martedì 7 febbraio 2023

VIAGGIO APOSTOLICO DI PAPA FRANCESCO nella REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO e in SUD SUDAN (Pellegrinaggio Ecumenico di Pace in Sud Sudan) 31 GENNAIO - 5 FEBBRAIO 2023 - GIUBA 04/02/2023 Preghiera Ecumenica: "Pregare, operare e camminare: riflettiamo su questi tre verbi." (cronaca, foto, testi e video)

VIAGGIO APOSTOLICO DI SUA SANTITÀ FRANCESCO
nella REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO e in SUD SUDAN
(Pellegrinaggio Ecumenico di Pace in Sud Sudan)

31 GENNAIO - 5 FEBBRAIO 2023



Sabato, 4 febbraio 2023

GIUBA

9:00 Incontro con i Vescovi, i Sacerdoti, i Diaconi, i Consacrati, le Consacrate e i Seminaristi presso la Cattedrale di Santa Teresa
11:00 Incontro privato con i Membri della Compagnia di Gesù presso la Nunziatura Apostolica

16:30 Incontro con gli sfollati interni nella “Freedom Hall”
18:00 Preghiera Ecumenica presso il Mausoleo "John Garang"

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PREGHIERA ECUMENICA

Mausoleo "John Garang" (Giuba)


Nel pomeriggio, presso il Mausoleo “John Garang” di Giuba, ha avuto luogo la Preghiera Ecumenica.

Dopo il saluto liturgico e una breve introduzione del Rev. Thomas Tut Puot Mut, Presidente della South Sudan Council of Churches (SSCC), si è svolto l’Atto Penitenziale, seguito dall’Orazione, dalla Prima Lettura e dalla Lettura del Vangelo.

Quindi, dopo l’allocuzione dell’Arcivescovo di Canterbury, Sua Grazia Justin Welby, e l’introduzione del Moderatore dell’Assemblea Generale della Chiesa di Scozia, il Pastore Iain Greenshields, è stato recitato il Simbolo degli Apostoli. Ha quindi avuto luogo la preghiera d’intercessione e di misericordia per la nazione nel corso della quale ogni lettore ha versato l’acqua sugli alberi piantati in precedenza come atto di unità.

Il Santo Padre Francesco ha pronunciato poi il Suo discorso a cui è seguita la recita del Padre Nostro, la benedizione dei tre leaders religiosi e il canto finale. Secondo le autorità locali hanno partecipato alla Preghiera Ecumenica presso il Mausoleo “John Garang” oltre 50.000 persone.

Al termine, il Papa è rientrato in auto alla Nunziatura Apostolica dove ha cenato in privato.








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Sud Sudan, il Papa: chi segue Cristo sceglie la pace, sempre

Durante la Preghiera ecumenica al Mausoleo “John Garang” di Giuba, Francesco sottolinea ai cristiani di diverse confessioni che pregare è la prima e più importante cosa da fare per operare bene e camminare insieme ed esorta a promuovere l’unità nella pluralità. Di fronte a tribalismo e faziosità che in Sud Sudan alimentano violenze, la testimonianza dell’armonia fra i credenti sia da esempio

Culmina con la Preghiera ecumenica il secondo giorno di Papa Francesco in Sud Sudan. Un momento assai atteso quello al Mausoleo “John Garang” di Giuba per invocare la pace sulla giovane nazione dilaniata da diversi conflitti. Gremiscono il piazzale antistante, composte, raccolte e in silenzio, oltre 50mila persone delle diverse confessioni cristiane da anni impegnate nel processo di riconciliazione e al fianco della popolazione che sta affrontando una grave crisi umanitaria - con oltre 2 milioni di sfollati interni e 2,3 milioni di sud-sudanesi costretti a fuggire negli stati confinanti. Una situazione aggravata da siccità, alluvioni in aumento a causa dei cambiamenti climatici e dalle problematiche provocate dalla pandemia di Covid-19, che ha ostacolato la consegna degli aiuti umanitari internazionali da cui dipendono poco meno di 9 milioni di sud-sudanesi. È presente anche il presidente della Repubblica Salva Kiir Mayardit. All’incontro prendono parte, insieme al Papa, l’arcivescovo di Canterbury, Justin Welby, e il moderatore dell’Assemblea Generale della Chiesa di Scozia, Iain Greenshields, che si sono uniti al viaggio apostolico del Pontefice in Sud Sudan per questo pellegrinaggio ecumenico di pace.

