venerdì 8 febbraio 2019

VIAGGIO APOSTOLICO NEGLI EMIRATI ARABI UNITI 3-5/02/2019 - Visita in privato alla Cattedrale - Santa Messa nello Zayed Sports City - Cerimonia di congedo all’Aeroporto (cronaca, testi e video)


VIAGGIO APOSTOLICO DI SUA SANTITÀ FRANCESCO
NEGLI EMIRATI ARABI UNITI
3-5 FEBBRAIO 2019


Martedì, 5 febbraio 2019

ABU DHABI – ROMA
9:15 Visita in privato alla Cattedrale
10:30 Santa Messa nello Zayed Sports City
12:40 Cerimonia di congedo all’Aeroporto Presidenziale di Abu Dhabi



L’ultima giornata di Papa Francesco negli Emirati Arabi Uniti è tutta dedicata al piccolo gregge di cattolici presenti ad Abu Dhabi e in tutto lo Stato. Alle 8.45, orario del Golfo Persico, le 5.45 in Italia, il Pontefice si congeda dalla residenza che lo ha ospitato in questi tre giorni storici nella penisola arabica. Il Papa saluta tutto il personale, il nunzio apostolico monsignor Francisco Padilla con i familiari e un gruppo di frati cappuccini e di sacerdoti del vicariato apostolico dell’Arabia Meridionale, accompagnati dal vicario monsignor Paul Hinder.


In cattedrale la comunità, il parroco e il vicario apostolico

In auto coperta, Francesco percorre il chilometro e 200 metri che separano l’Al Mushrif palace dalla cattedrale di St. Joseph, che è una delle due sole chiese cattoliche dell’emirato di Abu Dhabi, insieme alla Chiesa di San Paolo a Musaffah. Nella cattedrale, che non ha segni cristiani esterni, né il campanile né una croce visibile, Papa Bergoglio è accolto dall’applauso di un gruppo numeroso di membri della comunità cattolica, dal vicario apostolico dell'Arabia del Sud, monsignor Hinder, dal vicario generale e dal parroco don Johnson Kadukanmakal, originario dallo Stato indiano del Kerala, che presta sevizio nel Golfo fin dal 1990, l’anno della sua ordinazione. Prima negli Emirati Arabi, nella Chiesa di San Francesco d'Assisi di Jebel Ali, poi in Oman, a Sohar, nella Chiesa di Sant’Antonio, e infine nel 2015, di nuovo negli Emirati Arabi come parroco della St. Joseph Cathedral.

"E' una gioia per me visitare giovani Chiese come la vostra"

Mentre viene intonato un canto, il Papa entra in processione e si incammina nella navata centrale. Una famiglia gli dona dei fiori che Francesco poi depone sull'altare. Dopo un momento di raccoglimento, il Pontefice saluta i fedeli presenti, dicendo che è una grande gioia per lui visitare le giovani chiese come quella presente negli Emirati e li ringrazia per la loro testimonianza. Poi li benedice tra la commozione di tutti e si trasferisce allo stadio per la celebrazione della Santa Messa. All’ingresso e all’uscita dalla cattedrale lo accompagna l’applauso di numerosi fedeli raccolti nel piazzale esterno.

Il terreno per la chiesa donato dal governatore di Abu Dhabi

La prima chiesa, nel luogo ora occupato dalla cattedrale, risale al 1962, ed è stata costruita su un terreno donato dal governatore di Abu Dhabi, Sheikh Shakhbut. La prima pietra è stata benedetta nel 1964, mentre l’inaugurazione dell’intero complesso risale al 19 febbraio 1965. Nel 1981 la chiesa viene spostata nella sua posizione attuale. Due anni dopo, il 25 febbraio 1983, diviene cattedrale, a servizio del Vicariato apostolico dell’Arabia Saudita.

Una parrocchia per più di 100mila fedeli

Secondo gli ultimi dati, la cattedrale di St. Joseph accoglie oltre 100mila fedeli cattolici, sui 901mila presenti negli Emirati alla fine del 2017, provenienti da ogni parte del mondo, tanto che le celebrazioni si svolgono, oltre che in arabo, inglese e francese, anche in tagalog, malayalam, singalese, urdu e tamil. Nel 2013, una parte del complesso parrocchiale è stata demolita, per costruire nuove sale ed uffici per sacerdoti e personale di servizio.
(fonte: Vatican News)


Allo Zayed Sports City di Abu Dhabi 43mila cattolici d’ogni nazionalità e di diversi riti affollano gli spalti, almeno altri 90mila hanno atteso papa Francesco all’esterno sotto un cielo ventoso e note di musica classica. Non mancano, mischiati tra i fedeli, anche 4 mila musulmani con il loro tradizionale thawb bianco e le donne islamiche avvolte nei loro shila neri per la più grande Messa in luogo pubblico mai celebrata prima nella Penisola arabica. Nel Paese, che con la costituzione del 1971 definisce l’islam come religione ufficiale e la Sharia rappresenta la sorgente principale della legislazione civile, il governo, come aveva annunciato il ministero delle Risorse Umane degli Emirati Arabi Uniti – ha dichiarato questa giornata festiva concedendo permessi per partecipare alla Messa papale. Francesco è arrivato al mattino tra questa cristianità multilingue e multicolore d’immigrati, cresciuta sotto lo spazio della tolleranza e le guide delle comunità cattoliche che hanno sempre condiviso e fatto proprio lo stesso approccio realista e non antagonista nei confronti dell’ordine costituito di fattura islamica. Sono loro i «beati» a cui si rivolge quando sul palco prende la parola nell’omelia.






