"Io ho letto, questa mattina, quel comunicato. L’ho letto e sinceramente devo dirvi questo, a Lei e a tutti coloro tra voi che sono interessati: leggete voi, attentamente, il comunicato e fate voi il vostro giudizio. Io non dirò una parola su questo. Credo che il comunicato parla da se stesso, e voi avete la capacità giornalistica sufficiente per trarre le conclusioni. E’ un atto di fiducia: quando sarà passato un po’ di tempo e voi avrete tratto le conclusioni, forse io parlerò. Ma vorrei che la vostra maturità professionale faccia questo lavoro: vi farà bene, davvero. Va bene così."
di Raniero La Valle
Che cosa dovrebbe fare una Chiesa di tutti e soprattutto dei poveri dopo aver ricevuto una lettera come quella di mons. Viganò?
Si potrebbe pensare che dovrebbe prendere il lutto e vestire di sacco, entrare in depressione, temendo per la propria sorte, perché chi mai si prenderebbe una Chiesa così? E perfino potrebbero i giovani trovarvi nuovi motivi per disinteressarsi della religione ed evitare le chiese, e gli osservanti distogliersi dal pregare, e magari le vergini smettere di essere vergini e le sposate farsi sterili.
Invece la Chiesa di tutti Chiesa dei poveri reagisce con immensa gioia a questa offesa.
Certo, si accorge di avere avuto un pessimo Nunzio a Washington, ossequioso e zelante in carriera, e poi sfrenato delatore e forse calunniatore con tanto di nomi e cognomi, quando dismesso e lasciato a casa sua.
Ma a parte questo, che meraviglia!
Si capisce bene infatti la disperazione di quanti, fuori e dentro la Chiesa istituita, vorrebbero a tutti i costi fermare papa Francesco perché smetta di annunziare il Vangelo, e così restino solo le Curie, i catechismi, i libri penitenziali, i santi inquisitori, le scomuniche tra i cristiani, i crocefissi nelle scuole e i rosari agitati nelle piazze.
Vuol dire che davvero il Vangelo è annunziato di nuovo, arriva direttamente da laggiù, dalla Galilea, e perciò questi sono tempi bellissimi, straordinari: perché se il Vangelo è annunziato i poteri del mondo sono perduti. Ieri, nel tempo della tetraggine, sembrava che tempi così nemmeno ci si potesse sognare di viverli.
E invece tutto è chiaro, perfino già scritto: beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia, rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli, così infatti hanno perseguitato i profeti prima di voi; un discepolo non è più grande del maestro, né un servo è più grande del suo signore; se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi.
Perciò la Chiesa di tutti Chiesa dei poveri è felice, ed ancora più sta alla sequela del Vangelo e di papa Francesco che con la forza e l’autorità del ministero petrino (osannato, finché innocuo, anche dagli antipapa) lo annuncia.
Certo, è venuta alla luce la condotta forse più devastante nella Chiesa, la pedofilia come massimo esempio di sfruttamento ed abuso dei forti sui deboli, e l’omosessualità come condizione umana irrisolta e pregiudicante i rapporti di vita nel corpo ecclesiale; ma ormai la Chiesa è uscita dall’omertà, si è decisa a combattere questa battaglia a viso aperto, e papa Francesco ne garantisce la sincerità e il rigore, fino a condannare i vescovi colpevoli, deporre i conniventi e togliere la porpora anche al cardinale più potente.
E c’è pure un provvidenziale risvolto positivo, pedagogico ed ecclesiologico, di questa angustia divampata nella Chiesa di oggi : è la scoperta della Chiesa terrena, nella sua debolezza e infermità, con i suoi preti arrancanti e i suoi ambasciatori infedeli; non una Chiesa iperbolica nella sua figura di Sposa incontaminata di Cristo, ma una Chiesa verosimile, nella sua realtà di carne umana di Cristo, che come lui è serva e ministra, mandata a lavare i piedi all’Europa e al mondo, vaso di misericordia, Chiesa incidentata e in uscita, ma proprio per questo da doversene prendere cura ed amare.
(fonte: Blog di Raniero La Valle - 30/08/2018)
Ciò che resta dell’attacco al Papa
di Stefania Falasca
È curioso ma assai significativo che papa Francesco sia stato l’unico a non qualificare come "dossier" il j’accuse di undici pagine dell’ex nunzio Carlo Maria Viganò fatto detonare, come è noto, sotto i cieli d’Irlanda in piena Festa mondiale delle famiglie. Rispondendo sul volo di ritorno da Dublino alla domanda sulla veridicità di quelle accuse, il Papa lo ha infatti definito semplicemente «comunicato». Per due volte: «Ho letto il comunicato» e «credo che il comunicato parli da se stesso».
