domenica 9 febbraio 2020

CHI HA VINTO DAVVERO A SANREMO


CHI HA VINTO DAVVERO A SANREMO

di Massimiliano Padula
presidente del Copercom, il Coordinamento delle associazioni per la comunicazione


Festival di Sanremo, edizione 2020: primo il rumore, seconda la reciprocità, terza l’umiltà.

Ha vinto il rumore del cuore, quello cantato da Diodato, figlio di una Taranto per troppo tempo martoriata in silenzio e ora finalmente piena di voce e di voci come quella di un suo cittadino che le dedica la vittoria. Ha perso il rumore prodotto dai cantori del negativismo a priori che hanno alimentato polemiche (legittime certamente) e dubbi sulla partecipazione di Junior Cally o Achille Lauro, entrambi – come si è visto – sgonfiati e indietro nella classifica finale.

Sul secondo gradino del podio c’è la reciprocità di Francesco Gabbani che riesce a “spiegare in pochissime parole e senza starci troppo a ragionare il complesso meccanismo che governa l’armonia del nostro amore: che sei tu che mi fai stare bene quando io sto male e viceversa”. Ha vinto il rispetto per l’altro e hanno perso la violenza sulle donne, le discriminazioni contro i più deboli, il bavaglio alla libertà di stampa, l’esaltazione della vita nonostante i mostri di malattie come la Sla.

Medaglia di bronzo all’umiltà intonata in modo scanzonato dai Pinguini Tattici Nucleari e incarnata da Ringo Starr, condannato da sempre all’ultima posizione, eppure così fondamentale negli equilibri e nei cuori di tantissime esistenze. E ha vinto l’umiltà di un conduttore rigoroso e autentico, pronto sempre a un passo indietro e a cedere il palco alla verve e alla bravura della sua spalla. Ha perso la superbia delle prime donne litigiose e squalificate o dei criticoni di maniera per cui tutto va male e il passato è sempre migliore. E dietro i primi tre, troviamo il piccolo inno alla gioia e alla ricerca della felicità de Le vibrazioni, il dolce rock di Pierò Pelù al nipotino e a tutti coloro che ogni giorno cadono e si rialzano “con la fantasia di un bambino “gigante” e l’apologia dell’amore assoluto di Tosca che, nella vita, malgrado il dolore, “ha amato, ha amato tutto”.

Sanremo è stato questo ma anche tanto altro. Come ogni edizione (succede da settant’anni) ha provocato, è stato noioso, è durato troppo, è costato tanto. Nella ridda di polemiche è finita anche la presenza di Roberto Benigni, demonizzata per il cachet eccessivo e disapprovata per la “libera” interpretazione del Cantico dei Cantici. Al di là della reale e voluta confusione sulla dualità tra uomo e donna, Benigni ha scelto la strada più difficile: non quella del giullare a tutti costi o del clown strappa risate a buon mercato. Ma dell’attore (e del credente) profondo e maturo che sceglie di interpretare la canzone più bella del mondo che – non a caso – si trova nella Bibbia. Così come ha fatto Tiziano Ferro che non ha ceduto alle tentazioni di facili proclami ma ha regalato soltanto se stesso e il suo talento. E ancora Albano e Romina e i Ricchi e Poveri, le cui esibizioni non sono state semplici performance canore ma hanno risvegliato ricordi, immaginari, emozioni in tante generazioni cresciute e rallegrate dalle loro canzoni. Insomma Sanremo 2020 è stata un’orchestra nell’orchestra accordata da note piacevoli, da valori positivi, da gentilezza e da narrazioni non retoriche di problemi sociali. Gli ascolti record lo hanno dimostrato e – siamo certi – che questo Festival andrà a inserirsi nella coscienza e nei ricordi delle generazioni più giovani che tra cinque, dieci o venti anni, ne canteranno e balleranno le canzoni.