martedì 9 ottobre 2018

La lotta al cancro e la ricerca del bello. Ecco perché non avete capito Nadia Toffa - Nessuno può insegnare come vivere il dolore. Come si fa a occuparsi della malattia, propria o altrui, e sopportare anche la violenza di chi non capisce e giudica?


Una mamma scrive a Repubblica: 
"Ai miei figli malati offro il dono della vita qui e ora"

La lotta al cancro e la ricerca del bello. Ecco perché non avete capito Nadia Toffa
di Mariangela Tarì


Caro Direttore,
chi sta combattendo la sua battaglia per la vita merita rispetto. Se non siete capaci di starvene in silenzio, allora riflettete, pensate, e poi tacete per sempre. Anche se la stessa battaglia l’avete combattuta e persa, o se l’avete vinta con altre armi, non avete un contratto in esclusiva che indichi i punti cardinali del sopravvivere. Chi siete? Tutti lì a ricordare a una giovane donna, imperdonabilmente bella, brava e famosa, che lei ha il cancro. Tutti a ripetere, come in un film di Troisi, di ricordarsi che forse morirà. Qualcuno spingendosi oltre e passando ad augurarle questa fine.

Perché il cancro è un dono. È un dono, avete letto. E questo vi ha fatto imbestialire. E a dirlo, poi, una sciacquetta famosa curata sicuramente in qualche clinica privata. Il sottotesto non vi interessa.

La strada faticosa per arrivare a quella frase non vi interessa. Il lavoro messo in campo dal cervello per garantirsi una sopravvivenza non vi interessa. Siete incazzati. Mi spiace. Per lei non per voi. Avete perso. Avete perso persone care e con loro la vostra anima. Mio figlio, Bruno 6 anni, ha il cancro. Al cervello. Medulloblastoma si chiama. Un nome indegno di essere pronunciato. Era il mio unico figlio sano. Sì. Ho una bimba più grande, Sofia, Sindrome di rett. Un destino infame.

Ho desiderato morire. Ma ora devo vivere. Come Nadia Toffa. E per vivere, e per lottare, e per sperare, devo trovare il bello. Devo dare a tutto questo un vestito che non sa di morte ma di vita. Allora tutto il mio dolore devo, è un dovere, trasformarlo in possibilità. Ed eccolo il dono che tanto vi ha mortificati. Il dono non è il cancro, il dono non è una malattia propria o dei propri cari. Dio!!! Mi caverei gli occhi e mi butterei nel fuoco per salvare i miei bimbi.

Il dono è cogliere in mezzo alla bufera qualcosa che ne dia un senso. Il mio dono è stato comprendere fino in fondo che la vita è qui ed ora. Che potrebbe non esistere un domani.
Allora il profumo del sugo di mia madre o la risata di un amico me li godo come se non ci fosse un domani. E il tempo. Ho tutto il tempo per i miei figli. Non corro.
Mi soffermo sul loro odore, i capelli, la pelle, le parole.

Me li vivo, oggi. Non ho fretta la sera, potrebbe essere l'ultima, e allora leggo loro libri, canto, rido. Ho avuto il dono di percepirmi sana. Non lo sapevo. Cammino, parlo. Mia figlia no.
Devo ringraziare per me.

Ho avuto il dono di scoprire la forza di mio marito, il suo amore. Ho avuto il dono di scoprire la tenerezza di mia cognata, la determinazione di mia sorella, le lacrime di mio cognato. Ho avuto il dono di sentire i nonni positivi, vicini, uniti. Ho scoperto quanto vale un amico vero. Ho aggiunto sorelle e fratelli al mio percorso. E ho scoperto che il cielo è meraviglioso dopo una giornata di inferno. Potrei continuare la lista dei miei doni.
Così come potrei elencarvi tutti i punti del mio corpo in cui sento il dolore per i miei bimbi. Ho passato gli anni più belli della mia vita, e di quella dei miei figli, in un ospedale. Ho perso tutto. Non ho niente.
Lasciatemi, vi prego, l'illusione di aver avuto in cambio almeno alcuni Doni. Lasciate me e Nadia in questa illusione. Vi prego, non ricordateci che, forse, il peggio deve ancora venire. Perderemmo le forze.
Perderemmo la battaglia.
(fonte: Repubblica 05/10/2018)


