, Signore Gesù, per tutti i nostri fratelli e le nostre sorelle che sono provati dalla malattia. Ti affidiamo, in modo particolare, tutte le persone disabili, quelle che sono alle prese con la malattia mentale. Fa’ che tutte persone, che sentono vicino l’approssimarsi della morte, si affidino con fiducia a Te e a Dio Padre, che è il Dio amante della vita. Preghiamo.

- Signore Gesù, che risollevi chi sprofonda nella morte, davanti a te ci ricordiamo dei nostri parenti e amici defunti [pausa di silenzio]; ci ricordiamo delle vittime della violenza tra i giovani, delle vittime dell’omofobia e della misoginia. Dona a tutti di contemplare la luce del tuo Volto. Preghiamo.


Per chi presiede

O Cristo Gesù, che ci hai resi ricchi con il dono della tua vita, donaci la grazia di vivere come uomini e donne rinnovati dal tuo amore e di crescere nella fede secondo la tua statura. Te lo chiediamo perché tu sei Dio che vive e regna nei secoli dei secoli.  AMEN.



"Un cuore che ascolta - lev shomea" n° 32 - 2023/2024 anno B

"Un cuore che ascolta - lev shomea"

"Concedi al tuo servo un cuore docile,
perché sappia rendere giustizia al tuo popolo
e sappia distinguere il bene dal male" (1Re 3,9)



Traccia di riflessione sul Vangelo
a cura di Santino Coppolino


XIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO B 

Vangelo:

Mc 5,21-43

Questa pericope, abbastanza lunga, contiene al suo interno due narrazioni di miracoli disposte 'a sandwich', cioè l'uno dentro l'altro. I due episodi si illustrano a vicenda mettendo in risalto i vari aspetti di un unico contenuto teologico: Gesù è colui che suscita la fede che dà la salvezza, una fede che scaturisce dall'incontro personale con Lui, un contatto fisico che manifesta un'intima e profonda relazione d'amore. L'Amante ha finalmente trovato l'amata. Da questa relazione d'amore scaturisce la Vita Eterna, dove il termine eterno non indica tanto la durata nel tempo, quanto piuttosto la qualità divina, la sola e unica vita che vince la morte per sempre. I due personaggi femminili rappresentano la comunità dei credenti, sia Israele che la Chiesa, unite strettamente insieme dal numero dodici. Entrambe le comunità fanno quotidianamente esperienza della fragilità, della finitudine e della morte, malattie che nessun medico al mondo può guarire se non lo Sposo, perché Egli è l'autore della vita innamorato della sua sposa. Sfiorare il lembo del suo mantello (simbolo della Parola di Dio), essere afferrati dalla sua mano che ci trae fuori dalla fossa della morte significa dimorare in questa relazione d'amore. Avere fede significa fidarsi di Lui, aderire totalmente al suo progetto d'amore, lasciarsi immergere nell'abisso infinito del cuore del Padre, che attraverso il suo Figlio Gesù restituisce la vita alle nostre povere esistenze e purifica le nostre relazioni.


sabato 29 giugno 2024

LA STANZA OSCURA - Qualunque sia il dolore che portiamo dentro, qualunque sia la morte che ci assedia, il Signore ripete: alzati! - XIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO B - Commento al Vangelo a cura di P. Ermes Ronchi

LA STANZA OSCURA


Qualunque sia il dolore che portiamo dentro, qualunque sia la morte che ci assedia, il Signore ripete: alzati!


(...) Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava forte. Entrato, disse loro: «Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme». E lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della bambina e quelli che erano con lui ed entrò dove era la bambina. Prese la mano della bambina e le disse: «Talità kum», che significa: «Fanciulla, io ti dico: àlzati!». E subito la fanciulla si alzò e camminava; aveva infatti dodici anni. Essi furono presi da grande stupore. E raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e disse di darle da mangiare. Marco 5,21-43


LA STANZA OSCURA
 
Qualunque sia il dolore che portiamo dentro, qualunque sia la morte che ci assedia, il Signore ripete: alzati!

C’è una casa a Cafarnao, dove la morte ha messo il nido. Una dimora importante, quella del capo della sinagoga, eppure impotente a garantire la vita di una bambina. Giairo ha preso il mantello ed è uscito, ha camminato in cerca di Gesù, e Gesù interrompe ciò che sta facendo e si mette a camminare con lui. Sulle frontiere tra la vita e la morte. Stare con il dolore degli altri diventa uno dei gesti cristiani più rivoluzionari.

Perché il dolore, il dolore innocente? I figli di tanti Giairo muoiono in un’età in cui invece è d’obbligo fiorire, non soccombere. Eppure Gesù non dà una risposta, dà altro: il dolore non domanda spiegazioni, ma condivisione: “e andò con lui”.

“Non temere, soltanto continua ad aver fede”, quella che ti ha fatto uscire di casa in cerca di aiuto e di ascolto. Ma come è possibile non temere, non essere nella paura quando la morte si è portata via il mio sole? Il contrario della paura non è il coraggio, è la fede, atto umanissimo che tende alla vita! Che dice: ho bisogno, mi fido, mi affido. Sulla tua parola getterò le reti, anzi: nelle tue mani getto la vita!

Giunsero alla casa e vide gente che piangeva e gridava. disse loro: “Perché piangete? Non è morta, ma dorme”. Coloro che noi chiamiamo ‘morti’ dormono a questa vita nostra, ma in realtà sono stati presi per mano e si sono alzati, come la bimba di Giairo.

Lo deridono. Con quella derisione con cui dicono anche a noi: ma tu credi alla resurrezione? Ti illudi, non c’è niente dopo la morte. Ma la fede assicura che Dio è dei vivi e non dei morti, che dire Dio è dire risurrezione.

Gesù cacciò tutti fuori di casa. Caccia via quelli che non credono che Dio inonda di vita anche le strade della morte.

Gesù prende con sé il padre e la madre. Li prende con sé perché il tempo dell’amore è infinitamente più lungo del tempo della vita. La vita finisce ma l’amore no. E ciò che vince la morte non è la vita, è l’amore. Ogni bambino, dice alla mamma: tu non morirai mai!

Ed entrò dove era la bambina.

E non è solo la stanzetta interna della casa, è la stanza più oscura del mondo, quella senza luce: l’esperienza della morte, dove anche Gesù entrerà, per essere come noi.

Poi la prende per mano. Dio non è un dito puntato, ma una mano che ti prende per mano. E mostra che bisogna toccare la disperazione delle persone per poterle rialzare. Toccare le loro lacrime.

E le disse: “Talità kum. Bambina alzati”. Tocca a te farlo: rimettiti in piedi, sulle tue gambe, con le tue risorse.

Qualunque sia il dolore che portiamo dentro, qualunque sia la morte che ci assedia, il Signore ripete: alzati!

E subito la bambina si alzò e camminava. Restituita all’abbraccio dei suoi, a una vita incamminata e verticale. Là dove ci siamo fermati, Dio continua a farci ripartire.

E ripete su ogni essere la benedizione delle antiche parole: Talità kum, giovane vita, alzati, rivivi, risplendi.

E aggiunge: datele da mangiare, nutrite di sogni, di carezze e di fiducia il suo rinato cuore bambino.

E ci rialzerà tutti, trascinandoci su, in alto, dentro la sua risurrezione.


Papa Francesco: «L’autorità è un servizio, e un’autorità che non è servizio è dittatura.» Angelus del 29 giugno 2024 (Testo e video)

SOLENNITÀ DEI SANTI APOSTOLI PIETRO E PAOLO

PAPA FRANCESCO

ANGELUS

Piazza San Pietro
Sabato, 29 giugno 2024


Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Oggi, solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, nel Vangelo Gesù dice a Simone, da Lui soprannominato Pietro: «A te darò le chiavi del Regno dei cieli» (Mt 16,19). Per questo vediamo spesso San Pietro raffigurato con due grandi chiavi in mano, come nella statua che si trova qui, in questa Piazza. Quelle chiavi rappresentano il ministero di autorità che Gesù gli ha affidato a servizio di tutta la Chiesa. Perché l’autorità è un servizio, e un’autorità che non è servizio è dittatura.

