venerdì 5 aprile 2024

ENZO BIANCHI: «LA PASQUA CI INSEGNA A SPERARE NELLA VITA»

ENZO BIANCHI:
«LA PASQUA CI INSEGNA A SPERARE NELLA VITA»

A colloquio con la guida della fraternità "Casa Madia" ad Albiano di Ivrea e fondatore della comunità di Bose. «È la vittoria dell'amore sulla morte, che non può essere l'ultima parola. Vivere la Settimana Santa, accompagnando Cristo nella Passione, ci prepara al giorno in cui dovremo affrontare la fine della vita terrena»


La Quaresima e la Settimana Santa ci hanno proiettato verso la gioia della Pasqua. Ma qual è – oggi – il significato più profondo di questa festa? Ne parliamo con padre Enzo Bianchi, guida della fraternità Casa Madia ad Albiano di Ivrea e fondatore (e priore fino al 2017) della Comunità di Bose, che ha appena pubblicato con la San Paolo L’arte della preghiera. «Per i cristiani il mistero della Pasqua è il fondamento di tutta la loro fede perché è la memoria della Risurrezione di Gesù Cristo, che attualmente è vivo e presente all’interno della Storia. L’apostolo Paolo dice: “Se Cristo non è risorto, vana è la nostra fede”. La Pasqua avvisa tutti che la morte non è l’ultima frontiera. Anzi, fa di più: testimonia che Gesù da uomo, ma anche da figlio di Dio, è ritornato e lo ha fatto per amore di tutti».

La morte e la Risurrezione di Gesù interrogano ancora oggi i cristiani, come si può vivere appieno questo Mistero?

«Di fronte alla morte scopriamo “il senso del senso”, come lo chiamo io, e in questo sta il mistero pasquale. Vivere la Settimana Santa significa accompagnare Cristo nella Passione ed essere presenti quando lui risorge spiritualmente. Anche se noi non facciamo questo percorso in maniera definitiva, l’esercizio ci prepara al giorno in cui noi dovremo affrontare realmente, nella nostra condizione terrena, la morte. La profondità del senso della Pasqua è allora la risposta della Passione di Cristo a queste domande: di fronte alla morte, “cosa posso fare”, “cosa posso conoscere”, ma anche “cosa posso sperare”? Questo per me è “il senso del senso” della Pasqua. Se non abbiamo la speranza della vita nell’amore di Dio, se la morte resta l’ultimo confine, è difficile trovare pace».

Partendo dalle riflessioni del suo nuovo libro, qual è la forza del pregare insieme nel periodo pasquale?

«I cristiani devono fare lo sforzo di seguire la liturgia della Chiesa perché questa non è solo una pedagogia, ma è qualcosa che ci coinvolge nella morte e nella resurrezione di Cristo, quindi partecipare alle funzioni dal Giovedì Santo alla Domenica di Pasqua è un modo per vivere in prima persona il mistero della resurrezione: da cristiano e insieme alla propria comunità. Infatti, lo scopo della preghiera è proprio la comunione con tutti i fratelli e le sorelle nella fede, ma in senso più ampio con tutta l’umanità».

Anche con i non credenti?

«Certamente, anzi le dico di più: vorrei che i cristiani sapessero testimoniare ovunque cosa sia la Pasqua. Non dicendo semplicemente “Cristo è risorto perché era figlio di Dio”. La Pasqua è soprattutto la vittoria dell’amore sulla morte. Quando diciamo a una persona “ti amo”, fissiamo quel sentimento che sta iscritto nell’eternità. Chi non ha la fede chiama questo vita interiore, coscienza. Dentro tutti noi c’è la capacità di vedere il bene e il male e di giudicarli. Ma anche di capire che l’amore dà senso alla vita e salva le nostre esistenze. Questo succede solo grazie alla Pasqua, mentre, per esempio, il Cantico dei Cantici termina dicendo che amore e morte sono in un duello eterno e che l’amore è forte come la morte. Ma questo non risolve il problema. Invece il cristianesimo con la sua fede nella Risurrezione consegna all’umanità questo messaggio: l’amore è più forte e la morte non può essere l’ultima parola. L’amore può vincere: questo tocca tutti e può essere di tutti».

Anche delle tante comunità che in varie parti del mondo vivranno questa Pasqua nascoste o perseguitate per la loro fede?

«Questo è un punto fondamentale: Cristo, avendo vissuto l’amore fino all’estremo, facendo del bene, non rispondendo mai alla violenza, è andato a morire per tutti, condannato sia dal potere religioso sia da quello politico. E ciò accade spesso ai giusti e a tutti quelli che nella Storia si sono opposti al male. Oggi penso a quelle comunità di cristiani dell’India, del Pakistan, del Nicaragua che soffrono perché c’è verso di loro l’ostilità di diverse forme di integralismo. Credo che siano i veri testimoni della passione di Cristo: con i loro corpi in prigione, torturati, vessati, cacciati, convertiti forzatamente, mandati in esilio. Quella è la Passione di Cristo che continua nelle vittime delle iniquità contemporanee. Gesù è la vittima che le raccoglie tutte».

Questa Pasqua pregherà quindi anche per loro?

«Tutti noi non dovremmo mai dimenticare che là dove c’è una vittima c’è un grido che sale a Dio, e arriva anche se gli oppressi non pregano. Dio sente la loro voce, avverte la loro schiavitù e decide di intervenire: questo deve essere una certezza. Questa Pasqua pregherò e pregheremo per tutti i cristiani perseguitati, così che la nostra preghiera pasquale rafforzi la comunione che indistintamente abbraccia tutta l’umanità».
(fonte: Famiglia Cristiana, articolo di Luca Cereda 26/03/2024)