mercoledì 15 gennaio 2020

“Ratzinger e Sarah, un'obbedienza filiale da brividi”. Intervista ad Andrea Grillo


“Ratzinger e Sarah, un'obbedienza filiale da brividi”. 
Intervista ad Andrea Grillo


Fa discutere l’opinione pubblica mondiale, il libro che tratta del celibato del Sacerdozio cattolico. Un tema discusso, anche, nel recente Sinodo amazzonico di Ottobre. 
In quell’occasione l’assemblea si era espressa, a grande maggioranza, per l’ordinazione dei viri probati. Ed è proprio contro questa apertura che si scagliano i due autori del libro. 
Un estremo tentativo, dell’ala conservatrice, di condizionare Papa Francesco? Ne parliamo, in questa intervista, con il teologo Andrea Grillo docente di Teologia al Pontificio Ateneo Sant’Anselmo di Roma. 

Professore, ieri le Figaro ha pubblicato, in esclusiva mondiale, alcuni brani del prossimo libro di Benedetto XVI (il papa emerito) scritto insieme al Cardinale Sarah. Il libro uscirà in Francia mercoledì. Il titolo “Des profondeurs des nos coeurs” è emblematico, vuole essere, quasi, una supplica al Papa regnante perché non ceda alla richiesta, contenuta nel documento finale del Sinodo sulla Amazzonia, di aprire il sacerdozio, a certe condizioni, ai viri probati. Insomma, pur manifestando obbedienza filiale al Papa, l’anima conservatrice non rinuncia minimamente a condizionare pesantemente Papa Francesco. Qual è il suo giudizio? 

L’obbedienza filiale ha molti volti. Si può anche obbedire come il figlio maggiore della parabola e vivere la comunione pieni di risentimento. Ad ogni modo vi è stato un Sinodo, al quale il Card. Sarah ha partecipato, e che ha aperto una fase di ripensamento delle forme di identificazione dei candidati al presbiterato, almeno in Amazzonia. Tutto questo può essere anche discusso o contestato, ma parlare come se l’eventuale documento del papa che autorizzasse questa riforma fosse una “catastrofe”, appare un modo irresponsabile di porsi nella vita della Chiesa. La obbedienza filiale assomiglia in questo caso ad un individualismo smisurato e ad una mancanza di rispetto verso le diverse condizioni che vivono le Chiese nei diversi continenti. In una vicenda come questa, ed anche nelle reazioni ufficiali, si tocca con mano che nella Chiesa uno dei peccati più diffusi è quello di usare parole vuote. A mio avviso il termine “obbedienza filiale” può essere utilizzato per parlare di queste dichiarazioni solo facendo abbondante ricorso ad un linguaggio segnato da clericalismo e da ipocrisia. In tutta onestà, qui io non trovo alcuna obbedienza e tanto meno figliolanza. La retorica ecclesiastica in questi casi è un rimedio peggiore del male. Chiamare le cose con il loro nome resta sempre il primo atto che la fede ci chiede. E lo chiede tanto ai pastori, quanto ai teologi, quanto ai giornalisti. 

Apriamo una piccola parentesi. Riguarda il “papa emerito”. Sappiamo, dal diritto canonico, che un papa che rinuncia al proprio ufficio non è più papa. Insomma aver consentito di usare un titolo come quello di “papa emerito” rischia di creare non pochi problemi alla comunione ecclesiale. Perché Ratzinger non si rende conto di questo? 
Credo che la questione del “papa emerito” sia una sfida per la istituzione ecclesiale. Nella sua novità, ha richiesto una certa dose di improvvisazione, che ora stiamo pagando. Il vescovo emerito di Roma non ha più alcuna autorità di ministero. E, fin dall’inizio, ha cercato, credo veramente, di tenere il profilo più basso possibile. Non è un arbitrio ritenere che il ruolo di un “papa emerito”, quando un altro papa è stato eletto dopo di lui, sia evidentemente vincolato ad un estremo riserbo, per non dire ad un “silentium incarnatum”. Questa è la conseguenza della concentrazione di potere che il papa ha assunto lungo i secoli. Ogni confusione diventa pericolosa, per la Chiesa in quanto tale. A maggior ragione la cosa diventa del tutto distorta se un vescovo emerito di Roma pretende di esercitare una sorta di “veto” sugli atti che il suo successore deve ancora assumere. Per quanto la si circondi di un’aura spirituale, orante, filiale e paterna, questo non è il set di un film. E deve essere gestito con assoluta chiarezza, senza lasciar adito a dubbi. 

