martedì 24 agosto 2021

Per sperare in un futuro di pace bisogna stare sempre e ovunque dalla parte delle donne

Per sperare in un futuro di pace
bisogna stare sempre e ovunque
dalla parte delle donne



Perché dobbiamo stare dalla parte delle donne afghane
di Maurizio Molinari

Una donna afghana tenta di lasciare il Paese attraverso il confine con l'Iran (ansa)

Difendere i loro diritti è un cruciale banco di prova per ogni democrazia e, in ultima istanza, per ognuno di noi

La disastrosa esecuzione della fase finale del ritiro dall'Afghanistan da parte dell'amministrazione Biden ha aperto una stagione di seria incertezza sul futuro della Nato ed espone gli Stati Uniti al rischio di un indebolimento strategico davanti ai più aggressivi rivali globali, Cina e Russia. Ma in attesa di conoscere le evoluzioni di questa forte scossa agli equilibri internazionali possono esserci pochi dubbi sul fatto che i primi indiscutibili cambiamenti vengono da Kabul, dove l'arrivo dei talebani porta una minaccia diretta ai diritti fondamentali di tutti i cittadini e soprattutto a quelli delle donne: catapultate in pochi giorni da una realtà nella quale la legge le equiparava agli uomini alla dimensione di prede dei fondamentalisti islamici.

Durante la prima conferenza stampa nel palazzo presidenziale, il portavoce dei talebani Zabiullah Mujahid ha promesso "il rispetto delle donne nei limiti dell'Islam" nell'evidente tentativo di rassicurare la comunità internazionale, dalla quale ora il regime dipende per aiuti economici e scambi commerciali. Ma a sette giorni dalla caduta della capitale le notizie che filtrano da più regioni afghane sotto il tallone dei talebani descrivono un evidente peggioramento della condizione femminile.

I talebani infatti hanno iniziato da subito ad imporre numerose restrizioni nei confronti delle donne. Quelle più comuni, diffuse quasi ovunque nei distretti lontani da Kabul, riguardano la proibizione di uscire da casa senza essere accompagnate da parenti maschi e l'obbligo di indossare il burqa, che copre l'intero corpo femminile dalla testa ai piedi. Alcuni comandanti talebani hanno ordinato ai mujaheddin di entrare nelle case, verificare la presenza di donne non sposate o vedove fra i 16 ed i 45 anni e quindi di farsele consegnare dalle rispettive famiglie, perché destinate ad essere assegnate e sposate a combattenti islamici.

È questa opera di ricerca casa per casa, con ispezioni molto aggressive, che ha innescato un tam tam di allarme e paura fra le donne - soprattutto giovani - in più località, spingendole a non tornare a casa e rifugiarsi altrove, trovandosi in situazioni di persistente pericolo, senza contare il bisogno di cibo e danaro per sopravvivere.

È una situazione di emergenza crescente, dove i talebani si comportano da cacciatori che braccano le donne nubili o vedove trattandole come prede di guerra. Ognuna di loro sa bene cosa l'aspetta in caso di cattura: lo stupro, la sottomissione, le nozze forzate e una totale assenza di diritti, dallo studio al lavoro, compensata dall'obbligo di fare figli da destinare alla Jihad. Le donne di Kabul sentono che questo incubo sta arrivando loro addosso.

È un conto alla rovescia preannunciato da quanto avviene attorno a loro: le immagini femminili sui cartelloni strappate o annerite, le giornaliste della tv pubblica alle quali viene impedito di lavorare, le insegnanti donne non più in grado di avere studenti maschi. Per non parlare della fatwa emanata nell'Università di Herat - 40 mila studenti - per mettere al bando l'educazione mista "perché radice di ogni male nella società" come dichiarato dal Mullah Farid, nominato dai talebani a capo dell'Educazione superiore.

Non siamo ancora alla chiusura delle scuole femminili ed al divieto di esercitare molte professioni - che distinse il regime dei talebani del Mullah Omar dal 1996 al 2001 - ma si tratta comunque di provvedimenti brutali e misure che si richiamano all'interpretazione più fondamentalista della Sharia, la legge islamica, lasciando intendere quale tipo di Emirato i talebani hanno iniziato a costruire. "Quello che i talebani dicono sulle donne e quanto stanno facendo in pratica sono due cose molto differenti" riassume Pashtana Durrani, insegnante e attivista dei diritti umani, parlando da Kabul alla tv britannica Bbc.

