lunedì 31 luglio 2023

Senza Chiesa e senza Dio?

Senza Chiesa e senza Dio?


Nel titolo del libro edito nell’aprile 2023 dagli Editori Laterza Senza Chiesa e senza Dio – Presente e futuro dell’Occidente post-cristiano il punto interrogativo non c’è. Sembrerebbe, quindi, che esso sia stato scritto per dimostrare ancora una volta che, nel nostro Occidente secolarizzato, non ci sia più posto né per Dio né per la Chiesa e che, quindi, il cristianesimo sia destinato a tirare mestamente i remi in barca, avendo fatto il suo tempo.

In realtà, l’assunto di fondo dell’autore, Brunetto Salvarani, è quello di porsi, con un’ottica teologica supportata dalla storia e dalle scienze umane, «nella prospettiva della Chiesa di domani, individuandone le tracce già nella situazione odierna» (p. 15).

Il termine «post-cristiano» richiamato nel sottotitolo sta ad indicare che ad essere cancellato non è il cristianesimo ma un certo modo di essere cristiani (p. 20), con la conseguente e urgente necessità di ripensare e di riformulare la sua eredità (p. 10).

Il cristianesimo si sta trasformando e «non è affatto detto che stia morendo» (p. 66). A dispetto delle teorie sociologiche alla Friedrich Nietzsche della morte di Dio in voga negli anni Sessanta e Settanta del Novecento (p. 11) o delle convinzioni che «il mondo moderno della razionalità fosse naturalmente destinato a scavare fossati incolmabili con l’universo delle religioni» (pp. 37-38), Dio, che sembra essere «ricomparso coniugato al plurale» (p. 27), «non è morto, stiamo solo controllando i suoi documenti» (p. 196).

Salvarani, teologo di valore (sposato e padre di famiglia) che parla con parresia, saggista attento alle vicende ecclesiali, docente di Missiologia e Teologia del dialogo presso la Facoltà Teologica dell’Emilia-Romagna di Bologna e presso gli Istituti Superiori di Scienze Religiose di Bologna, Modena e Rimini, è consapevole che, nonostante lo stato di crisi in cui si trovano, le Chiese saranno in grado di proseguire «ad adempiere al loro mandato divino di evangelizzare i loro contemporanei» (p. 15) grazie alla loro «straordinaria capacità di adattamento alle nuove situazioni» (p. 19).

A una condizione: che siano disponibili, accantonando ogni forma di letargia e pessimismo (p. 111) e neutralizzando ogni tentazione di «fuga dalla storia» (p. 6), a «rimboccarsi non solo le maniche, ma anche e soprattutto il pensiero» (p. 17 e 221), investendo in formazione «inventiva, risorse economiche e mentali, lungimiranza, e la pazienza dei passi brevi nella coscienza dei tempi lunghi» (p. 221).

«Il cristianesimo che abbiamo ereditato dal passato e in cui sono cresciute acriticamente molte generazioni (…) non funziona più: se vuole risultare credibile ed essere praticato in un prossimo futuro, va ripensato da capo» (p. 225) o, quanto meno, rimotivato continuamente percorrendo la strada dell’autenticità, della semplicità e dell’essenzialità del Vangelo da dire e da proclamare «con parole precise e appropriate» (p. 143).

Struttura del saggio

Una premessa, otto capitoli e una conclusione.

Nella premessa, l’autore illustra a grandi linee la crisi di credibilità che attraversa la Chiesa. Che la Chiesa, anzi che le Chiese siano in crisi non è una novità. Se una novità c’è, essa è piuttosto rinvenibile nel fatto che negli ultimi due o tre decenni «la reazione media alle conclamate difficoltà che il cristianesimo sta trovando, nel suo sforzo di trasmettersi alle nuove generazioni in territori di antica tradizione e di presentarsi come parola credibile e autorevole nello spazio pubblico, corrisponde per lo più a un’alzata di spalle, a un disinteresse trasparente ed endemico» (p. IX).

Una crisi che sembra essere «un riflesso e una conseguenza diretta della crisi dell’immagine di Dio» della tradizione giudaico-cristiana (pp. XV-XVI) e che, per essere non subìta ma trasformata in occasione «di straordinarie e sorprendenti opportunità» (p. 226), ci chiede di imboccare con coraggio anche «sentieri urticanti, faticosi, eppure ineludibili» (p. XVIII).

Come l’invito impietoso – è, questa, l’analisi del sociologo australiano John Carrol, autore di un intrigante saggio intitolato L’enigma Gesù (Fazi Editore 2013) – a prendere atto, da un lato, che «le Chiese cristiane hanno collettivamente fallito nel loro compito fondamentale, ovvero continuare a raccontare la loro storia fondativa in un modo che sappia parlare alla loro epoca. Hanno fallito in quello che gli ebrei chiamavano midrash: l’arte di rimettere mano alle storie per adattarle ai tempi» e, dall’altro, che «il Gesù della Chiesa è un residuo legnoso di una stanca dottrina che parla di un Signore Dio benevolo e onnipotente che sta nei cieli, della Trinità, della remissione dei peccati, della santa Comunione, della resurrezione dalla morte e così via», tutti concetti che sembrano non fare oggi «presa sulla gente» (pp. 219-220).

Gli otto capitoli del saggio possono essere divisi in due grandi parti.

La prima parte comprende i primi cinque. Soffermandosi sull’attuale situazione del cristianesimo nel nostro Occidente, Salvarani evidenzia cinque «segni dei tempi» che le Chiese sono invitate a scrutare e a prendere sul serio: dalla crisi in atto che richiede di essere assunta e trasformata in opportunità (cap. 1) all’acquisizione della fine del mondo cristiano come lo abbiamo conosciuto (cap. 2); dalla scomparsa della figura del praticante alla nascita di quella del nomade e del pellegrino o del convertito (cap. 3); dalla presenza di un contesto sociale segnato per secoli quasi esclusivamente da tradizioni cristiane e caratterizzato oggi da un irreversibile pluralismo culturale e religioso (cap. 4) all’emersione di una nuova forma di cristianesimo destinata a mettere in luce molte di quelle Chiese rimaste a lungo in ombra (cap. 5).

Non senza premettere al suo itinerario un punto fermo: «Se non ci si sbarazza del vicolo cieco del clericalismo e dello spirito di casta che inevitabilmente lo connota, nessuna riforma della Chiesa potrà rivelarsi duratura né reale e fruttuosa» (p. 3).

Nella seconda parte, l’autore richiama tre aspetti tradizionalmente decisivi per l’autocoscienza ecclesiale da ripensare alla luce del quadro culturale odierno: il ruolo della Bibbia, che non è solo il grande codice dell’Occidente, ma anche il testo che, per i cristiani, contiene la Parola di Dio (cap. 6); la centralità della figura di Gesù di Nazaret che è il cuore, sempre antico e sempre nuovo, di ogni cammino di fede (cap. 7); la riproposizione, anche in termini non strettamente religiosi, delle tre virtù teologali care al cristianesimo come la fede, la speranza e la carità (cap. 8).

Nella conclusione, l’autore esorta a prendere atto che il cambiamento d’epoca che caratterizza la cristianità contemporanea «non solo non dovrebbe mettere paura, ma, se affrontato con il piglio giusto, potrà far del bene al vangelo, alle Chiese e alla loro credibilità» (p. 225).

Dunque, Senza Chiesa e senza Dio – Presente e futuro dell’Occidente post-cristiano è un libro coraggioso e di straordinaria utilità, che ci aiuta a superare responsabilmente «la cultura del lamento» (p. 7) e che guarda, senza edulcorarla, alla crisi del cristianesimo occidentale per contribuire a disegnare alternative al «progressivo affondamento della barca della Chiesa» (p. XV).

«Ogni crisi – ci ricorda Francesco nell’esortazione apostolica Amoris laetitia n. 232 – nasconde una buona notizia che occorre saper ascoltare affinando l’udito del cuore» (p. 6): ne è più che mai convinto Brunetto Salvarani il quale peraltro ritiene che per i cristiani la condizione di crisi «dovrebbe essere la situazione normale» (p. 3).