E poi la sorprendente, espressa volontà, rilanciata dai media di tutto il mondo, di lasciare a noi cronisti il «giudizio», in un «atto di fiducia», contando sulla «maturità professionale di ciascuno», perché «voi avete la capacità giornalistica sufficiente per trarre le conclusioni».
Sembra invece sfuggita ai più come questa sequenza di termini fosse in relazione anche con quanto detto a conclusione della conferenza stampa ad alta quota, quando parlando della fede degli irlandesi il Papa ha affermato che questi «sanno ben distinguere le verità dalle mezze verità». Quella che dunque al momento era parsa una non-risposta si è rivelata traccia di una pertinente, lucida indicazione, anche pedagogica, stando proprio a quanto è emerso sul cartiglio Viganò a distanza di pochi giorni. Per le verità, infatti, sono bastate poche ore e non c’è stato neppure bisogno di indagini approfondite. Ma cominciamo dalle «mezze verità».
Del cartiglio sono state già ampiamente messe in luce le frequenti contraddizioni e i ripetuti omissis della narrazione. A un’attenta lettura il cartiglio-comunicato appare chiaramente un miscuglio di mezze verità. Si tratta di una viziata tecnica nota nella comunicazione, si chiama disinformazione, che è più grave rispetto anche alla calunnia e alla diffamazione, come ha ricordato più volte lo stesso Francesco, perché propone soltanto una parte della verità per perseguire un fine.
La disinformazione si costruisce, appunto, sulle mezze verità. Un classico meccanismo che punta a impedire la risposta. In una simile costruzione a spirale non c’era dunque soltanto da chiedersi se ciò che racconta Viganò sia vero (come ripetono a mo’ di mantra personaggi e media che chiedono le «dimissioni» di Francesco).
C’era da chiedersi, e anche questo è stato già ampiamente rilevato, se la sequenza descritta da Viganò, le sue considerazioni, le sue omissioni, le sue interpretazioni portano davvero ad attribuire una qualche responsabilità al Pontefice oggi regnante. A questo si aggiunge la non attendibilità del testimone, anche questa ampiamente rilevata, per avere un quadro preciso del j’accuse. E probabilmente per renderci immuni da veleni che hanno la presunzione di far tremare la terra sotto i piedi del Successore di Pietro e di indurre in soggezione e sgretolare il sensus fidei del popolo di Dio.
In questi giorni sono poi emersi dettagli che dimostrano come si è trattato di una operazione pensata e organizzata a tavolino da diversi soggetti, italiani e statunitensi, inserita in un piano preciso, tanto che la sua preparazione includeva anche l’assistenza giuridica di un avvocato, consultato preventivamente da Carlo Maria Viganò due settimane fa, legato all’agenzia statunitense Ewtn-Catholic National Register.
E alla fine è arrivata anche la ciliegina sulla torta di tutto l’affaire. In una lunga conversazione con l’agenzia Ap, un giornalista di un blog notoriamente anti-Bergoglio, preso da un’irrefrenabile euforia di protagonismo narcisistico, in pochi minuti ha offerto su un piatto d’argento i piedi d’argilla della maldestra operazione: ha confessato pubblicamente che è stato lui a scrivere il cartiglio della cosiddetta testimonianza-denuncia. Queste le testuali parole: «Ho fatto l’editing professionale; cioè abbiamo lavorato sulla bozza, il cui materiale era integralmente del nunzio, per verificare che fosse scorrevole e giornalisticamente utilizzabile». Insomma, un lavoro creativo per un programma «giornalisticamente utilizzabile» e che di veramente preciso ha avuto solo il meccanismo a orologeria.
Eccoci così al succo del marchingegno Viganò, e si capisce perché il Papa l’abbia definito «comunicato». A questo punto, scoperchiati gli altarini, scolato il brodo, di fronte a 'cotanto senno', l’unica cosa che stringendo viene da chiedersi è quella che con rara efficacia si è chiesto un osservatore molto attento: «E papa Francesco dovrebbe rispondere a questo giornalista? Il grande Totò direbbe: 'Ma mi faccia il piacere!' ».
Viene da aggiungere: ma si può davvero pensare di mettere alle strette un pontificato con simili sgangherate confezioni giornalistiche che sono un insulto all’intelligenza? E anche qui la risposta è certamente da lasciare al grande Totò. Alla fine di questa grottesca farsa la conclusione potrebbe, dunque, essere quella del drammaturgo Bernard Show: «Come è comica la verità!». Grazie Santo Padre per l’«atto di fiducia»' che ha concesso a chi fa questo nostro mestiere (e non altro).
(fonte: Avvenire - 30/08/2018)
Vedi anche i post precedenti: