venerdì 22 maggio 2020

La povertà ha un nome, Karim

La povertà ha un nome, Karim...

Si chiamava Karim Bamba, il bambino di 10 anni che è morto drammaticamente, schiacciato nello sportello che chiude il cassonetto della Caritas per la raccolta degli indumenti a Boltere nella bassa bergamasca... Una tragedia frutto di una storia di povertà.
Nella scuola Karim trovava un’oasi di felicità. Le sue insegnanti hanno voluto ricordare così Karim: «Lo abbiamo conosciuto come un bambino vivace, curioso, e capace di gesti di affetto. Affrontava le difficoltà di ogni giorno con i suoi grandi occhioni scuri e un sorriso disarmante». La sua classe ha tenuto una videoconferenza con gli insegnanti. «Abbiamo cercato di capire che lezione ci ha lasciato — ha spiegato l’insegnante Maria Luisa Faleschini —. Karim aveva voglia di giocare con tutti e soprattutto c’era il suo sorriso aperto e grato per le piccole cose che insegnava cosa era la felicità. Sorrideva perché riusciva a completare un esercizio o perché qualcuno gli faceva dono di una penna. Passava la giornata con le forbici e la colla in mano ritagliando fogli che diventavano anelli o braccialetti o semplici biglietti con scritto sopra “ti voglio bene” e poi ce li regalava».

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Bergamo. Tragedia della povertà: 
a 10 anni muore soffocato nel cassonetto

Un fiore, un bigliettino. «Caro Karim, ti ricorderò sempre», è la scritta a penna, con un piccolo cuoricino disegnato accanto al nome di chi ha lasciato quel ricordo. La vita di Karim Bamba, dieci anni, italo-ivoriano, s’è spezzata martedì sera a Boltiere, nella Bergamasca, nel modo più tragico e drammatico: è rimasto incastrato in un cassonetto di abiti usati destinato alla Caritas, forse proprio provando a recuperare qualche indumento.

È infatti una storia di povertà a stagliarsi sullo sfondo. ...
Martedì sera, attorno alle 20, Karim è uscito di casa da solo, come a volte – così hanno raccontato dei vicini – era solito fare. Spesso anche scalzo. ...
Forse Karim s’è arrampicato per recuperare qualche vestito, per scacciare la povertà, o forse soltanto per un gioco. È stata comunque una scelta fatale, perché Karim è rimasto incastrato nel meccanismo basculante, che è però anti-intrusione. Lo sportello s’è dunque richiuso, come una morsa, e in mezzo il corpicino del bambino. Proprio in quegli attimi, nel parcheggio a ridosso del cassonetto è giunta una donna che doveva recuperare la propria auto: dal cassonetto ha notato le gambe immobili del piccolo sporgere e subito ha lanciato l’allarme. ... Non c’è stato nulla da fare, il piccolo è morto in Pronto soccorso. ...
La notizia s’è subito diffusa in paese. Ieri, poi, con discrezione, numerosi cittadini si sono recati sul luogo della tragedia. Con commozione e delicatezza, qualcuno ha lasciato un fiore e un bigliettino per dare un’ultima carezza a quella vita spezzata così dolorosamente.


LA POVERTÀ INFANTILE HA UN NOME PROPRIO, KARIM 
E L’ETÀ DI UN BAMBINO DI 10 ANNI.

La povertà ha un nome proprio. Karim Bamba. È il nome di un bambino di dieci anni. Un bambino che nella nostra Italia, dentro a una nostra città camminava scalzo.

Riuscite a immaginarlo mentre rovista nei cassonetti, dove ci sono i nostri scarti. Dove ci sono i pantaloni o le magliette di nostro figlio, quelle che non gli piacciono più. Fa effetto vero? E fa paura essere parte di questa società in cui i bambini muoiono e lo fanno in povertà, in cui se nasci povero rimani povero.

Camminava scalzo, lo ripeto, perché rimanga e mi rimanga bene impresso. Non correva a perdifiato nei prati una sera di maggio, no, lui camminava sull’asfalto, impilava sacchetti lasciati lì da noi, per salirci sopra e vedere se riusciva a trovare qualcosa per sé o i suoi fratelli.

Quando ho sentito la notizia mi sono chiesta se lui era uno di quelli perso per strada dalla didattica a distanza, mi sono chiesta perché facciamo finta che la povertà infantile non esista, perché non ci occupiamo degli ultimi e permettiamo che accadano certe cose.

La scuola non basta, ma la scuola si accorge, dentro alla scuola una maestra avrebbe saputo se una sua famiglia era in certe condizioni. La scuola non può tutto, ma può accogliere, fare in modo che i bambini siano e restino bambini. Trovare un paio di scarpe, ad esempio. Anche se non è sufficiente, è già qualcosa.

Karim era conosciuto in città, così ho letto, la famiglia era seguita dai servizi sociali, gli stessi servizi sociali su cui spesso scagliamo pietre ma in cui vengono effettuati solo tagli. Paghiamo tutto e paghiamo il prezzo più alto, la morte di un bambino. Paghiamo i tagli alla sanità, i tagli alla scuola, i tagli ai servizi alla persona, i tagli al sociale, ai centri socio-educativi. Noi tagliamo risorse sempre.

I bar questa settimana hanno riaperto, pure i parrucchieri, i ristoranti, le spiagge e forse, potremo andare in vacanza. Notizie belle. L’economia ritorna a girare e io non posso che esserne felice però, nella stessa settimana, una sera di maggio è morto un bambino e non riesco a passare oltre come se fosse solo un brutto capitolo della storia.

Aveva dieci anni, viveva in una delle nostre città, aveva il torace schiacciato e le gambe a penzoloni. Non credo avesse un tablet per collegarsi, e credo non gliene importasse niente di essere bravo in italiano e in matematica. Forse, sarebbe stato valutato con un voto insufficiente per non aver fatto lezione o forse no, io lo spero, spero che la scuola si sia accorta di lui e abbia cercato di fare il possibile.

Karim cercava dei vestiti, questa era la sua preoccupazione.

Era scalzo. E questo ci dice tutto su di lui. E su di noi. Italia 2020. La povertà infantile ha un nome proprio, Karim e l’età di un bambino di dieci anni.
Penny

*Cinzia Pennati (Penny) è insegnante, scrittrice e madre di due ragazze adolescenti (tra le quali Ludovica, l’autrice di molti dei disegni che illustrano i suoi articoli). Questo il suo blog sosdonne.com.