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giovedì 7 giugno 2018

Rimedio all’egoismo degli affari · Il documento “Oeconomicae et pecuniariae quaestiones” ·

Rimedio all’egoismo degli affari
Il documento “Oeconomicae et pecuniariae quaestiones”

«Il Signore è disceso sulla terra per trasferire quelli che credono in Cristo dalla fatalità alla provvidenza» (Clemente Alessandrino, Gli Estratti di Teodoto, 74, 2). Fin dalle origini, il cristianesimo è stato vissuto e pensato quale dottrina della salvezza che libera l’uomo dalla fatalità di un destino che pesava tanto sulle spalle e sul cuore degli antichi. Col cristianesimo, il destino, freddo e cieco, fa posto alla provvidenza paterna, che suscita la libera cooperazione dell’uomo per l’attuazione dei suoi disegni benevoli. Ora, ai nostri giorni, una forma di determinismo economico ha sostituito quel determinismo cosmologico. Chi spera di poter «cambiare il mondo» è ritenuto ingenuo. Bisogna piuttosto rassegnarsi di fronte alle leggi ritenute inesorabili dell’economia, del mercato, della globalizzazione e cercare altrove, fuori della vita economica e sociale concreta, uno spazio di realizzazione di sé puramente individuale, insomma, una salvezza di tipo gnostico.

I soggetti umani sembrano talvolta spossessati del loro lavoro e della loro attività economica, e queste attività sembrano scappar loro di mano, ritorcendosi contro di essi come se fossero un destino da subire senza speranza. Così, come quando una persona soffre di una paralisi, e una parte del corpo non risponde più alle ingiunzioni del sistema nervoso centrale, sfuggendo al controllo della persona e divenendo un peso che l’impaccia, oggi succede un po’ la stessa cosa, quando alcuni settori dell’attività umana, quale l’economia per esempio, sono tolti dalla padronanza e dalle responsabilità proprie dell’uomo.

Il recente documento congiunto della Congregazione per la dottrina della fede e del Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale reagisce vigorosamente contro questo fatalismo, a difesa della speranza cristiana: «Nessuno spazio in cui l’uomo agisce può legittimamente reclamare di essere estraneo, o di rimanere impermeabile, a un’etica fondata sulla libertà, sulla verità, sulla giustizia e sulla solidarietà» (n. 4). Queste Considerazioni per un discernimento etico circa alcuni aspetti dell’attuale sistema economico-finanziario invitano tanto le persone, quanto i responsabili politici del bene comune, a riappropriarsi dell’attività economica e finanziaria per umanizzarla, vale a dire per metterla al servizio di una finalità propriamente umana, ossia a vantaggio dello sviluppo integrale della persona.

Le norme etiche, che devono presiedere a questo sforzo d’umanizzazione integrale del sistema economico-finanziario, sono inseparabili da un’antropologia, cioè da «una visione dell’uomo completa, non ridotta ad alcune sue dimensioni » (n. 10). In questa linea, le Considerazioni insistono, da una parte, sulla dignità intrinseca della persona umana e, dall’altra parte, su «una visione dell’uomo inteso come soggetto costitutivamente inserito in una trama di relazioni che sono in sé una risorsa positiva», in breve su una «antropologia relazionale» (n. 10), che assume, alla luce della teologia della comunione, l’insegnamento tradizionale sull’uomo quale animale naturalmente sociale e politico.

Da questa antropologia fondamentale deriva un’etica, la quale formula norme del comportamento in grado di rispettare e promuovere una tale visione dell’uomo. Come individuare queste norme etiche? Il documento si appoggia innanzitutto sulle «molteplici convergenze etiche, espressione di una comune sapienza morale» (n. 3), condivisa dalle diverse tradizioni culturali. Questa sapienza si esprime, per esempio, nella «regola d’oro» (n. 11) ampiamente condivisa. Tale convergenza non è un compromesso ma risulta da una ricerca comune, dialogale, ovvero dall’adeguamento comune all’«ordine etico radicato nella sapienza di Dio creatore» (n. 3), il quale è oggettivo e universale, dato che è iscritto nella natura stessa dell’uomo. Le sue esigenze sono rinvenibili dalla ragione umana e, pertanto, da parte di tutti gli uomini “di buona volontà”. Esse sono già inserite nel cuore di ogni persona e sono chiamate a informare e orientare il suo discernimento etico. Poi, quelle stesse esigenze vengono ripensate a fondo dalla filosofia morale, chiamata a esprimerle in modo più sistematico. Ma esse si rivelano anche a partire dalla valutazione dell’esperienza concreta. Più volte, il documento segnala che la «comprensione dell’uomo e del mondo [...] rivela la sua positività o meno attraverso gli effetti e lo sviluppo che produce » (n. 9). Difatti, in mancanza di questa regolazione etica «ogni sistema sociale, politico ed economico è destinato alla lunga al fallimento ed all’implosione » (n. 6). Certo, le conseguenze non sono il criterio essenziale per valutare la moralità del comportamento umano, ma sono un segno cha aiuta a rivelarla.

Di queste convergenze etiche, le tradizioni religiose sono spesso le custodi. Queste contribuiscono a formularle, diffonderle e mantenerle vive nelle coscienze. Così la Chiesa cattolica è ben consapevole d’essere, a vantaggio di tutti, custode e interprete della legge morale naturale. Essa ha il diritto e il dovere di «dichiarare e confermare autoritativamente i principi dell’ordine morale che scaturiscono dalla stessa natura umana » (Vaticano II, dichiarazione Dignitatis humanae, 14). Cristo, non soltanto ha progettato una luce decisiva sul mistero dell’uomo e della sua vocazione, ma non smette di offrirci, per mezzo del dono dello Spirito santo, che «riversa l’amore di Dio nei nostri cuori» (Romani, 5, 5), il rimedio all’egoismo e al peccato che si trovano alla radice di ogni deregolamentazione indifferente all’etica, e ciò perfino in ambito economico. Proponendo queste Considerazioni, la Chiesa cattolica, in dialogo con le filosofie e le tradizioni sapienziali, prosegue l’opera di Cristo, venuto per liberarci dalla fatalità pagana e per destarci a una nuova speranza: «Cristo ci ha liberato per la libertà! State dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù» (Galati, 5, 1).


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