I segni dei tempi da scrutare

Il primo «segno dei tempi» da scrutare e da prendere sul serio (p. XVI) è la crisi che caratterizza il cristianesimo e le Chiese dell’Occidente (cap. 1): crisi non da subire, ma della quale fare buon uso, considerandola un momento propizio (p. 4) per continuare ad annunciare, servire e testimoniare la bellezza e le potenzialità umanizzanti dell’annuncio cristiano del regno di Dio (p. 5) la cui profezia – come disse papa Francesco il 29 novembre 2013 nel corso di un colloquio con 120 superiori generali degli istituti di vita consacrata – «non è negoziabile» (p. 51).

Il secondo «segno dei tempi» è la fine di un certo modo di essere cristiani (cap. 2) che ha la sua «origine nel IV secolo, in conseguenza delle scelte politiche dell’imperatore Costantino (e poi Teodosio) e dei grandi concili dogmatici, da Nicea (325) a Costantinopoli (381)» (p. 17).

Il cristianesimo di oggi e di domani è questione non di eredità ma di scelta (p. 19). Nel nostro Occidente post-cristiano e religiosamente plurale le Chiese, costituite per lo più da «piccoli resti di credenti convinti e praticanti», verosimilmente si raccoglieranno «attorno all’essenziale: la Parola di Dio raccolta nella Bibbia e i sacramenti riassunti nell’eucaristia» (p. 21).

E lo faranno, misurando la loro qualità di presenza nel mondo sulla «disponibilità e capacità di testimoniare nella vita la differenza evangelica» e vivendo «il dialogo ecumenico e interreligioso come una straordinaria occasione di purificazione e di crescita, e non come una minaccia alla propria (presunta) integrità» (pp. 22-23).

Un terzo «segno dei tempi» (cap. 3) sul quale interrogarsi è rinvenibile nella «progressiva scomparsa del cosiddetto praticante» (p. 39) e nella nascita di due figure tipiche della religiosità postmoderna: quella «del nomade, del pellegrino, del credente errante, che oltrepassa le appartenenze confessionali e territoriali» (p. 42) e quella del convertito (p. 44).

Quest’ultimo si articola in tre modalità principali: la persona che cambia religione, la persona che sperimenta forme di religiosità rispetto alle quali era del tutto estraneo, la persona che sceglie di vivere esperienze religiose – spesso emozionali – particolarmente forti (pp. 44-46). Fenomeno tipico della «quarta secolarizzazione» che «non avrebbe svuotato la religione delle sue esperienze spirituali», ma avrebbe trasformato il religioso «in forme più personalizzate, indipendenti da contenuti dogmatici definiti e dai confini delle religioni storiche» (p. 39).

Per la credibilità della fede cristiana – scrive Brunetto Salvarani, facendo riferimento al cristianesimo come stile di Christoph Theobald – i relativi contenuti, secondo il principio di concordanza tra il contenuto e la forma, debbono essere inseparabili «da una precisa modalità di situarsi nell’esistenza alla sequela di Gesù di Nazaret», modalità non solo da indicare, ma soprattutto da vivere in prima persona e da testimoniare (p. 55).

La crescita del fenomeno del pluralismo religioso è un altro «segno dei tempi» su cui riflettere (cap. 4). Esso – come affermò in più occasioni Carlo Maria Martini – costituisce «una sfida per tutte le grandi religioni, soprattutto per quelle che si definiscono come vie universali e definitive di salvezza» (p. 60).

Salvarani, uno dei maggiori esperti del dialogo ecumenico e interreligioso, è dell’avviso che questa sfida sia «per molti versi più temibile dell’ateismo o dell’indifferenza religiosa, dato che mette direttamente in discussione la tradizionale comprensione dell’identità cristiana nella sua pretesa di unicità e di universalità» (p. 69).

Per quanto riguarda i processi di riavvicinamento e i rapporti tra le diverse confessioni cristiane, il modello da valorizzare è quello dell’unità nella diversità riconciliata (p. 73): il che, da un lato, comporta che si passi dal «dialogo di facciata o delle coccole» al dialogo «della franchezza e della collaborazione» (p. 72); dall’altro, richiede che l’ecumenismo esca finalmente «dagli scaffali degli specialisti per entrare stabilmente negli ordini del giorno dei consigli pastorali, dei movimenti ecclesiali, dell’attuale Cammino sinodale, di quella che si chiama(va) la pastorale ordinaria» (p. 74).

Quanto, invece, ai rapporti con le altre religioni, Salvarani segnala l’affermazione decisamente innovativa sotto il profilo teologico in tema di pluralismo religioso contenuta nel Documento sulla fratellanza umana firmato il 4 febbraio 2019 da papa Francesco e dal Grande imam di Al-Azhar Ahmad Al-Tayyeb: «Il pluralismo e le diversità di religione, di colore, di sesso, di razza e di lingua sono una sapiente volontà divina, con la quale Dio ha creato gli esseri umani. Questa sapienza divina è l’origine da cui deriva il diritto alla libertà di credo e alla libertà di essere diversi» (p. 78).

L’ultimo «segno dei tempi» sul quale Brunetto Salvarani invita le Chiese a riflettere sono le forme di cristianesimo che stanno fiorendo in Africa, Asia e America Latina (cap. 5) ad un ritmo talmente sostenuto da far ritenere che «quella che stiamo vivendo oggi è una delle fasi più intense di diffusione del cristianesimo che si siano mai registrate nella storia», autorizzando gli analisti delle religioni contemporanee a ritenere che, in un’ottica globale, «non c’è alcun motivo per guardare con scetticismo alle possibilità di sopravvivenza del cristianesimo» (p. 100).

Ciò grazie ai nuovi cristiani che vivono il vangelo in condizioni diverse rispetto ai cristiani occidentali e con i quali le Chiese storiche dovranno fare i conti (p. 95): e ci saranno molte sorprese (p. 91) a livello di inculturazione della fede cristiana, che è forse la questione più urgente e controversa della missione cristiana della Chiesa in un contesto di cristianesimo mondiale (p. 113).

Da dove ripartire?

Nel cristianesimo di oggi, ma anche nel cristianesimo di domani, che cosa va conservato e «di cosa invece si potrebbe fare a meno senza particolari problemi» (p. 126)?

Alla domanda il teologo modenese cerca di dare una risposta sia nei capitoli 5, 6 e 7 sia nella conclusione del suo saggio.

Quanto a ciò di cui si potrebbe fare a meno, Salvarani sottoscrive quanto affermato da Tomáš Halík, un teologo assai attento alle trasformazioni del cristianesimo, nella sua opera Pazienza con Dio (Vita e Pensiero, Milano 2020): «Forse è giunto il tempo di abbandonare molte di quelle parole pie che abbiamo continuamente sulle nostre bocche e sui nostri stendardi. Queste parole, a causa di un uso continuo, spesso troppo superficiale, sono consumate, usurate, hanno perso il loro significato e il loro peso, si sono svuotate, diventando leggere e facili. Altre invece sono sovraccariche, rigide e arrugginite; sono diventate troppo pesanti per riuscire a esprimere il messaggio del Vangelo, la buona novella» (p. 221).

Non si potrà, invece, fare a meno della Bibbia (p. 126), che «non è tout court Parola di Dio, ma la contiene: una distinzione cruciale per schivare le sue letture fondamentaliste, oggi così in voga e così pericolose» (p. 130).

Nonostante «l’indubbio risveglio biblico» verificatosi a seguito dell’approvazione, da parte del concilio Vaticano II nel novembre 1965, della costituzione dogmatica Dei Verbum sulla divina rivelazione, si deve realisticamente prendere atto che, nella pastorale ordinaria delle comunità cristiane, «la fase di rilancio della lettura della Bibbia» ha quanto meno evidenziato «una certa stanchezza» (p. 135).

Peraltro, come non convenire con Salvarani che «qualsiasi appello per una maggiore attenzione alla Bibbia debba inquadrarsi in una più ampia attenzione al fenomeno religioso in tutte le sue diverse espressioni» (pp. 144-145)?

Inoltre, si dovrà sempre di più acquisire la consapevolezza che «l’elemento distintivo dell’agire cristiano non può essere che la sequela di Gesù». Infatti, come icasticamente affermato in L’essenza del cristianesimo da Romano Guardini, il cristianesimo è Gesù Cristo stesso (p. 149). «Qualunque cosa accada, qualunque cambiamento intervenga in un domani più o meno prossimo nella tormentata vicenda delle Chiese, si può affermare con tranquillità che è da Lui che occorrerà in ogni caso ripartire: dal significato da darsi ai gesti e ai racconti di quel giovane rabbi itinerante di Nazaret che – comunque la si pensi al riguardo – in una manciata di decenni ha scaravoltato la storia mondiale e inaugurato un inedito rapporto con il Dio d’Israele e dei suoi padri» (pp. 149-150).

