sabato 6 febbraio 2016

Il veleno della falsa misericordia di Luigino Bruni


Un uomo di nome Giobbe/9 - 
Con lo sguardo dei poveri, oltre la notte dell’uomo e di Dio

Il veleno della falsa misericordia
di Luigino Bruni

Sono un uomo ferito. / E me ne vorrei andare / E finalmente giungere, / Pietà, dove si ascolta / L’uomo che è solo con sé. / […] Una traccia mostraci di giustizia. / La tua legge qual è? / Fulmina le mie povere emozioni, / liberami dall’inquietudine. / Sono stanco di urlare senza voce." Giuseppe Ungaretti La pietà

Ogni generazione produce il suo scarto tra le domande nuove e difficili delle vittime e le risposte insufficienti degli amici di Giobbe. Qualche volta, questo scarto è diventato una feritoia dove abbiamo appoggiato lo sguardo per cercare di scorgere un orizzonte umano più largo e un cielo più alto. Molte altre volte, lo spazio dello scarto viene negato e annullato, cancellando le domande dolorose e feconde dei poveri. Per sperare di incontrare ‘Giobbe e i suoi fratelli’ dovremmo, semplicemente, imparare ad abitare, in silenzioso ascolto, questo inevitabile vuoto. Potrebbe fiorirvi una solidarietà nuova con il nostro tempo; forse, finalmente, la fraternità.
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Giobbe – è qui la grandezza sconvolgente di questo libro – cerca un volto di Dio che accetti di ammettere le sue colpe, e che sia disposto a poter perdere in tribunale nel confronto con la giustizia dell’uomo. Ma può esistere un tale Dio? Quale Elohim è disposto ad accettare un contraddittorio con gli uomini, e poi sottomettersi al verdetto di colpevolezza? “Davanti a lui esporrei la mia causa e avrei piene le labbra di ragioni” (23,4). Ma Giobbe non trova il trono di Dio, non vede Elohim sulla sua terra, né lo intravvede arrivare sulla linea dell’orizzonte: “Ma se vado a oriente, egli non c'è, se vado a occidente, non lo sento. A settentrione lo cerco e non lo scorgo, mi volgo a mezzogiorno e non lo vedo” (23,8-9). La sua è una notte di Dio perfetta. E continua a cercarlo, oltre le chiacchiere dei suoi amici. E così la sua onesta notte prepara un’alba per l’uomo. I cieli troppo luminosi, chiari, limpidi finiscono inevitabilmente per abbuiare le terre umili, sassose e aride dei poveri. Ed a questo punto che arriva un colpo di scena. Giobbe usa le stesse immagini di peccato e di malvagità che Elifaz gli aveva attribuito (pane e acqua negati, vedove, orfani, pegni, vestiti …), ma per donarci un quadro, realissimo e verissimo, delle vittime dei crimini dei potenti: “Ecco, come onagri nel deserto escono per il loro lavoro; di buon mattino vanno in cerca di cibo, la steppa offre pane per i loro figli. Mietono nel campo non loro, racimolano la vigna del malvagio. Nudi passano la notte, senza vestiti, non hanno da coprirsi contro il freddo. … Sopportando la fame portano i covoni. Sulle terrazze delle vigne frangono le olive, pigiano l'uva e soffrono la sete” (24,5-11). I poveri lavorano come asini selvatici (onagri): portano sulle loro spalle covoni di grano per i padroni e loro muoiono di fame, pigiano olive e uva e loro bruciano di sete. Il povero è costretto a dare in pegno ai suoi creditori il suo mantello, e invece di riaverlo indietro la notte per coprirsi viene lasciato nudo lungo le strade (Esodo, 22,26). Sono troppe le persone diventate atee di fronte alle risposte insufficienti alla loro domanda sull’ingiustizia e sul male del mondo. Elifaz, con la sua teo-ideologia, aveva inventato un Giobbe potente e crudele che perpetrava angherie e delitti verso poveri immaginari. Giobbe, vero povero e innocente, guarda lo stesso mondo di Elifaz, ma lo vede diversamente. Si mette, solidale, dalla parte delle vittime, e dice: “La gente delle città grida, la gola dei feriti implora. Dio non sente preghiera” (24,12). Visto dal mucchio di letame di Giobbe, il mondo non può non apparirci come lo spettacolo di una grande, sistematica, universale ingiustizia. I poveri continuano a dormire di notte senza mantello, sotto le serrande chiuse delle vetrine dell’alta moda. Giobbe muore di fame, e accanto i suoi amici filosofano sul cibo. E torna sempre più forte la tentazione di costruirci nuove e sempre più sofisticate ideologie per zittire i poveri, non vederli, convincerci e convincerli che sono solo colpevoli e che meritano la loro triste sorte. Giobbe continua la sua lotta, generazione dopo generazione. E attende risposte solidali e vere, non falsa misericordia. Dagli uomini, da noi, e da Dio. 



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