sabato 7 novembre 2020

Il cardinale Matteo Zuppi: Il vaccino a questo virus? «La solidarietà di vicinato»

Il vaccino a questo virus?
«La solidarietà di vicinato»

Il cardinale Matteo Zuppi: «Mai come oggi dobbiamo tessere e ritessere legami che uniscano: le persone, le fasce sociali, le diverse opinioni politiche». Le povertà? «Non è possibile dirsi fedeli al Signore e mostrare disinteresse per gli altri»
di Carlo Verdelli



La buona notizia, almeno per don Matteo Zuppi, cardinale di strada, è che alla fine il male non vincerà. Ma stavolta dovremo mettercela tutta, tutti, per uscire dal tunnel dove siamo incautamente ripiombati. «Il Papa l’ha detto subito: pensavamo di vivere sani in un mondo malato, narcotizzato dal benessere. Nella scorsa primavera abbiamo scoperto che no, non siamo invulnerabili. Poi è scattato un effetto molla, appena la morsa dell’infezione si è allentata, e ci siamo dimenticati della sveglia che era suonata. Occorre ritrovare consapevolezza, anche in un momento come questo, dove siamo più stanchi, e soprattutto mettere in atto la solidarietà della porta accanto, che è il primo antidoto sociale».

don Matteo Zuppi
Il virus è come il locomotore di un treno: una pandemia sanitaria montante, che si tira dietro altre pandemie annunciate, prima fra tutte quella delle povertà, di cui già si intravvedono segnali evidenti, focolai allarmanti. Se prima dell’invasione dell’ultra Sar-CoV-2, avevamo 4,6 milioni di persone in indigenza assoluta (di cui 1 milione 100 mila bambini), a questa fascia di emarginazione vanno aggiunti i nuovi poveri creati dall’emergenza sanitaria. Secondo stime della Caritas, tra maggio e settembre 2020, la percentuale di chi chiede aiuto è aumentata del 45%, donne per più della metà. E stiamo parlando di aiuto per bisogni primari: cibo, vestiti, medicine. «Se sono preoccupato? Si deve essere preoccupati. Dobbiamo esserlo tutti. Stiamo assistendo a un’altalena tra terrore e incoscienza, tra gente angosciata e gente convinta di farla franca comunque. Il male purtroppo non scompare schiacciando un tasto».

Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna, è tra le voci più ascoltate nella Chiesa di Francesco e non soltanto. Le sue prese di posizione a favore degli ultimi, il suo non essere neutrale, le sue battaglie culturali contro l’indifferenza, hanno spinto il Papa, un anno fa, a volerlo cardinale. Romano di 65 anni, formatosi da ragazzino alla scuola di cura del prossimo della comunità di Sant’Egidio, il cui fondatore, Andrea Riccardi, fu anche suo compagno di liceo (insieme a David Sassoli e Francesco De Gregori), don Matteo vive in una casa di riposo per preti, gira in bicicletta e dà l’idea di amare davvero il prossimo, o almeno di averne molta attenzione. «Ama Dio e ama il tuo vicino: sono i due comandamenti che Gesù ha unito. Non è possibile dirsi fedeli al Signore e insieme mostrare disinteresse per gli altri. La prima cosa include necessariamente la seconda. Se un cattolico, specie in questo tempo buio, pensa di poter tenere separate le due travi portanti della nostra fede, dovrebbe interrogarsi a fondo e sanare una contraddizione così forte».

Lei ha scritto un libro dal titolo profetico: “Odierai il prossimo tuo come te stesso”. Sembra la fotografia di quello che stiamo vedendo e vivendo in queste settimane: scontri per le strade, rabbia che trabocca, una diffusa disperazione alimentata da gruppi violenti di ultradestra che proprio sulla disperazione campano e prosperano.

«Mai minimizzare il male. Il virus che produce tutti gli altri virus si nasconde, si mimetizza, ma i semi dell’odio sono sempre fertili. Poi, complice l’indifferenza che contribuisce a coltivarli, spuntano i frutti. Il rapporto Censis del 2019 mette al centro dello scenario nazionale proprio il rancore, conseguenza del lutto non elaborato del benessere che svanisce. È’ come se molti italiani ritenessero di avere il diritto al rancore e quindi cerchino un bersaglio, un nemico, su cui scaricarlo».

La verità è che il famoso “ascensore sociale” si è rotto forse definitivamente. Anzi, funziona ancora, ma solo in discesa. Poveri si nasce e ci si resta. In più, poveri adesso ci si diventa, e in massa.

«È il mondo malato di cui parla Papa Francesco. Malato di egoismo, prigioniero dell’individualismo, dominato dall’idea folle che ci si può salvare da soli. Ricordo una frase bellissima di Helder Camara, arcivescovo di Recife e delle favelas brasiliane: “Nessuno è così povero da non poter aiutare qualcuno più povero di lui”».

Sempre monsignor Camara ha detto: “Quando do da mangiare a un povero tutti mi chiamano santo, ma quando chiedo perché i poveri non hanno cibo allora mi chiamano comunista”. È una frase degli anni Settanta del secolo scorso, che però dovrebbe interrogare anche le coscienze di oggi.

«Mai come ora c’è da tessere e ritessere legami che uniscano: le persone, le fasce sociali, le diverse opinioni politiche. È questo lo spirito dell’ultima enciclica del pontefice, la sua terza: Fratelli tutti”.

Suona più come un pio auspicio che come un obbligo di fede.

«E invece lo è, un impegno per chi ha fede. Ma direi che vale anche come risposta generale alla pandemia che stiamo soffrendo. Non basta sorreggere qualcuno per attraversare un fiume, scrive Francesco. Bisogna costruire ponti che rendano possibile a tutti il cammino. Dare lavoro, usare le ricchezze che molti hanno per farci qualcosa di buono per gli altri. Altrimenti la ricchezza è uno spreco. La vera ricostruzione, l’unica possibile, non può che partire da una visione solidale, umana prima ancora che cristiana, del vivere insieme».

A proposito di umanità. Avrà saputo che in Svizzera è stato deciso ufficialmente che chi ha più di 85 anni, o chi soffre di patologie già gravi, non sarà più ammesso nei reparti di terapia intensiva allestiti per fronteggiare il Covid. Una selezione della specie che ha precedenti abnormi, il nazismo per esempio.

«È insopportabile anche soltanto il pensiero. Abbiamo il dovere di salvare tutti, dal principio alla fine della vita. E di includere tutti, a cominciare dai più fragili. Oltretutto gli anziani stanno già pagando il prezzo di una solitudine opprimente, che il virus ha reso ancora più estrema. Non c’entra credere o non credere in Dio. Lo scandalo di scegliere chi può curarsi e chi no è una vittoria del male, e quindi una sconfitta dell’amore, che è il vero vaccino».