È necessario tornare a Gesù, assumendo l’interpretazione che della sua figura è stata formulata da due svolte cruciali del Novecento: la sua ebraicità e la sua umanità (p. 148). Il che, da un lato, significa che Dio, incarnandosi, ha scelto di essere ebreo e che l’assunzione dell’ebraicità non va considerata come un fatto accidentale e secondario nella vita di Gesù» (p. 175), e, dall’altro, richiede ai cristiani di «cimentarsi a seguire il Cristo nella sua umanità reale», nella certezza che nella comprensione del mistero di Gesù esiste un rapporto direttamente proporzionale tra la sua umanità e la sua divinità: «quanto più divino, tanto più umano; quanto più umano, tanto più divino» (p. 179).

In quanto consapevoli che oggi i confini tra il credere e il non credere «si sono fatti più slabbrati e più porosi», i cristiani di oggi e di domani dovrebbero consolidare la prassi di mettersi in ascolto dei diversamente credenti e confrontarsi con le ragioni dei cosiddetti non-credenti, «non per consegnarsi all’incertezza sistematica, ma per rendere più mature le proprie convinzioni» (p. 181).

In che modo? Rileggendo, rivisitando e ripensando, alla luce dei nuovi contesti sociali e culturali la fede, la speranza e la carità. In quanto virtù teologali esse «hanno Dio per oggetto e fondano l’agire umano favorendo – per così dire – un accesso diretto a Dio stesso». Ma, a ben vedere, con esse tutti siamo chiamati a fare i conti, «credenti o non credenti o altrimenti credenti che siamo» (p. 182).

La fede, cioè il bisogno di credere in qualcosa o in qualcuno, è un «elemento fondante dell’essere umano» (p. 194): tanto è vero che è possibile affermare che «l’attuale crisi della fede cristiana sia innanzitutto figlia dello sgretolarsi progressivo dell’atto umano del credere» (pp. 186-187).

La speranza, che è forse la più trascurata delle virtù teologali nonostante ci faccia – come scrive Agostino ne La città di Dio – «propriamente cristiani» (p. 200), «non ha nulla a che fare con il banale ottimismo» (p. 204) ed è «una virtù antropologicamente più necessaria che mai» (p. 201). Infatti, «se si smarrisce la speranza nel futuro, ad andarci di mezzo è innanzitutto ciò che rimane di umano in noi» (p. 198).

Quanto alla virtù della carità, intesa come capacità di andare gratuitamente incontro al prossimo in situazione di povertà o di sofferenza, per Brunetto Salvarani rimane «sublime» (p. 206) la definizione laica datane da Luigi Pintor nelle sue memorie autobiografiche (Servabo, Boringhieri Bollati, Torino 1991): «Non c’è in un’intera vita cosa più importante da fare che chinarsi perché un altro, cingendoti il collo, possa rialzarsi» (p. 207).

BRUNETTO SALVARANI, Senza Chiesa e senza Dio, Presente e futuro dell’Occidente post-cristiano, Coll. “Tempi Nuovi”, Laterza, Roma-Bari 2023, pp. 248, € 20,00, EAN: 9788858150979.

(fonte: Settimana News, articolo di Andrea Lebra 20 luglio 2023)


«Maria ci aiuti a cercare, trovare e abbracciare Gesù con tutto noi stessi.» Papa Francesco Angelus 30/07/2023 (testo e video)

ANGELUS

Piazza San Pietro
Domenica, 30 luglio 2023



Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Oggi il Vangelo racconta la parabola di un mercante in cerca di perle preziose. Questi, dice Gesù, «trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra» (Mt 13,46). Fermiamoci un poco sui gesti di questo mercante, il quale dapprima cerca, poi trova e infine compra.

Primo gesto: cercare. Si tratta di un mercante intraprendente, che non sta fermo ma esce di casa e si mette in cerca di perle preziose. Non dice: “Mi bastano quelle che ho”, ne cerca di più belle. E questo è un invito per noi a non chiuderci nell’abitudinarietà, nella mediocrità di chi si accontenta, ma a ravvivare il desiderio, perché il desiderio di cercare, di andare avanti non si spenga; a coltivare sogni di bene, a cercare la novità del Signore, perché il Signore non è ripetitivo, sempre porta novità, la novità dello Spirito, sempre fa nuove le realtà della vita (cfr Ap 21,5). E noi dobbiamo avere questo atteggiamento: cercare.

Il secondo gesto del mercante è trovare. Egli è una persona accorta, che “ha occhio” e sa riconoscere una perla di grande valore. Questo non è facile. Pensiamo, ad esempio, agli affascinanti bazar orientali, dove i banchi, colmi di merci, sono assiepati lungo le pareti di strade piene di gente; oppure ad alcune bancarelle che si vedono in tante città, piene di libri e di oggetti vari. A volte in questi mercati, se ci si ferma a guardare bene, si possono scoprire dei tesori: cose preziose, volumi rari che, mescolati a tutto il resto, a prima vista non si notano. Ma il mercante della parabola ha un occhio attento e sa trovare, sa “discernere” per trovare la perla. Anche questo è un insegnamento per noi: ogni giorno, a casa, per strada, al lavoro, in vacanza, abbiamo la possibilità di scorgere del bene. Ed è importante saper trovare ciò che conta: allenarci a riconoscere le gemme preziose della vita e a distinguerle dalle cianfrusaglie. Non sprechiamo il tempo e la libertà per cose da niente, passatempi che ci lasciano vuoti dentro, mentre la vita ci offre ogni giorno la perla preziosa dell’incontro con Dio e con gli altri! È necessario saperla riconoscere: discernere per trovarla.

E ultimo gesto del mercante: compra la perla. Resosi conto del suo immenso valore, vende tutto, sacrifica ogni bene pur di averla. Cambia radicalmente l’inventario del suo magazzino; non c’è più niente se non quella perla: è la sua unica ricchezza, il senso del suo presente e del suo futuro. Anche questo è un invito per noi. Ma che cos’è questa perla per la quale si può rinunciare a tutto, quella di cui ci parla il Signore? Questa perla è Lui stesso, è il Signore! Cercare il Signore e trovare il Signore, incontrare il Signore, vivere con il Signore. La perla è Gesù: Lui è la perla preziosa della vita, da cercare, trovare e far propria. Vale la pena investire tutto su di Lui perché, quando si incontra Cristo, la vita cambia. Se incontri Cristo ti cambia la vita.

Riprendiamo allora i tre gesti del mercante – cercare, trovare, comprare – e facciamoci qualche domanda. Cercare: io, nella mia vita, sono in ricerca? Mi sento a posto, arrivato, mi accontento, oppure alleno il mio desiderio di bene? Sono in “pensione spirituale”? Quanti giovani sono in pensione! Secondo gesto, trovare: mi esercito a discernere ciò che è buono e viene da Dio, sapendo rinunciare a ciò che invece mi lascia poco o nulla? Infine, comprare: so spendermi per Gesù? Lui per me è al primo posto, è il bene più grande della vita? Sarebbe bello dirgli oggi: “Gesù, Tu sei il mio bene più grande”. Ognuno nel cuore lo dica ora: “Gesù, Tu sei il mio bene più grande”. Maria ci aiuti a cercare, trovare e abbracciare Gesù con tutto noi stessi.

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Dopo l’Angelus

Cari fratelli e sorelle!

Oggi si celebrano due Giornate mondiali indette dall’ONU: la Giornata dell’Amicizia e la Giornata contro la tratta di esseri umani. La prima promuove l’amicizia tra i popoli e le culture; la seconda combatte il crimine che fa delle persone una merce. La tratta è una realtà terribile, che riguarda troppe persone: bambini, donne, lavoratori…, tante persone sfruttate; tutti vivono in condizioni disumane e soffrono l’indifferenza e lo scarto da parte della società. C’è tanta tratta nel mondo, oggi. Dio benedica quanti si impegnano per lottare contro la tratta.

