giovedì 31 dicembre 2020

"Buon anno! Buon anno!" di Adriana Zarri

Ecco, Signore, un anno nuovo 

Ecco, Signore, un anno nuovo. Non sappiamo come sarà e possiamo solo sperare e farci auguri inutili che tuttavia carichiamo di buoni auspici.

"Buon anno! Buon anno!" ci diciamo; e l'esclamazione rimbalza e si diffonde come quando diciamo "buon giorno!" o "buona notte!" e il più delle volte si tratta quasi di un intercalare, privo di consistenza, privo di umana solidarietà: una vuota abitudine, a livello di pura cortesia. 
Potrebbe esprimere affetto, salire dall'umana simpatia fino a giungere alla cristiana carità; e invece non esprime più nulla: è una pura emissione di voce, una mera espressione di buone maniere prive ormai di sentimenti veri. 
Ci scivola, scialba, sulla lingua, impegnando soltanto i muscoli vocali, spesso neanche la mimica facciale, spesso neanche un sorriso accompagna la voce: "buon giorno" e basta, senza nulla dietro.
Forse, Signore, l'abbiamo detto troppe volte; e quel giorno non è più un giorno con l'alba e il tramonto, il sole che sorge e monta, alto, nel cielo e poi declina, nella sera; e l'augurarlo buono non è più un auspicio di gioia: è una specie di pedaggio obbligato, imposto dalla nostra civiltà, quando incrociamo un conoscente. Forse, Signore, l'abbiamo detto troppe volte e quel giorno non è più un giorno e la bontà non è più una bontà. 
L'uso continuo ce l'ha consumato nella bocca e nel cuore perché, di solito, noi non sappiamo reggere alla reiterazione senza perdere la verità e la partecipazione degli inizi. Ed invece dovremmo; e ricordarci che, ogni volta, è come se fosse la prima: anzi è in effetti la prima che, in quel momento, diciamo o facciamo o siamo; e dopo sarà un'altra, differente, anche se le somiglia, ma la stessa non è.
Esiste perfino un vecchio assioma, che ripetono i nostri moralisti, il quale afferma: "ab assuetis non fit passio", non ci commoviamo più, ai gesti consueti e ripetuti. 
Che triste filosofia, Signore! 
Se fosse vera distruggerebbe il matrimonio, l'amicizia: tutto distruggerebbe; e il nostro mondo farebbe naufragio in un mare piatto, senza onde, senza nessuna increspatura di stupore, di emozione, di passione, senza entusiasmo, senza nulla. 
Non ci credo, Signore, a quell'assioma che ho studiato a scuola; anche se so che grava su di noi, come una perenne minaccia; e che il tempo può rinnovare ma, più spesso, consuma. E il combattere questo incombente appiattimento è l'impegno primario della nostra vitalità e novità e perdurante fervore. E so anche che non ci può riuscire senza il tuo aiuto, perché tu non se il Dio delle cose vecchie e ripetute senza partecipazione: tu sei il Dio vivente delle cose viventi e risorgenti dalla tomba del tempo che le uccide; ma poi lo stesso tempo ce le rimette in mano, nuove. Questo, Signore, sei, e non il Dio della passione spenta: quella passione che la nostra omiletica ha sovente umiliato riducendola ai "bassi istinti" (e quali sono, poi gli istinti bassi se non quelli abbassati da noi?). 
La passione è l'emozione e l'entusiasmo che dovremmo versare su ogni cosa; e tu, Signore, tu sei il Dio della passione accesa, che non si spegne mai, come non si spegne la fede, la speranza, la carità. (Ed è ben vero che san Paolo dice che la speranza cessa nella vita futura, davanti a te, raggiunto. Ma tu, Signore, anche raggiunto, resti irraggiungibile, sempre al di là d'ogni possibile presa, e sempre oggetto di ogni ulteriore speranza.)
Tu, Signore, sei il Dio della passione sempre accesa, della speranza inestinguibile e della novità che non invecchia: sei il Signore che ci difende all'usura del già detto e ci ridà la gioia di ciò che è nuovamente da dirsi, da farsi, da viversi. Ed il "buon giorno" ritorna ad essere un "buon giorno", ricco di cielo e di sole; e il "buona notte" ricco di stelle e di luna; ed entrambi ricchi di simpatia e di amore.
Così, Signore, sia per il nostro "buon anno!" che, in questi giorni, diciamo tanto spesso. Fa che sia un anno pieno di stagioni, di erbe primaverili, e di affocate stoppie estive, e di frutti pendenti dell'autunno, e di silenzio candido e innevato, di fuochi accesi, di tavole imbandite come quelle che accoglievano te, quando pranzavi con gli amici.
Riempi, Signore, i nostri auguri; di questa densità esistenziale; e dacci la passione dell'amicizia e la capacità di auspici veri.

"Buon anno, amici, buon anno!" Più di trecento giorni pieni di sole, di luna, di nuvole, di neve; più di trecento giorni, pieni di solidarietà e di gioia; e, se verrà il dolore, che sia vissuto con amore.
"Buon anno, amici, buona vita!"
- Adriana Zarri -


Raniero La Valle: IL CENSIMENTO

IL CENSIMENTO
di Raniero La Valle



Al sopraggiungere di quest’anno 2021, quando Biden, Dio sa come, è presidente degli Stati Uniti, Conte è fortunosamente presidente del Consiglio in Italia, Johnson è il disastroso premier del Regno Unito e Angela Merkel, la donna tra i potenti che piange sui morti, è cancelliera della Germania federale, si deve fare un censimento di tutta la Terra, per dare a tutti il vaccino che li salvi dalla pandemia. È come il censimento che, secondo il racconto di Luca, Cesare Augusto ordinò che si facesse in tutto l’Impero, quando Quirino era governatore della Siria e nacque Gesù. Ma c’è una differenza. Quello di Augusto fu fatto per discriminare i cittadini non romani rispetto ai romani, mentre questo deve includere tutti. In quel tempo si pagava caro non essere cittadini romani: per esempio a Gesù costò essere giustiziato mediante la croce, supplizio a cui erano sottratti i Romani perché considerato troppo infamante per loro; a Paolo invece essere civis romanus fruttò potersi appellare a Cesare ed essere tradotto a Roma per esservi giudicato, anche se poi quella non apparve una così grande garanzia, se a Roma egli fu tenuto prigioniero e ucciso alla prima persecuzione utile.

Il fatto è che c’è censimento e censimento; a David fu rimproverato il suo perché era fatto solo per sapere di quanti uomini armati egli disponesse per la guerra, la Schindler list servì a salvare quanti più Ebrei dai lager, le liste anagrafiche sono usate spesso per escludere i poveri e negare il permesso agli stranieri, le mailing list rubate sul web servono ad ammassare consumatori. 

Il censimento da fare oggi è invece sacrosanto, per la prima volta si deve fare in tutta la Terra per raggiungere tutti gli uomini e le donne di cui è preziosa la vita minacciata dal virus. Poveri e ricchi, come ha detto il papa, che il mercato sia d’accordo o no. Questo è stato il messaggio di Natale: “Gesù, è ‘nato per noi’: un noi senza confini, senza privilegi né esclusioni”. Contro il virus dell’individualismo, ha detto il papa, vaccini per tutti. “Non posso mettere me stesso prima degli altri, mettendo le leggi del mercato e dei brevetti di invenzione sopra le leggi dell’amore e della salute dell’umanità. Chiedo a tutti: ai responsabili degli Stati, alle imprese, agli organismi internazionali, di promuovere la cooperazione e non la concorrenza, e di cercare una soluzione per tutti: vaccini per tutti, specialmente per i più vulnerabili e bisognosi di tutte le regioni del Pianeta. Al primo posto, i più vulnerabili e bisognosi!”

Mai c’è stato, in tutto il messaggio natalizio, una distinzione tra chi fosse cristiano e chi cristiano non è, mai un minimo indizio che il papa pensasse ai “suoi”, o almeno ai credenti, e non a tutti. Queste “luci di speranza”, come egli ha chiamato i vaccini, “devono stare a disposizione di tutti”. Ormai il papa, che è conosciuto come il capo di una “cristianità”, sa di non essere mandato a una parte, a una selezione, a una Chiesa, sa che la sua udienza è per tutti, anche quando in piazza san Pietro o nell’Aula delle Benedizioni non c’è nessuno, in odio al contagio; ma sa anche perché, sa perché l’udienza deserta diventa comunione universale. La ragione è antica, ma la sua presentazione è nuova, mai si è predicato così, questa è la riforma della Chiesa e anzi delle religioni: è che il Padre ha reso tutti fratelli, tutti figli nel Figlio: “grazie a questo Bambino, tutti possiamo chiamarci ed essere realmente fratelli: di ogni continente, di qualsiasi lingua e cultura, con le nostre identità e diversità, eppure tutti fratelli e sorelle”; ma, ha aggiunto il papa, deve essere “una fraternità basata sull’amore reale, capace di incontrare l’altro diverso da me, di con-patire le sue sofferenze, di avvicinarsi e prendersene cura anche se non è della mia famiglia, della mia etnia, della mia religione; è diverso da me ma è mio fratello, è mia sorella. E questo vale anche nei rapporti tra i popoli e le nazioni: fratelli tutti!”. Anche se non è della mia religione. E se la fraternità non arriva a tutti, perché si ferma sulla porta di Caino, occorre andare oltre e riconoscere l’altro come prossimo, e qui non ci sono più frontiere perché il prossimo, come lo identifica Isaia e poi il Samaritano fino all’enciclica “Fratelli tutti”, è colui che è “della mia stessa carne”: “una caro”, come tra l’uomo e la donna. L’unità umana, voluta dal Padre, scende dalle alture spiritualistiche, si fa nella carne. 