Stiamo attenti, però, a intendere bene il senso di questo. Le chiavi di Pietro, infatti, sono le chiavi di un Regno, che Gesù non descrive come una cassaforte o una camera blindata, ma con altre immagini: un piccolo seme, una perla preziosa, un tesoro nascosto, una manciata di lievito (cfr Mt 13,1-33), cioè come qualcosa di prezioso e di ricco, sì, ma al tempo stesso di piccolo e di non appariscente. Per raggiungerlo, perciò, non serve azionare meccanismi e serrature di sicurezza, ma coltivare virtù come la pazienza, l’attenzione, la costanza, l’umiltà, il servizio.

Dunque, la missione che Gesù affida a Pietro non è quella di sbarrare le porte di casa, permettendo l’accesso solo a pochi ospiti selezionati, ma di aiutare tutti a trovare la via per entrare, nella fedeltà al Vangelo di Gesù. Tutti, tutti, tutti possono entrare.

E Pietro lo farà per tutta la vita, fedelmente, fino al martirio, dopo aver sperimentato per primo su di sé, non senza fatica e con tante cadute, la gioia e la libertà che nascono dall’incontro con il Signore. Lui per primo, per aprire la porta a Gesù, ha dovuto convertirsi, e capire che l’autorità è un servizio. E non è stato facile per lui. Pensiamo: proprio poco dopo che aveva detto a Gesù: “Tu sei il Cristo”, il Maestro lo ha dovuto rimproverare, perché si rifiutava di accettare la profezia della sua passione e morte di croce (cfr Mt 16,21-23).

Pietro ha ricevuto le chiavi del Regno non perché era perfetto – no, era un peccatore –, ma perché era umile, onesto e il Padre gli aveva donato una fede schietta (cfr Mt 16,17). Perciò, affidandosi alla misericordia di Dio, ha saputo sostenere e fortificare, come gli era stato chiesto, anche i suoi fratelli (cfr Lc 22,32).

Oggi possiamo chiederci: io coltivo il desiderio di entrare, con la grazia di Dio, nel suo Regno, e di esserne, con il suo aiuto, custode accogliente anche per gli altri? E per farlo, mi lascio “limare”, addolcire, modellare da Gesù e dal suo Spirito, lo Spirito che abita in noi, in ognuno di noi?

Maria, Regina degli Apostoli, e i Santi Pietro e Paolo ci ottengano, con la loro preghiera, di essere gli uni per gli altri guida e sostegno per l’incontro con il Signore Gesù.

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Dopo l'Angelus

Cari fratelli e sorelle,

saluto tutti voi, venuti nella festa dei Santi Pietro e Paolo, in modo particolare saluto i romani! Oggi vorrei che il mio saluto arrivasse a tutti gli abitanti di Roma, proprio tutti, insieme con la mia preghiera: per le famiglie, specialmente quelle che fanno più fatica; per gli anziani, quelli più soli; per i malati, i carcerati, e quanti per vari motivi sono in difficoltà. Auguro a ciascuno di fare l’esperienza di Pietro e di Paolo, cioè che l’amore di Gesù Cristo salva la vita e spinge a donarla, spinge a donarla con gioia, con gratuità. La vita non si vende!

Saluto i Canonici Regolari dell’Immacolata Concezione, riuniti a Roma per il loro Capitolo generale; e mi congratulo per la grande infiorata organizzata dalla “Pro Loco” in Piazza Pio XII, realizzata da maestri infioratori di varie parti d’Italia. Grazie, grazie tante! Le vedo da qui, sono belle!

Penso con dolore ai fratelli e alle sorelle che soffrono per la guerra: pensiamo a tutte le popolazioni ferite o minacciate dai combattimenti, che Dio le liberi e le sostenga nella lotta per la pace. E rendo grazie a Dio per la liberazione dei due sacerdoti greco-cattolici. Possano tutti i prigionieri di questa guerra tornare presto a casa! Preghiamo insieme: tutti i prigionieri tornino a casa.

Auguro a tutti voi buona festa. Per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Buon pranzo e arrivederci!

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Enzo Bianchi: Quale scisma nella Chiesa

Enzo Bianchi
Quale scisma nella Chiesa
 

La Repubblica - 24 Giugno 2024

Anche nella chiesa cattolica non c'è pace e si susseguono fatti ed eventi che a volte scandalizzano, altre volte appaiono situazioni anacronistiche appartenenti a un mondo passato, quello in cui, secondo Gesù di Nazareth, “i morti seppelliscono i loro morti”. Certamente è incredibile che un uomo, un arcivescovo che dopo aver servito la chiesa per molto anni con competenza, da fedele esecutore della volontà del Papa, al termine della sua carriera, non avendo ricevuto gli onori sperati, sia diventato un vescovo in rivolta proprio contro la Santa Sede. Perché nel 2018 mons. Carlo Maria Viganò ha cominciato non solo a criticare l'azione del Papa – e questo può essere legittimo e anche fecondo per l'esercizio del ministero papale –, ma a delegittimarlo, chiedendogli prima di dimettersi e poi più volte dichiarandone l’indegnità e l’illegittimità a presiedere alla comunione cattolica. E a partire da allora si sono susseguiti gli attacchi al concilio Vaticano II, definito “un cancro per la chiesa”, accompagnati da un rifiuto radicale dell'azione pastorale di Papa Francesco.

In verità, mons. Viganò non è stato né il primo né il solo vescovo a imboccare questa strada della rivolta: alcuni cardinali, come Gerhard Muller e Raymond Burke e alcuni vescovi come mons. Schneider, avevano inaugurato questa inedita critica verso Papa Francesco facendo paventare ad alcuni la possibilità di uno scisma. Eventualità enfatizzata soprattutto dai tradizionalisti per incutere paura alla Santa Sede e per incolpare alcune chiese, come quella tedesca, o il Papa stesso di creare divisioni nella chiesa. E va riconosciuto che a questo brusio che desta timori e frenate danno il loro appoggio anche alcuni membri della curia romana.

Tuttavia, questo non è più un tempo di scismi vissuti come rottura, divisione e creazione di novità: non siamo nel post-concilio, tempo di roventi polemiche in campo dottrinale e liturgico. Oggi in realtà c’è già uno scisma in atto: quello che Pietro Prini, il filosofo cattolico, chiamò “lo scisma sommerso”, che in modo silenzioso, non eclatante, si consuma ogni giorno. Infatti da trent'anni sono i giovani che lasciano la chiesa e negli ultimi venti soprattutto le donne, come fanno notare teologi seri come Armando Matteo. Questo è lo scisma che dovrebbe preoccupare tutta la chiesa, non quello impossibile di un monsignore ribelle che si è posto da solo al di fuori della chiesa delegittimando il Papa, la sua autorità, la sua azione pastorale. Nella chiesa di oggi non c'è possibilità di diatribe e divisioni sulla dottrina, ma ci possono essere e ci sono sempre più evidenti contrapposizioni in materia di morale ed etica, vuoi a causa della diversità delle culture in cui sono presenti le chiese, vuoi a causa della novità di alcuni atteggiamenti pastorali dettati da una rilettura del Vangelo nell’oggi, alla luce dei segni dei tempi.

Resta molto faticoso e difficile il compito di presiedere all'unità nella chiesa assicurando una comunione plurale, non nutrita da uniformità di espressioni della fede. Papa Francesco opera questo tentativo in nome del Vangelo e, come ho sempre scritto fin dall'inizio del suo pontificato, più lui pare obbediente al Vangelo e più sarà cristiano, più troverà opposizione e scatenamento delle forze avverse. Ma non deve temere: “il resto” della chiesa è con lui!
(fonte: blog dell'autore)

venerdì 28 giugno 2024

Tante definizioni, un solo grande uomo: Danilo Dolci



"Dove più la miseria soffoca la dignità umana, egli ha voluto mescolarsi con loro e confortarli non con i messaggi ma con la sua presenza" (P. Calamandrei)


Lo sviluppo non è veramente sviluppo se non matura e valorizza pienamente ogni singola creatura.