I momenti della Preghiera ecumenica

Mentre si fa sera su Giuba, si susseguono orazioni, riflessioni, letture dalla Sacra Scrittura e gesti nella preghiera comune che vuole rafforzare lo spirito del cambiamento, promuovere il perdono, la giustizia, il buon governo e l’unità nell’attuazione dell’Accordo rivitalizzato per la risoluzione del conflitto nel Paese, come spiega nell’introduzione il reverendo Thomas Tut Puot Mut, presidente della South Sudan Council of Churches. Viene proclamata la pagina del Vangelo di Giovanni con la preghiera di Gesù per l’unità dei credenti, quindi parlano l’arcivescovo di Canterbury e il moderatore dell’Assemblea Generale della Chiesa di Scozia. Poi viene recitato il Simbolo degli Apostoli.

Alcuni fedeli che hanno preso parte alla Preghiera ecumenica

Le invocazioni di intercessione e di misericordia

Segue la preghiera di intercessione e di misericordia per la nazione. Ad ogni invocazione ciascun lettore - della Chiesa cattolica, della Chiesa episcopale, dell’Africa Inland Church, della Chiesa presbiteriana, della Chiesa pentecostale, della Chiesa presbiteriana evangelica e della Sudan Interior Church - versa acqua su alberi piantati in precedenza come atto di unità. Si prega perché “la sincera ricerca della pace” da parte dei leader religiosi possa risolvere le controversie; perché l’amore possa “vincere l’odio e la vendetta sia disarmata dal perdono”; per gli sfollati che vivono situazioni difficili e drammatiche; perché nella società ci sia giustizia e trovino spazio “le ricchezze dell’inclusione e i tesori della diversità”; per le divisioni, le fazioni che affliggono il Paese, le controversie civili e per i politici perché possano “prendere le giuste decisioni che promuovano l’unità e la coesione”; per quanti hanno nelle loro mani le sorti della nazione perché governino “con discernimento, comprensione e unità”; perché cessi l’odio e il tribalismo; perché Dio doni al popolo sudsudanese “saggezza e resilienza” per la costruzione della nazione.

I lettori delle intercessioni

Pregare, la cosa più importante per i cristiani

Poi è Papa Francesco ad esprimere il suo pensiero su quelle voci diverse che “si sono unite, formando una sola voce” per il popolo ferito del Sud Sudan.
(fonte: Vatican News, articolo di Tiziana Campisi 04/02/2023

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Welby e Greenshields: in Sud Sudan un pellegrinaggio di perdono e giustizia

Appello alla pace dell'arcivescovo di Canterbury ai leader, ai giovani e alle donne del Sud Sudan alla preghiera ecumenica che si è svolta al Mausoleo di John Garang a Giuba. L'obiettivo è essere "uno" come i fedeli che scelgono Cristo. Il moderatore dell'Assemblea generale della Chiesa di Scozia: cerchiamo la riconciliazione attraverso Gesù, "il Sangue di Dio ci unisce e basta per la nostra salvezza"

I leader “hanno il potere di agire in base a ciò che gli altri dicono. Possono scegliere di ascoltare o meno gli altri. Possono offrire un modello di valutazione di chi è diverso da loro, oppure possono alimentare le divisioni”. I loro compito, tuttavia, dovrebbe essere quello di aiutare la comunità a “essere uno”, così come lo sono i fedeli che scelgono di seguire Cristo entrando in una nuova comunità. A sottolinearlo è l’arcivescovo di Canterbury Justin Welby, primate della Chiesa anglicana, nell’omelia per la preghiera ecumenica che si è svolta al Mausoleo di John Garang a Giuba.