Perciò il vaccino deve essere per tutti: ma può esserlo solo come un bene comune, come l’aria, l’acqua, il sole, non una merce che produrrebbe ricchezze sconfinate a pochi, e lascerebbe fuori milioni di censiti in tutta la Terra. Il papa ha osato dirlo, attentando al principio supremo del profitto, e subito il Corriere della Sera col suo Ernesto Galli della Loggia ha superato ogni remora, ha decretato che la Chiesa è finita, col suo Francesco non andrà lontano, non ha più ragione di esistere.

Per contro proprio a questo dovrebbe provvedere una Costituzione della Terra che riconosca il diritto universale alla salute e lo munisca di garanzie e di istituzioni operative efficaci. Se ci fosse voluta ancora una prova per dimostrare quanto questo nuovo passo della civiltà e del diritto sia necessario ed urgente, la pandemia l’ha fornita. Ma intanto, mancando ancora tali istituzioni, la fornitura dei vaccini a tutti deve avvenire per decisione unanime degli attuali poteri economici e politici. Lo faranno?

Anche se questo accadrà, quando l’ultimo vaccino sarà stato portato dall’esercito, resteranno da raggiungere le persone reali, non un corpo che scompare dal video, non un viso travisato da una maschera, non un distanziato sociale, ma un volto da riconoscere, da carezzare, da amare.
(Fonte testo: Blog 31/12/2020)


Vedi anche il post:

Enzo Bianchi: La forza della speranza

La forza della speranza 
di Enzo Bianchi

La Repubblica - Altrimenti 28 dicembre 2020



Sta per concludersi un anno definito da molti, in particolare al momento gli scambiarsi gli auguri in vista del 2021, come un annus horribilis, un anno da dimenticare, un anno veramente brutto.

Ovviamente questo giudizio quasi unanime è motivato soprattutto dalla pandemia che ci ha colpiti al suo inizio, ci ha accompagnati lungo tutto il suo svolgersi e infuria tuttora, anche se all’orizzonte appare la possibilità della sua sconfitta grazie all’arrivo, speriamo imminente, del vaccino. Questa catastrofe, che ha causato in Italia oltre settantamila morti, non era da noi immaginata né prevista. È giunta e ci ha sorpresi, impreparati e impotenti, cogliendo soprattutto gli anziani, ma travolgendo la vita di tutti noi, così da unire le realtà più diverse in una sofferenza condivisa.

Ci siamo scoperti fragili, esposti a un contagio mortale; abbiamo dovuto assumere un regime di “clausura”, cambiare il modo di vivere le nostre relazioni quotidiane; molti purtroppo hanno perso il lavoro, conoscendo una situazione di povertà e talvolta di miseria, fino a poter contare solo sulla solidarietà di altre persone presso le quali sono giunti anche a farsi mendicanti di cibo. È stata un’esperienza lunghissima, per molti a caro prezzo, e non sappiamo ancora misurarne con precisione gli effetti sulla vita personale dei più fragili, dei più soli e deboli.

Anche i cristiani, in questo tunnel, non hanno avuto parole convincenti per spiegare e dare senso a tale evento sterminatore. Per grazia, non l’hanno più imputato a un Dio giudice che castiga i peccati degli umani, come tante volte hanno fatto lungo i secoli, non hanno proiettato sul loro Dio le immagini perverse di un Onnipotente che si fa supplicare; ma con tutti gli altri umani, viandanti come loro, hanno dovuto comprendere che in questi casi ci si salva insieme, con la cura e la custodia reciproca, con l’aiuto fornito ai più fragili. Non c’è altra salvezza se non nel fare il bene e nel tentare di amarsi. L’enigma del male, inscritto nella natura di questo mondo, è restato tale.

Ma non si può però dimenticare, accanto al male che ci viene dalla natura, quello che è opera delle nostre mani, il male di cui tanti uomini e tante donne soffrono per la violenza, l’ingiustizia e l’oppressione subite dai loro fratelli e sorelle in umanità: questo non è un enigma ma dipende dalla nostra responsabilità! C’è infatti il male che dipende dalle nostre omissioni: come non essere profondamente turbati dalla morte in mare, vicino a noi, di venti donne delle quale quattro incinte proprio nella notte della celebrazione della Natività?

Ma la speranza, seme deposto nel nostro cuore, non viene meno, ci sorregge e ci dà la forza per resistere al male e per ricominciare nel tempo che ci è dato da vivere misurandolo in anni. Cerchiamo dunque di combattere la paura con la fiducia e l’amore, camminiamo insieme sulle vie del nuovo anno e ancora una volta diciamo, con gratitudine, con le lacrime agli occhi o a denti stretti, sì alla vita. La vita di tutti noi, la vita quotidiana in cui si svolgono le nostre vicende di affetti e di comunità sociale, unica vita che ci è data e che nonostante tutto vale la pena di condividere insieme.
(fonte: blog)


mercoledì 30 dicembre 2020

«Siamo figli dell’amore, siamo fratelli dell’amore. Siamo uomini e donne di grazia.» Papa Francesco Udienza Generale 30/12/2020 (foto, testo e video)

UDIENZA GENERALE

Biblioteca del Palazzo Apostolico
Mercoledì, 30 dicembre 2020







Catechesi sulla preghiera - 20. La preghiera di ringraziamento

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Vorrei soffermarmi oggi sulla preghiera di ringraziamento. E prendo lo spunto da un episodio riportato dall’evangelista Luca. Mentre Gesù è in cammino, gli vengono incontro dieci lebbrosi, che implorano: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!” (17,13). Sappiamo che, per i malati di lebbra, alla sofferenza fisica si univa l’emarginazione sociale e l’emarginazione religiosa. Erano emarginati. Gesù non si sottrae all’incontro con loro. A volte va oltre i limiti imposti dalle leggi e tocca il malato - che non si poteva fare - lo abbraccia, lo guarisce. In questo caso non c’è contatto. A distanza, Gesù li invita a presentarsi ai sacerdoti (v. 14), i quali erano incaricati, secondo la legge, di certificare l’avvenuta guarigione. Gesù non dice altro. Ha ascoltato la loro preghiera, ha ascoltato il loro grido di pietà, e li manda subito dai sacerdoti.

Quei dieci si fidano, non rimangono lì fino al momento di essere guariti, no: si fidano e vanno subito, e mentre stanno andando guariscono tutti e dieci. I sacerdoti avrebbero dunque potuto constatare la loro guarigione e riammetterli alla vita normale. Ma qui viene il punto più importante: di quel gruppo, solo uno, prima di andare dai sacerdoti, torna indietro a ringraziare Gesù e a lodare Dio per la grazia ricevuta. Solo uno, gli altri nove continuano la strada. E Gesù nota che quell’uomo era un samaritano, una specie di “eretico” per i giudei del tempo. Gesù commenta: «Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?» (17,18). E’ toccante il racconto!

Questo racconto, per così dire, divide il mondo in due: chi non ringrazia e chi ringrazia; chi prende tutto come gli fosse dovuto, e chi accoglie tutto come dono, come grazia. Il Catechismo scrive: «Ogni avvenimento e ogni necessità può diventare motivo di ringraziamento» (n. 2638). La preghiera di ringraziamento comincia sempre da qui: dal riconoscersi preceduti dalla grazia. Siamo stati pensati prima che imparassimo a pensare; siamo stati amati prima che imparassimo ad amare; siamo stati desiderati prima che nel nostro cuore spuntasse un desiderio. Se guardiamo la vita così, allora il “grazie” diventa il motivo conduttore delle nostre giornate. Tante volte dimentichiamo pure di dire “grazie”.