A cento anni dalla nascita di Danilo Dolci desideriamo ricordarlo con un’essenziale biografia, lasciando ai Lettori il desiderio di approfondire la storia di chi è stato definito così: un educatore civile, un uomo impegnato, un assistente sociale, un pacifista, un narratore, un poeta, il “Gandhi italiano”, una figura rivoluzionaria, un punto di riferimento, un attivista non violento, un comunicatore.

1924 – Danilo Dolci nasce a Sesana (Slovenia) il 28 giugno da Enrico, impiegato delle Ferrovie dello Stato, e da Meli Kontely di origine slava.

1940-41- In estate raggiunge il padre trasferito a Trappeto (PA). Viene colpito dalla povertà dei contadini e dei pescatori oppressi della mafia.
1943 – Viene arrestato a Genova per “renitenza alla leva”. Riesce a fuggire rifugiandosi sulle montagne abbruzzesi.
1944 – Frequenta i corsi di architettura all’università di Roma ed anche le lezioni di storia del cristianesimo di Ernesto Buonaiuti. Dopo la guerra raggiunge la casa paterna in provincia di Alessandria, riprendendo gli studi al Politecnico di Milano. Per mantenersi insegna in una scuola serale di Sesto San Giovanni.

1950 – Alle soglie della laurea lascia gli studi e si reca a Fossoli, in provincia di Modena, per collaborare con la comunità dei “Piccoli Apostoli”, sorto nell’ex-campo di concentramento nazista con il nome di “Nomadelfia”.

1952 – Si trasferisce a Trappeto, in provincia di Palermo, dove si mette subito a lavoro coi contadini e i pescatori del posto. Per sensibilizzare l’opinione pubblica e le autorità politiche il 14 ottobre attua il primo digiuno a seguito della morte del bambino spentosi per la prolungata carenza alimentare.
1953-54 – Con l’aiuto di artisti ed intellettuali avvia la costruzione del “Borgo di Dio” con un asilo per i bambini del luogo e l’Università Popolare per aiutare gli adulti a crescere insieme e ad aprirsi reciprocamente. Nasce così il primo laboratorio di auto-analisi basato sul metodo della maieutica di gruppo, cioè sulla conversazione interpersonale nel rispetto delle opinioni di ciascuno, per raggiungere la migliore soluzione dei problemi posti.
1956 – Artefice del cosiddetto “Sciopero al Contrario” dove i disoccupati, protestarono contro la mancanza di lavoro, lavorando. In quella occasione, infatti, Danilo riunì un centinaio di disoccupati per ripristinare una strada comunale, di fatto abbandonata dall’amministrazione ed in pessime condizioni. L’azione finì con il suo arresto per invasione di terreni, istigazione a disobbedire alle leggi ed oltraggio a pubblico ufficiale. Il processo che ne scaturì fece muovere l’opinione pubblica. Danilo Dolci è sostenuto nel processo oltre che da Piero Calamandrei anche da un consistente numero di intellettuali, uomini di cultura e rappresentanti della società civile.

1957 – Il primo novembre ha inizio il “Congresso per la prima occupazione” a Palermo che dura tre giorni, con la partecipazione di tecnici, economisti, urbanisti e sociologi italiani e stranieri.
Dal 7 al 19 novembre Danilo e Franco Alasia digiunano per protesta contro la povertà e il degrado dei quartieri popolari di Palermo.
1958 – Riceve il Premio Lenin per la pace, che Danilo accetta quale riconoscimento della “validità delle vie rivoluzionarie non violente”, non avendo mai condiviso né l’ideologia né i partiti marxisti. La notevole somma di danaro ricevuta con il premio viene impiegata per il “Centro studi ed iniziative di Partinico”, fondato allo scopo di promuovere lo sviluppo democratico e l’occupazione attraverso cooperative e altre iniziative socio-educative.
1960 – La pubblicazione del volume “Spreco” da parte dell’editore Einaudi denunzia il parassitismo e le complicità politico-mafiose con una analisi socio economica della Sicilia occidentale.

1965 – Danilo e Franco Alasia al Circolo della Stampa di Roma denunciano pubblicamente i rapporti tra la mafia e alcuni politici di primo piano. Il 20 novembre inizia il processo contro i due su denunzia di un ministro, un sottosegretario e alcuni notabili accusati di collusione con la mafia.
1967 – Dal 5 all’11 marzo marcia di 200 km “per la Sicilia occidentale e per un nuovo mondo”.
1968 –Forte l’impegno profuso per le zone terremotate della valle del Belice: marce di protesta, digiuni collettivi, denunzie e conseguenti processi penali a carico di Danilo, al quale il 30 novembre viene conferita la laurea “honoris causa” in filosofia dall’università di Berna.
1971 – Il 28 Aprile inizia a Roma il processo di appello contro Danilo Dolci e Franco Alasia. Il 28 novembre 300.000 persone arrivano a Roma per una imponente manifestazione antifascista.
1974 –A febbraio inizia la costruzione in contrada Santa Caterina Mirto di Partinico del “Centro educativo per l’infanzia”.

1975 – Il 7 gennaio inizia la sperimentazione educativa di due gruppi di bambini di quattro e cinque anni. A dicembre gli amici del Peace Memorial Museum di Hiroshima portano al Centro educativo di Mirto una bottiglia, una canna di bambù e una tegola deformate dal fuoco della Bomba Atomica.
1978 – Radio Città Terrestre inizia le trasmissioni.

1980 – Dal 7 all’ 11 luglio viene invitato a Parigi dall’UNESCO per il “Simposio internazionale sull’evoluzione dei contenuti dell’educazione generale del prossimo ventennio”.
Molte proposte fatte da lui vengono accolte nel documento conclusivo inviato ai diversi Stati aderenti.
1981 – A gennaio tiene un seminario di due settimane sulla sua poesia all’università di Los Angeles. 1982 – La Boston University Library inizia a raccogliere gli scritti e la corrispondenza che Dolci ha con Huxley, Russell, Fromm e altri intellettuali di fama mondiale. In diverse scuole italiane, tra cui quelle di Agropoli, di Mestre, di Alba, di Alessandria, di Asti, di Piacenza, d’Imperia, di Varese, di Acireale e altre si continua a sperimentare la sua maieutica su temi di attualità ed interesse universali.
1983 – La Scuola Materna di Mirto viene finalmente riconosciuta quale scuola statale sperimentale con docenti di ruolo affiancati dagli educatori Rosalba Martinetti e Mìchael Fàhndrich.

1988 – Il “Centro studi e iniziative” di Partinico si trasforma in “Centro per lo sviluppo educativo”. Si intensificano sempre più i seminari per verificare i forti nessi esistenti tra il processo educativo, la creatività e la crescita personale.
1991 –Il 13 maggio del 1996 l’università di Bologna gli conferisce la laurea honoris causa in scienze dell’educazione.

1997 – Il 30 dicembre muore all’ospedale di Partinico, dov’era stato ricoverato nelle prime ore della mattinata per una grave crisi cardiaca, tragico epilogo dei postumi della grave polmonite che l’aveva colpito nel corso del viaggio in Cina. (Sintesi di una nota biografica a cura di Germano Bonora in www.nonviolenti.org)

È importante sapere che le parole non muovono le montagne. Il lavoro, l’impegnativo lavoro muove le montagne.

