venerdì 6 aprile 2018

Papa Francesco: «Dio è giovane»


Papa Francesco:
«Dio è giovane»

"Dio è giovane", il nuovo libro intervista con papa Francesco, uscito il 20 marzo 2018, due anni dopo "Il nome di Dio è Misericordia". "Dio è giovane" (pagg. 132, euro 15, ebook euro 9,99) è stato pubblicato in tutto il mondo in occasione della Giornata Mondiale della Gioventù che, nella ricorrenza della Domenica delle Palme, si celebra in Vaticano e nelle diocesi dei cinque continenti. 

«Dio è giovane, è sempre nuovo».

Testimoniando un Dio non solo Padre - e Ma­dre, come già aveva rilevato Giovanni Paolo I - ma Figlio, e per questo Fratello, il messaggio di liberazione di papa Francesco attraversa il presente e disegna il futuro, per rinnovare davvero le nostre società. Con le Sue memorabili parole, il pontefice rivendica per le giovani generazioni una centralità, le indica come protagoniste della storia comune, sottraendole dai margini in cui troppo a lungo sono state relegate: i grandi scartati del nostro tempo inquieto sono in realtà "della stessa pasta" di Dio, le loro migliori caratteristiche sono le Sue, e solo costruendo un ponte tra anziani e giovani sarà possibile dar vita a quella rivoluzione della tenerezza di cui abbiamo tutti profondamente bisogno.

Nel dialogo coraggioso, intimo e diretto con Thomas Leoncini, giornalista e scrittore 33enne, Francesco si rivolge non solo ai giovani di tutto il mondo, dentro e fuori la Chiesa, ma anche a tutti quegli adulti che a vario titolo hanno un ruolo educativo e di guida nella famiglia, nelle parrocchie e nelle diocesi, nella scuola, nel mondo del lavoro, nell'associazionismo, nelle istituzioni più diverse.
Le Sue riflessioni affrontano con forza, saggezza e passione i grandi temi dell'oggi - da quelli più intimi a quelli maggiormente legati alla sfera sociale e pubblica - mescolando ricordi personali, annotazioni teologiche e considerazioni puntuali e profetiche, senza sottrarsi a nessuna sfida della contemporaneità.

Queste pagine profumano di avvenire e di speranza e, nelle parole stesse del pontefice, il Sinodo dei giovani 2018 rappresenta la cornice ideale per accoglierle e valorizzarle nel profondo.

Il Papa ha voluto vergare di suo pugno il titolo del libro sulle copertine delle sei principali lingue. In Italia è pubblicato da Piemme, casa editrice del Gruppo Mondadori. 


Riportiamo di seguito alcuni brani pubblicati da quattro quotidiani:
Avvenire



Quando ero a Cracovia per la Giornata Mondiale della Gioventù un giovane universitario mi ha chiesto: «Come posso parlare con un coetaneo ateo? Che cosa posso dire a un giovane ateo che non ha alcun rapporto con Dio?».

Ho risposto: «Perché hai l’esigenza di dire? Dobbiamo sempre fare, non dire. Tu fai. Se cominci a parlare farai proselitismo e fare proselitismo significa usare la gente. I giovani sono molto sensibili alle testimonianze, hanno bisogno di uomini e donne che siano esempi, che facciano senza pretendere nulla dagli altri, che si mostrino per ciò che sono e basta. Saranno loro, gli altri giovani, a farti domande e così arriverà anche il momento di parlare, di dire».

[…] Dio ci ha partoriti tutti, senza distinzioni. Dio è anche nostra madre. Anche papa Giovanni Paolo I insistette sull’immagine di Dio come madre dell’umanità. […]

Sono molto ricorrenti i sentimenti di tenerezza nelle Scritture, l’amore di Dio è anche “viscerale”, per dirlo con una parola umana. Trovo molto significativo il passo di Luca, 13, 34, che dice: «Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi coloro che sono mandati a te, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli come una gallina la sua covata sotto le ali e voi non avete voluto!».
Quando Gesù disse queste parole pianse su Gerusalemme… Vorrei però aggiungere qualcosa di più riguardo a Dio. Nel libro dell’Apocalisse (21, 5) c’è questa frase: «E Colui che sedeva sul trono disse: Ecco, io faccio nuove tutte le cose». Dio quindi è Colui che rinnova sempre, perché Lui è sempre nuovo: Dio è giovane! Dio è l’Eterno che non ha tempo, ma è capace di rinnovare, ringiovanirsi continuamente e ringiovanire tutto.