Non è la prima volta nella Storia che regimi dispotici mascherano le più brutali violazioni dei diritti umani con dichiarazioni e politiche tese ad accattivarsi il resto del mondo. La scelta delle democrazie è se credere alle bugie dei dittatori perseguendo una realpolitik che sacrifica i diritti umani oppure sfidare la disinformazione, battersi per le vittime della repressione e trasformare i diritti umani in una formidabile arma di pressione su questi regimi.

Ecco perché la difesa delle donne afghane costituisce oggi un bivio evidente fra tradire e difendere i propri valori sul quale ogni democrazia mette in gioco le proprie credibilità, identità e dignità. Ed è un bivio ancor più cruciale perché le società occidentali sono attraversate da una giusta e sacrosanta mobilitazione per rafforzare il rispetto delle proprie donne e per estendere la parità di genere. Ma battersi per proteggere i diritti delle donne all'interno dei nostri confini ed accettare in silenzio la brutale violazione dei diritti delle donne afghane sarebbe la più vergognosa contraddizione.

Ecco perché bisogna stare dalla parte delle donne afghane senza accettare passivamente che vengano stuprate, schiavizzate e imprigionate sotto il burqa anche se questa oggi può sembrare una battaglia quasi impossibile da vincere: difendere i loro diritti è un cruciale banco di prova per ogni democrazia e, in ultima istanza, per ognuno di noi. Più ci batteremo per loro, più avranno la forza di resistere, difendersi, avere speranza. Perché, come disse nel 1986 l'appena liberato dissidente ebreo russo Natan Sharansky al presidente Usa Ronald Reagan, ricordando i nove anni di detenzione passati nel gulag siberiano Perm 35, "quando eravamo in cella e sentivamo che vi battevate per noi, capimmo di non essere più soli e che la sorte dei nostri carcerieri era segnata".
(fonte: Repubblica 21/08/2021)

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La vostra ipocrisia
di Paolo Cacciari 

(Tratta da pixabay.com)

Guerrafondai impenitenti. Voi tutti che avete riempito pagine di giornali e schermi delle tv per giustificare le guerre “giuste”, i bombardamenti “mirati”, le invasioni “liberatrici”, tra cui l’operazione “Enduring Freedom”, potreste, almeno in questo momento, avere il pudore di risparmiarci questo spettacolo indecoroso di ipocrisia per le sorti delle donne afghane?

Voi governi della Nato che avete usato in Afghanistan tanti (nostri) denari per armi (due trilioni di dollari) quanti nella seconda guerra mondiale, vi facciamo una proposta per verificare se davvero avete a cuore il bene delle persone oppresse: continuate a stanziare le stesse cifre per altri vent’anni, ma questa volta non per armi, ma per migliorare le condizioni di vita delle persone affidandoli non a militari, ma alle organizzazioni non governative internazionali (che operano sul modello di Emergency per la sanità, dell’Unicef per i bambini, della UN Entity for gender Equality and Emplowerment of Women, del Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane, o altre).

Voi che avete approvato ogni anno per vent’anni i crediti di guerra per finanziare l’invasione dell’Afghanistan non vi viene in mente, neppure ora di fronte di un così evidente, clamoroso e vergognoso fallimento della missione militare, che la strategia della vendetta e dell’”occhio per occhio” rende il mondo cieco (Gandhi), non più pacifico e tantomeno più giusto? Non vi accorgete che le guerre non risolvono, ma aggravano e incancreniscono i problemi di convivenza tra i popoli e di rispetto dei diritti umani?
Voi che ritenete di avere l’esclusiva del modello più avanzato di civiltà, non vi siete mai interrogati delle ragioni per cui l’Occidente suscita in tante parti del mondo tanta repulsione e odio?

Voi che avete ammantato le vostre brame di dominazione su tutte le terre e le risorse del pianeta con la promessa di portare benessere e libertà ai popoli, potreste per una volta prendere atto con modestia e realismo del vostro fallimento?

Voi che piangete lacrime di coccodrillo per la sorte dei collaboratori civili dei vostri governi fantoccio abbandonati a se stessi a Kabul, perché non riaprite subito le frontiere, per loro e per tutte le donne e gli uomini perseguitati non solo dai talebani islamisti, ma anche da tutti gli altri regimi politici oppressivi, maschilisti, schiavisti, fondamentalisti religiosi che imperversano sul pianeta?


