mercoledì 13 gennaio 2016

Ashraf Fayadh - Domani, 14 gennaio, in tutto il mondo 100 manifestazioni a favore del poeta condannato a morte in Arabia Saudita


Ashraf Fayadh 
Domani, 14 gennaio, in tutto il mondo ci saranno manifestazioni a favore del poeta condannato a morte in Arabia Saudita 



Uccidere un poeta è ferire l’anima del mondo
di Tonio dell'Olio

Domani in tutto il mondo ci saranno 100 manifestazioni a favore di Ashraf Fayadh. L’iniziativa è stata lanciata dal Festival di letteratura di Berlino. Poeta, curatore e artista è stato condannato a morte il 17 novembre scorso in Arabia Saudita dopo un dibattimento in cui non gli è stato concesso nemmeno di difendersi con un avvocato. È accusato di aver promosso l’ateismo con i suoi testi inclusi nell’antologia poetica Instructions within (2008), di aver avuto relazioni illecite, di aver mancato di rispetto al profeta Maometto e di aver minacciato la moralità saudita. Il mondo italiano dell’arte aveva conosciuto Fayad alla Biennale di Venezia dove aveva curato la mostra Rhizoma. Le manifestazioni a suo favore consisteranno in letture di alcuni suoi versi. Uccidere un poeta è ferire l’anima del mondo. Non è molto diverso dalle azioni degli uomini del Califfato contro le testimonianze storiche di arte e di fede. Per questo ogni persona in ogni parte del mondo deve sentirsi coinvolto, offeso, ferito a sua volta e, per questo, unirsi al grido di dolore e di protesta. Che anche i nostri governanti, al netto dei Rolex contesi, facciano sentire la propria voce. Non si tratterebbe di ingerire negli affari interni di uno Stato, perché almeno la poesia non conosce sovranità nazionali.
(Fonte: Mosaico dei giorni)


In Arabia Saudita rischiano la vita anche i poeti
Le poesie di Ashraf Fayadh non sono poesie “blasfeme”. 
Sono dei componimenti poetici
di Chiara Comito, arabista

... Suo malgrado, quindi, Ashraf Fayadh è diventato un simbolo. Ma non solo perché è considerato ormai a livello internazionale come un prigioniero di coscienza. Né perché la sua storia personale e la sua vicenda recente espongono in qualche modo, ancora una volta, tutta la drammaticità della questione palestinese e della diaspora. È un simbolo anche perché rappresenta un altro aspetto del mondo arabo contemporaneo che fatica a trovare spazio tra le notizie urlate che arrivano dal Medio Oriente, perché ci parla di normalità: la normalità della cultura prodotta nei paesi arabi, nei quali ogni anno, come in qualsiasi parte del mondo, si scrive, si traduce, si pubblicano libri, si organizzano festival ed eventi culturali di ogni tipo. 
... 
Non credo che Ashraf Fayadh abbia mai voluto diventare un prigioniero di coscienza o un simbolo per l’arte araba e saudita. Forse voleva restare solamente un intellettuale, un uomo normale. E il mondo arabo oggi non ha bisogno di altri eroi o di simboli. Ha un estremo bisogno di normalità, che sia la bellezza di una mostra di opere d’arte, o la forza espressiva di un verso poetico.
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In Arabia Saudita rischiano la vita anche i poeti


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