Le caratteristiche più peculiari dei giovani sono anche le Sue. È giovane perché «fa nuove tutte le cose» e ama le novità; perché stupisce e ama lo stupore; perché sa sognare e ha desiderio dei nostri sogni; perché è forte ed entusiasta; perché costruisce relazioni e chiede a noi di fare altrettanto, è social. Penso all’immagine di un giovane e vedo che anche lui ha la possibilità di essere “eterno”, mettendo in gioco tutta la sua purezza, la sua creatività, il suo coraggio, la sua energia, accompagnato dai sogni e dalla saggezza degli anziani. È un ciclo che si chiude, che crea una nuova continuità e mi ricorda l’immagine dell’eternità. […]

Il Sinodo è dei vescovi, ma deve essere al servizio di tutti i giovani, credenti e non credenti. Non bisogna fare differenze che portano a una chiusura del dialogo: quando dico tutti, intendo tutti. Sei giovane? Puoi parlare, siamo qui per ascoltarti. Prima del Sinodo c’è la possibilità che ci sia anche un’assemblea dei giovani, dove i giovani si dovranno confrontare tra loro su diversi temi e poi portare ai vescovi i loro risultati: credo che questo sia lo spirito giusto per stimolare il dialogo e il confronto positivo.

Per capire un giovane oggi devi capirlo in movimento, non puoi stare fermo e pretendere di trovarti sulla sua lunghezza d’onda. Se vogliamo dialogare con un giovane dobbiamo essere mobili, e allora sarà lui a rallentare per ascoltarci, sarà lui a decidere di farlo. E quando rallenterà comincerà un altro movimento: un moto in cui il giovane comincerà a stare al passo più lentamente per farsi ascoltare e gli anziani accelereranno per trovare il punto d’incontro. Si sforzano entrambi: i giovani ad andare più piano e i vecchi ad andare più veloci. Questo potrebbe segnare il progresso. 

Vorrei citare Aristotele, che nella sua Retorica (II, 12, 2) dice: «Per i giovani l’avvenire è lungo e il passato breve; infatti all’inizio del mattino non v’è nulla della giornata che si possa ricordare, mentre si può sperare tutto. Essi sono facili a lasciarsi ingannare, per il motivo che dicemmo, cioè perché sperano facilmente. E sono più coraggiosi poiché sono impetuosi e facili a sperare, e di queste due qualità la prima impedisce loro di aver paura, la seconda li rende fiduciosi; infatti nessuno teme quando è adirato, e lo sperare qualche bene dona fiducia. E sono indignabili». […] 

Un giovane ha qualcosa del profeta, e deve accorgersene. Deve essere conscio di avere le ali di un profeta, l’atteggiamento di un profeta, la capacità di profetizzare, di dire ma anche di fare. Un profeta dell’oggi ha capacità sì di condanna, ma pure di prospettiva. I giovani hanno tutte e due queste qualità. Sanno condannare, anche se tante volte non esprimono bene la loro condanna. E hanno anche la capacità di scrutare il futuro e guardare più avanti. Ma gli adulti spesso sono crudeli e tutta questa forza dei giovani la lasciano da sola. Gli adulti spesso sradicano i giovani, estirpano le loro radici, e, invece di aiutarli a essere profeti per il bene della società, li rendono orfani e scartati. I giovani di oggi stanno crescendo in una società sradicata. […] 

Per questo una delle prime cose a cui dobbiamo pensare come genitori, come famiglie, come pastori, sono gli scenari dove radicarci, dove generare legami, dove far crescere quella rete vitale che ci permetta di sentirci a casa. Per una persona è una terribile alienazione sentire di non avere radici, significa non appartenere a nessuno. […] 

Oggi le reti sociali sembrerebbero offrirci questo spazio di connessione con gli altri; il web fa sentire i giovani parte di un unico gruppo. Ma il problema che Internet comporta è la sua stessa virtualità: il web lascia i giovani per aria e per questo estremamente volatili. Mi piace ricordare una frase del poeta argentino Francisco Luis Bernárdez: « Por lo que el árbol tiene de florido, vive de lo que tiene sepultado ». Quando vediamo dei bei fiori sugli alberi, non dobbiamo dimenticarci che possiamo gioire di questa visione solo grazie alle radici. 

