sabato 23 novembre 2019

VIAGGIO APOSTOLICO DI PAPA FRANCESCO IN THAILANDIA E GIAPPONE (19 - 26 NOVEMBRE 2019) Incontro con i sacerdoti, religiosi/e, seminaristi e catechisti: «Una vita consacrata che non è in grado di aprirsi alla sorpresa è una vita che è rimasta a metà strada.» (cronaca, foto, testi e video)

VIAGGIO APOSTOLICO DI SUA SANTITÀ FRANCESCO
IN THAILANDIA E GIAPPONE

(19 - 26 NOVEMBRE 2019)
INCONTRO CON I SACERDOTI, RELIGIOSI/E, SEMINARISTI E CATECHISTI
Parrocchia di San Pietro (Bangkok)
Venerdì, 22 novembre 2019


Non sono ancora le 10, la notte in Italia, quando il Papa inizia il suo terzo giorno a Bangkok arrivando in auto nel piazzale antistante la parrocchia tra due ali di folla festosa e colorata da centinaia di bandiere vaticane e thailandesi. Dopo un lungo giro tra i fedeli che lo acclamano, l’ingresso nella chiesa, un tempo fatta di bambù ora dalle linee moderne e slanciate. Questo è un luogo che parla di fede e di martirio, con l’attiguo Santuario dedicato al beato Nicolas Bunkerd Kitbamrung, un grande evangelizzatore e primo sacerdote thailandese morto martire nel 1944 per la tubercolosi contratta in carcere, durante la guerra franco-indocinese.

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Il Papa percorre la navata centrale e giunge all’altare accolto da un omaggio floreale poi la sosta silenziosa al Santissimo. Nella parrocchia di san Pietro gremita, ci sono i volti attenti e felici di una Chiesa “al servizio di tanti e in tanti ministeri”. Uomini e donne che affrontano le sfide del Paese, la crisi dei valori che mina la famiglia, la società che invecchia e il calo delle vocazioni, restando operosi nell’educazione, nella carità, nella promozione della dignità umana. A presentare questa realtà, orgoglioso, è il vescovo responsabile dei religiosi, monsignor Joseph Pradhan Sridarunsil. Poi, a nome di tutti, racconta la sua esperienza di vita e di fede, Benedetta Jongrak Donoran, postulante saveriana di 44 anni, di origine buddista, battezzata nel 2012.
E’ dalla sua testimonianza entusiasta che il Papa prende spunto nel discorso pronunciato in spagnolo.














DISCORSO DEL SANTO PADRE

Grazie a Mons. Joseph Pradhan Sridarunsil per le sue parole di benvenuto a nome di tutti voi. Sono contento di potervi vedere, di ascoltarvi, partecipare della vostra gioia e percepire come lo Spirito realizza la sua opera in mezzo a noi. Grazie a tutti voi catechisti, sacerdoti, consacrati e consacrate, seminaristi, per questo tempo che mi regalate.

Grazie anche a Benedetta per aver condiviso la sua vita e la sua testimonianza. Mentre la ascoltavo cresceva in me un sentimento di gratitudine per la vita di tanti missionari e missionarie che hanno segnato la vostra vita e hanno lasciato la loro impronta. Benedetta, ci hai parlato delle Figlie della Carità. Desidero che le mie prime parole con voi siano un ringraziamento a tutti i consacrati che con il silenzioso martirio della fedeltà e della dedizione quotidiana sono stati fecondi. Non so se sono arrivati a poter contemplare o a gustare il frutto dei loro sacrifici, ma senza dubbio sono state esistenze capaci di generare. Sono state promessa di speranza. Per questo, all’inizio del nostro incontro vorrei invitarvi ad avere particolarmente presenti tutti i catechisti, i consacrati anziani che ci hanno generato nell’amore e nell’amicizia con Gesù. Rendiamo grazie per loro e per gli anziani delle nostre comunità che oggi non hanno potuto essere qui presenti. Dite agli anziani che non hanno potuto essere presenti che il Papa li benedice, li ringrazia, e chiede anche la loro benedizione.

