venerdì 12 gennaio 2018

La pace, la diplomazia e la profezia di Massimo Toschi

La pace, la diplomazia e la profezia 
di Massimo Toschi



Il pontefice, come tradizione, ad inizio anno 
ha fatto un bilancio della politica internazionale. 
Un esame partito dai Paesi in guerra,
 dove le prime vittime sono i bambini, i deboli, gli ammalati...



All’inizio del nuovo anno il papa, secondo tradizione, fa un bilancio della politica internazionale che scandisce i tempi e le politiche del mondo. Francesco ha messo a confronto il Vangelo con la dichiarazione dei diritti dell’uomo, approvata il 10 dicembre 1948 dalle Nazioni Unite. In questo modo egli fa riferimento alla prima guerra mondiale, di cui si celebra il centenario, e la mette in drammatica relazione con la seconda guerra mondiale, che ha prodotto un numero indicibile di vittime rispetto alla prima…

C’è un magistero che viene dalle due guerre e che impone la pace come potere del vincitore e come umiliazione del vinto. Francesco punta alla parità, alla comprensione, fino alla diplomazia multilaterale, che è cresciuta in questi settanta anni. Il tema dei diritti umani viene assunto dal papa per sottolineare i diritti dei poveri, delle persone più ferite e provate, coloro che sono senza difesa.

Ecco il punto teologico: dice papa Francesco: “Per la Santa Sede parlare di diritti umani significa riproporre la centralità della dignità della persona, in quanto voluta e creata a sua immagine e somiglianza. Lo stesso Signore Gesù guarendo il lebbroso, ridonando la vista al cieco, intrattenendosi con il pubblicano, risparmiando la vita dell’adultera e invitando a curare il viandante ferito, ha fatto comprendere come ciascun essere umano, indipendentemente dalla sua condizione, spirituale o sociale, sia meritevole di rispetto e di considerazione. Da una prospettiva cristiana vi è dunque una significativa relazione tra il messaggio evangelico e il riconoscimento dei diritti umani”. I gesti di pace di Gesù, messia della pace, fanno del figlio di Dio e del suo mistero il nome stesso della pace.

La pace è una persona non una dottrina, non un principio, non una ideologia. I segni messianici sono la narrazione della via della pace, che in Gesù diviene la via della croce. Dunque la pace nella storia diventa l’agire debole e disarmato dei crocifissi, di coloro che, senza diritti, testimoniano la pace come diritto.

E il papa coglie un rischio nel tema dei diritti umani, quando questi si trasformano in ideologia e dimenticano le persone nel loro volto debole e sfigurato. Per Francesco non sono solo la guerra o la violenza che ledono i diritti umani. Nel nostro tempo ci sono forme più sottili, penso anzitutto ai bambini scartati ancor prima di nascere, non voluti talvolta solo perché malati e malformati o per l’egoismo degli adulti. Penso agli anziani, anche essi tante volte scartati, soprattutto perché malati, perché ritenuti un peso. Penso alle donne che spesso subiscono violenze e sopraffazioni anche in seno alle proprie famiglie.

Papa Francesco unisce il diritto alla vita con il diritto alla pace. Addirittura pone in termini nuovi il rapporto tra pace e giustizia. La ricerca della pace come predicazione per lo sviluppo – afferma – implica combattere l’ingiustizia e sradicare in modo non violento le cause della discordia, che portano alle guerre. La pace, questa pace, sta al cuore della cristologia, non è l’effetto di una politica, ma di una epifania spirituale a partire dai più piccoli e abbandonati. Ecco l’ispirazione del concilio. La fonte è la Pacem in terris, che nel discorso viene citata in modo forte e autorevole ben otto volte sulle grandi questioni del disarmo, della corsa agli armamenti, nella convinzione che gli eventuali conflitti fra i popoli “non debbano essere risolti con il ricorso alle armi, ma attraverso il negoziato”.

In modo solenne papa Francesco fa sue le parole di san Giovanni del Concilio, che nella Pacem in terris al numero 60 dice: “Riesce quasi impensabile (alienum est a ratione) che nell’era atomica la guerra possa essere utilizzata come strumento di giustizia”. Viene così rotta in modo solenne e definitivo l’equazione guerra-giustizia.

Si pensi che quando si arrivò alla crisi di Cuba e a un attimo dal conflitto nucleare, il presidente Kennedy chiese ai suoi collaboratori il numero dei morti possibili. La risposta fu di oltre un miliardo di persone. Un numero indicibile e papa Giovanni non si pose a fare la mediazione tra principi e dottrine, ma fece suo il grido dei bambini e dei vecchi, dei più deboli e dei più feriti…

Papa Francesco in questa occasione afferma la fine netta e nitida della teologia della guerra giusta… Diceva papa Giovanni poco prima di morire: “Non è il Vangelo che cambia, ma siamo noi che cominciamo a comprenderlo meglio”. Ecco papa Francesco che ci aiuta a comprendere meglio il Vangelo della pace e la follia della guerra, degli armamenti e del loro commercio.

Poi come vuole la tradizione, papa Francesco ha passato in rassegna i Paesi più attraversati dal conflitto, dalle due Coree al Medio Oriente, dalla Siria alla Giordania, dal conflitto israelo-palestinese fino all’Africa, per ricordare poi il popolo rohingya, narrati come i più piccoli e i più abbandonati e per questo testimoniati nel modo più speciale possibile.

Infine il papa ricorda l’Italia, la Germania e la Grecia per il loro impegno a favore di profughi e migranti. Ecco come colloca il problema: “Non bisogna dimenticare che le migrazioni sono sempre esistite. Nella tradizione giudaico-cristiana la storia della salvezza è essenzialmente storia di migrazioni. Né bisogna dimenticare che la libertà di movimento, come quella di lasciare il proprio paese e di farvi ritorno, appartiene ai diritti fondamentali dell’uomo. Occorre, dunque, uscire da una diffusa retorica sul’argomento a partire dalla considerazione essenziale, e cioè che davanti a noi ci sono innanzitutto persone”.

Ecco abbandonare la retorica dei gesti e delle parole: fare la pace attraverso i mezzi poveri, senza esibizioni, riconoscendo la limitatezza delle nostre azioni, non cercando il successo dei primi posti, ma la fatica quotidiana della pace.

Il corridoio umanitario di Gesù è stata ed è la croce. Ecco il vero corridoio che fa la pace e dona il perdono, il corridoio dei disabili che non camminano, il corridoio che il paralitico compie scendendo dal tetto scoperchiato dai suoi fratelli.

Non occorre la potenza dei mezzi caritativi, con gli aereoporti e i visti, ma uno stare insieme con Gesù, un abitare con lui, nella sua sequela sulla via del mare dalla Galilea fino al calvario. In quella folla dei poveri che non si sottrae al mistero della pace che si fa con il sangue della croce.

Talora la carità cerca il potere e il potere si nasconde in un solidarismo astuto che ci mette a primi posti. Gli operatori della pace non operano nei salotti delle chiese e del potere, ma laddove la passione dell’amore si fa riconciliazione cercando il Vangelo e nient’altro.