Una via forte per salvarci penso sia il dialogo, il dialogo dei giovani con gli anziani: un’interazione tra vecchi e giovani, scavalcando anche, provvisoriamente, gli adulti. Giovani e anziani devono parlarsi e devono farlo sempre più spesso: questo è molto urgente! E devono essere i vecchi tanto quanto i giovani a prendere l’iniziativa. C’è un passo della Bibbia (Gl 3, 1) che dice: «I vostri anziani faranno sogni, i vostri giovani avranno visioni». 

Ma questa società scarta gli uni e gli altri, scarta i giovani così come scarta i vecchi. Eppure la salvezza dei vecchi è dare ai giovani la memoria, questo fa dei vecchi degli autentici sognatori di futuro; mentre la salvezza dei giovani è prendere questi insegnamenti, questi sogni, e portarli avanti nella profezia. […] Vecchi sognatori e giovani profeti sono la strada di salvezza della nostra società sradicata: due generazioni di scartati possono salvare tutti. 

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Corriere della Sera


Francesco: «Che tristezza il lifting del cuore. 
Crescere non è un male»



Sembra che crescere, invecchiare, stagionarsi, sia un male. È sinonimo di vita esaurita, insoddisfatta. Oggi pare che tutto vada truccato e mascherato. Come se il fatto stesso di vivere non avesse senso. Recentemente ho parlato di quanto sia triste che qualcuno voglia fare il lifting anche al cuore! Com’è doloroso che qualcuno voglia cancellare le rughe di tanti incontri, di tante gioie e tristezze! Troppo spesso ci sono adulti che giocano a fare i ragazzini, che sentono la necessità di mettersi al livello dell’adolescente, ma non capiscono che è un inganno. È un gioco del diavolo. Non riesco a comprendere come sia possibile per un adulto sentirsi in competizione con un ragazzino, ma purtroppo accade sempre più spesso. È come se gli adulti dicessero: «Tu sei giovane, hai questa grossa possibilità e questa enorme promessa, ma io voglio essere più giovane di te, io posso esserlo, posso fingere di esserlo ed essere migliore di te anche in questo». Ci sono troppi genitori adolescenti nella testa, che giocano alla vita effimera eterna e, consapevolmente o meno, rendono vittime i loro figli di questo perverso gioco dell’effimero. Perché da un lato allevano figli instradati alla cultura dell’effimero e dall’altro li fanno crescere sempre più sradicati, in una società che chiamo appunto «sradicata».

Qualche anno fa, a Buenos Aires, ho preso un taxi: l’autista era molto preoccupato, quasi affranto, mi sembrò da subito un uomo inquieto. Mi guardò dallo specchietto retrovisore e mi disse: «Lei è il cardinale?». Io risposi di sì e lui replicò: «Che cosa dobbiamo fare con questi giovani? Non so più come gestire i miei figli. Sabato scorso sono salite quattro ragazze appena maggiorenni, dell’età di mia figlia, e avevano quattro sacchetti pieni di bottiglie. Ho domandato che cosa ci avrebbero fatto con tutte quelle bottiglie di vodka, whisky e altre cose; la loro risposta è stata: “Andiamo a casa a prepararci per la movida di stasera”». Questo racconto mi ha fatto molto riflettere: quelle ragazze erano come orfane, sembravano senza radici, volevano diventare orfane del proprio corpo e della loro ragione. Per garantirsi una serata divertente dovevano arrivarci già ubriache. Ma che cosa significa arrivare alla movida già ubriache? Significa arrivarci piene di illusioni e portando con sé un corpo che non si comanda, un corpo che non risponde alla testa e al cuore, un corpo che risponde solo agli istinti, un corpo senza memoria, un corpo composto solo di carne effimera.