Non cessiamo di pregare per la martoriata Ucraina, dove la guerra distrugge tutto, anche il grano. Questo è una grave offesa a Dio, perché il grano è dono suo per sfamare l’umanità; e il grido di milioni di fratelli e sorelle che soffrono la fame sale fino al Cielo. Faccio appello ai miei fratelli, le autorità della Federazione Russa affinché sia ripristinata l’iniziativa del Mar Nero e il grano possa essere trasportato in sicurezza.

Il prossimo 4 agosto si conteranno tre anni dalla devastante esplosione nel porto di Beirut. Rinnovo la mia preghiera per le vittime e per le loro famiglie, che sono alla ricerca di verità e di giustizia, e auspico che la complessa crisi del Libano possa trovare una soluzione degna della storia e dei valori di quel popolo. Non dimentichiamo che il Libano è anche un messaggio.

Vi chiedo di accompagnarmi con la preghiera nel Viaggio in Portogallo, che compirò a partire da mercoledì prossimo, in occasione della Giornata Mondiale della Gioventù. Tantissimi giovani, di tutti i Continenti, sperimenteranno la gioia dell’incontro con Dio e con i fratelli, guidati dalla Vergine Maria, che dopo l’annunciazione «si alzò e andò in fretta» (Lc 1,39). A Lei, stella luminosa del cammino cristiano, tanto venerata in Portogallo, affido i pellegrini della GMG e tutti i giovani del mondo.

Ed ora saluto voi, romani e pellegrini d’Italia e di tanti Paesi. In particolare saluto il coro dei bambini di Veliko Tarnovo, in Bulgaria, e il gruppo di giovani messicani; come pure gli adolescenti di Biadene e Caonada. E saluto i ragazzi dell’Immacolata.

A tutti auguro una buona domenica. Per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Buon pranzo e arrivederci!

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domenica 30 luglio 2023

Piccoli schiavi invisibili: il nuovo Rapporto di Save The Children


Piccoli schiavi invisibili:
il nuovo Rapporto di Save The Children

(Foto di Save the Children)

Il 30 luglio è la Giornata Internazionale Contro la tratta di Esseri Umani e con l’occasione Save The Children, con il supporto dalla giornalista Valentina Petrini, ha pubblicato la XIII edizione del rapporto “Piccoli Schiavi Invisibili” incentrato sulle drammatiche condizioni di vita in cui si trovano i minori e le loro famiglie vittime dello sfruttamento lavorativo nel settore agricolo in due tra le aree italiane a maggior rischio: la provincia di Latina e la Fascia Trasformata di Ragusa. Si tratta di bambini, bambine e adolescenti che crescono in luoghi dove la condizione di sfruttamento dei genitori li rende vittime, sin dalla nascita, di un sistema di violazione dei loro diritti.

La tratta e il grave sfruttamento di persone, di cui possono essere vittime sia adulti che minori, sono fenomeni che purtroppo interessano anche il nostro Paese: in Italia e nel mondo 1 vittima su 3 è minorenne. Dal rapporto Piccoli Schiavi Invisibili”, emerge una “fotografia di bambine e bambini figli di braccianti sfruttati che – si legge nell’indagine - spesso trascorrono l’infanzia in alloggi di fortuna nei terreni agricoli, in condizioni di forte isolamento, con un difficile accesso alla scuola e ai servizi sanitari e sociali. Sono tantissimi e, nonostante alcuni sforzi specifici messi in campo, sono per lo più “invisibili” per le istituzioni di riferimento, non censiti all’anagrafe, ed è quindi difficile anche riuscire ad avere un quadro completo della loro presenza sul territorio. Il rapporto, inoltre, raccoglie le testimonianze di chi ha subito o subisce lo sfruttamento, insieme a quelle di rappresentanti delle istituzioni e delle realtà della società civile, dei sindacati, dei pediatri, dei medici di base e degli insegnanti”.

Il fenomeno dello sfruttamento lavorativo nel settore agricolo si concentra dove c’è più lavoro: stando ad una stima del 2021, gli occupati irregolari nel settore dell’agricoltura in Italia erano circa 230 mila, con una massiccia presenza di stranieri non residenti e un numero consistente di donne coinvolte, ovvero 55 mila. La maggior parte delle vittime di tratta e sfruttamento nel mondo restano invisibili: quelle identificate nel periodo 2017-2020 a livello globale non hanno superato i 190.000 casi. “Chi ha sofferto di più – sottolinea il Rapporto- per mano dei trafficanti, secondo gli ultimi dati, sono state le donne, cioè il 42% e i minori, il 35%, mentre le principali forme di sfruttamento sono state di tipo lavorativo o sessuale”.

L’indagine di Save The Children cerca di dar voce a bambini e giovani che vivono ogni giorno nell’ombra, subendo gravissime violazioni del loro diritto alla salute e all’educazione. Minori costretti a toccare con mano, precocemente, anche le più drammatiche conseguenze del lavoro sfruttato dei loro genitori, come nel caso di G., che ha 9 anni, e a scuola con grande lucidità ha detto “Maestra, papà è morto di lavoro!”, dopo aver perso il padre stroncato a 40 anni da un infarto mentre lavorava nei campi. Bambine e bambini, che vivono completamente isolati dai contesti urbani e gli uni dagli altri, senza piazze o spazi comuni in cui giocare, senza centri sportivi o aggregativi, in condizioni abitative spesso malsane o al limite, degradate e affollate, con 2 o 3 famiglie a dividersi 55 metri quadrati.

Il Rapporto mette in luce l’assenza di ogni dimensione sociale organizzata e condivisa per i minori, una situazione che fa della scuola l’unica forma per contrastare l’isolamento dei bambini. Tuttavia, la mancanza di un adeguato sostegno linguistico è un grave ostacolo per studenti, famiglie e insegnanti. “Nella provincia di Latina, sottolinea l’indagine, più della metà degli operai agricoli censiti/regolari (13.000 su un totale di 20.000), sono di origine straniera, in prevalenza indiana, una proporzione che si rispecchia anche tra gli studenti di alcune scuole primarie. Nello scorso anno scolastico, nell’area di Bella Farnia, la mediazione culturale in affiancamento ai docenti era un servizio comunale, ma si limitava a 8 ore al mese, troppo poco per bambine e bambini che non hanno né tempo pieno né doposcuola gratuito, e non possono essere accompagnati nello studio dai genitori, che lavorano nei campi dall’alba a notte fonda. Nella Fascia Trasformata di Ragusa, dove le aziende agricole impiegano ufficialmente 28.274 lavoratori di cui poco più di 15.000 italiani e 12.653 di origine straniera, romena e tunisina in particolare, l’esclusione sociale si radica dalla nascita”.

Inoltre, in alcuni casi, il percorso scolastico si interrompe a causa del coinvolgimento dei minori nello sfruttamento lavorativo, già a partire dai 12-13 anni, con paghe che si aggirano intorno ai 20-30 euro al giorno. Si può trattare di un lavoro a tempo pieno o, più spesso, limitato al tempo extra-scolastico quotidiano o estivo, o di un impegno che può iniziare già a 10 anni per “dare una mano” nel periodo di raccolta. Save The Children cita il caso di “S., una ragazza di 14 anni, che ha iniziato a lavorare quando ne aveva 13, impacchettando ortaggi o “bombando i fiori”, spargendo cioè la sera gli antiparassitari sulle coltivazioni, senza protezioni per le mani e per la bocca. Lei a scuola ci va lo stesso, ma capita che per la stanchezza si addormenti sul banco”.