Per noi cristiani il rendimento di grazie ha dato il nome al Sacramento più essenziale che ci sia: l’Eucaristia. La parola greca, infatti, significa proprio questo: ringraziamento. I cristiani, come tutti i credenti, benedicono Dio per il dono della vita. Vivere è anzitutto aver ricevuto la vita. Tutti nasciamo perché qualcuno ha desiderato per noi la vita. E questo è solo il primo di una lunga serie di debiti che contraiamo vivendo. Debiti di riconoscenza. Nella nostra esistenza, più di una persona ci ha guardato con occhi puri, gratuitamente. Spesso si tratta di educatori, catechisti, persone che hanno svolto il loro ruolo oltre la misura richiesta dal dovere. E hanno fatto sorgere in noi la gratitudine. Anche l’amicizia è un dono di cui essere sempre grati.

Questo “grazie” che dobbiamo dire continuamente, questo grazie che il cristiano condivide con tutti, si dilata nell’incontro con Gesù. I Vangeli attestano che il passaggio di Gesù suscitava spesso gioia e lode a Dio in coloro che lo incontravano. I racconti del Natale sono popolati di oranti con il cuore allargato per la venuta del Salvatore. E anche noi siamo stati chiamati a partecipare a questo immenso tripudio. Lo suggerisce anche l’episodio dei dieci lebbrosi guariti. Naturalmente tutti erano felici per aver recuperato la salute, potendo così uscire da quella interminabile quarantena forzata che li escludeva dalla comunità. Ma tra loro ce n’è uno che a gioia aggiunge gioia: oltre alla guarigione, si rallegra per l’avvenuto incontro con Gesù. Non solo è liberato dal male, ma possiede ora anche la certezza di essere amato. Questo è il nocciolo: quando tu ringrazi, esprimi la certezza di essere amato. E questo è un passo grande: avere la certezza di essere amato. È la scoperta dell’amore come forza che regge il mondo. Dante direbbe: l’Amore «che move il sole e l’altre stelle” (Paradiso, XXXIII, 145). Non siamo più viandanti errabondi che vagano qua e là, no: abbiamo una casa, dimoriamo in Cristo, e da questa “dimora” contempliamo tutto il resto del mondo, ed esso ci appare infinitamente più bello. Siamo figli dell’amore, siamo fratelli dell’amore. Siamo uomini e donne di grazia.

Dunque, fratelli e sorelle, cerchiamo di stare sempre nella gioia dell’incontro con Gesù. Coltiviamo l’allegrezza. Invece il demonio, dopo averci illusi - con qualsiasi tentazione - ci lascia sempre tristi e soli. Se siamo in Cristo, nessun peccato e nessuna minaccia ci potranno mai impedire di continuare con letizia il cammino, insieme a tanti compagni di strada.

Soprattutto, non tralasciamo di ringraziare: se siamo portatori di gratitudine, anche il mondo diventa migliore, magari anche solo di poco, ma è ciò che basta per trasmettergli un po’ di speranza. Il mondo ha bisogno di speranza e con la gratitudine, con questo atteggiamento di dire grazie, noi trasmettiamo un po’ di speranza. Tutto è unito, tutto è legato e ciascuno può fare la sua parte là dove si trova. La strada della felicità è quella che San Paolo ha descritto alla fine di una delle sue lettere: «Pregate ininterrottamente, in ogni cosa rendete grazie: questa infatti è la volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi. Non spegnete lo Spirito» (1 Ts 5,17-19). No spegnere lo Spirito, bel programma di vita! Non spegnere lo Spirito che abbiamo dentro ci porta alla gratitudine.

Guarda il video della catechesi 


Saluti
...

APPELLO


Ieri un terremoto ha provocato vittime e danni ingenti in Croazia. Esprimo la mia vicinanza ai feriti e a chi è stato colpito dal sisma e prego in particolare per quanti hanno perso la vita e per i loro familiari. Auspico che le Autorità del Paese, aiutate dalla Comunità internazionale, possano presto alleviare le sofferenze della cara popolazione croata.

* * *

Rivolgo un cordiale saluto ai fedeli di lingua italiana, augurando a tutti che il Nuovo Anno sia sereno e fecondo di ogni desiderato bene. Siate annunciatori nella società odierna della buona Novella recata dagli Angeli a Betlemme.

Il mio pensiero va infine, come di consueto, agli anziani, ai giovani, ai malati e agli sposi novelli. Vivete l’Anno nuovo come un dono prezioso, impegnandovi a costruire la vostra vita alla luce della verità, che il Verbo Incarnato è venuto a portare sulla terra.


Guarda il video integrale

Lettera aperta: per un patto sociale di solidarietà - Comunità cristiana di base del Cassano (Napoli)

Lettera aperta: per un patto sociale di solidarietà

Al Presidente della Repubblica
Sergio Mattarella

Alla Presidente del Senato della Repubblica
Maria Elisabetta Alberti Casellati

Al Presidente della Camera dei Deputati
Roberto Fico

Al Presidente del Consiglio dei Ministri
Giuseppe Conte

Siamo una piccola comunità cristiana di base, operante da oltre 50 anni nelle periferie dell’area nord di Napoli (Secondigliano, Scampia, Mianella), cercando di vivere e testimoniare un’esperienza di fede legata indissolubilmente, secondo l’insegnamento evangelico, all’impegno e alle lotte di liberazione degli uomini e delle donne da tutto ciò che ne offendono e feriscono la dignità (povertà, fame, guerre, schiavitù, discriminazioni, ignoranza, assenza o carenza dei diritti politici, sociali, civili).

Il perseverare di questa terribile pandemia, oltre a registrare tantissima sofferenza e mortalità (diretta e indiretta), sta determinando, per le inevitabili chiusure e limitazioni di attività economiche e mobilità delle persone, danni economici devastanti che sulle persone producono perdite di reddito pesanti e diffuso incremento delle aree di povertà. Con segnali allarmanti per la convivenza civile e la coesione sociale, recepiti recentemente dal nostro Presidente della Repubblica con un accorato appello all’unità del Paese e alla solidarietà.

Le sofferenze e i gravi disagi di questa fase non possono lasciarci indifferenti, secondo le stesse indicazioni ed esortazioni contenute nell’Enciclica “Fratelli tutti” di Papa Francesco quando, per esempio, si afferma: “Oggi siamo di fronte alla grande occasione di esprimere il nostro essere fratelli… Non dobbiamo aspettare tutto da coloro che ci governano… E’ possibile cominciare dal basso e, caso per caso, lottare per ciò che è più concreto e locale, fino all’ultimo angolo della patria e del mondo” (paragrafi 77 e 78).

E’ per l’insieme di queste motivazioni, civili e spirituali, che, pur partecipando prioritariamente ad iniziative di solidarietà che dal basso agiscono sul territorio per le emergenze degli strati più poveri della popolazione locale, ci permettiamo anche di rivolgerci alle realtà interessate (Governo, Parlamento, Chiesa forze sociali e sindacali) con una proposta che possa riguardare l’intero Paese, una sorta di Patto sociale di solidarietà tra tutti coloro che in questa fase mantengono integro il proprio reddito e quanti, invece, lo vedono ridotto o, addirittura, azzerato, comprendendo tra questi anche quelle fasce di popolazione povera, marginale e quelli del lavoro nero e sommerso, esclusi, ovviamente, dal reddito di cittadinanza.

Si può pensare, insomma, ad un contributo di solidarietà, una tassa di scopo, che preveda per un determinato periodo di tempo (6 mesi?) una trattenuta dai redditi (escludendo quelli bassi) modulata, per esempio, con una percentuale differenziata, come avviene ogni anno per l’adeguamento delle pensioni all’inflazione, in questo caso ovviamente in forma rovesciata: 0,90% per i redditi alti, 0,75% per i redditi medi. Si costituirebbe, così, un Fondo Nazionale che potrebbe essere gestito in parte dal Governo, in parte dagli Enti Locali, avvalendosi magari della collaborazione dell’associazionismo volontario e del Terzo Settore.

Naturalmente, questa proposta tecnica è una pura ipotesi, esemplificativa della nostra idea, ma è evidente che la sua formulazione concreta non può che spettare al Governo, sentite le forze sociali e le organizzazioni sindacali, con l’approvazione del Parlamento.

E al Governo chiediamo non solo di attivare questa o altre forme di solidarietà ma anche di promuovere, in attesa di una riforma del fisco in modo fortemente progressivo, una grande campagna contro l’evasione e l’elusione fiscale, fatta non solo di messaggi ma soprattutto di efficaci azioni di contrasto. 

E’ del tutto inaccettabile che in una fase così drammatica ci sia, soprattutto a livello di grandi evasori, chi continua a sottrarre risorse fondamentali allo Stato perché esso possa assolvere al meglio alle sue funzioni sociali nel campo della sanità, della scuola e formazione, della sicurezza, dell’assistenza oltre che alla promozione di forti investimenti pubblici in grado di assicurare al Paese lo sviluppo di alcune produzioni strategiche (digitalizzazione, innovazione tecnologica, ricerca scientifica), la salvaguardia e cura dell’ambiente, la protezione dei territori da terremoti e alluvioni, la vivibilità delle periferie urbane. 