Essere una cosa sola con Dio

Una comunità, ha detto Welby citando gli atti degli apostoli, in cui “la corruzione era esclusa” e “la violenza era inesistente” e in cui “quando riconosciamo che tutto è di Dio, non abbiamo più paura di perderlo, perché sappiamo che è un Dio di abbondanza e non di mancanza, di grandezza e non di carenza”. Certo, sottolinea l’arcivescovo di Canterbury, “in un mondo di carestia, sete e disastri naturali, la fede nell’abbondanza di Dio è difficile, ma quando siamo una cosa sola, ci apprezziamo a vicenda come apprezziamo le membra del nostro corpo”.

I giovani non siano ingannati dalla guerra

L’appello è quindi quello a dare valore ai giovani, la maggioranza della popolazione del Sud Sudan: “Non siete solo il futuro, siete il presente. Se vi apprezziamo, ascolteremo le vostre speranze di pace e di opportunità e permetteremo a queste speranze di plasmare le nostre nazioni e le nostre chiese. Non sarete ingannati dalla guerra. Non sarete costretti a uccidere. Sarete in disaccordo con gli altri, ma li amerete comunque. Sarete esempio di amore obbediente a Dio”.

Valorizzare e onorare le donne

Un cambio di atteggiamento che non può prescindere dalla considerazione delle donne nella società. ”Valorizzerete e onorerete le donne”, dice ancora l’arcivescovo di Canterbury tra gli applausi, “senza mai violentarle, senza mai essere violenti, senza mai essere crudeli, senza mai usarle come se fossero lì solo per soddisfare il desiderio”. Le stesse donne sudsudanesi, “incredibilmente forti” e che, oltre al dolore del conflitto e alla responsabilità di occuparsi della famiglia, “vivono il trauma della violenza sessuale e la paura quotidiana di subire maltrattamenti perfino nelle proprie case”.

Greenshields: questo pellegrinaggio accresca lo spirito di cambiamento

Justin Welby, insieme a Papa Francesco e al moderatore dell’assemblea generale della Chiesa di Scozia Iain Greenshields sono in Sud Sudan “come parte dalla vostra famiglia, della vostra comunione, per stare con voi e condividere la vostra sofferenza”. “Il sangue di Cristo ci unisce”, ribadisce, “ed è sufficiente da solo per la nostra salvezza”. "Siamo in visita nel vostro Paese per ribadire il nostro impegno, con voi, per la pace in Sud Sudan”, sottolinea Greenshields, “e per incoraggiare la solidarietà con voi, il popolo che sta ancora soffrendo per gli effetti della violenza, delle inondazioni e della carestia. “Preghiamo, cercando la guida e la saggezza dello Spirito Santo, che questo pellegrinaggio ecumenico di pace in Sud Sudan accresca in tutti noi lo spirito di cambiamento”, auspica Greenshields, e che questo ci renda tutti capaci di cercare la speranza, la riconciliazione, il perdono, la giustizia e l'unità in e attraverso il nostro Signore Gesù Cristo".
(fonte: Vatican News, articolo di Michele Raviart 04/02/2023)

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Signor Presidente della Repubblica,
Distinte Autorità religiose e civili,
Cari fratelli e sorelle!

Da questa terra amata e martoriata si sono appena levate al Cielo tante preghiere: voci diverse si sono unite, formando una sola voce. Insieme, come Popolo santo di Dio, abbiamo pregato per questo popolo ferito. In quanto cristiani, pregare è la prima e più importante cosa che siamo chiamati a fare per poter bene operare e avere la forza di camminare. Pregare, operare e camminare: riflettiamo su questi tre verbi.

Pregare, anzitutto. Il grande impegno delle comunità cristiane nella promozione umana, nella solidarietà e nella pace sarebbe vano senza la preghiera. Infatti, non possiamo promuovere la pace senza aver prima invocato Gesù, «Principe della pace» (Is 9,5). Ciò che facciamo per gli altri e condividiamo con gli altri è anzitutto dono gratuito che riceviamo a mani vuote da Lui: è grazia, pura grazia. Siamo cristiani perché gratuitamente amati da Cristo.