SANTA MESSA
  Zayed Sports City (Abu Dhabi)
Martedì, 5 febbraio 2019






OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO


Beati: è la parola con cui Gesù comincia la sua predicazione nel Vangelo di Matteo. Ed è il ritornello che Egli ripete oggi, quasi a voler fissare nel nostro cuore, prima di tutto, un messaggio basilare: se stai con Gesù, se come i discepoli di allora ami ascoltare la sua parola, se cerchi di viverla ogni giorno, sei beato. Non sarai beato, ma sei beato: ecco la prima realtà della vita cristiana. Essa non si presenta come un elenco di prescrizioni esteriori da adempiere o come un complesso insieme di dottrine da conoscere. Anzitutto non è questo; è sapersi, in Gesù, figli amati del Padre. È vivere la gioia di questa beatitudine, è intendere la vita come una storia di amore, la storia dell’amore fedele di Dio che non ci abbandona mai e vuole fare comunione con noi sempre. Ecco il motivo della nostra gioia, di una gioia che nessuna persona al mondo e nessuna circostanza della vita possono toglierci. È una gioia che dà pace anche nel dolore, che già ora fa pregustare quella felicità che ci attende per sempre. Cari fratelli e sorelle, nella gioia di incontrarvi, questa è la parola che sono venuto a dirvi: beati!

Ora, se Gesù dice beati i suoi discepoli, colpiscono tuttavia i motivi delle singole Beatitudini. In esse vediamo un capovolgimento del pensare comune, secondo cui sono beati i ricchi, i potenti, quanti hanno successo e sono acclamati dalle folle. Per Gesù, invece, beati sono i poveri, i miti, quanti restano giusti anche a costo di fare brutta figura, i perseguitati. Chi ha ragione, Gesù o il mondo? Per capire, guardiamo a come ha vissuto Gesù: povero di cose e ricco di amore, ha risanato tante vite, ma non ha risparmiato la sua. È venuto per servire e non per essere servito; ci ha insegnato che non è grande chi ha, ma chi dà. Giusto e mite, non ha opposto resistenza e si è lasciato condannare ingiustamente. In questo modo Gesù ha portato nel mondo l’amore di Dio. Solo così ha sconfitto la morte, il peccato, la paura e la mondanità stessa: con la sola forza dell’amore divino. Chiediamo oggi, qui insieme, la grazia di riscoprire il fascino di seguire Gesù, di imitarlo, di non cercare altro che Lui e il suo amore umile. Perché sta qui, nella comunione con Lui e nell’amore per gli altri, il senso della vita sulla terra. Credete a questo?

Sono venuto anche a dirvi grazie per come vivete il Vangelo che abbiamo ascoltato. Si dice che tra il Vangelo scritto e quello vissuto ci sia la stessa differenza che esiste tra la musica scritta e quella suonata. Voi qui conoscete la melodia del Vangelo e vivete l’entusiasmo del suo ritmo. Siete un coro che comprende una varietà di nazioni, lingue e riti; una diversità che lo Spirito Santo ama e vuole sempre più armonizzare, per farne una sinfonia. Questa gioiosa polifonia della fede è una testimonianza che date a tutti e che edifica la Chiesa. Mi ha colpito quanto Mons. Hinder disse una volta e cioè che non solo egli si sente vostro Pastore, ma che voi, con il vostro esempio, siete spesso pastori per lui. Grazie di questo!

Vivere da beati e seguire la via di Gesù non significa tuttavia stare sempre allegri. Chi è afflitto, chi patisce ingiustizie, chi si prodiga per essere operatore di pace sa che cosa significa soffrire. Per voi non è certo facile vivere lontani da casa e sentire magari, oltre alla mancanza degli affetti più cari, l’incertezza del futuro. Ma il Signore è fedele e non abbandona i suoi. Un episodio della vita di sant’Antonio abate, il grande iniziatore del monachesimo nel deserto, ci può aiutare. Per il Signore aveva lasciato tutto e si trovava nel deserto. Lì, per vario tempo fu immerso in un’aspra lotta spirituale che non gli dava tregua, assalito da dubbi e oscurità, e pure dalla tentazione di cedere alla nostalgia e ai rimpianti per la vita passata. Poi il Signore lo consolò dopo tanto tormento e sant’Antonio gli chiese: «Dov’eri? Perché non sei apparso prima per liberarmi dalle sofferenze? Dove eri?». Allora percepì distintamente la risposta di Gesù: «Io ero qui, Antonio» (S. Atanasio, Vita Antonii, 10). Il Signore è vicino. Può succedere, di fronte a una prova o ad un periodo difficile, di pensare di essere soli, anche dopo tanto tempo passato col Signore. Ma in quei momenti Egli, anche se non interviene subito, ci cammina a fianco e, se continuiamo ad andare avanti, aprirà una via nuova. Perché il Signore è specialista nel fare cose nuove, sa aprire vie anche nel deserto (cfr Is 43,19).