Con ciò determinando anche tantissime nuove opportunità di lavoro in grado di combattere la disoccupazione dilagante che sta colpendo il nostro Paese. Lo scandalo etico ed economico dell’evasione fiscale che vede l’Italia primeggiare negativamente tra tutti i Paesi del mondo deve cessare e debbono finire le complicità, la tolleranza, le inefficienze colpevoli della politica e della burocrazia amministrativa. 

Papa Francesco ha più volte ribadito il concetto che “nessuno si salva da solo, se non ci salviamo tutti” e, allora, bisogna essere -cittadini ed istituzioni- coerenti e conseguenti, subito per garantire a tutti i popoli del mondo l’indispensabile vaccinazione per vincere l’epidemia, Paesi ricchi e Paesi Poveri, e poi, per poter proseguire, tutti insieme, un cammino di civiltà, di progresso, di speranza, soprattutto per le generazioni più giovani e prossime, generazioni su cui stiamo caricando troppi e insopportabili pesi economici (un vertiginoso debito pubblico) ed ambientali (grave dissesto idrogeologico e rovinosi cambiamenti climatici).

Comunità cristiana di base del Cassano (Napoli)
(fonte: Adista - CdB Cassano - Napoli 26/12/2020)

martedì 29 dicembre 2020

Il «vocabolario» di Papa Francesco - Dove sente ascolta

Il «vocabolario» di Papa Francesco

Dove sente ascolta



Si può comunicare ascoltando? Viviamo in un tempo nel quale sembra che se non abbiamo l’ultima parola abbiamo “perso” nella comunicazione. Lo vediamo ogni giorno nei talk show televisivi e nei dibattiti tra esponenti politici. Lo sperimentiamo personalmente sui social network (la piazza più frequentata oggigiorno), dove se non pubblichiamo l’ultimo tweet o il post conclusivo, sembra che usciamo sconfitti da una conversazione, qualsiasi ne sia stato il tema. Papa Francesco ha ribaltato questo paradigma funzionalista della comunicazione, che considera il comunicare un’arma per vincere contro l’altro e lo ha riportato al suo valore primario: uno dono, un’opportunità, che ci aiuta a crescere insieme all’altro. Conseguenza immediata di questa logica “altruista” è che il comunicatore non prevale sul messaggio che vuole trasmettere. Anzi, questo aumenta di forza quanto più chi lo annuncia “si fa da parte”.

Ecco allora che in Francesco il silenzio e perfino l’immobilità (un paradosso nell’era dei mass media sempre alla ricerca di suoni e movimento) diventano amplificatori di senso. Quanti abbiamo avuto il privilegio di seguire la visita di Francesco ad Auschwitz-Birkenau, il 29 luglio del 2016, siamo stati toccati dalla sua preghiera silenziosa, che è sembrata durare un tempo interminabile. Meglio di qualsiasi discorso, quel silenzio ha saputo trasmettere la sofferenza e lo sgomento per il dolore che quel luogo porterà sempre con sé, ma al tempo stesso anche la necessità di fare memoria, di non dimenticare l’orrore inaudito dei campi di sterminio. Trascorrono quattro anni. Altro “silenzio che parla” in un altro momento drammatico della nostra storia. È il 27 marzo di quest’anno: il Papa da solo in una piazza San Pietro vuota, prega sotto il Crocifisso ligneo di San Marcello e l’icona della Salus Populi Romani. Quella celebrazione, in un contesto quasi surreale, resta tra le immagini più forti della pandemia. Il giorno dopo, la foto del Papa in preghiera campeggia sulle prime pagine dei giornali di tutto il mondo. Il messaggio ha travalicato il perimetro della fede cattolica e si è fatto interprete delle angosce e delle speranze di tutta l’umanità.

Per la “comunicazione controcorrente” di Francesco, l’ascolto è una componente fondamentale, sorgiva. Non a caso, in questo periodo segnato dall’impossibilità di muoversi e dalla drastica riduzione delle persone incontrate, il Papa — con quella “creatività dell’amore” a cui spesso fa riferimento — ha dedicato molto tempo a raggiungere la gente attraverso uno strumento antico di comunicazione che non passa di moda: il telefono. Non si contano le chiamate che Francesco ha compiuto, nei mesi di lockdown, a persone sofferenti, malati di covid-19, anziani, e ancora infermieri e giovani (ad esempio quelli dell’oratorio di Nembro, una delle zone più colpite dal virus), che si sono rimboccati le maniche per aiutare quanti sono in difficoltà. Sono telefonate, quelle di Jorge Mario Bergoglio, più per ascoltare le esperienze che per offrire indicazioni. «Questo — ha detto intervistato da una rivista spagnola — mi ha aiutato a tenere il polso di come le famiglie e le comunità stavano vivendo il momento».

D’altro canto, già nel 2016, Francesco aveva sottolineato che ascoltare «è molto più che udire», «ascoltare significa prestare attenzione, avere desiderio di comprendere, di dare valore, rispettare, custodire la parola altrui». E sempre in quell’anno, durante il viaggio internazionale in Messico, parlando ai giovani della città di Morelia aveva detto che quando un coetaneo si trova in difficoltà, bisogna metterglisi accanto, ascoltando. «Non dire ti do la ricetta — ha sottolineato — ma dagli forza con il tuo ascolto, quella medicina che si sta dimenticando, l’ascolto-terapia». Serve un «apostolato dell’orecchio», ha detto ancora durante il Giubileo della Misericordia. Formula che sembra riecheggiare l’esortazione di Francesco d’Assisi ai suoi frati: «Inclinate l’orecchio del cuore». Pier Paolo Pasolini, dopo aver incontrato Madre Teresa, disse di lei che «il suo occhio dove guarda, vede». In qualche modo, Francesco, nella sua dimensione di comunicatore, “dove sente, ascolta”. Ascoltare, per lui, ha a che fare con l’abc della relazione umana. Necessita di tempo, richiede pazienza, il tempo giusto per avvicinarsi all’altro, accorciando le distanze e superando i pregiudizi. Atteggiamento che a volte spiazza, ma che è perfettamente coerente con la visione di una Chiesa in uscita e Ospedale da campo di cui si fa interprete e testimone in prima persona. «Comunicare — ha scritto del resto Francesco — significa condividere e la condivisione richiede l’ascolto».

In molti si chiedono dove risieda il segreto del successo comunicativo del Papa, che a quasi 8 anni dalla sua elezione resta intatto come, tra l’altro, hanno dimostrato le omelie delle Messe mattutine in streaming durante la pandemia, seguite da milioni di persone in tutto il mondo. Forse il “segreto” sta proprio in questo suo rimettere al centro il valore autentico della comunicazione, centrata sull’uomo e non sul mezzo. Il valore di un potere “paradossale” che tanto più cresce quanto più si riduce mettendosi al servizio dell’altro, un potere della prossimità. Anche nella comunicazione, quindi, il Pontefice ci chiede di seguire il modello del Buon Samaritano. Non a caso, nel suo primo Messaggio per la Giornata delle comunicazioni sociali, scrive che la parabola del Buon Samaritano «è anche una parabola del comunicatore» perché chi comunica «si fa prossimo». Con le parole e con i gesti, Francesco ci dice quotidianamente che bisogna “rischiare” per comunicare, rischiare per il prossimo proprio come ha fatto, sulla via da Gerusalemme a Gerico, quell’uomo della Samaria. Per il Papa, non dobbiamo avere paura di fare spazio all’opinione dell’altro, alle sue proposte, anche ai suoi interrogativi cogliendo il buono di cui ognuno è portatore. Solo così, infatti, riconoscendosi Fratelli tutti, potremo costruire un futuro migliore, degno della nostra comune umanità.

lunedì 28 dicembre 2020

LITURGIA DOMESTICA - TEMPO DI NATALE 1° GENNAIO MARIA SS. MADRE DI DIO - Fraternità Carmelitana di Barcellona Pozzo di Gotto

LITURGIA DOMESTICA 

TEMPO DI NATALE 
1° GENNAIO 
 MARIA SS. MADRE DI DIO 

Fraternità Carmelitana
di Barcellona Pozzo di Gotto
a cura di fr. Egidio Palumbo 



Preparare in casa 
l’“angolo della preghiera” 

Entriamo nel tempo liturgico dell’Avvento, tempo di attesa vigilante e operosa del Signore che viene. Egli è già venuto nell’umiltà facendosi uomo, ed è morto, è risorto e vive in mezzo a noi. Eppure egli ha promesso di venire ancora in un giorno che non ci è dato di sapere: verrà come Risorto, nel segno del dono di sé, per portare a compimento l’opera che ha iniziato realizzando il suo regno di amore, di giustizia e di pace. 

Noi dobbiamo soltanto attenderlo con operosa vigilanza. Perciò ad ogni celebrazione eucaristica diciamo: «Annunciamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua risurrezione, nell’attesa della tua venuta». E anche per questo nel Padre Nostro invochiamo: «venga il tuo regno». 

