giovedì 15 marzo 2018

"Continuità interiore" di Enzo Bianchi

"Continuità interiore" 
di Enzo Bianchi

Poche righe, essenziali nella loro schietta semplicità, per fare tacere uno “stolto pregiudizio” e riaffermare una verità profondamente cattolica. Benedetto XVI ha voluto mettere nero su bianco quello che il sensus fidei presente nel popolo di Dio aveva capito da subito e che invece i pochi ma agguerriti oppositori di papa Francesco si ostinano a negare: “la continuità interiore tra i due pontificati”. Sottolineare i cambiamenti, gli accenti, le differenze, le novità degli ormai cinque anni del pontificato di papa Francesco non implica una critica né tanto meno una contrapposizione rispetto a Benedetto XVI: solo una lettura distorta del ministero petrino, infatti, non riesce a vedere come la continuità riguardi in verità la fede professata, mentre gli stili, i modi di presiedere, di essere pastore e manifestare la sollecitudine per le urgenze dell’umanità possono e, in certa misura, devono essere diversissimi, perché i doni del Signore sono diversi tra loro.

Nella sempre lucida e attenta sollecitudine per la chiesa che lo anima anche dopo la rinuncia al ministero petrino, Benedetto XVI ha ritenuto urgente e doveroso far sentire la sua voce per il bene del popolo di Dio e la sua unità attorno al vescovo di Roma: come pastore che non cessa di avere a cuore il suo gregge, ha usato la sapienza teologica sua e degli autori dei saggi sul pensiero di papa Francesco per “opporsi e reagire” a fronde pretestuose di chi confonde la trasmissione del messaggio evangelico da una generazione all’altra con la nostalgia per forme che hanno perso l’aderenza alla sostanza dell’annuncio cristiano.

Così, nella lettera che Benedetto XVI indirizza al Prefetto della Segreteria della Comunicazione del Vaticano – in risposta al dono della collana di volumi che raccoglie i testi di autori sulla “Teologia di papa Francesco” – non vi è cedimento alla bassa polemica dei detrattori di Bergoglio, bensì la conferma di come ogni vescovo di Roma presiede alla carità usando al meglio la policroma varietà di carismi che ha avuto in dono. Tra le righe si può tuttavia leggere anche una velata ironia da parte di Benedetto XVI che ricorda come la pretesa contrapposizione tra i due papi finisca non solo per negare autorevolezza teologica a Francesco, ma anche per considerare il suo predecessore “ un teorico della teologia che poco avrebbe capito della vita concreta di un cristiano oggi”.

Questa profonda lettura della continuità del magistero papale – che in termini di fede altro non significa che la certezza che lo Spirito santo non abbandona mai il popolo di Dio – era del resto emersa nell’intervista che Benedetto XVI aveva concesso ad Avvenire proprio due anni fa e su un tema, quello della misericordia, che tanto preoccupa gli odierni “profeti di sventura”. Papa Francesco è entrato nella “continuità interiore” dell’annuncio della misericordia proclamato solennemente da papa Giovanni XXIII nel discorso di apertura del concilio, riaffermato con parole e con gesti da Paolo VI e da Giovanni Paolo II e ribadito dal cardinal Ratzinger prima e dopo la sua elezione al soglio di Pietro: Benedetto XVI, come papa Francesco, sa guardare all’umanità con occhi profetici, discernendola in attesa di chi la guardi, se ne prenda cura, la perdoni, la rialzi, le dia speranza. Questo magistero pontificio, in piena e rigorosa continuità, vuole incontrare gli uomini e le donne di oggi che sono in attesa soprattutto di misericordia perché questa sembra mancare nelle relazioni umane, sembra affievolirsi e non far più parte della grammatica umana.

Ciò non significa negare o sottacere il retroterra teologico e accademico sensibilmente diverse tra i due papi, né la diversità di approccio nel rinnovare la tradizione cristiana, nell’applicare l’“aggiornamento” auspicato da papa Giovanni e dal concilio. La differenza non deve fare paura, bensì mostrare la bellezza delle diverse sfaccettature che la chiesa assume nel corso della storia e nel suo essere comunione che abbraccia comunità di fede sparse nei cinque continenti.

Ciascun pontefice nel suo ministero che è eminentemente pastorale fa uso dei talenti ricevuti – si pensi, per esempio, alle differenze di formazione e di stile tra Pio XII e Giovanni XXIII – per estrarre dal tesoro della tradizione “cose antiche e cose nuove” in grado di tradurre il Vangelo di Gesù Cristo in buona notizia per l’oggi della chiesa e del mondo. Con buona pace di chi semina zizzania e si diletta a contrapporre la “formazione teologica o filosofica” alla capacità di comprensione della “vita concreta del cristiano” di oggi e di sempre. E con profonda gratitudine per “tutte le differenze di stile e di temperamento” che caratterizzano Benedetto XVI e Francesco.

(Articolo pubblicato su: La Repubblica 13/03/2018)