“Il Rapporto ci dice che i lavoratori e le lavoratrici sfruttate in campo agricolo, oltre ad essere vittime dirette di questa condizione, sono anche genitori, madri e padri di bambini “invisibili” che crescono nel nostro Paese privi di diritti essenziali. Questa dimensione così grave dello sfruttamento troppo spesso, sino ad oggi, è stata ignorata. È fondamentale innanzitutto riconoscere l’esistenza di questi bambini, assicurare ad ognuno di loro la residenza anagrafica, l’iscrizione al servizio sanitario e alla scuola e i servizi di sostegno indispensabili per la crescita,” ha dichiarato Raffaela Milano, Direttrice Programmi Italia-Europa di Save the Children. Per questo, Save The Children chiede ai Comuni interessati e al Governo misure concrete e incisive per scardinare i meccanismi alla base di queste violazioni, per contrastare lo sfruttamento lavorativo in agricoltura e al caporalato con un programma specifico per l’emersione e la presa in carico dei figli dei lavoratori agricoli vittime di sfruttamento.
(fonte: Pressenza, articolo di Giovanni Caprio 29.07.23)



"Un cuore che ascolta - lev shomea" n° 37 - 2022/2023 anno A

"Un cuore che ascolta - lev shomea"

"Concedi al tuo servo un cuore docile,
perché sappia rendere giustizia al tuo popolo
e sappia distinguere il bene dal male" (1Re 3,9)



Traccia di riflessione sul Vangelo
a cura di Santino Coppolino


XVII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO A)

Vangelo:


Queste ultime brevi parole del capitolo 13 del Vangelo di Matteo concludono e completano il Discorso sul Regno dei Cieli; l'evangelista esorta ancora una volta la sua comunità a decidersi per ciò che realmente ha valore. «Il Regno è per la gioia dei figli ed è gioia». Decidersi per il Regno è talmente importante da spingere il credente a vendere tutto ciò che possiede per acquistare il campo del tesoro e la perla preziosa. L'amore per il Signore e per il suo progetto di vita ci rende liberi dalle lusinghe e dalle seduzioni del mondo; la gioia che scaturisce dall'incontro e dalla conoscenza di Gesù è la forza che ci fa vivere e camminare come figli veri. Il Maestro ancora ci mette in guardia dal ritenere la Comunità una setta di puri, di persone perfette «che pretendono di giudicare i fratelli, che osano decidere chi fa parte del Regno e chi no» (Papa Francesco), usurpando così il posto di Dio cui solo spetta questo compito. Piuttosto la Chiesa è «una rete che al suo interno mette insieme di tutto, buoni e cattivi». Quanti hanno fatto l'esperienza del perdono e della misericordia di Dio, sono a loro volta chiamati a perdonare e ad usare misericordia ai fratelli. Nel caso contrario, costoro appartengono al numero di coloro che chiudono il Regno dei Cieli d'avanti agli uomini: loro non vi entrano e non permettono agli altri di entrare (cfr. Mt 23,13).


sabato 29 luglio 2023

IL BUON AFFARE Lasciare tutto, ma per avere tutto. Vendere tutto, ma per guadagnare tutto. È l’affare della vita. - XVII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO A) - Commento al Vangelo a cura di P. Ermes Ronchi

IL BUON AFFARE
 

Lasciare tutto, ma per avere tutto. 
Vendere tutto, ma per guadagnare tutto. 
È l’affare della vita.


I commenti di p. Ermes al Vangelo della domenica sono due:
  • il primo per gli amici dei social
  • il secondo pubblicato su Avvenire

In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: «Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo; un uomo lo trova e lo nasconde; poi va, pieno di gioia, vende tutti i suoi averi e compra quel campo. Il regno dei cieli è simile anche a un mercante che va in cerca di perle preziose; trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra (...)». Matteo 13, 44-52

per i social

IL BUON AFFARE

Lasciare tutto, ma per avere tutto. Vendere tutto, ma per guadagnare tutto. È l’affare della vita.

Con due parabole brevi e lampeggianti, Gesù dipinge su un fondo d'oro il dittico gioioso della fede. Evoca tesori e perle, termini bellissimi e inusuali nel nostro rapporto con Dio. Lo diresti un linguaggio da romanzi, da pirati e da avventure; da favole e da innamorati e non da teologi o da liturgie, che però racconta la fede come una forza che trasforma la vita, che la fa incamminare, correre e perfino volare.

Il contadino va e vende tutto quello che ha per comprare il campo. Si tratta di una rinuncia? No, di una moltiplicazione! Il mercante investe tutto quello che ha, perché quella perla gli ha rubato il cuore. Lasciano tutto, ma per avere tutto. Vendono tutto, ma per guadagnare tutto. È l’affare della vita.

Il cristianesimo non è sacrificio o rinuncia, non è la religione dei perdenti. È la storia di cercatori d’oro, ai quali il presente non basta; la storia di gente che ha scoperto giacimenti di benessere, la perla del “ben vivere”, da cui non torna indietro.

I credenti sono così: scel­gono, e scegliendo bene guadagnano. Non sono più buoni degli altri, sono però più ricchi: hanno un tesoro di risorse cui attingere, perle di coraggio, di libertà, di cuore, di Dio. Hanno lo sbalordimento per la bellezza di Dio

La sorpresa è che il protagonista vero della parabola non è il contadi­no, ma il tesoro. Protago­nista vera della vita spiri­tuale è la perla preziosa, ca­pace di convocare mercan­ti dagli angoli della terra, forza che da sempre, da subito ha fat­to partire discepoli del Na­zareno verso i luoghi più sperduti del mondo.

E tutto nasce da una sorpresa, da un "che bello!" a pieno cuore, da un contagio di riflessi d’oro, che precedono la vendita dei beni. Senza questa meraviglia iniziale, il sacrificio non genera che tristezza, freddo, disamore, consumazione del cuore.

E vale per il bracciante chino sulla zolla non sua, come per l'esperto mercante, intenditore appassionato e ostinato, che gira il mondo inseguendo il suo sogno, perché nessun viaggio è lungo per chi ama.

Contadini o cercatori, tutti noi discepoli avanziamo nella vita non per decreti o divieti, ma per scoperta di tesori. Non per atti di volontà, ma per trasalimenti di occhi e di cuore. Noi avanziamo per una passione (dov'è il tuo tesoro, là corre felice il tuo cuore, cfr Mt 6,21), per innamoramenti e per la gioia che accendono. Mi sento contadino fortunato, mi sento mercante ricco perché ho fatto l’affare della mia vita: ho conosciuto il piacere di credere, buttandoci tutto; so il piacere di amare Dio, più che per altri amare un tesoro.

E dico grazie a Colui mi ha fatto in­ciampare in un tesoro, in molte perle, lungo molte strade, in molti giorni della mia vita, assieme a molti altri cercatori di Dio, contadini o mercanti, che non hanno la mappa del tesoro in tasca, ma la tracciano lungo la strada, a quattro mani con Dio, esplorando frontiere, coltivando la terra.


per Avvenire 

Dio per noi è un tesoro o soltanto una fatica?  (...)

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Dieci anni senza padre Paolo Dall’Oglio

Tiziana Volta
Dieci anni senza Abuna Paolo

Padre Paolo Dall'Oglio presso Sala Matteo Ricci-Centro San Fedele (Mi), 30/5/2012 (Foto di Amin Othman)

Sembra ieri eppure sono trascorsi dieci anni, 120 mesi, 40 stagioni, dai nostri ultimi messaggi… miei e di Abuna Paolo (Padre Paolo Dall’Oglio). Luglio 2013, ero a Trieste, preoccupata per lo stato di salute di Edvino (Ugolini, un sensibile poeta della Pace). Paolo era in Kurdistan durante il Ramadan. Pensando al caro amico molto sofferente mi suggerì i versi de “La Carità” di San Paolo concludendo il suo scritto con “Siamo impastati di eternità e messi a cuocere nel forno del tempo per essere cotti dal fuoco dell’Amore”. Poi fu il silenzio tra di noi!

Ho iniziato a seguire progetti di pace dopo essermi innamorata di due parole “Pace e Nonviolenza”. Il mio territorio di azione il bresciano, parte delle mie origini. Qui esiste un aeroporto militare dove si presuppone ci siano 20 testate atomiche. Andando lì per la prima edizione della Marcia Mondiale per la Pace e la Nonviolenza (2/10/2009-2/1/2010) ho scoperto che all’interno del giardino del Museo di Santa Giulia a Brescia cresce un Hibakujumoku di Nagasaki, il figlio di un caco sopravvissuto all’attacco atomico del 9 agosto 1945. Grazie alle cure del dottor Masayuki Ebinuma (dottore degli alberi) sono nati dei frutti i cui semi hanno donato le prime pianticelle adottate dai bambini delle scuole primarie in Giappone. Grazie all’artista Tatsuo Miyajima che ha raccontato questa storia di rinascita di vita durante la Biennale a Venezia del 1999 il Kaki Tree Project si è diffuso in tutta Italia, soprattutto nella provincia di Brescia. Nel giugno del 2012, presa dall’entusiasmo di essere riusciti a far arrivare un caco di Nagasaki al Giardino della Pace e della Speranza a Kabul (Afganistan), ma soprattutto dalle drammatiche notizie che iniziavano ad arrivare dalla Siria, mi misi “in cammino” per cercare di far anche arrivare lì un Albero della Pace. E’ stato così che sono entrata in contatto con Padre Paolo Dall’Oglio e la comunità monastica Deir Mar Musa (San Mosè l’Abissino). In quel momento era appena stato espulso dopo trent’anni dalla Siria per essersi apertamente schierato contro il governo di Assad.