Ebbene, siamo chiamati a vivere l’Avvento con attesa vigilante, pronti, cioè, a cogliere i segni della sua venuta. E così saremo preparati a celebrare il Natale del Signore, dove faremo memoria-attualizzazione della sua prima venuta nella piccolezza, nell’umiltà e nel dono di sé; e, nel contempo, faremo memoria-attualizzazione della sua seconda venuta che attendiamo come Risorto, il quale verrà sempre nel segno della piccolezza, dell’umiltà e del dono di sé. 

Un modo per attenderlo nella vigilanza è quello di perseverare nella preghiera in famiglia. Non esiste solo la chiesa parrocchiale o la chiesa santuario per pregare. Per i cristiani ognuno – a motivo del battesimo e della cresima – è sacerdote in Cristo e quindi chiamato a pregare per sé e per gli altri, e ogni famiglia cristiana è chiamata per vocazione ad essere chiesa domestica

Per cui ogni famiglia può approntare in casa l’“angolo della preghiera”, quello che i nostri fratelli cristiani della chiesa orientale chiamano “l’angolo della bellezza”. 

In un luogo della casa, su un tavolo o su un mobile o su una mensola si possono collocare una icona del Cristo, una lampada (da accendere per la preghiera), una Bibbia aperta e un fiore. Ecco l’angolo bello, l’angolo da cui, attraverso l’icona, lo sguardo di Dio veglia sulla famiglia. Non siamo noi a guardare l’icona, ma è l’icona a guardare noi e ad aprirci alla realtà del mondo di Dio. 

Per il tempo di Avvento e di Natale l’“angolo della preghiera” diventa certamente il presepe e la corona dell’avvento (quattro candele a cerchio: ognuna si accende ad ogni domenica di avvento; a natale si sostituiscono con una candela bianca o dorata), che ci ricordano il Figlio di Dio, luce del mondo, venuto a stare con noi nella piccolezza, nell’umiltà, nel dono di sé e nell’accoglienza dei vicini (i pastori) e dei lontani (i magi). 

In questo angolo la famiglia si riunisce per pregare in un’ora del giorno compatibile con i ritmi di lavoro. 

Si può pregare seguendo varie modalità: 

- Prima modalità. Leggere il brano del vangelo della liturgia del giorno, breve pausa di silenzio, poi recitare con calma il salmo responsoriale corrispondente e concludere con la preghiera del Padre Nostro, la preghiera dei figli di Dio e dei fratelli in Cristo Gesù (per le indicazioni del vangelo e del salmo del giorno utilizzare il calendarietto liturgico). 

- Seconda modalità. Per chi sa utilizzare il libro della Liturgia delle Ore, alle Lodi e ai Vespri invece della lettura breve, leggere il vangelo del giorno alle Lodi e la prima lettura del giorno ai Vespri. 

- Terza modalità. Si può utilizzare un libretto ben fatto, acquistabile nelle librerie che vendono oggetti religiosi. Si intitola “Amen. La Parola che salva” delle edizioni San Paolo, costa € 3,90 ed esce ogni mese. 

Di ogni mese contiene: la preghiera delle Lodi del mattino, le letture bibliche della celebrazione eucaristica dei giorni feriali e della domenica con una breve riflessione, la preghiera dei Vespri della sera, la preghiera di Compieta prima del riposo notturno e altre preghiere. 

Scrive papa Francesco in Amoris Laetitia al n. 318, dando altri suggerimenti per la preghiera: 

«Si possono trovare alcuni minuti al giorno per stare uniti davanti al Signore vivo, dirgli le cose che preoccupano, pregare per i bisogni famigliari, pregare per qualcuno che sta passando un momento difficile, chiedergli aiuto per amare, rendergli grazie per la vita e le cose buone, chiedere alla Vergine di proteggerci con il suo manto di madre. Con parole semplici questo momento di preghiera può fare tantissimo bene alla famiglia». 

Sì, la preghiera in famiglia rafforza la nostra fede in Cristo Gesù e rende saldo il vincolo d’amore tra marito e moglie, tra i genitori e i figli, tra la famiglia e il territorio in cui abita e il mondo intero. 

In questa proposta di Liturgia Domestica seguiamo la prima modalità



1° Gennaio 

Maria SS. Madre di Dio 

I. Apertura della Liturgia domestica

Solista: Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.

Tutti: Amen.


(Accensione della candela bianca o dorata)


Tutti: Cantate al Signore un canto nuovo,
          cantante al Signore, uomini e donne di tutta la terra.
          Cantate al Signore, benedite il suo Nome
          “Emmanuele”, “Dio-con-noi”,
           a tutti i popoli narrate le sue meraviglie.

Solista: Ci benedica il Signore e ci custodisca.
             Faccia risplendere per noi il suo Volto
             e ci faccia grazia.
             Il Signore rivolga a noi il suo Volto
             e ci conceda la pace (Nm 6,24-26)

Tutti: Cantate al Signore un canto nuovo,
          cantante al Signore, uomini e donne di tutta la terra.
          Cantate al Signore, benedite il suo Nome
           “Emmanuele”, “Dio-con-noi”,
           a tutti i popoli narrate le sue meraviglie.



II. Ascolto orante del vangelo di Luca (2,16-21)
Apriamo il vangelo di Luca al cap. 2. Facciamo una breve pausa di silenzio, e poi chiediamo allo Spirito Santo che ci apra alla comprensione di questo scritto che contiene la Parola di Dio per noi oggi. 

Tutti: Vieni, Santo Spirito,
           manda a noi dal cielo
           un raggio della tua luce.
           Vieni, padre dei poveri,
           vieni, datore dei doni,
           vieni, luce dei cuori.

Leggiamo attentamente e con calma la pagina di Luca, cap. 2, dal verso 16 fino al verso 21.

Dopo la lettura del vangelo recitare insieme:

   La tua prima parola, Maria,
   ti chiediamo di accogliere in cuore:
   che sia possibile ancora
   concepire pur noi il suo Verbo.
   «Non chiedete mai segni o ragioni,
   solamente credete e amate:
   il suo Spirito scenda su voi
   e sarete voi stessi sua carne».
   Te beata perché hai creduto,
   così in te ha potuto inverarsi
   la parola vivente del Padre,
   benedetta dimora di Dio.
              (Davide Turoldo) 


1. Meditiamo la pagina evangelica. Ecco alcuni spunti.

Siamo ad otto giorni dal Natale. Nella fede biblica il numero 8 ha un significato simbolico: indica la pienezza che non ha mai fine (7+1). La Domenica, giorno della Risurrezione, Pasqua settimanale, secondo il nostro computo è il 7° giorno (che già indica la pienezza), ma per la fede biblica è anche l’8° giorno perché indica la pienezza che non ha fine, è il “giorno che senza tramonto”. 

Ebbene, nell’8° giorno dopo il Natale, la Chiesa celebra la solennità di Maria Santissima Madre di Dio, colei che Dio ha scelto per venire in questo mondo – come scrive Paolo nella Lettera ai Galati – «nella pienezza del tempo», vale a dire, quando la lunga attesa dei secoli della venuta del Messia è finalmente colmata con la nascita del Figlio Gesù, «nato da donna, nato sotto la Legge, per riscattare quelli che erano sotto la Legge, perché ricevessimo l’adozione a figli» (vedi la seconda lettura: Galati 4,4-7). 

Con il radicamento nella storia umana del Figlio di Dio, grazie al consenso libero e consapevole di Maria che lo ha generato, il progetto di Dio raggiunge il suo punto “omega”, perché egli realizza la salvezza dell’umanità dentro la storia limita dalle coordinate del tempo e dello spazio geografico e culturale. E infatti, ponendosi in obbedienza della Legge – la Torah (= i primi cinque libri della Bibbia), dono di Dio e orientamento per la vita – e vivendola secondo lo spirito e non secondo la lettera, e inoltre non vergognandosi di vivere come nostro fratello in umanità e nella fede, il Figlio e Messia Gesù ci aiuta a diventare con più autenticità figli di Dio, perché ci comunica il suo Spirito, il quale abilita ogni credente ad invocare Dio nella preghiera, chiamandolo “Padre”, anzi “Papà”, e così instaurando con lui una relazione interpersonale intima e di amore. 

2. Anche nella pagina evangelica (Luca 2,16-21) vi è il riferimento all’8° giorno dalla nascita di Gesù: in questo 8° giorno, in obbedienza alla Legge-Torah di Dio (Levitico 12,3), Gesù viene presentato da Maria e Giuseppe al tempio e circonciso come tutti i primogeniti maschi d’Israele. La circoncisione è un rito di consacrazione per mezzo del quale il figlio primogenito Gesù entra a far parte della vita del popolo dell’Alleanza ed è abilitato a partecipare alle assemblee sacerdotali, ovvero alle assemblee liturgiche. Paolo in Romani 15,8 ricorda che «Cristo è diventato diacono dei circoncisi [cioè servitore del popolo d’Israele] per mostrare la fedeltà di Dio nel compiere le promesse dei padri». 