Cari fratelli e sorelle, vorrei dirvi anche che vivere le Beatitudini non richiede gesti eclatanti. Guardiamo a Gesù: non ha lasciato nulla di scritto, non ha costruito nulla di imponente. E quando ci ha detto come vivere non ha chiesto di innalzare grandi opere o di segnalarci compiendo gesta straordinarie. Ci ha chiesto di realizzare una sola opera d’arte, possibile a tutti: quella della nostra vita. Le Beatitudini sono allora una mappa di vita: non domandano azioni sovraumane, ma di imitare Gesù nella vita di ogni giorno. Invitano a tenere pulito il cuore, a praticare la mitezza e la giustizia nonostante tutto, a essere misericordiosi con tutti, a vivere l’afflizione uniti a Dio. È la santità del vivere quotidiano, che non ha bisogno di miracoli e di segni straordinari. Le Beatitudini non sono per superuomini, ma per chi affronta le sfide e le prove di ogni giorno. Chi le vive secondo Gesù rende pulito il mondo. È come un albero che, anche in terra arida, ogni giorno assorbe aria inquinata e restituisce ossigeno. Vi auguro di essere così, ben radicati in Cristo, in Gesù e pronti a fare del bene a chiunque vi sta vicino. Le vostre comunità siano oasi di pace.

Infine, vorrei soffermarmi brevemente su due Beatitudini. La prima: «Beati i miti» (Mt 5,5). Non è beato chi aggredisce o sopraffà, ma chi mantiene il comportamento di Gesù che ci ha salvato: mite anche di fronte ai suoi accusatori. Mi piace citare san Francesco, quando ai frati diede istruzioni su come recarsi presso i Saraceni e i non cristiani. Scrisse: «Che non facciano liti o dispute, ma siano soggetti ad ogni creatura umana per amore di Dio e confessino di essere cristiani» (Regola non bollata, XVI). Né liti né dispute – e questo vale anche per i preti – né liti né dispute: in quel tempo, mentre tanti partivano rivestiti di pesanti armature, san Francesco ricordò che il cristiano parte armato solo della sua fede umile e del suo amore concreto. È importante la mitezza: se vivremo nel mondo al modo di Dio, diventeremo canali della sua presenza; altrimenti, non porteremo frutto.

La seconda Beatitudine: «Beati gli operatori di pace» (v. 9). Il cristiano promuove la pace, a cominciare dalla comunità in cui vive. Nel libro dell’Apocalisse, tra le comunità a cui Gesù stesso si rivolge, ce n’è una, quella di Filadelfia, che credo vi assomigli. È una Chiesa alla quale il Signore, diversamente da quasi tutte le altre, non rimprovera nulla. Essa, infatti, ha custodito la parola di Gesù, senza rinnegare il suo nome, e ha perseverato, cioè è andata avanti, pur nelle difficoltà. E c’è un aspetto importante: il nome Filadelfia significa amore tra i fratelli. L’amore fraterno. Ecco, una Chiesa che persevera nella parola di Gesù e nell’amore fraterno è gradita al Signore e porta frutto. Chiedo per voi la grazia di custodire la pace, l’unità, di prendervi cura gli uni degli altri, con quella bella fraternità per cui non ci sono cristiani di prima e di seconda classe.

Gesù, che vi chiama beati, vi dia la grazia di andare sempre avanti senza scoraggiarvi, crescendo nell’amore «fra voi e verso tutti» (1 Ts 3,12).

Guarda il video dell'omelia


SALUTO AL TERMINE DELLA MESSA

Prima di concludere questa celebrazione, che mi ha dato tanta gioia, desidero rivolgere il mio saluto affettuoso a tutti voi che avete partecipato: fedeli caldei, copti, greco-cattolici, greco-melchiti, latini, maroniti, siro-cattolici, siro-malabaresi, siro-malancaresi.

Ringrazio vivamente Monsignor Hinder per la preparazione di questa visita e per tutto il suo lavoro pastorale. Un “grazie” caloroso ai Patriarchi, agli Arcivescovi Maggiori e agli altri Vescovi presenti, ai Sacerdoti, alle persone consacrate e ai tanti laici impegnati con generosità e spirito di servizio nelle comunità e con i più poveri.

Saluto e ringrazio “eyal Zayid fi dar Zayid / i figli di Zayid nella casa di Zayid”.

La nostra Madre Maria Santissima vi custodisca nell’amore alla Chiesa e nella gioiosa testimonianza del Vangelo. Per favore, non dimenticatevi di pregare per me.

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Al termine della messa Papa Francesco si reca subito all'aeroporto presidenziale di Abu Dhabi, dove viene accolto dal Principe ereditario Mohammed bin Zayed Al Nahyan. Dopo il saluto alla delegazione degli Emirati Arabi, il Papa sale a bordo dell'aereo.

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