Cristo, Re della pace, entra in Gerusalemme
(Messale Borgia, XVI sec. -– Chieti, Museo Diocesano)
Cristo, nostra pace
La pace: dono, speranza e impegno
Lettera per la Quaresima e la Pasqua 2023
È diffusa l’idea che la pace sia esclusivamente frutto delle possibilità dei protagonisti umani della storia: la volontà di potenza delle visioni ideologiche, con la loro presunzione di poter piegare gli esseri umani alle proprie pretese, imponeva la legge del più forte come presunta via per giungere alla pace fra i singoli, i raggruppamenti sociali, le etnie, i popoli e le nazioni. Non a caso, né per un incidente di percorso, tutte le avventure dell’ideologia moderna, di destra come di sinistra, dall’ideologia borghese all’ideologia rivoluzionaria, sorte per costruire un mondo migliore nella pace, sono sfociate in forme totalitarie e violente. La parabola delle ideologie si è sviluppata in maniera analoga nelle sue differenti espressioni: ed è precisamente l’esperienza dei totalitarismi ideologici e dei loro fallimenti a produrre la crisi della ragione illuministica e della sua presunzione di poter stabilire la pace. Lungi dall’aver prodotto più patti di pace, le ideologie hanno generato maggior dolore, alienazione e morte. L’utopia della “pax moderna” cede il posto al disincanto della cosiddetta post-modernità. Una costatazione s’impone: la pace non sarà mai il frutto della pretesa di un’ideologia...
1. La crisi delle ideologie e la pace. Se la ragione moderna e illuminata pretendeva di spiegare tutto e di imporre la sua pace, il cosiddetto “post-moderno”, che fa seguito alla crisi dei mondi ideologici, si offre come tempo di abbandono della violenza totalizzante dell’idea e di declino delle sue presunzioni e dei suoi sogni. È tempo di naufragio e di caduta: se la pace punta prioritariamente all’assenza di guerra, garantita dalla legge del più forte, non reggerà perché prima o poi il gioco delle parti potrà cambiare. La pace non può stare a cuore di chi si sente “gendarme del mondo” se non come riflesso del proprio dominio e condizione del trionfo dei propri interessi. Se la pace solo umana dei sogni ideologici ha fallito, non diversa è la sorte di una pace unicamente legata alla volontà e alla forza di chi appare come il vincitore del momento. È altra la pace di cui abbiamo bisogno! Ne è segno la “nostalgia di perfetta e consumata giustizia” (Max Horkheimer), che abita nel più profondo del cuore di tutti. È possibile segnalare alcune espressioni di questo desiderio di pace giusta e affidabile nella diffusa riscoperta dell’altro: l’idea che il prossimo, col solo fatto d’esistere, possa essere ragione del vivere e del vivere insieme, è sfida a uscire da sé, a compiere l’esodo senza ritorno dell’impegno per gli altri, dell’amore. Accanto alla “felicità di consumazione” dell’egoismo dilagante, si intuisce la possibilità di una “felicità di produzione”, che è quella di chi comprende che le ragioni del vivere stanno nel rendere gli altri felici e che, perciò, si ha un motivo vero per vivere e costruire la pace quando si ha qualcuno da amare.
2. Nostalgia di una pace giusta. Proprio di fronte al conflitto scatenato dall’inammissibile invasione russa dell’Ucraina sono andati emergendo segnali di un nuovo bisogno di pace: il crescente consenso intorno al rifiuto della guerra, la consapevolezza che il raggiungimento della pace non può che passare attraverso la verità, la giustizia e il perdono, il nuovo interesse al prossimo più debole, la coscienza delle esigenze della solidarietà, anche a livello di mondialità, specialmente di fronte alla sfida dolorosa della pandemia, la sensibilità per il servizio ai più fragili e bisognosi, possono profilarsi come altrettante espressioni di una nostalgia di pace. La pace nella giustizia e nella verità esige, però, un cammino spirituale e un’opera attenta e costante di educazione e di formazione delle coscienze: si risveglia un bisogno, che genericamente potrebbe definirsi religioso, di senso e di motivazioni giuste, di un’ultima patria che non sia quella seducente, manipolante e violenta dell’ideologia, e dunque anche l’urgenza di un ritorno al Dio vivente, alle Sue esigenze di giustizia e di pace per tutti. Si comprende quanto sia necessario educare i giovani, e non solo loro, a invocare il dono della pace. Lo aveva intuito già il Concilio Vaticano II, quando aveva affermato che «legittimamente si può pensare che il futuro dell’umanità sia riposto nelle mani di coloro che saranno capaci di trasmettere alle generazioni future ragioni di vita e di speranza» (Gaudium et Spes 31). Si fa spazio qui a un possibile, nuovo interesse a comprendere la pace quale la rivelazione cristiana ha annunciato e propone attraverso i testimoni che vivano credibilmente la sequela di Gesù.