E dopo il rito della circoncisione, gli viene imposto il nome Gesù, che significa “Dio salva”: il nome indica la realtà stessa della persona che lo porta, indica la sua identità, la sua vocazione e missione. 

Ebbene, Maria e Giuseppe presentano Gesù al tempio come dono di Dio e come offerta a Dio e all’umanità. Qui viene mostrata in anticipo la vocazione-missione di Gesù: egli è il sacerdote che per amore e a caro prezzo del suo sangue offre, dona e consegna la sua esistenza a Dio per la salvezza dell’umanità (d’altronde la circoncisione comporta il versamento del sangue). Gesù qui anticipa la sua Pasqua. 

3. Portare la salvezza all’umanità vuol dire portare anche la vera pace, quella che crea relazioni di fraternità/sororità e di giustizia, cioè di attenzione di cura verso gli altri e in particolare verso i poveri. E non va dimenticato che anche la pace scaturisce dalla Pasqua di Cristo, è il frutto di un amore a caro prezzo: «Egli è la nostra pace, colui che di due popoli ne ha fatto una cosa sola, abbattendo il muro di separazione che li divideva, cioè l’inimicizia, per mezzo della sua carne» (Efesini 2,14). 

Per questo oggi, primo giorno dell’anno civile, ascoltiamo nella prima lettura (Numeri 6,22-27) la benedizione sacerdotale sul popolo, ripresa anche dal salmo responsoriale (Salmo 67): «Ti benedica il Signore e ti custodisca. Il Signore faccia risplendere per te il suo volto e ti faccia grazia. Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace». Non è un semplice augurio, ma un vero atto che Dio vuole compiere nei confronti del suo popolo: manifestare il suo Volto, far sentire e sperimentare la sua benevolenza, assieme al dono della protezione, del prendersi cura e della pace

Scrive papa Francesco nel messaggio per la giornata mondiale della pace 2021, che in questa pandemia sanitaria del Covid-19, 

«duole constatare che, accanto a numerose testimonianze di carità e solidarietà, prendono purtroppo nuovo slancio diverse forme di nazionalismo, razzismo, xenofobia e anche guerre e conflitti che seminano morte e distruzione. Questi e altri eventi, che hanno segnato il cammino dell’umanità nell’anno trascorso, ci insegnano l’importanza di prenderci cura gli uni degli altri e del creato, per costruire una società fondata su rapporti di fratellanza. Perciò ho scelto come tema di questo messaggio: “La cultura della cura come percorso di pace”. Cultura della cura per debellare la cultura dell’indifferenza, dello scarto e dello scontro, oggi spesso prevalente. […] 

In questo tempo, nel quale la barca dell’umanità, scossa dalla tempesta della crisi, procede faticosamente in cerca di un orizzonte più calmo e sereno, il timone della dignità della persona umana e la “bussola” dei principi sociali fondamentali ci possono permettere di navigare con una rotta sicura e comune. Come cristiani, teniamo lo sguardo rivolto alla Vergine Maria, Stella del mare e Madre della speranza. Tutti insieme collaboriamo per avanzare verso un nuovo orizzonte di amore e di pace, di fraternità e di solidarietà, di sostegno vicendevole e di accoglienza reciproca. Non cediamo alla tentazione di disinteressarci degli altri, specialmente dei più deboli, non abituiamoci a voltare lo sguardo, ma impegniamoci ogni giorno concretamente per “formare una comunità composta da fratelli che si accolgono reciprocamente, prendendosi cura gli uni degli altri”». 

L’anno nuovo inizia così nel segno della pace, quella di Cristo, Principe della Pace, e di Maria, donna della pace, Madre di Dio, Madre della Chiesa e dell’umanità. Da lei impariamo a diventare anche noi “generatori di Dio” – come affermava il frate carmelitano Beato Tito Brandsma, martire nel campo di concentramento a Dachau –, far nascere Cristo Gesù in noi, il Figlio della Pace, e portarlo al mondo. 


Madre, tu sei la porta del cielo:
senza di te Dio non si sarebbe mai fatto uomo
e la terra non sarebbe mai divenuta
il paese di Dio, e l’umanità il suo tempio vivente;
e noi non avremmo mai potuto ascendere
fino a partecipare alla sua divinità,
per cui anche l’ultimo di tutti gli uomini
diventa un principe di stirpe divina.
Amen.
                        (Davide Turoldo)

    



Santa Maria, donna missionaria,
concedi alla tua Chiesa il gaudio di riscoprire
le radici della sua primordiale vocazione.
Aiutala a misurarsi con Cristo
e con nessun altro: come te,
che apparendo agli albori della rivelazione neotestamentaria
accanto a lui, il grande missionario di Dio,
lo scegliesti come unico metro della tua vita. […]
Quando essa viene tentata di pietrificare
la mobilità del suo domicilio,
rimuovila dalle sue apparenti sicurezze.
Quando si adagia sulle posizioni raggiunte,
scuotila dalla sua vita sedentaria.

Mandata da Dio per la salvezza del mondo,
la Chiesa è fatta per camminare, non per sistemarsi.
Nomade come te, mettile nel cuore
una grande passione per l’uomo. […]
Madre itinerante come te,
riempila di tenerezza verso tutti i bisognosi.
E fa’ che di nient’altro sia preoccupata
che di presentare Gesù Cristo,
come facesti tu con i pastori, con Simeone,
con i magi d’Oriente, 
e con mille altri anonimi personaggi
che attendevano la redenzione.




Santa Maria, donna missionaria,
noi ti imploriamo per tutti coloro
che avendo avvertito, più degli altri,
il fascino struggente di quella icona
che ti raffigura accanto a Cristo,
l’inviato speciale del Padre,
hanno lasciato gli affetti più cari
per annunciare il Vangelo in terre lontane.
Sostienili nella fatica. Ristora la loro stanchezza.
Proteggili da ogni pericolo.
Dona ai gesti con cui si curvano sulle piaghe dei poveri
i tratti della tua verginale tenerezza.
Metti sulle loro labbra parole di pace.
                       (don Tonino Bello)


III. Intercessioni

Solista: Preghiamo Dio, Signore del tempo e della storia, e uniti a Maria, la Madre che ha rivestito di                    carne il Figlio di Dio, con l’animo pieno di esultanza insieme invochiamo:

Tutti: R. Gloria a Te, Signore

Voce 1: Popoli in competizione per il predominio economico, popoli in guerra, popoli affamati e impoveriti: questo è il nostro presente. Ma tu, o Padre, che ti sei fatto vicino in Gesù, tuo Figlio, aiutaci a costruire con te una storia di salvezza e di pace. Invochiamo.

Voce 1: Chiesa cattolica, Chiese protestanti, Chiesa ortodossa: l’unica Chiesa di Cristo si presenta al mondo lacerata e divisa. Invia, o Padre, il tuo Santo Spirito perché illumini pastori e teologi e fedeli tutti per un vero cammino verso l’unità. Invochiamo.

Voce 2: Musulmani, induisti, buddisti, scintoisti e persone di altre religioni: sono volti concreti presenti in mezzo a noi, che siamo cristiani per convinzione o per tradizione. Donaci, o Padre, di essere veri discepoli del tuo Figlio per superare la paura dell’altro e saper crescere nella convivialità delle differenze. Invochiamo.

Voce 2: Ti affidiamo, o Padre, tutti i fratelli e le sorelle che iniziano il nuovo anno con la perdita del posto di lavoro, tutti coloro che si ritrovano ricattati e costretti a un lavoro precario e senza garanzie sociali, tutti coloro che non sono in condizioni né di trovare, né di inventarsi un lavoro. Per loro ti invochiamo.

Voce 1: Davanti a te, o Padre, vogliamo ricordare tutti i fratelli e le sorelle che non possono partecipare a questo banchetto della fraternità a motivo della malattia. Per loro ti preghiamo.

Voce 1: Rivolgi, o Padre, il tuo Volto su ognuno di noi: rendici messaggeri della pace donataci dal tuo Figlio Gesù e con Maria, la Madre di Dio, rendici capaci di solidarietà e di misericordia. Invochiamo.

Voce 2: Ti affidiamo, o Padre, i nostri parenti e amici defunti, e le numerose vittime del coronavirus [pausa di silenzio, e poi riprendere a leggere →]; ti affidiamo anche tutti coloro che sono morti nelle varie guerre che affliggono questo nostro mondo. Dona loro di contemplare il tuo Volto di Luce e di Pace. Invochiamo.

Solista: Come popolo di Dio, chiamato a costruire relazioni di pace e di giustizia, diciamo insieme:

Tutti: Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome.
          venga il tuo Regno, sia fatta la tua volontà
          come in cielo, così in terra.
          Dacci oggi il nostro pane quotidiano
          e rimetti a noi i nostri debiti,
          come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori,
          e non abbandonarci alla tentazione,
          ma liberaci dal male. Amen.