Voi che avete deriso come “anime belle” i movimenti pacifisti e nonviolenti che pure vi avevano avvertito in tutti i modi che le vostre pratiche di guerra sarebbero state controproducenti, per una volta, dategli ascolto: ritirate i militari da ogni parte del mondo (ad iniziare da Iraq e Libano) e lasciate fare alle forze di interposizione nonviolenta e alla cooperazione internazionale vera (non quella dei business del petrolio e delle materie prime).

Voi che in vent’anni di occupazione militare avete lasciato che l’Afghanistan diventasse il più grande narco-stato del mondo, cosa state facendo per evitare di importare oppiacei per rifornire i nostri civilissimi e floridi consumi di droga?

Ma prima di tutto, per poter ripartire davvero su basi nuove, dovreste imparare a chiedere scusa.
(fonte: Comune-info 21/08/2021)

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Afghanistan: Houshmand (teologa musulmana), 
“senza le donne non ci può essere speranza di pace da nessuna parte del mondo”


“Il ruolo della donna nella costruzione della pace è centrale, fondamentale, basilare. È il ruolo più importante. Non solo perché sono madri ma perché hanno la capacità di andare oltre, di perdonare, di guarire le ferite. Senza le donne non ci può essere speranza di pace da nessuna parte del mondo. Colpire le donne è l’arma più potente perché colpisci il futuro e il fondamento di una Nazione”. Questo il pensiero che oggi Shahrzad Houshmand Zadeh, teologa musulmana, docente di islamistica e membro della consulta femminile del Pontificio Consiglio per la cultura, rivolge alle donne afghane, parlando al Sir. “Stiamo vedendo sempre più spesso immagini che ci portano alla sofferenza dei popoli. Oggi, a questo quadro di dolore, si aggiunge la sofferenza del popolo afghano. Ma in Afghanistan, la crisi non è cominciata da oggi”, ricorda subito la studiosa di origini iraniane. “Secondo gli esperti, ci vogliono circa 100 anni per pulire la terra dell’Afghanistan dalle mine antiuomo lasciate dai russi. Sappiamo quanto hanno fatto Medici senza frontiere per aiutare a ricostruire piedi, mani e occhi alle bambine e ai bambini afghani, solo perché avevano giocato attorno alle loro case ed erano saltati in aria. È vero. Le immagini che stiamo vedendo ci fanno del male ma è purtroppo un male che sta andando avanti da molti anni”.
Anche sulla condizione delle donne in Afghanistan, la situazione era chiara prima. “Solo una percentuale molto bassa di donne studia in Afghanistan. Perché? Il tasso di analfabetismo è molto alto soprattutto tra le bambine. Le statistiche dicono che più del 60% delle bambine tra i 12 e i 15 anni lascia la scuola. Perché ce ne accorgiamo solo ora?”. Shahrzad Houshmand ricorda anche la spesa annuale di 42 miliardi di dollari sostenuta dagli Stati Uniti per mantenere in questi anni la sua presenza in Afghanistan. E commenta: “Sarebbero bastate anche solo tre di quelle annualità per migliorare veramente la situazione delle donne e dei bambini in Afghanistan, costruendo scuole, centri di cultura, campi sportivi, ospedali. Credo sia davvero arrivato il momento di rivedere le nostre politiche internazionali e riconoscere l’altra Nazione come la propria, l’altro essere umano come nostro fratello. Il popolo afghano piange e le sue lacrime hanno lo stesso sapore delle nostre”. La teologa musulmana cita le parole pronunciate in un’omelia del 15 agosto 2006 da Papa Benedetto XVI: “Tutti i poteri della violenza del mondo… sembrano invincibili, ma Maria ci dice che non sono invincibili”. La donna “è più forte perché Dio è più forte”. “Non ho una parola solo per le donne afghane – dice quindi Houshmand -. Ma per tutte le donne del mondo, perché tutte insieme dobbiamo cercare di rientrare nella scena sociale e politica per aiutare gli uomini a ribaltare l’economia bellica in una economia costruttiva e la politica del potere in una politica di accoglienza. Operare insieme per una femminilità accogliente e sapiente dell’azione politica e sociale”.
(fonte: Sir 21/08/2021)