venerdì 4 settembre 2015

C’è un velo che svela il falso di Luigino Bruni

Le levatrici d’Egitto/19 -
Il vero profeta serve sempre
una parola che non è la sua



C’è un velo che svela il falso

di Luigino Bruni





“Fra un comandamento e l’altro furono segnati sulle tavole tutti i precetti della Torah fin nei minimi particolari, e malgrado fossero di pietra granitica esse potevano essere arrotolate come un foglio. Quando l’Eterno le afferrò per consegnarle a Mosè coprì con le mani la terza parte superiore di esse, mentre questi ne coprì la terza parte inferiore: dalla terza parte rimasta libera scaturirono le scintille divine che irradiarono il volto di Mosè” (L. Ginzberg, Le leggende degli ebrei).

"Il perdono non riporta indietro il tempo, né cancella atti e parole. Ma ha la forza di farci rinascere, di risuscitarci a vita nuova, di raccogliere e accogliere il corpo ferito e farne un corpo nuovo e diverso, dove le stigmate diventano volto raggiante di luce.

La terra vive perché ogni mattina ci sono persone che perdonando e accettando il perdono sono capaci di nuove alleanze dopo i grandi tradimenti, di riscrivere nuove promesse su nuove tavole dopo che le prime erano state spezzate dalla nostra cattiveria. È anche la capacità di perdonare e di ricominciare veramente che fa dell’umano qualcosa di immenso, di ‘poco inferiore agli Elohim’ (Salmo 8). Se c’è un momento in cui le donne e gli uomini sono veramente degni della loro immagine divina è quando perdonano. Il perdono è l’atto spirituale più vicino all’atto creativo divino, perché ri-crea i nostri rapporti dal nulla nel quale li avevamo fatti precipitare, genera nuove alleanze. 

“YHWH disse a Mosè: ‘Taglia due tavole di pietra come le prime. Io scriverò su queste tavole le parole che erano sulle tavole di pietra, che hai spezzato’” (Esodo 34,1). Le prime tavole, quelle preparate e scolpite direttamente da YHWH, non ci sono più, il delitto collettivo del vitello d’oro le ha spezzate e distrutte per sempre. Queste nuove tavole dovranno essere ‘tagliate’ da Mosè, con le sue mani e con il suo lavoro.

Il verbo ‘tagliare’ (psl) ha la stessa radice di ‘immagine’ (pesel). C’è allora un legame forte tra le tavole tagliate e il divieto assoluto e unico di farsi immagine di YHWH. La parola è l’unica immagine possibile di quel loro Dio diverso, una parola che ora diventa anche parola scritta, scrittura.

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Anche il profeta ha bisogno della comunità per scoprire che il suo volto è luminoso. La fede di tutti è sempre un’esperienza relazionale. Mosè non vede il volto della voce che gli cambia il volto, lo vede solo con gli occhi del popolo. È l’incrocio di occhi che ci fa vedere Dio. Il profeta vive una sua tipica solitudine che attraversa tutto l’Esodo, ma ha bisogno degli altri per vedere i segni della sua vocazione che fiorisce in pienezza solo grazie agli occhi fiduciosi dei compagni dello stesso viaggio. Il non riuscire a vedere lo splendore del proprio volto è una tipica sofferenza di ogni vera vocazione profetica, che la rende umile e perenne mendicante di reciprocità. 
“Quando Mosè ebbe finito di parlare a loro, si pose un velo sul viso. Quando entrava davanti al Signore per parlare con lui, Mosè si toglieva il velo, fin quando non fosse uscito” (34,33-34). Questo misterioso velo che Mosè indossava quando terminava di narrare al popolo la parola ascoltata, ci suggerisce una dimensione importante della vocazione profetica. Dopo il Sinai ci sono ‘due parole’ di Mosè: quelle pronunciate senza il velo, quando ascoltata la voce nella ‘tenda del convegno’ la trasmette al popolo, e le parole dette da Mosè con il velo, quando concluso il suo convegno profetico vive la sua vita ordinaria e parla parole diverse.
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Sapere distinguere le parole diverse dei profeti, riuscire a vedere il loro velo, è un’operazione fondamentale in tutte le comunità religiose, in particolare nei movimenti e nelle comunità carismatiche nate da un fondatore (ogni carisma è profezia). Una grave patologia, forse la più grave, di comunità nate attorno ad un ‘profeta’, inizia quando il profeta o i suoi compagni/compagne cominciano a pensare che le parole sotto la ‘tenda del convegno’ siano della stessa identica natura delle parole pronunciate sotto la ‘tenda di casa’. Così i profeti diventano falsi profeti (o rivelano la loro vera natura). Il profeta parla diversamente perché prima ascolta una voce non sua. È custode di beni che non sono suoi, in quanto il profeta serve una parola che non è la sua. Un primo segno inequivocabile che indica la natura di falso profeta è la non esistenza del ‘velo’, la mancata distinzione tra le sue parole e quelle della voce, la convinzione che ogni parola che esce dalla sua bocca sia parola della voce. E il profeta si trasforma, o viene trasformato, in un idolo: ogni vero profeta sa che la salvezza più difficile ma cruciale che deve donare al suo popolo è la salvezza dal profeta stesso, la cui voce non deve prendere il posto della voce di YHWH – è questa la grande tentazione di ogni profeta, il rischio fatale di ogni profezia.
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La terra è piena di persone che anche in buona fede si costruiscono itinerari e pratiche ‘spirituali’ fai-da-te, che conducono ad un dialogo con un ‘tu’ che non ha nulla né di YHWH né di Elohim. I profeti, col loro volto raggiante e con il loro ‘velo’, ci garantiscono che alla fine della nostra ricerca di vita non troviamo un feticcio, che la voce che ascoltiamo non è soltanto l’eco della nostra. E così continuano a salvarci.




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