Iniziò tra di noi un'intensa corrispondenza che si interruppe con il suo rapimento. Paolo mi raccontò il suo cammino in quel monastero vecchio di oltre 1.500 anni 1.300 metri sulle montagne che si rivolgono a Nebek. La rifondazione stabile della comunità monastica iniziò a partire dal 1991. La priorità era la riscoperta del significato assoluto e non strumentale della vita spirituale, della vita di preghiera. Sotto questo aspetto, l’antico monastero siriano costituiva un testimone forte del valore della vita spirituale nel passato della regione, ma anche del rischio di perdere tale valore. L’antica vita monastica orientale è elemento essenziale dell’anima cristiana ed anche del mondo culturale, simbolico e mistico dell’Islam. La comunità di Deir Mar Musa era quindi prima di tutto una comunità di silenzio e di preghiera, tanto nella vita personale dei monaci e delle monache che nella loro vita sociale. Bisognava quindi elaborare una vita di semplicità evangelica in responsabile armonia con il creato e la società circostante, e comportante la riscoperta del significato dell’attività manuale e del valore del corpo e delle cose, in un’estetica della giustizia e della gratuità. E poi l’ospitalità, quella abramitica (un’attività sacra degli antichi monaci, sulla base d’un valore sempre ritenuto divino in questa regione). Il monastero, dunque, inteso come luogo d’incontro, nell’approfondimento, non nell’oblio, delle specificità identitarie, tuttavia non in vista della chiusura ma, al contrario, nell’emancipazione da una cultura della separazione, per elaborare invece, gradualmente, una cultura della comunione. Questo implicava pure che la comunità cristiana di Deir Mar Musa viva una forte sottolineatura della dimensione ecumenica, cioè di comunione e di unità fra le Chiese, senza perdere nulla della specificità siriaca ed anche siro-cattolica del monastero stesso. L’orizzonte è quello della relazione islamo-cristiana con la scelta della lingua araba come lingua nella vita sociale e liturgica della comunità. Dunque, una sosta nel «cammino di Abramo».

Nel suo viaggiare tra le due estati del 2012-2013 Paolo mi disse “Aspettiamo fiduciosi… ormai la dimensione della tragedia atomica comincia a essere la stessa della tragedia siriana. Quindi la resurrezione giapponese ci parla”, la rinascita di vita testimoniata dal kako di Nagasaki che aspetta di raggiungere (finalmente) la sua destinazione (Deir Mar Musa).

Sabato 29 luglio, a esattamente dieci anni dal suo rapimento in Siria, ci sarà alle 17.00 presso la Chiesa di Sant’Ignazio a Roma la presentazione del libro “Il mio testamento”, pubblicato da ITL Libri (con il marchio Centro Ambrosiano). Il volume racchiude le conferenze inedite tenute da Padre Dall’Oglio nei mesi prima della sua espulsione dalla Siria. Un’opera che svela una visione aperta a nuovi orizzonti di ecumenismo, di fraternità e dialogo con l’Islam. Temi cari anche a Papa Francesco, che ne firma la prefazione.

L’evento sarà scandito da interventi di testimoni autorevoli che l’hanno conosciuto da vicino, come padre Jihad Youssef (superiore della Comunità monastica Deir Mar Musa), Adib al-Khoury, direttore casa editrice Comunità Deir Mar Musa, Elena Bolognesi, redattrice e traduttrice del testo, e Giovanni Dall’Oglio, fratello di padre Paolo, che interverrà a nome della famiglia.
(fonte: Pressenza 27.07.23)

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Riccardo Cristiano
Papa Francesco ricorda Dall’Oglio, 
per sconfiggere chi lo vuole rimuovere 


Padre Dall’Oglio fu rapito in Siria il 29 luglio 2013. E proprio nell’approssimarsi di questa data è stato reso noto il testo della prefazione scritta da papa Francesco al volume “Il mio testamento”, che raccoglie quanto detto da padre Paolo sulla regola della comunità che fondò, la Comunità di Mar Musa

A pochi giorni dall’anniversario del suo sequestro in Siria, a Raqqa, il 29 luglio 2013, è stato reso noto il testo della prefazione scritta da papa Francesco al volume “Il mio testamento” (edito dal Centro Ambrosiano), che raccoglie quanto detto da padre Paolo sulla regola della comunità che fondò, la Comunità di Mar Musa. Il testo è noto da ieri, ma è importante tornare sul suo valore più autentico proprio oggi, che segna un altro decennale, quello del viaggio di Francesco a Lampedusa, isola che riassume in sé il sogno e il destino di un popolo, espulso da Assad e sequestrato dall’Isis, proprio come Dall’Oglio. Va sempre ricordato che prima del suo sequestro, nel 2013, per mano dell’Isis, il gesuita romano fu espulso dal regime di Assad, nel 2012. Ma torniamo alla prefazione del papa.


Francesco aveva già parlato del suo confratello dopo il sequestro, definendolo uno stimato religioso, chiedendone il rilascio e notizie, che mai sono giunte. Ora è di nuovo lui a tornare a parlarne e questo è molto interessante e importante. Interessante perché tocca di nuovo a Francesco rompere uno strano silenzio, al quale possiamo trovare significativa eccezione nella voce del nunzio apostolico in Siria, monsignor Mario Zenari. Se come molto purtroppo fa presumere, fosse morto, si tratterebbe certamente di un martire della fede, trascurato però da molti. Come è toccato ad altri religiosi, come ad esempio a monsignor Romero. Qui ovviamente non c’è una diretta analogia, perché nel caso di Dall’Oglio non c’è, come detto, la prova del martirio, ma una scelta sapiente da parte di qualcuno, di rimuoverlo complice il silenzio che segue sempre la mancanza di certezze sul destino di persone sparite. Dunque è di nuovo di lui, Francesco, a rompere il muro di silenzio, di oblio, imposto dai suoi sequestratori e dai loro possibili complici, che sin qui hanno accuratamente evitato che filtrasse qualsiasi voce sul suo destino.

Sì, Dall’Oglio è scomodo da vivo come da morto e solo la sua rimozione, vivo o morto che sia, soddisfa i responsabili del sequestro. Nel caso dei jihadisti perché direbbero a tanti musulmani siriani (e non solo) che lo amano e lo hanno amato, che loro hanno ucciso un cristiano che crede in Gesù, ma ama l’Islam, come recita il titolo del suo libro più importante. Così le sue domande si infittiscono: è morto subito? E’ la cosa più comoda da dire, perché celerebbe che magari è successo qualcosa, che le cose potevano andare diversamente. Forse è vero, ma forse è falso. Di certo questo dubbio facilita la sua rimozione. E questo è il primo, grande merito del testo scritto dal papa a prefazione del volume ormai di imminente pubblicazione, sarà in libreria da martedì. Ed è questo che rende il testo del Papa importante.

Quella di padre Paolo infatti è una lezione e una storia, una visione e una denuncia, che non può essere addomesticata. Non può essere ricondotta nell’alveo di una visione che non sceglie, non vede, traccheggia. No. Questo con l’autore de “Il mio testamento” non è possibile. Come ha fatto recentemente la rivista dei suoi confratelli, La Civiltà Cattolica, anche lui avrebbe scritto oggi, se avesse potuto, che “l’apparato di sicurezza siriano in questi anni ha catturato decine di migliaia di dissidenti politici, che non erano terroristi. Tutto questo è stato portato avanti metodicamente con l’aiuto degli alleati iraniani e, a partire dal 2015, dei russi, che in Siria hanno sperimentato i metodi di guerra più distruttivi”. Ecco dove sta l’importanza della prefazione del papa: chi lo diceva già allora, quando accadeva o stava per accadere, non è andato fuori dalla righe, non si è sbilanciato.