3. Gesù Cristo, “nostra pace”. Per la fede cristiana è il grido dell’ora nona - rischiarato dall’annuncio gioioso di Pasqua - a trafiggere la chiusura totalizzante di ogni visione ideologica, lasciando irrompere nell’orizzonte di tutto ciò che passa la presenza sovrana del Dio vivente e santo, riconoscendo il primato su tutto del Suo amore e della Sua volontà di pace. Cristo crocefisso e risorto è per i cristiani il “Principe della pace” (Is 9,5), Colui in cui l’Eterno è venuto in pienezza a dirsi e a donarsi a noi come nostra pace: «Egli infatti è la nostra pace… Egli è venuto ad annunciare pace a voi che eravate lontani, e pace a coloro che erano vicini» (cf. Ef 2,14.17). Afferma Papa Francesco: «Gesù spiega ai discepoli: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace non come la dà il mondo, io la do a voi” (Gv 14,27). Sono due modalità diverse… La pace che Gesù ci dà non è la pace che segue le strategie del mondo, che crede di ottenerla attraverso la forza, con le conquiste e con varie forme di imposizione. Questa pace, in realtà, è solo un intervallo tra le guerre… La pace del Signore segue la via della mitezza e della croce: è farsi carico degli altri. Cristo, infatti, ha preso su di sé il nostro male, il nostro peccato e la nostra morte. Ha preso su di sé tutto questo. Così ci ha liberati. Lui ha pagato per noi. La sua pace non è frutto di qualche compromesso, ma nasce dal dono di sé» (Udienza Generale, 13 aprile 2022). L’incontro con Colui, che è il Principe della pace libera e cambia il cuore e la vita, e ci chiama a seguirlo nella via del triplice esodo in cui si è sviluppata la Sua vita nella carne: l’esodo dal Padre; l’esodo da sé; l’esodo verso il Padre.
4. L’esodo di Gesù dal Padre. In primo luogo, il Signore Gesù si offre nel suo esodo dal Padre come la Parola uscita dal divino Silenzio: Dio “esce” da sé per amore nostro, offrendosi a noi nel Santuario vivente e santo, che è il Figlio incarnato, porta di ingresso e grazia di partecipazione alla vita della Trinità del Dio che è Amore. Al Dio che si rivela siamo chiamati a rispondere con l’atteggiamento che il Nuovo Testamento definisce “obbedienza della fede”: si accoglie Cristo credendo in Lui, ci si lascia rigenerare da Lui e dallo Spirito che Egli ha effuso attraverso l’ascolto della Sua Parola e l’accoglienza feconda del dono della vita nuova nei sacramenti, per diventare così costruttori di pace, nutriti dalla dimensione contemplativa della vita e dalla preghiera di intercessione. Alla Chiesa si richiede, perciò, uno stile di annuncio e di servizio alla causa della pace, fatto di annuncio vivo della fede, di preghiera perseverante, di presenza coraggiosa e umile, tale da suscitare l’amore più grande senza violentare la realtà o il cuore dell’uomo. Uno stile di testimonianza, che confermi la parola, e di parola che illumini l’eloquenza silenziosa dei gesti... La pace va invocata e accolta da Dio e irradiata con l’eloquenza della vita, che attui la grazia della parola evangelica!
5. L’esodo di Gesù da sé. Cristo ci offre poi il dono della riconciliazione col Padre attraverso l’esodo da sé fino all’abbandono della Croce: è il cammino della sua libertà. Accettando di esistere per il Padre e per gli uomini, Gesù è libero da sé in maniera incondizionata. L’esistenza del Figlio nella carne è un’esistenza totalmente accolta e donata nella libertà, è libertà per amare. La sua vita pubblica si apre e si chiude, perciò, con due grandi agonie della libertà: l’agonia della tentazione e l’agonia del Getsemani. Che cosa sono queste agonie se non lo stare di fronte ad un’alternativa radicale ed esercitare la scelta della libertà per amare? Agostino commenta quest’aspetto della vita del Cristo e del cristiano con una formula densa, che dice la grande scelta della libertà: «L’amore di sé fino alla dimenticanza di Dio o l’amore di Dio fino alla dimenticanza di sé» (De Civitate Dei, XIV, 28). Cristo è colui che ha fatto la scelta radicale per Dio, libero da sé, libero per esistere per gli altri: proprio così egli è il grande costruttore della pace, l’unico che può abbattere il muro dell’inimicizia (cf. Ef 2,14) e fare unità e riconciliazione fra chi è diviso. Seguire Lui nella disponibilità a pagare di persona per amore di Dio e del prossimo è la via per giungere non solo alla pace del cuore, ma anche a quella pace che trasfiguri tutti i rapporti umani e li integri in un nuovo ordine personale, comunitario e mondiale, che sia giusto e pacifico per tutti.
