sabato 6 febbraio 2016

«Lo stile di Dio non è lo stile dell’uomo» - Papa Francesco - S. Messa Cappella della Casa Santa Marta - (video e testo)


S. Messa - Cappella della Casa Santa Marta, Vaticano
5 febbraio 2016
inizio 7 a.m. fine 7:45 a.m. 



Papa Francesco:
Dio vince grazie all'umiltà 

Giovanni Battista, «il più grande dei profeti», ci insegna una regola fondamentale della vita cristiana: farci piccoli con umiltà perché sia il Signore a crescere. È questo lo «stile di Dio», diverso dallo «stile degli uomini», che il Papa ha rilanciato durante la messa celebrata venerdì 5 febbraio, nella cappella della Casa Santa Marta.

Marco, nel passo evangelico odierno (6, 14-29), scrive «che la gente parlava di Gesù perché “il suo nome era diventato famoso”». Insomma «tutti parlavano» e si domandavano chi egli fosse veramente. E così uno diceva: «È uno dei profeti che è tornato». E un altro: «È Giovanni Battista che è risorto». Il fatto è che davanti a Gesù «la gente rimaneva incuriosita». Mentre il re Erode, scrive sempre Marco, era «timoroso, angosciato» anche perché era «perseguitato dal fantasma di Giovanni» che lui aveva fatto uccidere.

Inoltre, ha fatto notare Francesco, ci sono «altri personaggi che appaiono in questo brano del Vangelo: una donna cattiva, che odiava e cercava vendetta; una fanciulla che non capiva niente e soltanto le interessava la sua vanità». Tanto che «sembra un romanzo»: è la storia di Erodiade e di sua figlia.

Proprio «in questa cornice — ha spiegato il Papa — l’evangelista racconta la fine di Giovanni Battista, “l’uomo più grande nato da donna” come dice la formula di canonizzazione». E «questa formula non l’ha detta un Papa: l’ha detta Gesù!». Davvero Giovanni «è l’uomo più grande nato da donna, il santo più grande: così Gesù lo ha canonizzato».

Ma Giovanni «finisce in carcere, sgozzato». E «l’ultima frase» del passo evangelico di oggi sembra avere anche una nota di «rassegnazione»: «I discepoli di Giovanni, saputo il fatto, vennero, ne presero il cadavere e lo posero in un sepolcro». È così che «finisce “l’uomo più grande nato da donna”: un grande profeta, l’ultimo dei profeti, l’unico al quale è stato concesso di vedere la speranza di Israele». Sì, «il grande Giovanni che ha chiamato alla conversione: tutto il popolo lo seguiva e gli chiedeva “cosa dobbiamo fare?”». Lo seguivano, ha aggiunto il Pontefice, «anche i soldati, tutti andavano dietro a lui a farsi battezzare, a chiedere perdono, a tal punto che i dottori della legge sono andati per fargli una domanda: “sei tu quello che noi aspettiamo?». La risposta di Giovanni è chiara: «No, no: io no. C’è un altro che viene dietro di me: quello è. Io sono soltanto la voce che grida nel deserto».

A questo proposito, ha spiegato il Papa, «sant’Agostino ci fa pensare bene quando dice: “Sì, Giovanni dice di se stesso che è la voce, perché dietro di lui viene la parola”». E «Cristo è la parola di Dio, il verbo di Dio». Davvero «è grande, Giovanni» ha rilanciato Francesco. Grande quando dice di non essere colui che è atteso: proprio «quella frase è il suo destino, il suo programma di vita: “Lui, quello che viene dietro di me, deve crescere; io, invece, diminuire”». Proprio «così è stata la vita di Giovanni: diminuire, diminuire, diminuire e finire in questa maniera tanto prosaica, nell’anonimato». Ecco, Giovanni è stato «un grande che non ha cercato la propria gloria, ma quella di Dio».

E non finisce qui. Il Pontefice ha voluto rimarcare il fatto che Giovanni «ha sofferto in carcere anche — diciamo la parola — la tortura interiore del dubbio». Fino a domandarsi: «Ma, forse, non ho sbagliato? Questo messia non è come io immaginavo che sarebbe dovuto essere il messia!». Tanto che «ha inviato i suoi discepoli a domandare a Gesù: “Dì la verità: sei tu che devi venire?”».

Evidentemente «quel dubbio lo faceva soffrire» e si chiedeva: «Ho sbagliato io nell’annunciare uno che non è? Ho ingannato il popolo?”». È stata grande «la sofferenza, la solitudine interiore di quest’uomo». E così ritornano, in tutta la loro forza, le sue parole: «Io, invece, devo diminuire, ma diminuire così: nell’anima, nel corpo, tutto». Al dubbio di Giovanni, «Gesù rispose: “Guarda quello che succede”. E si fida, non dice: “Sono io”. Dice: “Andate e dite a Giovanni cosa avete visto”. Dà anche i segni, e lo lascia solo con il dubbio e la interpretazione dei segni».

Ecco, ha affermato Francesco, «questo è il grande profeta». Ma sempre riguardo a Giovanni «c’è un’ultima cosa che ci dà da pensare: con questo atteggiamento di “diminuire” perché il Cristo possa “crescere”, ha preparato la strada a Gesù. E Gesù morì in angoscia, solo, senza i discepoli». La «grande gloria» di Giovanni, quindi, è l’essere «stato profeta non solo di parole, ma con la sua carne: con la sua vita ha preparato la strada a Gesù. È un grande!».

In conclusione, il Papa ha suggerito — «ci farà bene» — di «leggere oggi questo passo del Vangelo di Marco, capitolo sesto». Sì, ha insistito, «leggere quel brano» per «vedere come Dio vince: lo stile di Dio non è lo stile dell’uomo». E proprio alla luce del passo evangelico, «chiedere al Signore la grazia dell’umiltà che aveva Giovanni, e non addossare su di noi meriti o glorie di altri». E «soprattutto la grazia che nella nostra vita sempre ci sia il posto perché Gesù cresca e noi veniamo più in basso, fino alla fine».
(fonte: L'Osservatore Romano)

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