Di questo ovviamente il testo non parla, ma che nell’introduzione si ricordino orribili abusi da parte di ecclesiastici siriani e maneggi economici ha rilievo. Si legge nel volume, a firma di padre Jihad Youssef con riferimento a Dall’Oglio: “Aveva lottato senza risparmi contro la corruzione generata dal maneggio di denaro ma anche contro quella generata dal sesso in ambito religioso, che ha portato a compiere abusi, anche contro minori, oppure a coprirli e a non denunciarli. E sulle sue spalle ha dovuto sopportare le conseguenze di questa lotta”.

Ecco allora che la prefazione del Papa diventa più importante di quello che potrebbe apparire, non basta leggere il testo, bellissimo e dolcissimo verso il confratello inghiottito nel buio siriano nel quale il potere ha fatto quanto qui abbiamo fugacemente ricordato. No, come sempre il testo va letto nel suo contesto. E il contesto è quello di dare voce ai siriani, ai loro patimenti che durano dal tempo del golpe baathista e che non si risolvono in essi. Allora si capisce bene cosa dica Francesco quando scrive commentando il doloroso mistero che ancora avvolge il suo destino: “sappiamo però ciò che lui non avrebbe desiderato: incolpare della sua misteriosa e drammatica scomparsa l’Islam in quanto tale: rinunciare a quel dialogo appassionato in cui lui ha sempre creduto…”.

Sì, Francesco ha ragione, ed è importante riflettere sui motivi per cui questo impegno appassionato, cocciuto, sicuro ma anche aperto, riecheggi così poco nel suo Paese di nascita, l’Italia, al di là delle parole del papa, anche a pochi giorni dal decimo anniversario del suo sequestro. Forse la non addomesticabilità di Dall’Oglio continua a penalizzarlo nonostante la tragedia dei profughi siriani, milioni e milioni, cacciati col forcone dal loro Paese, avrebbe dovuto aprirci gli occhi già da tempo.
(fonte: Formiche 08/07/2023)

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Dieci anni senza padre Paolo Dall’Oglio

In un libro il testamento spirituale del gesuita rapito in Siria il 29 luglio 2013. «Il Segno» di luglio/agosto racconta la sua eredità con le foto eccezionali di Elena Bolognesi29 Luglio 2023

Un'immagine giocosa di padre Paolo Dall'Oglio

Sono trascorsi dieci anni dal 29 luglio 2013, l’ultimo giorno in cui padre Paolo Dall’Oglio è stato visto vivo nella città di Raqqa, nel nord della Siria. Padre Jihad Youssef, monaco dal 1999, eletto nel 2021 superiore della Comunità monastica di Deir Mar Musa al-Habashi (monastero di san Mosè l’Abissino) in Siria, ricorda le sue parole: «Prima di lasciare la Siria, abuna Bulos ci ha raccomandato di non aggrapparci a niente, nemmeno a Deir Mar Musa, di scappare sui monti se fossimo stati in pericolo di vita, perché non dovevamo rischiare la vita per custodire le pietre, poiché la nostra dimora è in Dio».

Sul numero di luglio/agosto de Il Segno si approfondisce l’eredità spirituale di padre Dall’Oglio a partire dalla pubblicazione del libro Il mio testamento (Centro Ambrosiano), con prefazione di papa Francesco (questa è una sintesi dell’approfondimento di Elena Bolognesi, curatrice e traduttrice del libro e autrice dello straordinario reportage fotografico pubblicato sul mensile).
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Leggi tutto: 

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Presentazione del libro 
«Una mano da sola non applaude. La storia di Paolo Dall'Oglio, 
letta nell'oggi» di Riccardo Cristiano (Ancora)

Registrazione video del dibattito registrato a Roma lunedì 24 luglio 2023.

Dibattito organizzato da Biblioteca Europea e Centro Astalli.
Sono intervenuti: Fiorella Virgili (responsabile della Biblioteca Europea di Roma), Lorenzo Trombetta (corrispondente dell'ANSA dal Libano e dalla Siria), Camillo Ripamonti (presidente del Centro Astalli), Lorenzo Trombetta (giornalista), Francesca Dall'Oglio, Antonio Spadaro (padre gesuita, direttore della rivista La Civiltà Cattolica), Jacques Mourad (arcivescovo di Homs), Nader Akkad (imam della Grande Moschea di Roma), Immacolata Dall'Oglio, Riccardo Cristiano (presidente dell'Associazione Giornalisti Amici di Padre Dall'Oglio).
Tra gli argomenti discussi: Algeria, Cattolicesimo, Civiltà Cattolica, Comunità Di Sant'egidio, Cristianesimo, Curdi, Dall'oglio, Decessi, Diritti Umani, Gesuiti, Giustizia, Guerra, Immigrazione, Integralismo, Integrazione, Iraq, Isis, Islam, Libano, Libro, Medio Oriente, Pace, Periodici, Religione, Rifugiati, Sacerdozio, Siria, Societa', Terrorismo Internazionale, Violenza.

Guarda o ascolta tutto o anche i singoli interventi:


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Messaggio dell'Arcivescovo di Palermo Mons. Corrado Lorefice ai palermitani: “Il volto della nostra città e della Sicilia è sfigurato dagli incendi ma, in nome del Vangelo, la nostra speranza non è finita” - Dura nota dei Vescovi di Sicilia: Alte temperature e incendi devastanti, la Sicilia brucia: “Menti e mani criminali attentano alla vita degli uomini e al futuro della casa comune”

Messaggio dell'Arcivescovo di Palermo Mons. Corrado Lorefice
ai palermitani:
  
“Il volto della nostra città e della Sicilia è sfigurato dagli incendi ma, in nome del Vangelo, la nostra speranza non è finita”

"Tutti noi sappiamo che non si tratta di un’emergenza. Quello che è accaduto in questi giorni è l’esito ultimo di decenni di decisioni, di scelte, di gesti, di omissioni ma dobbiamo rialzarci in piedi"


Carissime, Carissimi,

sento il bisogno di rivolgermi a voi in questo momento così drammatico per la nostra Isola, per la nostra Palermo. Ieri pomeriggio sono stato in mezzo a voi a S. Maria di Gesù in preda alle fiamme, mentre vegliavamo attoniti i resti carbonizzati di San Benedetto. Mentre la Città bruciava, ho ascoltato i vostri gemiti, visto il vostro pianto e condiviso il vostro smarrimento. Davanti a tutto questo ogni parola pare inutile. Il volto della Città e dell’intera Sicilia è sfigurato.

Tutti noi sappiamo però che non si tratta di un’emergenza. Quello che è accaduto in questi giorni è l’esito ultimo di decenni di decisioni, di scelte, di gesti, di omissioni. La responsabilità di questo disastro ricade certo su chi ha avuto in mano la cosa pubblica, sulla politica; sulle nostre crepe educative, come anche sul modo di annunciare il Vangelo delle nostre comunità cristiane; ricade su di noi, su di noi in quanto popolo.

Non abbiamo fatto abbastanza per cambiare la nostra Casa comune, la Terra; per mettere fine alla logica dello sfruttamento e del profitto e combattere le mafie; per difendere l’ambiente, il territorio, i nostri beni culturali; per creare opportunità di lavoro e servizi sociali. Siamo stati pigri, indolenti, individualisti, fatalisti, distratti da gretti interessi di parte.

Il panorama desolato delle nostre città in fiamme, riscaldate da un vento infernale, avvolte dal fumo, prive di acqua e di elettricità, è lo specchio di tutto questo.

Voglio dirvi però, in nome del Vangelo, che la speranza non è finita. Che ci sono attorno a noi e dentro di noi energie di riscatto e di novità. Miei cari e amati Palermitani, miei cari figli e figlie della Chiesa di S. Mamiliano, S. Rosalia, S. Benedetto il Moro e del Beato Pino Puglisi, alziamoci in piedi! Riprendiamo il filo della nostra storia, il flusso fecondo della nostra fede sostenuto dalla preghiera.

Gesù dalla montagna esortava i poveri ad alzarsi e a mettersi in marcia: questo vuol dire la parola del Vangelo “Beati i poveri!”. Mettiamoci su questa strada, entriamo in questa schiera, sentiamo la responsabilità di creare un mondo diverso, per noi e per coloro che verranno. Il tempo è ora. La chiamata è ora. Tutti voi, donne e uomini di buona volontà, unitevi, uniamoci.