(fonte: Vino Nuovo, articolo di MARCO PAPPALARDO 28/06/2024)


Alberto Pellai: ELOGIO DEL FUTURO PAPÀ ULTIMO, PRIMO NELLA VITA


Alberto Pellai
ELOGIO DEL FUTURO PAPÀ ULTIMO,
PRIMO NELLA VITA

Il gesto di celebrazione della sua imminente paternità non è ostentazione, ma piena consapevolezza e testimonianza di felicità. Ecco perché (di Alberto Pellai)


Il cantautore Ultimo.
Ultimo annuncia che diventerà papà. lo fa abbracciando e poi baciando il pancione della sua compagna di vita. La notizia è rimbalzata sui social media. È una buona notizia? Serve parlarne? Credo di sì. A partire dall’età di Ultimo. Il cantante ha 28 anni e scegliere di diventare genitore alla sua età è ormai un evento più unico che raro (nomen omen). Il suo gesto, di fronte ad uno stadio adorante, colpisce ancora di più perché a compierlo è un uomo. Un gesto così è difficile trovarlo nell’iconografia che ci viene proposta dagli uomini di successo, in particolare dalle star della musica. E’ difficile che gli uomini ibridino la loro “immagine pubblica” con quella “privata”. Ed è frequente che le popstar “di grido” siano spesso paladine di una sessualità giocosa e divertente, svincolata da legami intimi e di coppia. Oggi è esondante l’immagine del maschio sex symbol, tutto muscoli e addominali, che si accompagna alla bambola sexy, frequentemente intercambiabile, sempre disponibile, molto spesso presente in numero doppio o triplo, in versione seminuda. I video degli hit maker del momento sono carichi di questa immagine stereotipata che coincide anche con il modello di successo personale decantato nella musica trap, la più amata dai nostri figli, dove le tre S di Soldi, Sesso e Successo sono onnipresenti nei testi della canzoni e nei relativi video.

Per questo, il gesto di Ultimo a celebrazione della sua imminente paternità è inusuale. In quel gesto non c’è ostentazione ma piena consapevolezza e testimonianza di qualcosa, che oggi sembra essere andato fuori moda: amarsi in modo stabile, generare un figlio, celebrare tutto ciò davanti ad un pubblico, dichiarando tutto ciò come l’apice del proprio modello aspirazionale e di ricerca della felicità. Da quanto tempo una popstar maschile non raccontava ai nostri figli qualcosa del genere? E la cosa bella è che oggi erano proprio i giovanissimi quelli che più facevano rimbalzare nei social l’immagine di quel momento “magico”.

Tutto questo, nella cultura corrente, è oggi così raro, perché paradossalmente questi sono gli anni in cui si è decostruita la bellezza dell’amore stabile, che è stato accusato di essere raccontato con un eccesso di romanticizzazione all’interno dei media e delle narrazioni popolari. Così, l’Amore con la A maiuscola è stato sostituito dalle relazioni veloci, da una sperimentazione sessuale in cui conta di più far sesso invece che fare l’Amore. Sempre paradossalmente, mentre abbiamo de-romanticizzato l’Amore, abbiamo invece romanticizzato la pornografia. Emblematica la presenza della più nota pornostar nazionale in un programma del sabato sera, a proporci l’idea della bellezza della famiglia, là dove non te l’aspetti.

Ultimo che bacia il ventre gravido della sua compagna di vita è un gesto che colpisce perché inaspettato e coerente al tempo stesso. Lui è un cantautore dei sentimenti. Le sue canzoni raccontano la vita per come è, essendo intrise di narrazioni centrate sulla bellezza e sulla fatica dei legami. Al suo pubblico si presenta in modo realistico: ovvero come un giovane uomo, che è stato attraversato da crisi profonde, ma che è costantemente alla ricerca della felicità. Felicità che ieri ha raccontato con la sua immagine più bella: quella di un uomo innamorato della vita e dell’Amore.
(fonte: Famiglia Cristiana 26/06/2024)


UNA TASSA MONDIALE PER I SUPER RICCHI: LA PROPOSTA DEL PROSSIMO G20

UNA TASSA MONDIALE PER I SUPER RICCHI:
LA PROPOSTA DEL PROSSIMO G20

L'idea è stata elaborata dall'economista francese Gabriel Zucman e verrà rilanciata da Lula. Ecco come funziona


Una tassa internazionale sui Paperoni del mondo. Quelli, per intenderci, che vanno in vacanza solcando gli oceani con megayacht da oltre 40 metri e che a casa cenano di fronte a un Picasso o un Tintoretto. Tutti multimiliardari che pagano imposte irrisorie rispetto ai propri patrimoni. A cui si potrebbe applicare una proficua “cedolare secca” del due per cento. L’idea è dello studioso della Scuola di Economia di Parigi Gabriel Zucman, il Robin Hood della situazione. 
Il presidente del Brasile Iñacio Lula.
La notizia è che molti Governi l’hanno presa sul serio, a cominciare dal Brasile di Lula che a luglio presiederà il prossimo G 20. La nona potenza mondiale sta lavorando per una dichiarazione comune, che sarebbe un notevole passo avanti. Zucman ha già preparato un documento ufficiale su questa imposta che colpirebbe i 3 mila miliardari che contano nel Pianeta. L’economista francese fa anche due conti e calcola entrate per 250 miliardi di dollari l’anno. Una somma che potrebbe contribuire a finanziare la lotta alle diseguaglianze e al cambiamento climatico. Il minimo per correggere almeno in parte il disequilibrio tra gli abitanti della Terra, dove una ristretta élite possiede l’80 per cento delle risorse mondiali. E che paga in imposte solo lo 0,3 per cento del proprio patrimonio.
Questa imposta minima verrebbe a completare i due pilastri già varati di una fiscalità internazionale, ossia la tassazione dei giganti del digitale (le big tech come Amazon o Microsoft) e una tassazione minima del 15 per cento sui profitti delle multinazionali, entrata in vigore all’inizio dell’anno. L’internazionalità è l’unico espediente finora valido per tassare soggetti fiscali simili a una sorta di leviatano economico, essendo presenti ovunque e da nessuna parte, con una sede solitamente off shore, con poche tasse, enormi investimenti ed enormi ricavi.

Non sarà facile stabilire una patrimoniale internazionale sui super ricchi. Gli studi legali sono già sul piede di guerra, per non parlare delle lobbies. Come identificare e misurare la ricchezza dei miliardari? La metà di questa di solito risiede in azioni di società quotate in borsa, facili da valutare. Il problema è meno semplice quando si tratta di azioni di società non quotate in borsa. Perché il vero scandalo è che questi super ricchi grazie ai vari artifizi finanziari non pagano le tasse in proporzione al resto del mondo, come spiega Zucman. Inoltre, la ricchezza di questi 3.000 miliardari, stimata in 14.400 miliardi di dollari dalla rivista Forbes, è cresciuta di circa il 7,1 per cento all’anno - al netto dell’inflazione - tra il 1987 e il 2024, molto più velocemente della ricchezza media della gente “normale” (tre per cento all’anno). Servono però prima accordi internazionali sulla giurisdizione fiscale. Per ora solo una manciata di Paesi, tra cui Spagna, Sudafrica, Germania, Belgio e Francia, ha dato il proprio sostegno alla proposta brasiliana. L'Italia, Paese in cui una patrimoniale sulle grandi fortune non ha mai attecchito per varie ragioni, come si vede, non c'è. E il rinnovo dell’Assemblea Nazionale getta dubbi sulla posizione del prossimo governo di Parigi. L’ostacolo da rimuovere è la concorrenza fiscale tra gli Stati. C’è sempre chi se ne approfitta (come l’Olanda o l’Irlanda, paradisi fiscali per tante multinazionali). Un altro grande ostacolo: gli Stati Uniti – patria del capitalismo - sono riluttanti. Il progetto non nasce ieri: aveva impiegato 15 anni prima di giungere nel 2021 a un accordo sancito dall’Ocse. Segno che in tema di fiscalità la pazienza è d’obbligo. Anche se in questi casi più passano gli anni più il leviatano accumula. E infatti i tempi sono biblici, o quasi. Il ministro dell’Economia francese Le Maire conta di arrivare a una imposta minima sui salari entro il 2027. Un obiettivo ambizioso, se si considera che Parigi sostiene un approccio graduale. E dunque occorre altro tempo, non solo per convincere gli altri Stati. Mai come in questo caso il tempo è denaro.
(fonte: Famiglia Cristiana, articolo di Francesco Anfossi 27/06/2024) 


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Vedi anche:
La rivolta dei miliardari - L’appello dei super ricchi a Davos: «Tassateci di più»


giovedì 27 giugno 2024

Messaggio di Papa Francesco per la Giornata mondiale di preghiera del 1° settembre "Spera e agisci con il creato"

Messaggio del Pontefice per la Giornata mondiale di preghiera del 1° settembre

Spera e agisci con il creato


Sperare e agire con il creato: lo chiede Papa Francesco nel messaggio per la Giornata mondiale di preghiera 2024 — che si celebrerà il prossimo 1° settembre — diffuso e presentato alla stampa oggi.