Stamani mi sono ispirato alla figura di Mosè e ora, proprio in relazione alla preghiera, vorrei rievocare un episodio decisivo per lui e per il suo popolo, avvenuto quando aveva appena iniziato ad accompagnarlo nel cammino verso la libertà. Giunti presso le rive del mar Rosso, si presenta ai suoi occhi e a quelli di tutti gli Israeliti una scena drammatica: davanti si staglia la barriera invalicabile delle acque; dietro sta sopraggiungendo l’esercito nemico, con carri e cavalli. Ciò non richiama forse i primi passi di questo Paese, assalito sia da acque di morte, come quelle delle disastrose inondazioni che l’hanno colpito, sia da una violenza bellica efferata? Ebbene, in quella situazione disperata Mosè dice al popolo: «Non abbiate paura! Siate forti e vedrete la salvezza del Signore» (Es 14,13). Ora mi chiedo: da dove veniva a Mosè una simile certezza, mentre il suo popolo continuava a lamentarsi impaurito? Questa forza gli veniva dall’ascolto del Signore (cfr vv. 2-4), che gli aveva promesso di manifestare la sua gloria. L’unione con Lui, la fiducia in Lui coltivata nella preghiera, era il segreto con il quale Mosè ha potuto accompagnare il popolo dall’oppressione alla libertà.

È così anche per noi: pregare dà la forza di andare avanti, di superare i timori, di intravedere, anche nelle oscurità, la salvezza che Dio prepara. Di più, la preghiera attira la salvezza di Dio sul popolo. La preghiera di intercessione, che caratterizzò la vita di Mosè (cfr Es 32,11-14), è quella a cui siamo tenuti soprattutto noi, Pastori del Popolo santo di Dio. Affinché il Signore della pace intervenga laddove gli uomini non riescono a costruirla, occorre la preghiera: una tenace, costante preghiera di intercessione. Fratelli, sorelle, sosteniamoci in questo: nelle nostre diverse Confessioni sentiamoci uniti tra noi, come un’unica famiglia; e sentiamoci incaricati di pregare per tutti. Nelle nostre parrocchie, chiese, assemblee di culto e di lode preghiamo assidui e concordi (cfr At 1,14) perché il Sud Sudan, come il popolo di Dio nella Scrittura, “raggiunga la terra promessa”: disponga serenamente ed equamente della terra fertile e ricca che possiede e sia colmato di quella pace promessa ma purtroppo ancora non giunta.

Proprio per la causa della pace siamo chiamati, in secondo luogo, a operare. Perché Gesù ci vuole «operatori di pace» (Mt 5,9), vuole che la sua Chiesa non sia solo segno e strumento dell’intima unione con Dio, ma anche dell’unità di tutto il genere umano (cfr Lumen gentium, 1). Cristo, infatti, come ricorda l’Apostolo Paolo, «è la nostra pace» precisamente nel senso del ristabilimento dell’unità: Egli è colui che “fa di due una cosa sola, abbattendo i muri di separazione, l’inimicizia” (cfr Ef 2,14). Ecco la pace di Dio: non solo una tregua tra i conflitti, ma una comunione fraterna, che viene dal congiungere, non dall’assorbire; dal perdonare, non dal sovrastare; dal riconciliarsi, non dall’imporsi. Talmente grande è il desiderio di pace del Cielo, che fu annunciato già al momento della nascita di Cristo: «sulla terra, pace agli uomini, che egli ama» (Lc 2,14). E tanta fu l’angoscia di Gesù per il rifiuto di questo dono che veniva a portare, che Egli pianse su Gerusalemme, dicendo: «Se avessi compreso anche tu, in questo giorno, quello che porta alla pace!» (Lc 19,42).

Noi, cari fratelli e sorelle, operiamo senza stancarci per questa pace, che lo Spirito di Gesù e del Padre ci invita a costruire: una pace che integra le diversità, che promuove l’unità nella pluralità. Questa è la pace dello Spirito Santo, il quale armonizza le differenze, mentre lo spirito nemico di Dio e dell’uomo fa leva sulle diversità per dividere. Al riguardo, la Scrittura dice: «In questo si distinguono i figli di Dio dai figli del diavolo: chi non pratica la giustizia non è da Dio, e neppure lo è chi non ama il suo fratello» (1 Gv 3,10). Carissimi, chi si dice cristiano deve scegliere da che parte stare. Chi segue Cristo sceglie la pace, sempre; chi scatena guerra e violenza tradisce il Signore e rinnega il suo Vangelo. Lo stile che Gesù ci insegna è chiaro: amare tutti, in quanto tutti sono amati come figli dal Padre comune che è nei cieli. L’amore del cristiano non è solo per i vicini, ma per ognuno, perché ciascuno in Gesù è nostro prossimo, fratello e sorella, persino il nemico (cfr Mt 5,38-48); a maggior ragione quanti appartengono al nostro stesso popolo, anche se di etnia diversa. «Che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi» (Gv 15,12): questo è il comandamento di Gesù, che contraddice ogni visione tribale della religione. Che «tutti siano una sola cosa» (Gv 17,21): questa è l’accorata preghiera di Gesù al Padre per tutti noi credenti.