Penso che la storia vocazionale di ognuno di noi è segnata da quelle presenze che hanno aiutato a scoprire e discernere il fuoco dello Spirito. È così bello e importante saper ringraziare. «La gratitudine è sempre un’“arma potente”. Solo se siamo in grado di contemplare e ringraziare concretamente per tutti i gesti di amore, generosità, solidarietà e fiducia, così come per i gesti di perdono, pazienza, sopportazione e compassione con cui siamo stati trattati, lasceremo che lo Spirito ci doni quell’aria fresca in grado di rinnovare (e non rattoppare) la nostra vita e missione» (Lettera ai sacerdoti, 4 agosto 2019). Pensiamo a loro, siamo grati e, sulle loro spalle, sentiamoci anche noi chiamati a essere uomini e donne che aiutano a generare la vita nuova che il Signore ci dona. Chiamati alla fecondità apostolica, chiamati a essere agguerriti lottatori per le cose che il Signore ama e per le quali ha dato la vita; chiediamo la grazia che i nostri sentimenti e i nostri sguardi possano palpitare al ritmo del suo Cuore e, oserei dirvi, fino a piagarsi per lo stesso amore; possano essere appassionati per Gesù e per il Suo Regno.

In questo senso, possiamo domandarci tutti: come coltivare la fecondità apostolica? È una bella domanda, che possiamo farci tutti, e ognuno rispondere nel proprio cuore. – La sorella traduce quello che non c’è nel testo – Perché per me non è facile comunicare con voi attraverso un apparecchio, non è facile. Ma voi avete buona volontà. Grazie.

Benedetta, tu ci hai parlato di come il Signore ti ha attratto per mezzo della bellezza. È stata la bellezza di un’immagine della Vergine che, con il suo sguardo speciale, è entrata nel tuo cuore e ha suscitato il desiderio di conoscerla di più: Chi è questa donna? Non sono state le parole, o le idee astratte o i freddi ragionamenti. Tutto è iniziato da uno sguardo, uno sguardo bello che ti ha affascinato. Quanta sapienza nascondono le tue parole! Ridestare alla bellezza, ridestare alla meraviglia, allo stupore capace di aprire nuovi orizzonti e di suscitare nuovi interrogativi. Una vita consacrata che non è in grado di aprirsi alla sorpresa è una vita che è rimasta a metà strada. Questo lo voglio ripetere. Una vita consacrata che non è capace di sorprendersi ogni giorno, di gioire o di piangere, ma di sorprendersi, è una vita consacrata che rimane a metà strada. Il Signore non ci ha chiamati per mandarci nel mondo a imporre obblighi alle persone, o carichi più pesanti di quelli che già hanno, e sono molti, ma a condividere una gioia, un orizzonte bello, nuovo e sorprendente. Mi piace molto quell’espressione di Benedetto XVI, che considero paradigmatica e persino profetica in questi tempi: la chiesa non cresce per proselitismo, ma per attrazione (cfr Esort. ap. Evagelii gaudium, 14). «Annunciare Cristo significa mostrare che credere in Lui e seguirlo non è solamente cosa vera e giusta, ma anche bella, capace di colmare la vita di un nuovo splendore e di una gioia profonda, anche in mezzo alle prove» (ibid., 167).

E questo ci spinge a non aver paura di cercare nuovi simboli e immagini, una musica particolare che aiuti i tailandesi a risvegliare la meraviglia che il Signore ci vuole donare. Non abbiamo paura di voler inculturare il Vangelo sempre di più. Bisogna cercare le forme nuove per trasmettere la Parola capace di scuotere e ridestare il desiderio di conoscere il Signore: Chi è quest’uomo? Chi sono queste persone che seguono un crocifisso?

Preparando questo incontro ho potuto leggere, con una certa pena, che per molti la fede cristiana è una fede straniera, è la religione degli stranieri. Questa realtà ci spinge a cercare con coraggio i modi per confessare la fede “in dialetto”, alla maniera in cui una madre canta la ninna nanna al suo bambino. Con tale fiducia darle volto e “carne” tailandese, che è molto di più che fare delle traduzioni. È lasciare che il Vangelo si svesta di vestiti buoni ma stranieri, per risuonare con la musica che a voi è propria in questa terra e far vibrare l’anima dei nostri fratelli con la stessa bellezza che ha incendiato il nostro cuore. Vi invito a pregare la Vergine, che per prima ha affascinato Benedetta con la bellezza del suo sguardo, e le diciamo con fiducia di figli: «Ottienici ora un nuovo ardore di risorti per portare a tutti il Vangelo della vita che vince la morte. Dacci la santa audacia di cercare nuove strade perché giunga a tutti il dono della bellezza che non si spegne» (ibid., 288).