Nadia Toffa risponde a Mariangela: 
"Nessuno può insegnare come vivere il dolore"

La conduttrice delle Iene dopo la lettera a Repubblica di una mamma di bimbi malati: 
"Il dono è assaporare ogni minuto di vita"
di Nadia Toffa


Caro Direttore,

la ringrazio di aver pubblicato la lettera di Mariangela, e più di tutto ringrazio lei, Mariangela. Quando ho letto la sua storia mi sono commossa profondamente. Non perché sono malata come lo sono i suoi bambini, ma perché ha scritto parole piene di comprensione umana, di dolore e di vita allo stesso tempo. Penso ai suoi bambini splendidi, coraggiosissimi che lottano con la malattia e non posso provare altro che una smisurata solidarietà. I bambini ci insegnano la forza, hanno uno spirito di sopravvivenza infinito e inesauribile. Un bambino vuole continuare a correre, a giocare, a vivere anche in mezzo all'inferno. In Iraq li ho visti con i miei occhi, sotto l'assedio dell'Isis, in mezzo alle macerie, inseguivano un pallone e ridevano come matti. Di certo non mancavano di rispetto a nessuno.

È vero, quando c'è un'emergenza si scopre di avere una forza sovrannaturale nascosta da qualche parte e che non si immaginava nemmeno, come quando una mamma solleva un tir per portare suo figlio in salvo.

La vita è bellissima, è una figata. Non vedi l'ora di assaporarne ogni minuto, perché non sai mai davvero quanta ce ne sarà ancora. Io lo sto facendo, Mariangela lo sta facendo e anche i suoi figli. In questo non vedo nessun affronto, nessun insulto, nessuna mancanza di rispetto a nessun essere sulla terra.

Non siamo in grado di sapere come una persona possa reagire davanti a un dolore, che sia un padre che perde il lavoro, una madre i cui figli sono malati, una ragazzina che per la prima volta viene lasciata dal fidanzato. La vita ci mette di continuo davanti a situazioni difficili e noi lottiamo al massimo, facciamo la nostra parte, sempre, come fa Mariangela e come fanno molti altri genitori.

Non vinciamo sempre, non siamo sempre i più forti, i più sani, i più intelligenti, e quando succede di inciampare, di farci male, ricordiamo di essere così fragili che tutto si può scompaginare all'improvviso, con la facilità con cui si soffiano via le briciole dalla tavola.

E la fragilità è tutt'altro che debolezza, è la condizione che ci accomuna e ci permette di immaginare quello che un altro può provare, di metterci nei suoi panni. È la Pietas dei nostri antenati latini, di cui ci siamo dimenticati: delicatezza, amore, compassione, rispetto.

È sempre difficile mettersi nei panni di qualcun altro, e credo che qualcuno non ci abbia nemmeno provato a farlo con me e con tutte le persone a cui viene detto come vivere il proprio dolore.
L'aggressività è molto di moda oggi, sono tempi bui in cui la retorica della prevaricazione violenta, del gridare più forte dilaga dalla politica ai social al nostro quotidiano.

Le persone fragili non hanno nessuno che le difende quando vengono bullizzate in rete, la mia reazione vale anche per loro. Ho sentito un dovere, un'emergenza nel rispondere perché sapevo che la popolarità avrebbe dato un'eco maggiore alla mia voce e volevo usare questa eco per chi è lasciato da solo a fare i conti con la malattia. Come si fa a occuparsi della malattia, propria o altrui, e sopportare anche la violenza di chi non capisce e giudica?

(fonte: Repubblica 06/10/2018)

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