Adoperiamoci, fratelli e sorelle, per questa unità fraterna tra noi cristiani e aiutiamoci a far passare il messaggio della pace nella società, a diffondere lo stile di non violenza di Gesù, perché in chi si professa credente non vi sia più spazio per una cultura basata sullo spirito di vendetta; perché il Vangelo non sia solo un bel discorso religioso, ma una profezia che diventa realtà nella storia. Operiamo per questo: lavoriamo per la pace tessendo e ricucendo, mai tagliando o strappando. Seguiamo Gesù e, dietro a Lui, muoviamo passi comuni sulla via della pace (cfr Lc 1,79).

Ecco allora il terzo verbo: dopo pregare e operare, camminare. Qui, lungo i decenni, le comunità cristiane si sono fortemente impegnate nel promuovere percorsi di riconciliazione. Io vorrei ringraziarvi per questa luminosa testimonianza di fede, nata dal riconoscere non solo a parole, ma nei fatti, che prima delle divisioni storiche c’è una realtà immutabile: siamo cristiani, siamo di Cristo. È bello che, in mezzo a tanta conflittualità, l’appartenenza cristiana non abbia mai disgregato la popolazione, ma è stata, ed è tuttora, fattore di unità. L’eredità ecumenica del Sud Sudan è un tesoro prezioso, una lode al nome di Gesù, un atto di amore alla Chiesa sua sposa, un esempio universale per il cammino di unità dei cristiani. È un’eredità che va custodita nel medesimo spirito: le divisioni ecclesiali dei secoli passati non si ripercuotano su chi viene evangelizzato, ma la semina del Vangelo contribuisca a diffondere una maggiore unità. Il tribalismo e la faziosità che alimentano le violenze nel Paese non intacchino i rapporti interconfessionali; al contrario, la testimonianza di unità dei credenti si riversi sul popolo.

In questo senso, per finire, vorrei suggerire due parole-chiave per il prosieguo del nostro cammino: memoria e impegno. Memoria: i passi che fate ricalcano le orme dei predecessori. Non abbiate timore di non esserne all’altezza, sentitevi invece sospinti da chi vi ha preparato la strada: come in una staffetta, raccoglietene il testimone per affrettare il raggiungimento del traguardo di una comunione piena e visibile. E poi impegno: si cammina verso l’unità quando l’amore è concreto, quando insieme si soccorre chi sta ai margini, chi è ferito e scartato. Voi già lo fate in tanti campi, penso in particolare a quelli della sanità, dell’istruzione, della carità: quanti aiuti urgenti e indispensabili portate alla popolazione! Grazie per questo. Continuate così: mai concorrenti, ma familiari; fratelli e sorelle che, attraverso la compassione per i sofferenti, i prediletti di Gesù, danno gloria a Dio e testimoniano la comunione che Egli ama.

Carissimi, i miei fratelli e io siamo giunti pellegrini in mezzo a voi, Popolo santo di Dio in cammino. Anche se distanti fisicamente, vi saremo sempre vicini. Ripartiamo ogni giorno dal pregare gli uni per gli altri e con gli altri, dall’operare insieme come testimoni e mediatori della pace di Gesù, dal camminare sulla stessa strada, muovendo passi concreti di carità e di unità. In tutto, amiamoci intensamente e di vero cuore (cfr 1 Pt 1,22).

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La Preghiera ecumenica con Papa Francesco a Giuba
raccontata da Massimiliano Menichetti