6. L’esodo di Gesù da questo mondo al Padre. Infine, Gesù vive il ritorno alla gloria da cui è venuto: è il Risorto, il Signore della vita, il testimone della trascendenza e sovranità di Dio rispetto a questo mondo, che si fa uno con noi e la nostra debolezza sulla Croce e ci porta con sé nella Sua Resurrezione, che è il Suo esodo da questo mondo al Padre, anticipazione e promessa per chiunque creda e speri di entrare nella vita vittoriosa per sempre sulla morte. Il Signore risorto è il datore dello Spirito Santo, l’acqua viva che sgorga dalle sorgenti eterne per attualizzare nel tempo il dono di Dio e condurre gli uomini alla gloria dell’Eterno, tutto in tutti. In questa luce si comprende come la pace accolta da Cristo sia e dovrà restare sempre in questo mondo nel segno della speranza e dell’impegno sempre nuovo, teso a testimoniare l’orizzonte più grande, dischiuso dalla promessa liberante di Dio. Per annunciare in parole e opere il Vangelo della pace all’inquietudine senza senso del nichilismo diffuso in tanti cuori, occorre credere e confidare nell’impossibile possibilità di Dio, operando di conseguenza in ogni scelta piccola e grande della vita. La pace è opera di giustizia che giunge sempre e solo come dono accolto da Dio e proposto a tutti mediante l’impegno generoso e la testimonianza di una speranza più forte di ogni calcolo umano. Affermava don Tonino Bello: «Diciamo che ogni guerra è iniqua. Promuoviamo una cultura di pace… denunciamo a chiare lettere l’ingiustizia della corsa alle armi. Insorgiamo quando vengono violati i più elementari diritti umani in ogni angolo del mondo. Aiutiamo la gente distratta a rendersi conto che lo sterminio per fame di milioni di persone pesa sulla coscienza di tutti… Preserviamo i nostri ragazzi, che hanno sempre più come principale referente lo schermo televisivo, dalle trasfusioni di violenza che essi metabolizzano paurosamente… smettiamola di tacere! Ricordiamo che delle nostre parole dobbiamo rendere conto agli uomini, ma dei nostri silenzi dobbiamo rendere conto a Dio» (Lessico di comunione, Edizioni Insieme, Terlizzi 1991).
7. Rendere ragione della nostra speranza... Di fronte alla crisi delle false sicurezze dell’ideologia e al rischio drammatico di un trionfo della violenza della guerra, seguire il Signore Gesù, “nostra pace”, vuol dire render ragione della speranza che è in noi con dolcezza e rispetto per tutti (cf. 1 Pt 3,15), facendosi luogo di irruzione e di presenza del Dio vivente nella costruzione della pace, che sia frutto di giustizia e di perdono. Sul piano personale ed ecclesiale ciò esige che i cristiani siano discepoli dell’Unico, servi per amore e testimoni del senso della vita e della storia. I credenti sono chiamati anzitutto a porre Cristo al centro della loro vita e del loro annuncio, qualificandosi nei fatti come suoi discepoli, appassionati alla Sua Verità, che libera e salva. “Vieni e seguimi” è l’appello che risuona più che mai oggi per i credenti in Cristo, perché più che mai occorre dire con la vita che ci sono ragioni del vivere e del vivere insieme e che queste ragioni non sono in noi stessi, ma fuori di noi, nell’Altro che viene a noi, in quell’ultimo orizzonte, che la fede ci fa riconoscere rivelato e donato in Lui, Gesù Cristo, e nel prossimo bisognoso e fragile. Si tratta di riscoprire il primato di Dio nella fede, e perciò il primato della dimensione contemplativa della vita, intesa come fedele unione a Cristo in Dio, avendo il cuore attento all’ultimo orizzonte, che in Lui ci è offerto, per giocare con Lui l’intera nostra vita al servizio della pace. C’è bisogno di cristiani adulti, convinti della loro fede, esperti della vita secondo lo Spirito, pronti a rendere ragione della loro speranza, capaci di rifiutare con tutte le loro forze la logica della guerra e di testimoniare il dono - impossibile agli uomini, ma possibile a Dio - della pace.