Torniamo al contenuto del libro. Stando alle anticipazioni gli autori espongono, sentito come un dovere morale, le loro riflessioni sul Sacerdozio cattolico. Per loro il sacerdozio e il celibato sono “uniti fin dall’inizio della” nuova alleanza”di Dio con l’umanità stabilita da Gesù, la cui oblazione totale è il modello stesso del Sacerdozio”. Insomma, per i due autori, c’è una “astinenza ontologica”…. Il termine è assai forte.… 
Mi pare, però, che proprio su questo piano ciò che viene scritto nel libro sia teologicamente troppo fragile, quasi imbarazzante. Sembra più il frutto della penna incerta di Sarah che della mano sicura di Ratzinger. Le argomentazioni con cui si vorrebbe giustificare la “immodificabilità” dei criteri di selezione dei prebiteri sono stentate, zoppicanti, ingenue o paradossali. Da due pastori con così grande responsabilità il popolo di Dio si aspetterebbe qualche maggiore motivazione, per giustificare il fatto di aver assunto una posizione drastica come quella che hanno voluto manifestare. Altrimenti, se le ragioni sono davvero quelle indicate, sembra di assistere alla resistenza un poco cieca dello “status quo”, contro ogni possibile cambiamento. 

Un'altra affermazione, a me sembra malata di catastrofismo, è quella che “la possibilità di ordinare uomini sposati rappresenterebbe una catastrofe pastorale, una confusione ecclesíologica e un oscuramento della comprensione del Sacerdozio”. Qui ogni apertura è cedimento allo spirito del mondo. Non è esagerato tutto questo? 
Appunto: esagerazione. Una grande esagerazione. Il Card. Sarah non è nuovo a queste esagerazioni, sempre in relazione ai Sinodi. Si ricorderà come, durante il Sinodo sulla famiglia, in un suo intervento paragonò “fondamentalismo e gender” alle “bestie dell’Apocalisse”. Ogni mutamento rispetto alla struttura della Chiesa ottocentesca viene percepito come cedimento, tradimento, resa al mondo moderno e alle sue rovine. Il pregiudizio antimoderno diventa il criterio di un discernimento senza sfumature. E che presuppone una idea di Chiesa e di Sacerdozio vecchia di quasi 200 anni. 

Eppure nella Chiesa latina vi sono sacerdoti sposati… Sono causa di catastrofi? 
Non mi pare proprio. La tradizione latina conosce il presbitero uxorato. Ma la chiesa di oriente conosce quasi solo presbiteri uxorati. Un minimo di conoscenza del mondo e delle diverse tradizioni ecclesiali dovrebbe suggerire un giudizio meno drastico, più sfumato, più attento. Soprattutto più informato. Penso che anche un certo provincialismo curiale non sia estraneo a questo modo di esprimersi, che appare rozzo e autocentrato. 

Ultima domanda: Quest’ultima uscita di Ratzinger svela, ancora una volta, il paradigma di fondo di una parte della Chiesa: la paura della storia. È così professore? 
A me sembra che questo testo abbia un grande valore: manifesta la persistenza ostinata di un modello di autocomprensione della Chiesa che definirei “dispositivo di blocco”. La Chiesa non ha alcuna autorità, se non quella di ripetere quello che è stata nel passato. E per questo deve solo respingere ciecamente ogni cambiamento. Può contare soltanto sulle “tre cose bianche”: l’ostia, l’immacolata e il papa. Come è evidente il dispositivo entra in crisi quando una delle tre “cose bianche” non si piega ad essere stereotipato a restare senza autorità, e inizia ad aver fiducia di poter iniziare percorsi di cambiamento e di riforma. Se la Chiesa esce dal museo e si riscopre giardino, può fiorire. Ma i profeti di sventura, alla prima brezza fredda, o alla pioggia più intensa o al primo sole cocente, sono subito pronti ad esprimere la loro nostalgia per l’aria condizionata, i sistemi di sicurezza e la silenziosa prevedibilità ovattata che il museo loro garantiva. Francesco conosce bene il funzionamento cieco di questo “dispositivo”. E non si lascerà ridurre a “cosa bianca”.


(fonte: Rai News, articolo di Pierluigi Mele 13 gennaio 2020) 


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