Il tema prende spunto da un passo della Lettera di san Paolo ai Romani (8, 19-25). Con esso il Pontefice ribadisce l’urgenza di «ripensare alla questione del potere umano, al suo significato e ai suoi limiti». Tanti, sono, infatti i progressi tecnologici «impressionanti e sorprendenti» compiuti in pochi decenni, ma allo stesso tempo è necessario tenere a mente che «un potere incontrollato genera mostri e si ritorce contro noi stessi». Il vescovo di Roma denuncia dunque gli abusi umani sulla natura e le guerre «fratricide» che distruggono l’uomo e l’ambiente e si domanda il perché di una «madre terra, violentata e devastata». Di fronte a tutto ciò, conclude, la salvaguardia del creato rappresenta «una questione, oltre che etica» anche «teologica», visto che riguarda «l’intreccio tra il mistero dell’uomo e quello di Dio».
(L'Osservatore Romano 27/06/2024)

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Leggi il testo integrale

MESSAGGIO DI SUA SANTITÀ
PAPA FRANCESCO
 
PER LA GIORNATA MONDIALE DI PREGHIERA
PER LA CURA DEL CREATO

1° settembre 2024


Spera e agisci con il creato

Cari fratelli e sorelle!

“Spera e agisci con il creato”: è il tema della Giornata di preghiera per la cura del creato, il prossimo 1° settembre. È riferito alla Lettera di San Paolo ai Romani 8,19-25: l’Apostolo sta chiarendo cosa significhi vivere secondo lo Spirito e si concentra sulla speranza certa della salvezza per mezzo della fede, che è vita nuova in Cristo.

1. Partiamo allora da una domanda semplice, ma che potrebbe non avere una risposta ovvia: quando siamo davvero credenti, com’è che abbiamo fede? Non è tanto perché “noi crediamo” in qualcosa di trascendente che la nostra ragione non riesce a capire, il mistero irraggiungibile di un Dio distante e lontano, invisibile e innominabile. Piuttosto, direbbe San Paolo, è perché in noi abita lo Spirito Santo. Sì, siamo credenti perché l’Amore stesso di Dio è stato «riversato nei nostri cuori» ( Rm 5,5). Perciò lo Spirito è ora, realmente, «la caparra della nostra eredità» ( Ef 1,14), come pro-vocazione a vivere sempre protesi verso i beni eterni, secondo la pienezza dell’umanità bella e buona di Gesù. Lo Spirito rende i credenti creativi, pro-attivi nella carità. Li immette in un grande cammino di libertà spirituale, non esente tuttavia dalla lotta tra la logica del mondo e la logica dello Spirito, che hanno frutti tra loro contrapposti ( Gal 5,16-17). Lo sappiamo, il primo frutto dello Spirito, compendio di tutti gli altri , è l’amore. Condotti, dunque, dallo Spirito Santo, i credenti sono figli di Dio e possono rivolgersi a Lui chiamandolo «Abbà, Padre» ( Rm 8,15), proprio come Gesù, nella libertà di chi non ricade più nella paura della morte, perché Gesù è risorto dai morti. Ecco la grande speranza: l’amore di Dio ha vinto, vince sempre e ancora vincerà. Il destino di gloria è già sicuro, nonostante la prospettiva della morte fisica, per l’uomo nuovo che vive nello Spirito. Questa speranza non delude, come ricorda anche la Bolla di indizione del prossimo Giubileo. [1]

2. L’esistenza del cristiano è vita di fede, operosa nella carità e traboccante di speranza, nell’attesa del ritorno del Signore nella sua gloria. Non fa problema il “ritardo” della parusia, della sua seconda venuta. La questione è un’altra: «il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?» (Lc 18,8). Sì, la fede è dono, frutto della presenza dello Spirito in noi, ma è anche compito, da eseguire in libertà, nell’obbedienza al comandamento dell’amore di Gesù. Ecco la beata speranza da testimoniare: dove? quando? come? Dentro i drammi della carne umana sofferente. Se pur si sogna, ora si deve sognare a occhi aperti, animati da visioni di amore, di fratellanza, di amicizia e di giustizia per tutti. La salvezza cristiana entra nello spessore del dolore del mondo, che non coglie solo gli umani, ma l’intero universo, la stessa natura, oikos dell’uomo, suo ambiente vitale; coglie la creazione come “paradiso terrestre”, la madre terra, che dovrebbe essere luogo di gioia e promessa di felicità per tutti. L’ottimismo cristiano si fonda su una speranza viva: sa che tutto tende alla gloria di Dio, alla consumazione finale nella sua pace, alla risurrezione corporea nella giustizia, “di gloria in gloria”. Nel tempo che passa, però, condividiamo dolore e sofferenza: la creazione intera geme (cfr Rm 8,19-22), i cristiani gemono (cfr vv. 23-25) e geme lo Spirito stesso (cfr vv. 26-27). Il gemere manifesta inquietudine e sofferenza, insieme ad anelito e desiderio. Il gemito esprime fiducia in Dio e affidamento alla sua compagnia affettuosa ed esigente, in vista della realizzazione del suo disegno, che è gioia, amore e pace nello Spirito Santo.

3. Tutta la creazione è coinvolta in questo processo di una nuova nascita e, gemendo, attende la liberazione: si tratta di una crescita nascosta che matura, quasi “granello di senape che diventa albero grande” o “lievito nella pasta” (cfr Mt 13,31-33). Gli inizi sono minuscoli, ma i risultati attesi possono essere di una bellezza infinita. In quanto attesa di una nascita – la rivelazione dei figli di Dio – la speranza è la possibilità di rimanere saldi in mezzo alle avversità, di non scoraggiarsi nel tempo delle tribolazioni o davanti alla barbarie umana. La speranza cristiana non delude, ma anche non illude: se il gemito della creazione, dei cristiani e dello Spirito è anticipazione e attesa della salvezza già in azione, ora siamo immersi in tante sofferenze che San Paolo descrive come “tribolazione, angoscia, persecuzione, fame, nudità, pericolo, spada” (cfr Rm 8,35). Allora la speranza è una lettura alternativa della storia e delle vicende umane: non illusoria, ma realista, del realismo della fede che vede l’invisibile. Questa speranza è l’attesa paziente, come il non-vedere di Abramo. Mi piace ricordare quel grande visionario credente che fu Gioacchino da Fiore, l’abate calabrese “di spirito profetico dotato”, secondo Dante Alighieri [2]: in un tempo di lotte sanguinose, di conflitti tra Papato e Impero, di Crociate, di eresie e di mondanizzazione della Chiesa, seppe indicare l’ideale di un nuovo spirito di convivenza tra gli uomini, improntata alla fraternità universale e alla pace cristiana, frutto di Vangelo vissuto. Questo spirito di amicizia sociale e di fratellanza universale ho proposto in Fratelli tutti. E questa armonia tra umani deve estendersi anche al creato, in un “antropocentrismo situato” (cfr Laudate Deum, 67), nella responsabilità per un’ecologia umana e integrale, via di salvezza della nostra casa comune e di noi che vi abitiamo.

4. Perché tanto male nel mondo? Perché tanta ingiustizia, tante guerre fratricide che fanno morire i bambini, distruggono le città, inquinano l’ambiente vitale dell’uomo, la madre terra, violentata e devastata? Riferendosi implicitamente al peccato di Adamo, San Paolo afferma: «Sappiamo infatti che tutta insieme la creazione geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi» (Rm 8,22). La lotta morale dei cristiani è connessa al “gemito” della creazione, perché essa «è stata sottoposta alla caducità» (v. 20). Tutto il cosmo ed ogni creatura gemono e anelano “impazientemente”, perché possa essere superata la condizione presente e ristabilita quella originaria: infatti la liberazione dell’uomo comporta anche quella di tutte le altre creature che, solidali con la condizione umana, sono state poste sotto il giogo della schiavitù. Come l’umanità, il creato – senza sua colpa – è schiavo, e si ritrova incapace di fare ciò per cui è progettato, cioè di avere un significato e uno scopo duraturi; è soggetto alla dissoluzione e alla morte, aggravate dagli abusi umani sulla natura. Ma, in senso contrario, la salvezza dell’uomo in Cristo è sicura speranza anche per il creato: infatti «anche la stessa creazione sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio» (Rm 8,21). Sicché, nella redenzione di Cristo è possibile contemplare in speranza il legame di solidarietà tra gli esseri uomini e tutte le altre creature.