Io sono e sarò accanto a voi, per compiere quest’esodo, per uscire dalla morsa della schiavitù e dell’ingiustizia, per cantare insieme il canto della liberazione e della consolazione.

Abbraccio con affetto ognuno di voi, in particolare i parenti delle vittime e quanti si sono dati da fare per fronteggiare le fiamme e soccorrere le persone – Forze dell’ordine, Vigili del Fuoco, Protezione Civile, Associazioni e volontari, singoli cittadini –, e invoco su tutto il territorio della nostra Arcidiocesi la benedizione di Dio Padre, la misericordia del suo Figlio, la potenza rinnovante dello Spirito, certo dell’intercessione materna di Maria, Madre che, con la sua protezione, scioglie i nodi, rompe le catene, assiste i poveri e gli sventurati, e della nostra amata Santuzza Rosalia.

Vostro
+don Corrado, Arciv.

(fonte: Chiesa di Palermo 27/07/2023)

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Dura nota dei Vescovi di Sicilia:
 
Alte temperature e incendi devastanti, la Sicilia brucia:
“Menti e mani criminali attentano alla vita degli uomini 
e al futuro della casa comune”

Cari Conterranei di Sicilia,

ritorna a piovere cenere sulla nostra Isola. La Sicilia brucia, non solo per l’innalzamento della temperatura, ma perché fagocitata da fiamme devastanti: bruciano boschi, campagne, strade, autostrade, case, aeroporti, parchi archeologici, discariche, chiese e conventi. Bruciano perfino le spoglie dei santi.

Si ustionano gravemente i corpi degli addetti e dei volontari che prestano soccorso.

Le mani diaboliche di vandali senza cuore e coscienza hanno ucciso le vite di tre nostri anziani. Bruciano di paura, di ansia, di disperazione, di rabbia e di dolore i volti e le “anime” delle più di duemila vittime innocenti di questo infuocato e, purtroppo, annunciato e quasi “atteso”, inferno terreste: gli sfollati.

Quando già andiamo sui pianeti e nelle altre galassie con i droni e i robot, quando facciamo la guerra con missili di precisione e satelliti che scrutano i territori di centimetro in centimetro, non riusciamo a proteggere la nostra “casa comune” da previsti eccessi meteorologici. E questo deve ripetersi ogni anno?

Senza impantanarsi tra le ceneri della grigia burocrazia o i rimpalli di competenze e responsabilità, le varie Istituzioni che ci governano non possono ancora lasciare la situazione com’è. Occorre assumersi la responsabilità sui piani preventivo, educativo, strutturale e repressivo. Dobbiamo chiederci: cosa è stato fatto in questi anni per la prevenzione? Cosa è cambiato dagli ultimi roghi che, appena due anni fa, hanno messo in ginocchio l’Isola?

Non siamo così ingenui da non vedere il tentativo, ben pianificato e, in parte anche ben riuscito, di menti e mani criminali che attentano alla vita dell’uomo, al nostro patrimonio storico, religioso e culturale. Queste mani accostate alle dichiarazioni di circostanza di alcuni governanti e burocrati che, al più, denunciano i pochi mezzi a disposizione, finiscono per umiliare la nostra terra. Gli incendi non devastano questa terra da decenni? Ignoriamo forse la mancata prevenzione, l’incuria nella gestione del territorio, l’abbandono inarrestabile delle campagne, il processo di tropicalizzazione del clima?

Noi cittadini della casa comune siamo chiamati a farci custodi del prossimo. Bisogna attivare un sano processo di coscientizzazione alla giustizia e alla verità, superando anche il silenzio omertoso e correggendo i comportamenti offensivi del creato.

Noi vescovi insieme alle comunità cristiane invochiamo l’aiuto di Dio perché sostenga il popolo in queste ore drammatiche e invii i suoi angeli al fianco dei soccorritori, dei volontari, dei tanti amministratori che lottano, come pure di tutti coloro che hanno perso tutto.

I Vescovi di Sicilia

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venerdì 28 luglio 2023

TONIO DELL'OLIO Il coraggio di Paolo - Il testamento spirituale di Paolo Dall’Oglio


TONIO DELL'OLIO 
Il coraggio di Paolo
 
PUBBLICATO IN MOSAICO DEI GIORNI IL 28 LUGLIO 2023

A dieci anni dalla sua scomparsa ai nostri occhi, quella di Paolo Dall'Oglio è diventata una presenza esigente.

La radicalità della sua scelta dice con voce di canto liturgico che il dialogo e l'incontro tra le fedi non può più essere solo oggetto di riflessione convegnistica e disciplina di accademia ma deve profumare di vita. Intreccio di riti senza alcun sincretismo per assaporare piuttosto il gusto di attingere alla sapienza altrui e naufragare nel canto del gregoriano come in quello dei Sufi. È provare a scrostare il calcare della diffidenza che separa, per prendere il coraggio di guardarsi negli occhi. Sì, Paolo ha osato oltre il pregiudizio e i canoni restrittivi e respingenti. Paolo insegna ancora oggi a scovare con pazienza diuturna la verità che non ha un unico civico nella storia né scrigni privilegiati. Paolo Dall'Oglio ha elevato a poesia anche il groviglio delle incomprensioni e dei contrasti e ha indicato la via della conversione dei cuori. Talvolta è solo silenzio. Per lasciare la parola al Dio chiamato con mille nomi e invocato in tante lingue diverse. Ed è in questo protendersi generoso e accogliente che si raccoglie la sua lezione di vita e di fede. A noi non resta che ascoltare e muovere il passo nella stessa direzione. Con coraggio profetico.

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Il testamento spirituale di Paolo Dall’Oglio

Per la prima volta in dieci anni, le parole di Paolo Dall'Oglio risuonano in questo suo testamento spirituale

ITL Libri è lieta di annunciare l’arrivo in libreria di un volume straordinario, che ci regala un profondo sguardo nell’anima di un uomo di fede eccezionale. 
“Il mio testamento” di Paolo Dall’Oglio è una raccolta unica e preziosa delle conferenze inedite che padre Paolo Dall’Oglio ha pronunciato poco prima della sua espulsione dalla Siria. Questo libro offre l’opportunità di immergerci nelle parole profetiche e ispiratrici di un uomo che ha dedicato la sua vita al servizio di Dio e alla promozione della pace.

Un percorso di fede e visione profetica

Attraverso il commento della prima forma della Regola della Comunità monastica di Deir Mar Musa, fondata da padre Paolo Dall’Oglio, il libro ci conduce in un viaggio intimo verso il cuore della sua fede personale. Ma non si ferma qui. Padre Paolo ci consegna anche una visione profetica sulla Chiesa e sul mondo, aprendo nuovi orizzonti di ecumenismo, fraternità tra uomini e donne e dialogo con l’Islam, temi cari anche al magistero di papa Francesco, che firma la prefazione del volume.

Un ritorno atteso

Ciò che rende ancora più significativo questo libro è che rappresenta il primo risuonare delle parole di padre Paolo Dall’Oglio in dieci anni. Questo straordinario uomo di pace e di preghiera è scomparso infatti esattamente dieci anni fa, rapito mentre si trovava in Siria. La sua assenza ha lasciato un vuoto profondo, ma ora, finalmente, per la prima volta le sue parole risuonano di nuovo, portando con loro il suo messaggio di amore, unità e speranza.

Un invito a riflettere e agire

“Il mio testamento” di Paolo Dall’Oglio è molto più di un semplice libro. È un invito a riflettere sul nostro ruolo nel mondo, sulla nostra responsabilità di costruire ponti e abbattere le barriere che dividono l’umanità. Padre Paolo ci incoraggia ad abbracciare la diversità e a coltivare il dialogo, alimentando così la fratellanza universale.



Preparatevi ad immergervi in una lettura che sicuramente lascerà un’impronta indelebile nei vostri cuori e nelle vostre menti. Non lasciatevi sfuggire questa occasione unica di conoscere e abbracciare il messaggio di padre Paolo Dall’Oglio.

Il 29 luglio 2023, a Roma, avremo l’occasione di scoprire questo volume attraverso le parole di chi, Paolo Dall’Oglio, l’ha conosciuto da vicino. 


(fonte: ITL Libri 11/07/2023)

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