domenica 31 marzo 2019

"Un cuore che ascolta - lev shomea" - n. 21/2018-2019 (C) di Santino Coppolino

"Un cuore che ascolta - lev shomea"
Concedi al tuo servo un cuore docile, perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male" (1Re 3,9)


Traccia di riflessione
sul Vangelo della domenica
di Santino Coppolino

Vangelo: 
Lc 15,1-3.11-32



Gesù ha appena posto tre condizioni molto dure per la sequela: libertà da ogni vincolo anche da quelli familiari, libertà da se stessi fino a perdere la reputazione e la vita (la croce); libertà dall'idolatria del denaro e dai beni (14, 25-35). Nonostante la durezza e le evidenti difficoltà di queste condizioni, pubblicani e peccatori si accostano a Gesù, lo ascoltano volentieri e sono da lui accolti, mentre scribi e farisei, i pii e zelanti custodi della dottrina ebraica educati alla logica delle virtù e del merito, mormorano. Proprio per stigmatizzare il loro comportamento, Gesù narra le tre parabole della misericordia: la pecora perduta, la dracma smarrita e la parabola del figlio prodigo o del padre misericordioso. Si tratta di un trittico di parabole, ma in realtà la parabola è una sola. Come nel trittico pittorico, le due parti più brevi (le pale laterali) acquistano significato solo se sono in relazione con la parte più lunga (la pala centrale), la quale è illuminata e completata da quelle più brevi. Un padre, il cui figlio scapestrato va via di casa, certo non se ne sta con le mani in mano ad attenderne l'improbabile ritorno, ma invia il Pastore Buono perché ritrovi la pecora traviata e la riporti a casa sana e salva, abbandonando le rimanenti novantanove nel deserto. Chi di noi non farebbe lo stesso, dice Gesù? Veramente nessuno di noi farebbe questo se non uno squilibrato. La situazione è illogica, assurda e incomprensibile, come illogico, assurdo e incomprensibile è l'amore del Padre per ogni figlio. Solo un folle accoglierebbe in casa un figlio che ha dilapidato il patrimonio di famiglia senza il minimo rimprovero e, per di più, reintegrandolo nel suo rango originario (la veste, l'anello e i sandali). Così è l'amore del Padre, come l'utero accogliente di una madre (in ebr. rahamim), che si allarga per accogliere e fare spazio alla vita che si sviluppa. L'amore di Dio non risponde a nessuna logica umana, non fa calcoli, agisce senza una apparente ragione, è offerto a tutti, buoni e cattivi: al figlio ribelle come al figlio maggiore che ritiene di essere buono, ma si arroga il diritto di condannare il fratello. Nel cuore del Padre nessun figlio è escluso dal suo amore, nessun figlio è talmente perduto da non potere essere cercato, ritrovato e avvolto dal suo tenero abbraccio.