venerdì 20 dicembre 2019

Dio non ha schifo di noi – Novena di Natale a cura di Antonio Savone (V giorno)

Novena di Natale
a cura di Antonio Savone
V giorno
Dio non ha schifo di noi


“Vorrei che la notte di Natale, in tutte le chiese del mondo, un povero prete si levasse gridando: ‘Via da questa culla, ipocriti: questo bambino che è nato per salvare il mondo, ha schifo e pietà di voi!’”. 
Sono le parole di uno dei più discussi scrittori del Novecento, Curzio Malaparte il quale, nel 1954, si scagliava così contro quella che egli definiva “la commedia del Natale”.

Certo, è doverosa la denuncia della profanazione del Natale. Tuttavia, credo sia molto più importante non perdere di vista la novità di cui il mistero del Natale è apportatore e cioè che la mia, la nostra umanità sta a cuore a Dio molto e ancor più che a me. Da quando egli si è fatto uomo, l’umanità non è soltanto un’opera delle sue mani ma è parte di se stesso. La mia umanità non è qualcosa che egli contempla dall’esterno, essa gli appartiene. Lo sappiamo per esperienza personale: crediamo all’amore solo quando qualcuno, in modo gratuito e perciò del tutto disinteressato, accetta di rivestire i nostri panni tanto da diventare tutt’uno con noi.

Non occorre più che lo si cerchi attraverso percorsi spiritualistici in cui è facile che il nostro cuore si smarrisca. È sulla terra che devo cercarlo, una terra in cui egli non ha goduto un’esistenza migliore della nostra, non ha avuto alcun privilegio. Come ogni uomo ha conosciuto la fame, la stanchezza, l’opposizione, il rifiuto, l’angoscia di dover morire e, addirittura, una tra le morti più misere.

Se è vero che il Dio infinito ha assunto l’angustia umana, se è vero che la beatitudine eterna ha fatto sua la tristezza mortale della terra, se è vero, inoltre, che la vita ha accolto persino la morte, allora è altrettanto vero che il mistero del Natale deve restituirci uno sguardo diverso proprio su ciò che noi riconosciamo come un limite. Quanto abbiamo bisogno di imparare ad onorare il nostro limite!

Dalla notte di Betlemme, tutte le nostre notti, persino quelle più drammatiche e più fredde, devono diventare sante notti. A ragione sant’Alfonso canterà: “Quanno nascette Ninno a Betlemme era notte e pareva mienz iuorn”. La notte perde il suo carattere di buio quando a rischiararla è una presenza amica, se poi a condividerla con noi è lo stesso Figlio di Dio “la notte è chiara come il giorno”, dal momento che “per te le tenebre sono come luce”.

Cristo non ha schifo dell’uomo. Se Cristo avesse schifo dell’uomo – ipocrita, magari, codardo, forse – non ci ritroveremmo ogni anno a celebrare la sua nascita e neppure si umilierebbe ogni giorno nel mistero dell’Eucaristia. Viene proprio perché noi abbiamo bisogno di lui anche se forse non ne siamo del tutto consapevoli. Perché siamo qui stanotte se non perché, in fondo, sappiamo, che egli non si vergogna di noi, di me. L’umanità che ha assunto è una umanità reale, proprio come la mia, la tua: non ha cercato “il più perfetto tra gli uomini per unirsi a lui”.

Il mistero di questa notte racconta che Dio avrebbe voluto ospitalità ma l’ha cercata invano. E, tuttavia, il rifiuto dell’uomo non lo fa tornare indietro risentito: lo rende, invece, disponibile ad accogliere un alloggio di fortuna. Dio si ostina a nascere. Nasce comunque. Se non nell’albergo, in una stalla. Nasce anche dentro la nostra vita congestionata e già occupata. Nasce, forse, nella parte più oscura di noi, là dove si raccolgono tutti quei sentimenti su cui facciamo fatica a fissare lo sguardo. Lì Dio fa brillare la tenue luce della sua nascita. Perciò ciascuno di noi porta dentro di sé una sorta di Natale segreto. Forse è questa la ragione che ci fa trovare uniti in questo giorno, praticanti abituali o inabituali.

Più che fermarci alla retorica del Natale, dovremmo accogliere l’invito che lo scrittore toscano rivolgeva: “non aver paura di essere cristiani fino in fondo”. E come si è cristiani fino in fondo? Soltanto perpetuando dei riti? No. Lo si è quando si accetta, come fa Dio, di volgere lo sguardo verso ciò da cui noi uomini siamo soliti distoglierlo.

“Dio non si vergogna della bassezza dell’uomo, vi entra dentro…
Dio è vicino alla bassezza, ama ciò che è perduto, 
ciò che non è considerato, l’insignificante…;
dove gli uomini dicono ‘perduto’, lì egli dice ‘salvato’;
dove gli uomini dicono ‘no’, lì egli dice ‘sì’…
Dove gli uomini dicono ‘spregevole’, lì Dio esclama ‘beato’.
Dove nella nostra vita siamo finiti in una situazione 
in cui possiamo solo vergognarci davanti a noi stessi e davanti a Dio, 
dove pensiamo che anche Dio dovrebbe vergognarsi di noi, 
dove ci sentiamo lontani da Dio come mai nella vita, 
proprio lì Dio ci è vicino come mai lo era prima… 
lì ci fa sentire il suo approssimarsi, 
affinché comprendiamo il miracolo del suo amore” 
(D. Bonhoeffer).

Con il mistero della sua Incarnazione Dio risponde al bisogno che ogni uomo avverte di evadere dalle sue contraddizioni e disarmonie. E risponde compiendo il cammino al contrario: una possibilità di riscatto non risiede nel prendere le distanze dalla storia così com’è ma nel farla propria fino in fondo.
(fonte: A casa di Cornelio)