5. Nell’attesa speranzosa e perseverante del ritorno glorioso di Gesù, lo Spirito Santo tiene vigile la comunità credente e la istruisce continuamente, la chiama a conversione negli stili di vita, per resistere al degrado umano dell’ambiente e manifestare quella critica sociale che è anzitutto testimonianza della possibilità di cambiare. Questa conversione consiste nel passare dall’arroganza di chi vuole dominare sugli altri e sulla natura – ridotta a oggetto da manipolare –, all’umiltà di chi si prende cura degli altri e del creato. «Un essere umano che pretende di sostituirsi a Dio diventa il peggior pericolo per sé stesso» (Laudate Deum, 73), perché il peccato di Adamo ha distrutto le relazioni fondamentali di cui l’uomo vive: quella con Dio, con se stesso e gli altri esseri umani e quella con il cosmo. Tutte queste relazioni devono essere, sinergicamente, ristabilite, salvate, “rese giuste”. Nessuna può mancare. Se ne manca una, tutto fallisce.

6. Sperare e agire con il creato significa anzitutto unire le forze e, camminando insieme a tutti gli uomini e le donne di buona volontà, contribuire a «ripensare alla questione del potere umano, al suo significato e ai suoi limiti. Il nostro potere, infatti, è aumentato freneticamente in pochi decenni. Abbiamo compiuto progressi tecnologici impressionanti e sorprendenti, e non ci rendiamo conto che allo stesso tempo siamo diventati altamente pericolosi, capaci di mettere a repentaglio la vita di molti esseri e la nostra stessa sopravvivenza» (Laudate Deum, 28). Un potere incontrollato genera mostri e si ritorce contro noi stessi. Perciò oggi è urgente porre limiti etici allo sviluppo dell’Intelligenza artificiale, che con la sua capacità di calcolo e di simulazione potrebbe essere utilizzata per il dominio sull’uomo e sulla natura, piuttosto che messa servizio della pace e dello sviluppo integrale (cfr Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2024).

7. «Lo Spirito Santo ci accompagna nella vita»: l’hanno capito bene i bambini e le bambine riuniti in Piazza San Pietro per la loro prima Giornata Mondiale, che ha coinciso con la domenica della Santissima Trinità. Dio non è un’idea astratta di infinito, ma è Padre amorevole, Figlio amico e redentore di ogni uomo e Spirito Santo che guida i nostri passi sulla via della carità. L’obbedienza allo Spirito d’amore cambia radicalmente l’atteggiamento dell’uomo: da “predatore” a “coltivatore” del giardino. La terra è affidata all’uomo, ma resta di Dio (cfr Lv 25,23). Questo è l’antropocentrismo teologale della tradizione ebraico-cristiana. Pertanto, pretendere di possedere e dominare la natura, manipolandola a proprio piacimento, è una forma di idolatria. È l’uomo prometeico, ubriaco del proprio potere tecnocratico che con arroganza mette la terra in una condizione “dis-graziata”, cioè priva della grazia di Dio. Ora, se la grazia di Dio è Gesù, morto e risorto, è vero quanto ha affermato Benedetto XVI: «Non è la scienza che redime l’uomo. L’uomo viene redento mediante l’amore» (Lett. enc. Spe salvi, 26), l’amore di Dio in Cristo, da cui niente e nessuno potrà mai separarci (cfr Rm 8,38-39).Continuamente attratta dal suo futuro, la creazione non è statica o chiusa in se stessa. Oggi, anche grazie alle scoperte della fisica contemporanea, il legame tra materia e spirito si presenta in maniera sempre più affascinante alla nostra conoscenza.

8. La salvaguardia del creato è dunque una questione, oltre che etica, eminentemente teologica: riguarda, infatti, l’intreccio tra il mistero dell’uomo e quello di Dio. Questo intreccio si può dire “generativo”, in quanto risale all’atto d’amore con cui Dio crea l’essere umano in Cristo. Questo atto creatore di Dio dona e fonda l’agire libero dell’uomo e tutta la sua eticità: libero proprio nel suo essere creato nell’immagine di Dio che è Gesù Cristo, e per questo “rappresentante” della creazione in Cristo stesso. C’è una motivazione trascendente (teologico-etica) che impegna il cristiano a promuovere la giustizia e la pace nel mondo, anche attraverso la destinazione universale dei beni: si tratta della rivelazione dei figli di Dio che il creato attende, gemendo come nelle doglie di un parto. In gioco non c’è solo la vita terrena dell’uomo in questa storia, c’è soprattutto il suo destino nell’eternità, l’eschaton della nostra beatitudine, il Paradiso della nostra pace, in Cristo Signore del cosmo, il Crocifisso-Risorto per amore.

9. Sperare e agire con il creato significa allora vivere una fede incarnata, che sa entrare nella carne sofferente e speranzosa della gente, condividendo l’attesa della risurrezione corporea a cui i credenti sono predestinati in Cristo Signore. In Gesù, il Figlio eterno nella carne umana, siamo realmente figli del Padre. Mediante la fede e il battesimo inizia per il credente la vita secondo lo Spirito (cfr Rm 8,2), una vita santa, un’esistenza da figli del Padre, come Gesù (cfr Rm 8,14-17), poiché, per la potenza dello Spirito Santo, Cristo vive in noi (cfr Gal 2,20). Una vita che diventa canto d’amore per Dio, per l’umanità, con e per il creato, e che trova la sua pienezza nella santità. [3]

Roma, San Giovanni in Laterano, 27 giugno 2024


FRANCESCO


[1] Spes non confundit, Bolla di indizione del Giubileo Ordinario dell’Anno 2025 (9 maggio 2024).
[2] Divina Commedia, Paradiso, XII, 141.
[3] Lo ha espresso poeticamente il sacerdote rosminiano Clemente Rebora: «Mentre il creato ascende in Cristo al Padre, / nell’arcana sorte / tutto è doglia del parto: / quanto morir perché la vita nasca! / pur da una Madre sola, che è divina, / alla luce si vien felicemente: / vita che l’amore produce in pianto, / e, se anela, quaggiù è poesia; / ma santità soltanto compie il canto» ( Curriculum vitae, “Poesia e santità”: Poesie, prose e traduzioni, Milano 2015, p. 297).



Insegnare e apprendere con le nuove tecnologie

Dariusz Grządziel
Insegnare e apprendere con le nuove tecnologie
a cura di Paola Zampieri 


Insegnare online non è un semplice “trapiantare” in un altro ambiente ciò che si faceva in aula. Oggi la relazione fra apprendimento e insegnamento chiede che i docenti siano professionisti capaci di progettare anche ambienti di apprendimento nuovi con una visione pedagogica che metta al centro i processi di apprendimento e le finalità educative. L’uso incompetente delle tecnologie oggi non è più giustificabile.

Ad affermarlo è Dariusz Grządziel, professore straordinario di Didattica generale nella Facoltà di Scienze dell’Educazione all’Università Pontificia Salesiana a Roma, intervenuto al collegio plenario dei docenti della Facoltà teologica del Triveneto (Verona-Pordenone, 15 giugno 2024). Le sue ricerche e pubblicazioni si collocano sul confine tra l’educazione e la didattica scolastica e universitaria e, negli ultimi anni, riguardano l’integrazione degli strumenti tecnologici nella didattica.

Abbiamo approfondito questo aspetto con una riflessione a tutto tondo, che ha richiamato anche la necessità dell’educazione al pensiero critico e alla cittadinanza consapevole, per fornire alle persone strumenti per sottrarsi a una specie di capitalismo digitale e non perdere la libertà personale.