- Concludere con la Preghiera:
Tutti: O Dio, nostro Padre, rinnova nel tuo Spirito la nostra umanità e compi nel corso di quest’anno che si apre l’universale aspirazione alla giustizia e alla pace. Per Cristo nostro Signore. AMEN.

Solista: Benediciamo il Signore.

Tutti: Rendiamo grazie a Dio.


IV. Proposta di preghiera per il pranzo
Tutti: Oggi, grazie alla Vergine Maria,
         l’Albero della Vita fu piantato
         nella nostra terra:
         colui che ne mangia vivrà eternamente.
         Sia benedetto il Signore
         che rifà la nostre forze:
          in lui cresceremo nell’amore
          e in opere di bene,
          ora e nei secoli dei secoli. Amen.
               (da Preghiere per una tavola fraterna)

Adattamento creativo: un dono nuovo per il Natale

Adattamento creativo:
un dono nuovo per il Natale



Nel 1914, in vari luoghi sul fronte franco-tedesco, nei giorni attorno al Natale, i soldati spontaneamente sospesero le operazioni di guerra e fraternizzarono scambiandosi addirittura gli auguri in un condiviso e spontaneo “cessate il fuoco”. Pregarono insieme, giocarono a calcio squadra “contro” squadra, condivisero le loro scorte di cibo, poi ripresero ad uccidersi a vicenda, ubbidendo agli ordini degli ufficiali, che – pur sapendo – avevano anch’essi per qualche giorno “rispettato il Natale”. Né si ebbero punizioni per questo temporaneo disertare gli ordini. Chi avrebbe potuto criticare dei giovani che avevano voglia di Natale anche in mezzo alla guerra, anche con i nemici? Ma il nemico era consenziente. 

Oggi abbiamo invece un nemico diverso, che non ha alcuna memoria del Natale, che non obbedisce ad una coscienza e non ha ricordi che lo incantino: che non è umano. Paradossalmente quasi, nonostante le tante invettive che, con buone ragioni, potremmo lanciare contro l’insensatezza per cui da sempre gli umani si sono scontrati a vicenda e hanno commesso atrocità inqualificabili, essere umani oggi torna ad acquisire la sua migliore accezione: essere capaci di solidarietà e di generosità anche eroica, essere responsabili l’uno per l’altro… saper rinunciare al Natale tradizionale per aumentare le precauzioni reciproche. 

Certo, costa frenare dentro di noi quel richiamo che riuscì allora a bloccare eserciti in guerra, costa pensare ai nonni che forse non hanno nemmeno qualcuno in casa che possa accendere loro un pc per un collegamento diretto, costa non vedere i tanti pacchetti sotto gli alberi. Portano tristezza quelle pubblicità natalizie che categoricamente celebrano una notte di attesa trascorsa nelle piccole gioie della famiglia ristretta, senza le consuete scene di pranzi coi nonni rubicondi che avevano sempre da tirar fuori un pacchetto a sorpresa per gli occhioni sgranati dei nipotini. Ha il sapore di qualcosa di desueto che non rallegra il luccichio degli alberi che ostinatamente continuiamo a esporre dietro le finestre o a postare su Instagram. E quel timido affacciarsi alle vetrine dei negozi, affrettandosi poi, ben distanziati, a pagare alla cassa, non ha niente che somigli all’acquisto tradizionale dei doni, quando restavi ore ad attardarti a scegliere, perché “Si sa che a Natale ci sono tante cose nei negozi e c’è l’imbarazzo della scelta”. Oggi non si sceglie: si compra e basta. E si compra poco, perché c’è anche il timore per un’economia bloccata e per tutte quelle scadenze che sono congelate ma che non potranno restare così ancora a lungo. E poi c’è la tensione per i tanti negazionisti o incoscienti che non rispettano le regole, trasformandosi in nemici anch’essi e cui dovere civile imporrebbe se non altro di rispettare la paura dell’altro (condivisa o meno che sia). 

Ma tanta desolazione non può essere subita. Se il nemico non conosce tregua natalizia perché non è umano, noi umani lo siamo. E siamo creativi, siamo fantasiosi, abbiamo risorse che a volte non conosciamo nemmeno perché non osiamo sperimentarle. Non si tratta di fare a tutti i costi ciò che vorremmo fare, ma di fare al meglio ciò che possiamo fare: solo così l’essere umano sta bene, perché nessun nostro desiderio è mai appagabile se disincarnato e scisso dal contesto. E se il Natale è la festa della Nascita, forse allora questo Natale avrà un sapore più “natalizio” se sapremo dare alla luce la nostra creatività, adattandola alle condizioni di prudenza che il buon senso richiede. Forse una bella lettera scritta col cuore servirà più di tanti collegamenti video impossibili per un anziano. Forse un regalo fatto a mano ed inviato saprà riempire il cuore più di tanti pacchetti scintillanti. E forse, secondo me, qualche telefonata o qualche visita in più durante l’anno sarebbe servita a rendere oggi più tollerabile che non ci si incontri a Natale, perché quando le relazioni sono piene e autentiche non temono la distanza, sopportano le restrizioni e sanno riscaldare i cuori anche senza contatto fisico. Se, potendo, abbiamo fatto tutto il possibile, restiamo sereni quando, non potendo, non facciamo. Un dono da fare a noi stessi potrebbe essere allora anche un buon proposito.

L’augurio allora è che possiamo sperimentare un’audacia non arrogante né estranea al dolore e al timore, ma che sappia strappare un sorriso e portare serenità nonostante il dolore e il timore. Non depositiamo un bambinello nella grotta pensando con rabbia e tristezza a chi è assente quel giorno nella nostra casa, ma deponiamo nel nostro cuore un pensiero di gratitudine per tutti coloro che ci tengono nel loro cuore e che vogliamo tenere nel nostro cuore. Neanche Giuseppe e Maria dovevano essere tanto allegri a trovarsi in una stalla, ma c’era qualcosa di più importante che riscaldava i loro cuori. Accendiamo una cometa nuova nella nostra vita! Buon Natale allora, Buona Nascita di cose belle nei nostri cuori e nelle nostre relazioni! 
Agata Pisana
Docente Master in Counselling Socio-Educativo

(fonte: Istituto di Neuroscienze e Gestalt Therapy “Nino Trapani” 19/12/2020)


Natale, gli auguri «scomodi» di Missio, Caritas e Fondazione Migrantes della Toscana

Natale, gli auguri «scomodi» 
di Missio, Caritas e Fondazione Migrantes della Toscana


Quattro parole a formare una croce: accogliere, promuovere, proteggere, integrare. Sono gli «auguri scomodi per un Natale di fraternità» inviati in questi giorni dalle commissioni regionali di Caritas, Missio e Fondazione Migrantes. Il testo è composto da alcune riflessioni di don Tonino Bello e alcuni passaggi dell’enciclica «Fratelli Tutti» di Papa Francesco


Parole che «ci mostrano il volto della Chiesa della misericordia che dona al mondo il volto bello di Dio, infinita tenerezza di padre e di madre». L’invito è a diffondere questo messaggio nelle chiese, accanto al presepe (può essere stampato anche in formato locandina). Le parrocchie possono anche stamparlo come volantino, e consegnarlo alle famiglie: «Sarà un invito a vivere il Natale nella fraternità e con una fattiva attenzione a tante persone che lo vivranno nella solitudine e nella sofferenza».
Ad accompagnare il biglietto, anche il saluto firmato dal cardinale Augusto Paolo Lojudice, arcivescovo di Siena-Colle Val d’Elsa-Montalcino e dal vescovo di Pescia Roberto Filippini, rispettivamente responsabili per la Conferenza episcopale toscana della pastorale missionaria e del servizio della carità. «È un Natale diverso - scrivono - quello che ci prepariamo a vivere... Un Natale diverso perché mancherà sì qualcosa, ma potremo scoprire più da vicino l’essenziale, quello che conta, ciò che non passa e non può essere nascosto per nessun motivo, da nessuna causa: Dio si fa uomo, in Gesù di Nazareth».
«Un Natale più vero - aggiungono i due vescovi - che ci permetterà di scoprirci più vicini anche se distanziati, più aperti anche se col volto in maschera, più disposti a collaborare se scopriamo quanto è importante fare le cose insieme e che, se fatte insieme, producono frutti molto più abbondanti».


"Le parole giuste del Natale diverso" di Enzo Bianchi

Le parole giuste del Natale diverso 
di Enzo Bianchi

La Repubblica - Altrimenti 21 dicembre 2020


Siamo ormai giunti a Natale, una festa attesa da alcune settimane in modo diverso dagli anni passati: molta incertezza su dove e come sarà possibile viverla e molta impazienza nel pretendere di conoscere esattamente ciò che i decreti governativi stabiliranno, hanno creato in tanti un fastidio e un senso di rivolta contro i limiti dettati dal perdurare della pandemia nel nostro paese. Abbiamo ascoltato annunci davvero stolti: Natale senza festa, Natale dimesso e rassegnato, Natale triste… Ciò mi ha spinto a domandarmi più volte che cosa rende il Natale una festa e che cosa al contrario lo contraddice, lo impedisce.

