lunedì 18 giugno 2018

Etica e mercati - Una finanza al servizio dell’economia reale di Bruno Forte

Etica e mercati
Una finanza al servizio dell’economia reale
di Bruno Forte 
Arcivescovo di Chieti-Vasto  

“Oeconomicae et pecuniariae quaestiones” - Considerazioni per un discernimento etico circa alcuni aspetti dell’attuale sistema economico-finanziario è il titolo di un importante documento della Congregazione per la Dottrina della Fede e del Dicastero vaticano per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, pubblicato con la data del 17 maggio 2018. 

Il testo parte dalla costatazione della rilevanza sempre maggiore delle tematiche economiche e finanziarie nella vita quotidiana, “a motivo del crescente influsso esercitato dai mercati sul benessere materiale di buona parte dell’umanità”. Da qui deriva il bisogno di un’adeguata regolazione delle loro dinamiche, connessa ad una doverosa fondazione etica, “che assicuri al benessere raggiunto quella qualità umana delle relazioni che i meccanismi economici, da soli, non sono in grado di produrre” (n. 1). Senza un adeguato ordine etico, “l’arbitrio e l’abuso del più forte finiscono per dominare sulla scena umana” (n. 3). 
La verifica storica di questa convinzione è evidente: con la crescita del benessere economico globale nella seconda metà del XX secolo sono aumentate le disuguaglianze tra i vari Paesi e al loro interno, mentre “continua ad essere ingente il numero delle persone che vive in condizioni di estrema povertà” (n. 5) e aumenta il numero degli scartati e degli esclusi. Diventa perciò urgente “elaborare nuove forme di economia e finanza, le cui prassi e regole siano rivolte al progresso del bene comune e rispettose della dignità umana” (n. 6). 

Il Documento intende contribuire a questo scopo muovendosi nel solco dell’insegnamento sociale della Chiesa, secondo cui l’economia “ha bisogno dell’etica per il suo corretto funzionamento; non di un’etica qualsiasi, bensì di un’etica amica della persona” (Benedetto XVI, Caritas in veritate, n. 45). 
Nella prospettiva di questa concezione etica un principio chiave è il no all’assolutizzazione del profitto, inteso come pura e semplice ottimizzazione dei guadagni pecuniari: nella trasmissione di beni fra persone vi è in gioco sempre più che qualcosa di materiale, “dato che i beni materiali sono spesso veicolo di altri beni immateriali, la cui concreta presenza o assenza determina in modo decisivo anche la qualità degli stessi rapporti economici (ad esempio fiducia, equità, cooperazione...)” (n. 9). In questa linea il testo arriva ad affermare che “nessun profitto è legittimo quando vengono meno l’orizzonte della promozione integrale della persona umana, della destinazione universale dei beni e dell’opzione preferenziale per i poveri” (n. 10). Ogni progresso del sistema economico va allora misurato “sulla base della qualità della vita che produce e dell’estensione sociale del benessere che diffonde, un benessere che non si può limitare solo ai suoi aspetti materiali” (ib.) e che va valutato con criteri ben più ampi della sola produzione interna lorda di un Paese (PIL), riferendosi anche a parametri quali la sicurezza, la salute, la crescita del “capitale umano”, la qualità della vita sociale e del lavoro. “Tutto ciò rende quanto mai urgente una rinnovata alleanza, fra agenti economici e politici, nella promozione di ciò che serve al compiuto sviluppo di ciascuna persona umana e della società tutta, coniugando nel contempo le esigenze della solidarietà con quelle della sussidiarietà” (n. 12). 
Con realismo il Documento osserva come “quel potente propulsore dell’economia che sono i mercati non è in grado di regolarsi da sé: infatti essi non sanno né produrre quei presupposti che ne consentono il regolare svolgimento (coesione sociale, onestà, fiducia, sicurezza, leggi...), né correggere quegli effetti e quelle esternalità che risultano nocivi alla società umana (disuguaglianze, asimmetrie, degrado ambientale, insicurezza sociale, frodi…)” (n. 13). In questa luce la minaccia che l’industria finanziaria condizioni l’economia reale fino a dominarla è tutt’altro che aleatoria: analogamente, va considerato immorale il processo per cui “la rendita da capitale insidi ormai da vicino e rischi di soppiantare il reddito da lavoro”, con la conseguenza che “il lavoro stesso, con la sua dignità, non solo divenga una realtà sempre più a rischio, ma perda altresì la sua qualifica di bene per l’uomo, trasformandosi in un mero mezzo di scambio all’interno di relazioni sociali rese asimmetriche” (n. 15). 
L’attività finanziaria, insomma, deve essere al servizio dell’economia reale, creando valore con mezzi moralmente leciti e favorendo “una smobilitazione dei capitali allo scopo di generare una circolarità virtuosa di ricchezza. Assai positive in tal senso, e da favorire, sono realtà quali il credito cooperativo, il microcredito, così come il credito pubblico a servizio delle famiglie, delle imprese, delle comunità locali e il credito di aiuto ai Paesi in via di sviluppo” (n. 16). 
Nell’attuale globalizzazione del sistema finanziario, allora, diventa urgente “un coordinamento stabile, chiaro ed efficace, fra le varie autorità nazionali di regolazione dei mercati, con la possibilità e, a volte, anche la necessità di condividere con tempestività delle decisioni vincolanti quando ciò sia richiesto dalla messa in pericolo del bene comune. Tali autorità di regolazione devono sempre rimanere indipendenti e vincolate alle esigenze dell’equità e del bene comune” (n. 22). Un compito che - se fosse assunto dall’Unione Europea - potrebbe renderla certo ben più vicina al sogno dei suoi Padri fondatori…

(fonte: Arcidiocesi di Chieti-Vasto articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore, 10/06/2018)
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