Non poteva mancare un riferimento al tema dell’intelligenza artificiale, di cui è stato sottolineato – al di là delle impressionanti potenzialità – come la velocità esponenziale e la modalità del suo sviluppo rendano difficile realizzare di pari passo un’adeguata riflessione sulle relative implicazioni, da quella economica e produttiva a quella personale e sociale oppure quella antropologica ed etica.

Tuttavia, la formazione odierna alle competenze digitali, e qualunque altra formazione professionalizzante, oltre a basarsi sui modelli verificati positivamente nel passato, non può non prendere in considerazione questi aspetti emergenti nuovi e sempre più complessi.

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Professor Grządziel, a partire dal 2020, a causa della pandemia di Covid-19, la didattica a distanza è stata sviluppata anche in ambienti che in precedenza la utilizzavano poco o per niente, quali le facoltà teologiche. L’introduzione delle nuove tecnologie informatiche come ha cambiato la relazione fra insegnamento e apprendimento?

La relazione tra insegnamento e apprendimento deve essere vista sempre come complementare. Dalla qualità e correttezza di questa relazione dipendono i risultati di apprendimento degli studenti.

L’emergenza di passare alla didattica online durante la pandemia ha rilevato, paradossalmente, proprio il significato e l’importanza di questa relazione. Sia docenti sia studenti, per il fatto di dover comunicare tra loro tramite forme mediate e a distanza, hanno sofferto l’indebolimento o la mancanza della relazione diretta, che nella didattica in aula, al contrario, essendo implicitamente presente, spesso non viene nemmeno avvertita. Oggi sappiamo che questa percezione era causata non solo dalle tecnologie in sé stesse, ma anche dalla poca dimestichezza dei docenti nell’impiegare le tecnologie per le finalità didattiche.

Velocemente, dopo le prime settimane di lock down, i docenti si sono accorti che insegnare online non è un semplice “trapiantare” in un altro ambiente ciò che si faceva in aula. Ci vogliono nuove competenze di natura didattica, che integrano saperi disciplinari, metodologici, progettuali e, appunto, tecnologici, e ci vogliono anche nuove competenze di natura pedagogica, che permettono di instaurare in modo valido la relazione tra docente e studente negli ambienti online o misti.

Questi nuovi ambienti possono potenziare le condizioni di studio e i processi di apprendimento anche oggi?

La domanda è molto importante, perché rivolge l’attenzione alle diverse opportunità che nascono dall’integrazione degli strumenti tecnologici nella didattica.

Anzitutto, può essere ridimensionata la gestione del tempo e dello spazio in cui si svolgono le attività didattiche. Grazie a tali strumenti, come ad esempio le piattaforme di condivisione e di co-costruzione dei lavori e delle riflessioni, la collaborazione nello studio può superare i limiti dell’aula e delle lezioni scanditi dagli orari.

L’accesso alle risorse scientifiche online, rappresentare le conoscenze tramite forme multimediali o interattive, inoltre, può potenziare i processi di apprendimento in forma più attiva e più autonoma.

Ovviamente, la predisposizione di questi ambienti nuovi suppone anche un’adeguata competenza dei docenti. Non a caso alcuni studiosi – ad esempio Diana Laurillard, pedagogista britannica all’Università di Londra – suggeriscono che la professionalità docente deve passare oggi da quella che “maggiormente parla” a quella che, oltre che parlare, “progetta anche ambienti di apprendimento nuovi”.

Purtroppo, l’osservazione quotidiana attuale, ma anche le ricerche realizzate in questo ambito, fanno notare situazioni non rare in cui la didattica è tornata alle forme pre-pandemiche e in cui le modalità innovative non vengono valorizzate con tutto il loro potenziale. L’investimento nelle attrezzature delle aule e nei corsi di formazione dei docenti, fatto durante e subito dopo la pandemia, viene valorizzato in grado piuttosto ridotto.

Quali sono i rischi in agguato in questo campo?

Alcuni sono emersi già durante la pandemia, quando le tecnologie sono state impiegate nei processi didattici in maniera non appropriata o non competente, a cui ho accennato prima. Solo che, in quel periodo, la situazione richiedeva decisioni emergenziali per garantire la continuità dei processi didattici e formativi nelle istituzioni. Oggi l’uso incompetente delle tecnologie non è più giustificabile.

Parlando dei rischi, bisogna sottolineare, però, che l’integrazione dei nuovi strumenti tecnologici nella didattica non può essere considerata solo in termini delle abilità di “usarle”, o peggio, solo in chiave tecno-centrica, senza una visione pedagogica che metta al centro i processi di apprendimento e le finalità educative. La competenza didattica richiede quindi un’adeguata teoria di fondo sull’apprendimento e ancora di più sull’insegnamento.

È un’illusione pensare che essere esperto in un campo disciplinare predisponga automaticamente alla docenza competente. Sono due dimensioni della professionalità docente che richiedono un adeguato impegno per svilupparle. Tutti gli sbilanciamenti a scapito dell’una o dell’altra si riversano negativamente sulle condizioni di studio che siamo tenuti a creare a favore degli studenti.

Non diversamente accade con l’impiego degli strumenti innovativi. Anche questo aspetto dev’essere ripensato in modo funzionale, tenendo conto delle finalità da raggiungere e delle relative condizioni che bisogna creare. Se vari elementi della competenza didattica vengono sviluppati nella formazione iniziale dei docenti e poi aggiornati continuamente, i rischi, che sempre possono rivelarsi, non dovrebbero costituire minacce o ostacoli insuperabili.

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Per allargare la questione. Oggi l’immersione nel digitale è un dato di fatto: siamo costantemente connessi con gli altri anche attraverso i dispositivi elettronici, in uno stato di relazione continua con il mondo. Questo nuovo modo di vivere la realtà è un elemento oggi imprescindibile nel discorso educativo, a tutti i livelli. L’uso delle nuove tecnologie, così diffuso tra i “nativi digitali”, è sufficientemente valorizzato – in ambito universitario – ai fini formativi ed educativi, e quindi a una preparazione per la vita lavorativa, sociale e familiare?

Di fatto, come avverte da tempo Luciano Floridi, professore di filosofa a Oxford, oggi siamo immersi nella cosiddetta Infosfera e viviamo nella realtà che lui chiama Onlife. Ciò significa che gli strumenti digitali non solo vengono adoperati in modo funzionale nelle pratiche sociali e professionali dalle persone, ma diventano essi stessi ambienti di partecipazione e di vita quotidiana.

Secondo questa prospettiva, non siamo più noi a scegliere di essere online o offline, ma sono questi strumenti a essere nelle nostre vite indipendentemente dalle nostre scelte. Come sottolinea spesso anche Cesare Rivoltella, esperto della pedagogia multimediale, la tecnologia non si vede più perché essa stessa scompare dietro ai dispositivi.

Dobbiamo comprendere, quindi, che tutto ciò – i dispositivi e la tecnologia nascosta che sta dietro – creano una filigrana del sistema sociale e lavorativo in cui noi funzioniamo ogni giorno, spesso, senza rendercene conto. È qui che emerge il ruolo pedagogico per la scuola e per l’università. Oltre che usare questi sistemi, guidati sempre più frequentemente anche dai modelli di Intelligenza Artificiale, dobbiamo capirli prima di tutto per – come dice una sociologa statunitense, Shoshana Zuboff – non lasciarsi opprimere dagli algoritmi invisibili che sorvegliano e decidono al nostro posto ciò che dobbiamo o non dobbiamo fare.

Ci vuole, quindi, l’educazione al pensiero critico, alla cittadinanza consapevole, per fornire alle persone strumenti per sottrarsi a una specie di capitalismo digitale della sorveglianza e non perdere la libertà personale.

Ubiquitous learning, collaborative intelligence, multiliteracies… Queste forme innovative come si saldano con le più tradizionali forme di insegnamento diretto ed esplicito? È possibile promuovere una feconda integrazione di tali strumenti nel progetto formativo delle università, in particolare delle facoltà teologiche?