Lo sguardo di Maria ci spinge a guardare nella sua stessa direzione, verso quell’altro sguardo, per fare tutto quello che Lui ci dirà (cfr Gv 2,1-12). Occhi che affascinano perché sono capaci di andare al di là delle apparenze e di raggiungere e celebrare la bellezza più autentica che vive in ogni persona. Uno sguardo che, come ci insegna il Vangelo, rompe tutti i determinismi, i fatalismi e gli schemi. Dove molti vedevano solo un peccatore, un blasfemo, un esattore delle tasse, un malfattore, perfino un traditore, Gesù è stato capace di vedere apostoli. E questa è la bellezza che il suo sguardo ci invita ad annunciare, uno sguardo che entra dentro, trasforma e che fa emergere il meglio degli altri.

Pensando all’inizio della vostra vocazione, tanti, nella vostra giovinezza, avete partecipato alle attività di giovani che volevano vivere il Vangelo e andavano a visitare i più bisognosi, emarginati e disprezzati della città, orfani e anziani. Sicuramente allora in molti siete stati visitati dal Signore che vi ha fatto sentire la chiamata a donare tutto. Si tratta di uscire da se stessi e, in quello stesso movimento di uscita, siamo stati incontrati. Nel volto delle persone che incontriamo per la strada possiamo scoprire la bellezza di trattare l’altro come un fratello. Non è più l’orfano, l’abbandonato, l’emarginato o il disprezzato. Adesso ha un volto di fratello, il «fratello redento da Cristo. Questo è essere cristiani! O si può forse intendere la santità prescindendo da questo riconoscimento vivo della dignità di ogni essere umano?» (Esort. ap. Gaudete et exsultate, 98). Desidero sostenere e incoraggiare tanti di voi che, quotidianamente, spendono la propria vita servendo Gesù nei fratelli, come evidenziava il Vescovo nel presentarvi – lo si vedeva orgoglioso –; a tanti di voi che riescono a vedere la bellezza dove altri solo vedono disprezzo, abbandono o un oggetto sessuale da sfruttare. Così, voi siete segno concreto della misericordia viva e operante del Signore. Segno dell’unzione del Santo in queste terre.

Tale unzione esige la preghiera. La fecondità apostolica richiede e si sostiene grazie alla coltivazione dell’intimità della preghiera. Un’intimità come quella di quei nonni, che pregano assiduamente il Rosario. Quanti di noi abbiamo ricevuto la fede dai nostri nonni! E li abbiamo visti così, tra le faccende di casa, con la corona in mano consacrare tutta la giornata. La contemplazione nell’azione, permettendo a Dio di entrare in tutte le piccole cose di ogni giorno. È essenziale che oggi la Chiesa annunci il Vangelo a tutti, in ogni luogo, in ogni occasione, senza indugi e senza paura (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 23), come persone che ogni mattina, in un incontro personale col Signore, vengono nuovamente inviate. Senza la preghiera, tutta la nostra vita e la nostra missione perdono senso, forza e fervore. Se a voi manca la preghiera, qualunque lavoro che fate non ha senso, non ha forza, non ha valore. La preghiera è il centro di tutto.

Diceva San Paolo VI che uno dei peggiori nemici dell’evangelizzazione è la mancanza di fervore (cfr Esort. ap. Evangelii nuntiandi, 80). Leggete questo numero 80 della Evangelii nuntiandi. E il fervore per il religioso, per la religiosa, per il sacerdote, per il catechista si alimenta in questo duplice incontro: col volto del Signore e con quello dei suoi fratelli. Anche noi abbiamo bisogno di quello spazio in cui ritornare alla fonte per bere l’acqua che dà vita. Immersi in mille di occupazioni, cerchiamo sempre lo spazio per ricordare, nella preghiera, che il Signore ha già salvato il mondo e che siamo invitati con Lui a rendere tangibile questa salvezza.

Grazie ancora per la vostra vita, grazie per la vostra testimonianza e la donazione generosa! Vi chiedo, per favore, di non cedere alla tentazione di pensare che siete pochi; pensate piuttosto che siete piccoli, piccoli strumenti nelle mani creatrici del Signore. E Lui scriverà con la vostra vita le più belle pagine della storia della salvezza in queste terre.

Non dimenticatevi, per favore, di pregare e di far pregare per me. Grazie!

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