8. Servire la pace per amore e con amore. I cristiani oggi sono poi chiamati a farsi servi per amore, vivendo l’esodo da sé senza ritorno nella sequela dell’Abbandonato, costruendo la via della pace nella solidarietà specialmente ai più deboli e ai più poveri dei loro compagni di strada. Se Cristo è al centro della nostra vita e della vita della Chiesa intera, allora non possiamo chiamarci fuori della storia di sofferenza e di lacrime in cui Egli è venuto e dove ha conficcato la Sua Croce per estendervi la potenza della Sua vittoria pasquale. I discepoli della Verità che salva non sono mai soli: essi sono con Lui, al servizio del prossimo, vivendo così la compagnia del Dio con noi. Non si realizza il compito affidatoci dal Maestro, non si costruisce il domani di Dio nel presente degli uomini attraverso fughe dalle responsabilità del servizio: il mondo uscito dal naufragio dei totalitarismi ideologici ha come mai bisogno di questa carità concreta, discreta e solidale, che sa farsi compagnia della vita e sa costruire la via della pace in comunione con tutti, irradiando il Cristo Salvatore. Ciò richiede ai credenti di offrire modelli concreti di carità corale, in cui ci si possa sentire accolti e amati, perché la Chiesa tutta sia in forma solidale il volto del Dio compassionato. Certo, questo stile di servizio comporterà anche la necessità di prendere posizione, di denunciare: amare concretamente gli uomini significa anche capovolgere il loro modo di agire. Si tratta di mettere al primo posto non un interesse mondano o un calcolo politico, ma l’esclusivo interesse alla causa della giustizia e della pace; si tratta di giocare la vita, compromettendola con la testimonianza, se necessario portando la croce, cercando sempre con tutti la via in comunione. Il dolore del tempo presente, l’assenza di speranza e il dramma della guerra, chiedono alla Chiesa l’audacia di gesti significativi ed inequivocabili di impegno al servizio della pace nella sequela dell’Abbandonato della Croce...
9. Testimoniare la speranza per costruire la pace. Infine, viene chiesto ai cristiani di essere testimoni del senso più grande della vita e della storia, nella fede in Colui che ha compiuto il suo esodo verso il Padre e ci ha aperto le porte del Regno. Ciò richiede di amare la Verità e di essere pronti a pagare il prezzo per essa nella fatica di ogni giorno: occorre vivere la passione per la Verità e la giustizia, nutrita della speranza del Risorto, per costruire la pace, nonostante tutto ciò che le si oppone, vivendo e annunciando la forza del perdono, ricevuto e offerto. «Il cristiano - afferma Papa Francesco - non vive fuori dal mondo, sa riconoscere nella propria vita e in ciò che lo circonda i segni del male, dell’egoismo e del peccato. È solidale con chi soffre, con chi piange, con chi è emarginato, con chi si sente disperato… Però, nello stesso tempo, il cristiano ha imparato a leggere tutto questo con gli occhi della Pasqua, con gli occhi del Cristo Risorto. E allora sa che stiamo vivendo il tempo dell’attesa, il tempo di un anelito che va oltre il presente, il tempo del compimento. Nella speranza sappiamo che il Signore vuole risanare definitivamente con la sua misericordia i cuori feriti e umiliati e tutto ciò che l’uomo ha deturpato nella sua empietà, e che in questo modo Egli rigenera un mondo nuovo e una umanità nuova, finalmente riconciliati nel suo amore» (Udienza del 22 febbraio 2017). Chiediamo tutto questo in preghiera: Aiutaci, Dio della vita e della storia, a essere fedeli alla terra e alle esigenze di giustizia e di pace che la pervadono, e di essere fedeli al cielo, impegnandoci a tirare nel nostro presente qualcosa della pace promessa nel Tuo Regno che viene. E fa’ che coniughiamo sempre queste due fedeltà, sull’esempio della Tua vita donata per amore nostro, con la forza che il Tuo Spirito ci infonde per essere in ogni nostra scelta costruttori di pace. Maria, regina della pace, ci accompagni e interceda per noi. Amen!
+ Bruno Forte
Arcivescovo di Chieti-Vasto