Non siamo nulla senza la testa e senza il cuore, non siamo nulla se ci muoviamo in preda agli istinti e senza la ragione. La ragione e il cuore ci avvicinano tra noi in modo reale; e ci avvicinano a Dio perché possiamo pensare Dio e possiamo decidere di andare a cercarlo. Con la ragione e il cuore possiamo anche capire chi sta male, immedesimarci in lui, farci portatori di bene e di altruismo. Non dimentichiamoci mai le parole di Gesù: «Chi vuole diventare grande tra voi sarà servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. Anche il figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire ma per servire» (Mc 10, 43).

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La Repubblica 

Papa Francesco: perché dobbiamo chiedere perdono ai ragazzi


Dobbiamo chiedere perdono ai ragazzi perché non sempre li prendiamo sul serio.

Non sempre li aiutiamo a vedere la strada e a costruirsi quei mezzi che potrebbero permettere loro di non finire scartati.

Spesso non sappiamo farli sognare e non siamo in grado di entusiasmarli.

È normale ricercare il denaro per costruire una famiglia, un futuro e per uscire da quel ruolo di subordinazione agli adulti che oggi i giovani hanno troppo a lungo.

Ciò che conta è evitare di provare la bramosia dell’accumulo.

Ci sono persone che vivono per accumulare denaro e pensano di doverlo accumulare per vivere, come se poi il denaro si trasformasse in cibo anche per l’anima. Questo significa vivere al servizio del denaro, e abbiamo imparato che i soldi sono concreti, ma dentro hanno qualcosa di astratto, di volatile, qualcosa che da un giorno all’altro può sparire senza preavviso, pensa alla crisi delle banche e ai recenti default. (…)

È il lavoro il cibo per l’anima, il lavoro sì che può trasformarsi in gioia di vivere, in cooperazione, in unione di intenti e gioco di squadra. Non il denaro. E il lavoro dovrebbe essere per tutti. Ogni essere umano deve avere la possibilità concreta di lavorare, di dimostrare a se stesso e ai suoi cari che può guadagnarsi da vivere.

Non si può accettare lo sfruttamento, non si può accettare che moltissimi giovani siano sfruttati dai datori di lavoro con false promesse, con pagamenti che non arrivano mai, con la scusa che sono giovani e devono farsi esperienza. Non si può accettare che datori di lavoro pretendano dai giovani un lavoro precario e addirittura perfino gratuito, come accade. (…)

I giovani ci chiedono di essere ascoltati e noi abbiamo il dovere di ascoltarli e di accoglierli, non di sfruttarli. Non ci sono scuse che tengano. (…)

Governare è servire ciascuno di noi, ciascuno dei fratelli che compongono il popolo, senza dimenticare nessuno. Chi governa deve imparare a guardare verso l’alto solo per parlare con Dio e non per giocare a fare dio. E deve guardare in basso solo per sollevare qualcuno che è caduto. (…)

La peggior conseguenza del peccato che chi ha il potere può commettere è sicuramente la distruzione di se stesso. Ma ce n’è un’altra, che non so se è proprio la peggiore, ma è molto ricorrente: finire per essere ridicolo. E dal ridicolo non si torna indietro.

Quale fu una delle figure più ridicole della storia? Secondo me, Ponzio Pilato: se lui avesse saputo di avere davanti a sé il Figlio di Dio, e che il Figlio di Dio aveva usato il Suo potere per lavare i piedi ai Suoi discepoli, se ne sarebbe forse lavato le mani?

Penso proprio di no! L’evangelista Giovanni ci racconta che il Signore era cosciente di avere tutto il potere del mondo nelle sue mani. E che cosa decise di fare con tutto quel potere? Un unico gesto, che fu un gesto di servizio, in particolare il servizio del perdono.

Gesù decise che il potere si dovesse trasformare, da quel momento e per sempre, in servizio. Qual è stato il vero messaggio profetico di tutto questo? Ha rovesciato i potenti dai loro troni e innalzato gli umili. Il potere è servizio e deve permettere al prossimo di sentirsi ben curato, secondo la sua dignità. Colui che serve è uguale a colui che è servito.


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