Tutti abbiamo sperimentato come, durante il lock down, sia avvenuto un radicale sganciamento delle attività didattiche dagli ambienti fisici e una loro ricollocazione negli ambienti online e sulle piattaforme digitali. Con ciò è stato attivato – possiamo dire – un processo di deterritorializzazione delle attività di studio e di docenza, molte delle quali sono state realizzate non solo in forma sincrona online, cioè, nello stesso tempo, per docenti e per studenti, ma anche in forma asincrona.

Sembra, appunto, che il valore di maggiore flessibilità organizzativa riguardo agli spazi e ai tempi, in cui si possono svolgere alcuni tipi di attività didattiche, anche nelle facoltà teologiche, possa costituire quell’elemento aggiunto su cui riflettere adeguatamente nella costruzione della proposta formativa attuale e futura.

Gli studiosi Cope e Kalantzis, dell’Università dell’Illinois negli Stati Uniti, hanno elaborato, al riguardo, il termine ecologie di apprendimento. Con questo concetto individuano alcune nuove opportunità (affordance) di realizzare la didattica, ad esempio nelle forme ubique, o con modalità più attive e più collaborative. Tra le affordance vedono anche la possibilità di valorizzare linguaggi multimodali per rappresentare le conoscenze, oppure occasione di attivare una formazione esplicitamente differenziata, a seconda dei bisogni e degli interessi degli studenti.

Le ricerche e le esperienze – là dove vengono valorizzate consapevolmente queste nuove opportunità – confermano la loro validità didattica. Mettono in risalto, ad esempio, quanto cambiano le tradizionali tipologie delle relazioni tra docenti e studenti: da quelle unidirezionali a quelle multidirezionali. Oppure, quanto sono arricchite le interazioni tra i soggetti se vengono incluse e valorizzate nella didattica diverse dinamiche tra fattori linguistici, discorsivi e spaziali.

Lei è salesiano, don Bosco raccomandava agli educatori la necessità di essere presenti sul posto di lavoro ancora prima che arrivino i giovani. Oggi, in senso più ampio, potremmo dire che ai docenti è richiesto di sviluppare adeguate competenze per funzionare efficacemente negli spazi digitali… Quali competenze digitali sono richieste oggi ai docenti? E, di conseguenza, quale formazione per loro è opportuna perché la didattica sia integrata ed efficace nelle diverse modalità (interamente online e mista/duale)?

Sono convinto che don Bosco sarebbe oggi ugualmente presente tra i giovani negli spazi digitali online, come lo era uno volta nell’oratorio, nella parrocchia o sulle piazze di Torino dell’Ottocento dove trovava ragazzi poveri e abbandonati. La povertà di oggi deve essere interpretata non solo in termini materiali, ma anche in quelli culturali e umani.

Qui c’è spazio per i salesiani e per gli educatori di oggi. Focalizzando la nostra attenzione sui processi didattici realizzati negli spazi digitali o misti, dobbiamo riconoscere che qui c’è molto spazio per la presenza dei docenti. I processi didattici, realizzati negli ambienti misti o online, comunque, non solo modificano la progettazione o la valutazione, ma richiedono anche specifiche modalità di relazionarsi tra le persone coinvolte, specie tra docenti e studenti.

In questo contesto, Randy Garrison dell’Università di Calgary in Canada, individua tre tipologie di presenza con cui il docente sostiene i processi di apprendimento: teaching presence, social presence e cognitive presence. Tramite la prima, il docente fa percepire agli studenti le sue attività di progettazione e di organizzazione degli ambienti e delle esperienze di apprendimento. Tramite la seconda, il docente cerca di instaurare le relazioni di comunità di apprendimento al fine di rimediare la percezione di distanziamento creato dalle forme mediate di docenza.

Infine, tramite la terza, il docente si fa percepire come esperto che guida non solo le di studio esterne, ma anche quelle interne nella struttura cognitiva e metacognitiva degli allievi. Anche se i tre tipi di presenza, definiti da Garrison, sono importanti per la didattica online e mista, è evidente che i principi su cui esse si basano sono universali e validi anche per la didattica in presenza in aula.

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La competenza digitale, in vista di promuovere l’occupabilità dei giovani, costituisce una delle preoccupazioni principali della Raccomandazione del Parlamento Europeo del 4 giugno 2018. Come formare efficacemente le competenze digitali nella prospettiva lavorativa e occupazionale?

Ci sono vari studi e pubblicazioni su questo tema. Non è il caso di sintetizzarli adesso o di analizzare i diversi aspetti che essi approfondiscono. Comunque, come la competenza del docente non si acquisisce separatamente dalle attività di insegnamento, così la competenza digitale in qualunque ambito lavorativo, per svilupparsi, deve essere praticata nel contesto concreto.

Inoltre, come nell’ambito didattico questa competenza non può essere ridotta solo all’abilità di usare strumenti e tecnologie, così negli ambiti disciplinari e occupazionali deve integrare aspetti personali, sociali e culturali. Queste cose sono ovvie e non c’è bisogno di soffermarsi su di esse più di tanto.

Comunque, è obbligatorio parlare e riflettere oggi su un aspetto nuovo, di cui i documenti europei citati nella domanda ancora non parlano. Si tratta della comparsa degli strumenti basati sull’Intelligenza Artificiale (IA).

Le loro possibilità superano in diversi casi le capacità della mente umana, ad esempio la velocità di elaborazione dei dati, di utilizzare complessi linguaggi di programmazione informatica, oppure avere accesso immediato alle enormi quantità di informazioni e risorse accumulate nella rete.

Ciò che richiede un’attenzione particolare, comunque, non sono le potenzialità dell’IA in sé stesse, anche se impressionanti. Ciò che dovrebbe far pensare è che questi sistemi vengono sviluppati con una velocità esponenziale e in modo che è difficile realizzare di pari passo un’adeguata riflessione sulle relative implicazioni. E quelle sono di varia natura, da quella economica e produttiva a quella personale e sociale, oppure quella antropologica ed etica.

La formazione odierna alle competenze digitali, e qualunque altra formazione professionalizzante, quindi, oltre a basarsi sui modelli verificati positivamente nel passato, non può non prendere in considerazione questi aspetti emergenti nuovi e sempre più complessi.

Che cos’è l’ePortfolio e qual è il suo potenziale in vari ambiti disciplinari e professionali, tra cui anche quello dell’insegnamento universitario? Può essere attuato anche nelle facoltà teologiche?

Quello dell’ePortfolio, è un tema molto studiato nella didattica. Si tratta di uno strumento che può sostenere i processi didattici a vari livelli.

Per la forte componente riflessiva della metodologia di lavoro con questo strumento, gli studenti vengono sostenuti in modo particolare nell’apprendimento autoregolato, nella consapevolezza delle mete da raggiungere e dei processi che bisogna attivare.

Dal punto di vista pratico, attraverso artefatti realizzati, gli studenti documentano sia i precorsi di apprendimento, sia i risultati raggiunti. La forma digitale del portfolio permette valorizzare, inoltre, tutte le opportunità offerte dal Web 2.0, cioè non solo l’accesso alla rete, ma anche un’attiva collaborazione con altri, docenti e studenti.

Ciò che è più importante, però, non è la raccolta di lavori o la presentazione dei risultati parziali che esso raggiunge, ma – come ho accennato sopra – una riflessione continua sui processi di apprendimento e sui progressi realizzati verso le finalità prestabilite.

In questo modo lo studente, grazie a questo dialogo interiore con sé stesso, diventa sempre più consapevole della propria crescita professionale e umana. Anzi, non solo è consapevole dei processi in atto, ma, grazie alla riflessione su tutto ciò che fa e grazie ai processi metacognitivi che si attivano in quei momenti, intenzionalmente gestisce lo sviluppo della propria identità come persona e come futuro professionista. Quest’ultimo aspetto è fondamentale per qualunque ambito disciplinare, anche quello teologico.

Per quanto riguarda i docenti, invece, l’ePortfolio offre ottime possibilità di realizzare una guida didattica e monitorare i progressi degli studenti. Avendo una visione aggiornata su questo, possono realizzare anche un feedback continuo e la valutazione formativa che, da parte loro, costituiscono elementi fondamentali della docenza in ogni contesto formativo e su ogni livello di istruzione.
(fonte: Settimana News 23/06/2024)