giovedì 14 giugno 2018

«Che bello non insultare mai: è bello, perché così lasciamo crescere gli altri» - Papa Francesco - S. Messa Cappella della Casa Santa Marta - (video e testo)

S. Messa - Cappella della Casa Santa Marta, Vaticano
14 giugno 2018
inizio 7 a.m. fine 7:45 a.m. 

Papa Francesco:
Dall'insulto alla riconciliazione”



«Dall’insulto alla riconciliazione, dall’invidia all’amicizia: è il percorso che Gesù ci dà oggi» e che Papa Francesco ha rilanciato nella messa celebrata giovedì 14 giugno a Santa Marta. Il Pontefice ha insistito proprio sulla gravità dell’atteggiamento di chi ricorre all’insulto: un vero e proprio “omicidio” con cui tentiamo di sopraffare e cancellare la voce e la dignità degli altri, fosse anche nel traffico dell’ora di punta. E ha invitato ad avere una particolare attenzione per le persone disabili, mettendo in guardia dall’uso della parola “disabile” come offesa.

Per la sua riflessione, il Papa ha preso spunto dal passo evangelico di Matteo (5,20-26), proposto dalla liturgia. «Per farci capire bene l’insegnamento sul rapporto di amore, di carità con i nostri fratelli — ha fatto presente — il Signore usa un esempio molto chiaro, un esempio di tutti i giorni: “Mettiti presto d’accordo con il tuo avversario mentre sei in cammino con lui, perché l’avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia, e tu venga gettato in prigione”».

È un «principio» di «saggezza umana: è meglio sempre un cattivo accordo che un buon giudizio», ha ricordato Francesco. Ribadendo che «arrivare al giudizio è l’ultimo» passo, perché «è una cosa da cui non torna indietro; è fare definitivo un atteggiamento di inimicizia, anche di guerra». Ed è «per questo i politici saggi consigliano sempre: “Facciamo una soluzione negoziata di questo problema politico, di questo problema così teso per evitare una guerra”».

Dunque, «con questo esempio che capivano tutti, perché era un esempio di tutti i giorni — ha affermato il Papa — Gesù va oltre e spiega il problema degli insulti». Tanto che «a noi, se leggiamo questo un po’ superficialmente, ci farà ridere, perché questi insulti sono antiquati, oggi non si usano». Sicuramente, ha fatto notare Francesco, «noi abbiamo un elenco di insulti più fioriti, più folclorici, più colorati, no?».

«Ma il Signore va avanti — ha proseguito il Pontefice — ed è duro perché dice: “Avete inteso che fu detto agli antichi: “Non ucciderai”». Dunque Gesù «parte da questo, dall’uccidere», e afferma: «Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: “stupido”» e anche «chi gli dice “pazzo”» dovrà essere condannato.

In sostanza, ha spiegato il Papa, «il Signore dice: l’insulto non finisce in se stesso; l’insulto è una porta che si apre, è incominciare una strada che finirà — l’ho detto all’inizio: “Non ucciderai” — uccidendo, perché l’insulto è l’inizio dell’uccidere, è uno squalificare l’altro, togliere il diritto di essere rispettabile, è metterlo da parte, è ucciderlo dalla società».

«Noi siamo abituati a respirare l’aria degli insulti» ha riconosciuto Francesco. Del resto «è sufficiente guidare la macchina durante l’ora di punta: lì c’è un carnevale degli insulti e la gente è creativa per insultare». Ma «l’insulto stacca, rompe la comunità e uccide l’altro, incomincia per togliere la fama, poi si va oltre, oltre, oltre».

Anche «i piccoli insulti — diciamo piccoli — che per caso si dicono nell’ora di punta mentre guidiamo la macchina, divengono, dopo, grossi insulti». E «insulti non solo di bocca: di cuore».

Proprio «questo è quello che uccide: l’insulto». E «l’insulto cancella il diritto di una persona: “No, non ascoltarlo, questo è un tale per quale...”». Ma con queste parole si «lapida questa persona, non ha più diritto di parlare, non avrà più voce in capitolo: è stata cancellata la sua voce».

In questa prospettiva, ha affermato ancora il Papa, «noi possiamo domandarci perché l’insulto è tanto pericoloso e perché ha questa forza di uccidere e di squalificare l’altro, di metterlo da parte».

La questione, ha spiegato, è che «tante volte l’insulto nasce dall’invidia». Ad esempio, non insultiamo una persona con «“disabilità” mentale o di temperamento» perché quella «disabilità non minaccia me». Tanto che, si ci troviamo davanti «un bambino disabile, una persona disabile, su una sedia a rotelle, noi non abbiamo voglia di insultarli». Però «quando una persona fa qualcosa che non piace — ha detto il Pontefice — io la insulto e la faccio passare come “disabile”: disabile mentale, disabile sociale, disabile famigliare, senza capacità di integrazione».

«Per questo», ha insistito Francesco, l’insulto «uccide: uccide il futuro di una persona, uccide il percorso di una persona». Ma «è l’invidia che apre la porta, perché quando una persona ha qualcosa che mi minaccia, l’invidia mi porta a insultarla: quasi sempre c’è l’invidia lì».

«Il libro della Sapienza — ha fatto notare il Pontefice — ci dice che per l’invidia del diavolo è entrata la morte nel mondo: è l’invidia che porta la morte». Da parte nostra, «possiamo dire: “l’invidia è un peccato strano, io non ho invidia di nessuno”». In realtà, ha suggerito il Papa, pensiamo bene a «quell’invidia nascosta e quando non è nascosta è forte, è capace di farti diventare giallo, verde, come fa il liquido biliare quando sei ammalato: gente con l’anima gialla, con l’anima verde per l’invidia che li porta all’insulto, li porta a distruggere l’altro».

Francesco ha fatto notare, inoltre, che «Gesù ferma questo percorso — “No, questo non si fa” — al punto che se tu vai a pregare, vai a messa e ti accorgi che uno dei tuoi fratelli ha qualcosa contro di te, va’ a riconciliarti». Il Signore «è così radicale», ricordando che «la riconciliazione non è un atteggiamento di buone maniere: è un atteggiamento radicale, è un atteggiamento che cerca di rispettare la dignità dell’altro e anche la mia». Insomma, «dall’insulto alla riconciliazione, dall’invidia all’amicizia: questo è il percorso che Gesù ci dà oggi».

Su questa linea, il Papa ha proposto anche un esame di coscienza: «Ci farà bene pensare: come insulto?». Il che non significa fare «l’elenco di tutte le parolacce che io so contro gli altri; no, quello no». Però è bene domandarci: «Come insulto io? Quando insulto io? Quando stacco l’altro dal mio cuore con un insulto?». E «vedere se lì c’è quella radice amara dell’invidia che mi porta a voler distruggere l’altro per sopraffarlo nella concorrenza». Seppure «non è facile questo», Francesco ha concluso invitando a pensare quanto sarebbe «bello non insultare mai: bello, perché così lasciamo crescere gli altri». E «che il Signore ci dia questa grazia».
(fonte: L'Osservatore Romano)

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