Pur assumendo diversi significati per i cristiani e per i non cristiani, Natale resta in ogni caso un’occasione di festa. Per i cristiani è la memoria della nascita di Gesù, o meglio della venuta di Dio tra di noi nella carne fragile e mortale che noi siamo. Da quel giorno non si può più dire Dio senza l’umanità né l’umanità senza Dio, e questa realtà inaudita, impensabile dà ai cristiani la convinzione – non la conoscenza – che la morte e il male non sono l’ultima parola. Questo il fondamento del Natale cristiano.

Per quelli che non conoscono l’avventura della fede cristiana, Natale resta una festa dell’intimità, una possibilità di gustare gli affetti e di un po’ di tempo condiviso insieme, celebrando la vita. Per tutti Natale significa vivere qualche giorno in modo particolare, conoscendo e gustando il senso di gratuità di cui tutti abbiamo bisogno: gratuità del sentirsi amati, gratuità dello stare insieme, gratuità di attenzioni, sguardi e parole scambiati nella gioia e nel dire sì alla vita.

Certo, non vanno dimenticati proprio quelli che a causa della malattia, della solitudine e della miseria non vivono nulla del Natale perché non hanno nessuno che in quel giorno possa fare loro una carezza, abbracciarli e dire: “Stiamo insieme!”. D’altronde, dobbiamo pur ricordarlo, vi sono sempre uomini e donne che non riescono a festeggiare il Natale come vorrebbero, a causa del lavoro che non può essere tralasciato: medici, infermieri, forze dell’ordine, lavoratori dediti a servizi essenziali e continui.

Non diciamo dunque che quest’anno sarà un Natale senza festa ma piuttosto un Natale diverso, privo di alcuni elementi di contorno, e cogliamo l’occasione per viverlo realmente, se non in compagnia di tutti coloro che vorremmo accanto, almeno con i nostri cari, con quanti vivono insieme a noi. Un pranzo preparato con amore è una confessione fatta ai commensali: “Io vi voglio bene”. Un pranzo condiviso nella gioia significa: “Io sto bene con voi”. E lo scambio dei doni è il riconoscimento che io accetto il dono dall’altro, il dono che è l’altro, dunque riconosco che non posso stare senza di lui.

Abbiamo bisogno di vivere un Natale autentico, che sia comunque una celebrazione degli affetti e una epifania degli amori che viviamo. Augurarsi buon Natale significherà così augurarsi tanto amore vissuto nella gioia.
(fonte: Blog)

domenica 27 dicembre 2020

«La famiglia evangelizza con l’esempio di vita ... E poi, in famiglia ci sono tre parole da custodire sempre: “permesso”, “grazie”, “scusa”.» Papa Francesco Angelus 27/12/2020 (testo e video)

ANGELUS

Biblioteca del Palazzo Apostolico
Domenica, 27 dicembre 2020





Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

A pochi giorni dal Natale, la liturgia ci invita a fissare lo sguardo sulla Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe. È bello riflettere sul fatto che il Figlio di Dio ha voluto aver bisogno, come tutti i bambini, del calore di una famiglia. Proprio per questo, perché è la famiglia di Gesù, quella di Nazaret è la famiglia-modello, in cui tutte le famiglie del mondo possono trovare il loro sicuro punto di riferimento e una sicura ispirazione. A Nazaret è germogliata la primavera della vita umana del Figlio di Dio, nel momento in cui Egli è stato concepito per opera dello Spirito Santo nel grembo verginale di Maria. Tra le mura ospitali della Casa di Nazaret si è svolta nella gioia l’infanzia di Gesù, circondato dalle premure materne di Maria e dalla cura di Giuseppe, nel quale Gesù ha potuto vedere la tenerezza di Dio (cfr Lett. apost. Patris corde, 2).

Ad imitazione della Sacra Famiglia, siamo chiamati a riscoprire il valore educativo del nucleo familiare: esso richiede di essere fondato sull’amore che sempre rigenera i rapporti aprendo orizzonti di speranza. In famiglia si potrà sperimentare una comunione sincera quando essa è casa di preghiera, quando gli affetti sono seri, profondi e puri, quando il perdono prevale sulle discordie, quando l’asprezza quotidiana del vivere viene addolcita dalla tenerezza reciproca e dalla serena adesione alla volontà di Dio. In questo modo, la famiglia si apre alla gioia che Dio dona a tutti coloro che sanno dare con gioia. Al tempo stesso, trova l’energia spirituale di aprirsi all’esterno, agli altri, al servizio dei fratelli, alla collaborazione per la costruzione di un mondo sempre nuovo e migliore; capace, perciò, di farsi portatrice di stimoli positivi; la famiglia evangelizza con l’esempio di vita. È vero, in ogni famiglia ci sono dei problemi, e a volte anche si litiga. “Padre, ho litigato…” – siamo umani, siamo deboli, e tutti abbiamo a volte questo fatto che litighiamo in famiglia. Io vi dirò una cosa: se litighiamo in famiglia, che non finisca la giornata senza fare la pace. “Sì, ho litigato”, ma prima di finire la giornata, fai la pace. E sai perché? Perché la guerra fredda del giorno dopo è pericolosissima. Non aiuta. E poi, in famiglia ci sono tre parole, tre parole da custodire sempre: “permesso”, “grazie”, “scusa”. “Permesso”, per non essere invadenti nella vita degli altri. “Permesso: posso fare qualcosa? Ti sembra che possa fare questo?”. “Permesso”. Sempre, non essere invadente. “Permesso”, la prima parola. “Grazie”: tanti aiuti, tanti servizi che ci facciamo in famiglia. Ringraziare sempre. La gratitudine è il sangue dell’anima nobile. “Grazie”. E poi, la più difficile da dire: “Scusa”. Perché noi sempre facciamo delle cose brutte e tante volte qualcuno si sente offeso di questo. “Scusami”, “scusami”. Non dimenticatevi le tre parole: “permesso”, “grazie”, “scusa”. Se in una famiglia, nell’ambiente familiare ci sono queste tre parole, la famiglia va bene.

All’esempio di evangelizzare con la famiglia ci chiama la festa di oggi, riproponendoci l’ideale dell’amore coniugale e familiare, così come è stato sottolineato nell’Esortazione apostolica Amoris laetitia, di cui ricorrerà il quinto anniversario di promulgazione il prossimo 19 marzo. E ci sarà un anno di riflessione sull’Amoris laetitia e sarà un’opportunità per approfondire i contenuti del documento [19 marzo 2021-giugno 2022].

Queste riflessioni saranno messe a disposizione delle comunità ecclesiali e delle famiglie, per accompagnarle nel loro cammino. Fin d’ora invito tutti ad aderire alle iniziative che verranno promosse nel corso dell’Anno e che saranno coordinate dal Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita. Affidiamo alla Santa Famiglia di Nazareth, in particolare a San Giuseppe sposo e padre sollecito, questo cammino con le famiglie di tutto il mondo.

La Vergine Maria, alla quale ci rivolgiamo ora con la preghiera dell’Angelus, ottenga alle famiglie del mondo intero di essere sempre più affascinate dall’ideale evangelico della Santa Famiglia, così da diventare fermento di nuova umanità e di una solidarietà concreta e universale.


Dopo l'Angelus

Cari fratelli e sorelle,

saluto tutti voi, famiglie, gruppi e singoli fedeli, che seguite la preghiera dell’Angelus attraverso i mezzi di comunicazione sociale. Il mio pensiero va in particolare alle famiglie che in questi mesi hanno perso un congiunto o sono state provate dalle conseguenze della pandemia. Penso anche ai medici, agli infermieri e a tutto il personale sanitario il cui grande impegno in prima linea nel contrasto alla diffusione del virus ha avuto significative ripercussioni sulla vita familiare.

E oggi affido al Signore ogni famiglia, specialmente quelle più provate dalle difficoltà della vita e dalle piaghe dell’incomprensione e della divisione. Il Signore, nato a Betlemme, doni a tutte la serenità e la forza di camminare uniti nella via del bene.

E non dimenticatevi queste tre parole che aiuteranno tanto a vivere l’unità nella famiglia: “permesso” – per non essere invadenti, rispettare gli altri – “grazie” – ringraziarci, mutuamente in famiglia – e “scusa” quando noi facciamo una cosa brutta. E questo “scusa” – o quando si litiga – per favore dirlo prima che finisca la giornata: fare la pace prima che finisca la giornata.

A tutti auguro una buona domenica e per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Buon pranzo e arrivederci!

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