giovedì 8 luglio 2021

FAMIGLIA, LA POVERTÀ NON È SOLO ECONOMICA: IL RAPPORTO DEL FAMILY MONITOR


FAMIGLIA, LA POVERTÀ NON È SOLO ECONOMICA:
IL RAPPORTO DEL FAMILY MONITOR

Uno studio condotto in 12 paesi del mondo, tra cui l'Italia, evidenzia come le fragilità delle relazioni intra-familiari pesino sempre di più sulla vita delle persone e sulla società. Un dato su cui riflettere: il problema di redditi sempre più magri e incerti non è purtroppo l'unico.


È stato presentato lunedì mattina (05/07/2021) presso la sede dell’Istituto Giovanni Paolo II a Roma, con la presentazione di Mons. Vincenzo Paglia, Presidente della Pontificia Accademia per la Vita, la sintesi del report “Famiglie e povertà relazionale” preparato dal “Family Monitor”, un progetto di ricerca internazionale che vede come protagonisti il Centro Internazionale Studi Famiglia (Cisf), l’Istituto Giovanni Paolo II di Roma e l’Universidad Católica San Antonio de Murcia (Ucam).

Il report è la prima parte di un più ampio progetto (la seconda parte riguarderà gli aspetti più strettamente economici della famiglia) che, in linea con l’obiettivo della lotta alla povertà –prioritario anche a livello internazionale, come risulta ad esempio dagli “Obiettivi dello Sviluppo Sostenibile Agenda 2030” delle Nazioni Unite – intende evidenziare il ruolo che le relazioni familiari hanno nel determinare, o di esserne comunque la concausa, la povertà delle persone, unite naturalmente alle dinamiche più strettamente macro-sociali. L’indagine si muove lungo due direttrici: “famiglia e povertà relazionale” e “famiglia e povertà economica”.

«L’intreccio tra famiglia e povertà è una priorità a livello globale», ha spiegato spiega Francesco Belletti, direttore scientifico del Family Monitor e direttore del Cisf. «Il progetto è partito dall’idea che la famiglia è un vero e proprio soggetto che sta di fronte alle sfide del sistema economico e alle azioni delle pubbliche istituzioni». Un primo dato evidenziato è che la famiglia in linea di principio “tiene botta” e che cerca di reagire di fronte a cambi permanenti e a shock improvvisi, come la pandemia. «Quando i problemi della famiglia sono di natura solo economica o solo relazionale, la famiglia ha le risorse per resistere ed esercitare il suo ruolo con generalmente buon equilibrio. Il problema è quando i due fattori – economico e relazionale – si sommano: qui le famiglie diventano molto vulnerabili».

La ricerca, che si è valsa dei dati forniti da 12 centri di ricerca in altrettanti paesi di tutti i continenti, denuncia che manca una definizione rigorosa e scientifica di “povertà relazionale”, che si manifesta peraltro su diversi piani: a livello educativo (nella difficile interazione tra famiglia, scuola e società), a livello del nascere e del crescere («ci sono contesti dove ancora nascere è difficile e in cui lo stesso essere bambini è problematico», ha detto Belletti), sul piano della stabilità della coppia («la coppia è la risorsa potente della famiglia, anche nel caso di difficoltà economiche, mentre la monogenitorialità genera grandi difficoltà»). Ma anche la stessa condizione giovanile sempre più spesso presenta vulnerabilità che si scaricano sulla famiglia («va rivisto il modello di sviluppo»), per non dire dell’aumento del numero di anziani e, per citare un altro dato in preoccupante crescita a livello mondiale, delle violenze intra-familiari («un dramma che si rileva poco statisticamente ma su cui quando succede è difficile agire»). Belletti ha concluso la sua relazione con la constatazione che le relazioni familiari sono al centro del benessere della famiglia: «Per aiutare la famiglia serve un intero villaggio. Se la società è cooperativa nelle sue varie articolazioni, la famiglia ne esce molto potenziata». La leva per agire sono le stesse famiglie: «Politiche di empowerment della famiglia riducono la sua fragilità, visto che sono le stesse famiglie protagoniste della loro vita. La politica può agire non togliendo i problemi, ma aiutandole con politiche di sostegno alle relazioni, con consultori, con l’accompagnamento alle coppie e alla genitorialità, riducendo le disuguaglianze socio-economiche, ecc.», ha concluso il ricercatore.

Giancarlo Blangiardo, presidente dell’ISTAT, si è concentrato sul caso Italia che ha un fondamentale fattore di sofferenza: la denatalità. «Negli anni ’90 abbiamo cominciato a registrare un crollo delle nascite che, dopo una piccola pausa all’inizio degli anni 2000 a causa dei ricongiungimenti familiari dei migranti, si è ulteriormente accentuato negli ultimi sei anni con il record più basso di sempre nel 2020, con solo 404 mila neonati. E il 2021 non promette miglioramenti (a gennaio - 14% di nascite, a febbraio - 4% …). Oggi abbiamo circa il 32% di famiglie “unipersonali”, cioè di anziani soli o persone che vivono sole («mentre le famiglie numerose sono molto diminuite, anche per una cultura che è opposta ai bambini», ha commentato laconicamente Blangiardo) e una media di 1,2 figli per donna (mentre il minimo per mantenere la popolazione è 2,1). «Il problema in prospettiva è (anche): chi pagherà le pensioni nel futuro ai baby-boomers diventati vecchi?».

Hanno completato le relazioni il professor Matteo Rizzolli, economista, che, citando alcune prestigiose fonti, ha ascritto la felicità complessiva delle persone più alla ricchezza relazionale che a quella economica, e Moira Monacelli di Caritas Internationalis, che ha presentato alcuni dati provenienti dalle Caritas nazionali. Infine Pierangelo Sequeri, preside del Pontificio Istituto Giovanni Paolo II, ha recitato un mea culpa a nome del mondo scientifico per la mancanza di riflessione teorica su alcuni aspetti oggi evidenti, come l’ambivalenza del significato di famiglia e la crisi della tradizionale alleanza educativa, a partire dalla ormai compiuta non significanza dei momenti di passaggio della vita (cresima, matrimonio, ecc.).
(fonte: Famiglia Cristiana, articolo di Stefano Stimamiglio 05/07/2021)