martedì 15 gennaio 2019

“La paura dei migranti? Ci fa tornare a fortini e ponti levatoi” Intervista con il cardinale Montenegro


“La paura dei migranti? Ci fa tornare a fortini e ponti levatoi”

Intervista con il cardinale Montenegro, arcivescovo di Agrigento, sul tema sicurezza. «Sì all’obiezione di coscienza, non è detto che una legge sia per forza buona»


Affrontare i problemi dell’immigrazione «con l’occhiale della sicurezza» non è corretto. È «parziale». E la paura dei migranti rischia di riportare al tempo di fortezze, castelli e ponti levatoi. Lo afferma con forza il cardinale Francesco Montenegro, arcivescovo di Agrigento, la cui diocesi comprende anche Lampedusa. Il Porporato dice sì all’obiezione dei sindaci contro il decreto sicurezza, perché una legge «non è detto che sia per forza buona». Gli sembra «impossibile» che qualcuno possa pensare e dire, «con il Vangelo in mano, “io decido la sorte degli uomini” lasciandoli in mare». Ma non vuole giudicare Salvini: «Se la deve vedere con la sua coscienza».

Eminenza, quali sono le Sue considerazioni generali sul tema sicurezza?

«È un problema di cui bisogna tenere conto, ovviamente, però occorre essere attenti a non schiacciare troppo l’acceleratore facendolo diventare una motivazione di scelte non sempre condivisibili. Perché affrontare il problema dell’immigrazione con l’occhiale della sicurezza diventa parziale: è vero che l’immigrazione presuppone dei rischi, ma offre anche possibilità. Il problema della sicurezza non deve farci diventare una fortezza: non è neanche attuale in un mondo che guarda al futuro globalizzandosi». 

Che cosa pensa dell’obiezione di coscienza evocata dai sindaci contro il decreto sicurezza?

«Premesso che la legge va rispettata, non è però detto che una legge sia sempre per forza buona. A volte può contrastare la sensibilità e la coscienza di una persona. Ecco perché uno spazio all’obiezione di coscienza va riservato. È vero che è un problema delicato, perché in questo modo ognuno potrebbe dire “io faccio l’obiettore di coscienza” su tutti gli argomenti. Però chi legifera, quando davanti a certe scelte si accorge che ci sono reazioni non indifferenti, deve porsi il problema». 

Come vanno interpretati i richiami evangelici di papa Francesco all’accoglienza?

«Il vangelo va preso “di peso” com’è, perché se “faccio sconti” secondo necessità non è più Vangelo. La Parola di Dio è il navigatore satellitare per poter andare avanti, vivere la propria fede. Un cristiano non può non tenere conto del Vangelo. Si ha conferma anche nella storia della Chiesa: i martiri per coerenza al Vangelo hanno disobbedito agli imperatoti sacrificando la propria vita. Ecco perché deve esserci uno spazio anche per l’obiezione di coscienza: di fronte a una legge ingiusta che cosa devo fare? Chiudere gli occhi e accettare?».

Un cristiano può lasciare che gente venga lasciata in strada o in mare? Come è compatibile la linea leghista che punta a respingere i disperati sui barconi con l’esposizione del Rosario e il giuramento sul Vangelo di Salvini?

«Salvini se la deve vedere con la sua coscienza, non posso giudicarlo. Non lo capisco, ma non me la sento di dare un giudizio. Non comprendo come riesca a mettere le due cose insieme, perché mi sembra impossibile, con il Vangelo in mano, dire “io decido la sorte degli uomini” lasciandoli in mare. Io sto ricevendo molti insulti perché ho confrontato la scelta di lasciare in mare delle persone con quella di abbandonare in strada gli animali. In un’e-mail durissima mi hanno scritto che gli animali non fanno i danni che potrebbe fare un uomo che arriva da un’altra terra. Ho visto un poster pubblicitario con il muso di un cane che “chiede”: “Non mi abbandonare”; mi domando: perché il cane ha diritto a quella “richiesta” e non ce l’hanno uomini donne e bambini disperati. Io rispetto gli animali e non voglio che il cane sia abbandonato, però neanche accetto che esseri umani vengano abbandonati al rischio di morire in acqua in attesa che altre persone finiscano di discutere sedute attorno a un tavolo. Chi è su quei barconi può non essere perseguitato, non avere problemi politici, non essere profugo: ma allora i nostri emigranti che partono da qui? C’è forse una persecuzione in Italia? Hanno motivi religiosi? Un giorno anche loro potrebbero essere respinti: e noi come reagiremmo? Dal sud in tanti partono perché qui non c’è lavoro - io ho 153mila emigranti dalla mia diocesi - e non se ne sono andati per viaggi di piacere. Perché dunque pretendere che vengano rispettati i diritti dei “nostri migranti” e non comportarsi allo stesso modo di chi arriva da noi? Ogni uomo ha diritto a una vita dignitosa e rispettata».

Concretamente, come bisogna porsi nei confronti dei migranti?

«Se io penso che ogni persona che mi viene incontro è un potenziale delinquente, mi dovrei chiudere in casa e non uscire più. Gesù dà un consiglio: siate semplici ma anche furbi. Cioè camminate con gli occhi aperti. Quando una persona è pericolosa allora la politica è chiamata a dare sicurezza. Ma non è detto che ogni uomo che arriva, solo perché ha il colore della pelle diverso, è un soggetto che fa del male. Quando ho visto i bambini morti nel naufragio di Lampedusa, le loro bare bianche, e il volto di tanti immigrati, non ho notato potenziali terroristi. Se in giro mi accogliessero dicendomi “vieni dalla Sicilia allora sei un mafioso”, io mi sentirei a disagio».

Che cosa La preoccupa di più sul tema sicurezza-accoglienza-integrazione?

«La sindrome della paura. E la reazione di chiudere porte e finestre, creare muri. Tutto ciò diventa rischioso, un ostacolo, non permette di guardare al futuro: perché se sbarro casa resto al buio, non so quello che avviene fuori. C’è chi ha voglia di cambiare, di costruire un futuro aperto, accogliente e solidale. Però c’è anche chi punta a realizzare un avvenire basato sui muri simili al passato. Ma se quei muri che in passato abbiamo costruito li abbiamo abbattuti, che senso ha ricostruirne altri? Il mio appello è all’accoglienza, e vale per tutti. Attenzione però: non è solo “ti tolgo dal mare”, ma anche “ti permetto di vivere dignitosamente”. E l’integrazione non è “tu adesso devi pensare come me”, significa invece mettersi uno accanto all’altro e vedere cosa c’è in comune, e camminare insieme. Noi per adesso riusciamo al massimo a vivere la tolleranza: “Comportati bene altrimenti…”, ma questa non è integrazione. Si parla di mondo moderno, villaggio globale, globalizzazione, ma poi ci si trova in situazioni di uno contro l’altro: è questo il futuro che ci attende? Ritorneremo ai castelli, al ponte levatoio e all’acqua attorno in modo che nessuno entri? Pensare al futuro con l’uomo sulla luna e noi qui a costruirci corazze e fortini e fortezze è davvero assurdo».
(fonte: Vativan Insider articolo di DOMENICO AGASSO JR 15/01/2019)