sabato 16 settembre 2023

IL CUORE LARGO DEL RE Quando decido di non perdonare, non faccio che alzare il livello di dolore. Anziché annullare il mio debito, stringo un nuovo laccio, aggiungo una sbarra alla prigione. - XXIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO A) - Commento al Vangelo a cura di P. Ermes Ronchi

IL CUORE LARGO DEL RE
 

Quando decido di non perdonare, non faccio che alzare il livello di dolore. Anziché annullare il mio debito, stringo un nuovo laccio, aggiungo una sbarra alla prigione.


I commenti di p. Ermes al Vangelo della domenica sono due:
  • il primo per gli amici dei social
  • il secondo pubblicato su Avvenire

In quel tempo, Pietro si avvicinò̀ a Gesù̀ e gli disse: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò̀ perdonargli? Fino a sette volte?». E Gesù̀ gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette». (...) Matteo 18,21-35

per i social

IL CUORE LARGO DEL RE

Quando decido di non perdonare, non faccio che alzare il livello di dolore. Anziché annullare il mio debito, stringo un nuovo laccio, aggiungo una sbarra alla prigione.

C'è un modo regale di stare nel mondo, un modo divino che risiede saldo nella larghezza di cuore: sa perdonare chi è più grande, e quindi più forte.

Gesù lo spiega con la parabola dei due debitori. Il primo doveva una cifra iperbolica al suo re, qualcosa come un debito ingrassato a dismisura dagli usurai, che il povero servo non sarebbe mai riuscito a pagare. Allora, gettatosi a terra, egli lo supplicava. E il re provò compassione.

Il grande re sente su di sè tutta l'angoscia del servo, sente che questa conta più dei suoi diritti di creditore, la sente allargargli il suo cuore di re.

In opposizione a questo cuore regale ecco il cuore servile: appena uscito, il servo trovò un suo pari. Perché “appena uscito”, e non un’ora, non un giorno o una settimana dopo; ancora immerso in una gioia insperata, appena liberato il respiro e restituito al futuro e alla famiglia, fatta l'esperienza di un cuore regale, preso il suo compagno per il collo lo strangolava, gridando: ridammi i miei cento euro! Lui, perdonato di miliardi.

Così anche noi: bravissimi a calare sul piatto tutti i nostri diritti, abilissimi prestigiatori nell’azzerare i nostri doveri. Passando nelle strade del mondo come predatori, anziché servitori della vita.

Il servo perdonato non agisce contro il diritto o la giustizia. È giusto, ma spietato. È onesto, e al tempo stesso crudele. Giustizia e diritto non bastano da soli a fare nuovo il mondo. Anzi, l'estrema giustizia, ridammi i miei cento euro, può contenere la massima offesa all'uomo: presolo per il collo lo strangolava.

Giustizia umana è dare a ciascuno il suo. Ma ecco che sulla linea dell'equivalenza del dare e dell’avere, Gesù propone quella dell'eccedenza: perdonare settanta volte sette, amare i nemici, porgere l'altra guancia, dare senza misura, profumo di nardo per trecento denari. Follia? Forse. Ma quando decido di non perdonare, quando di fronte a un'offesa riscuoto il mio debito con una contro offesa, non faccio che alzare il livello di dolore e di violenza. Anziché annullare il mio debito, stringo un nuovo laccio, aggiungo una sbarra alla prigione.

Occorre il perdono del cuore. Ed è difficilissimo. Comporta un atto di fede, non d'intelligenza. Nell'uomo. Un atto di speranza, non di spontaneità. Nell'uomo.

I popoli in guerra usciranno dall’equilibrio di paura e di morte solo con il coraggio di un atto di fede reciproca. Fede è dare fiducia guardando non al passato, ma al futuro. Vivere il vangelo di Gesù non è spostare un po' in avanti i paletti della morale, del bene e del male, ma è la lieta notizia che l'amore di Dio non ha misura, che la misura del perdono non è mai colma. Il perdonante ha gli occhi di Dio, che ad occhi chiusi perdona e ti lancia in avanti, come colui che anche nel buio vede solo primavere.


per Avvenire 

Perdonare l’altro, perché perdonati dal Padre (...)

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