Dio ci parla e ci ricorda la nostra libertà.
Gli idoli ci fanno servi
“Il Signore vi parlò dal fuoco; voi udivate il suono delle parole ma non
vedevate alcuna figura: vi era soltanto una voce” (Deuteronomio, 4,12)
Ecco la sola immagine vera
di Luigino Bruni
La storia umana non è una linea retta uniforme e monotòna. Alcuni eventi
possiedono la forza di curvare il tempo, di piegarne, a volte spezzarne, le
traiettorie, dischiudendo all’umano nuove dimensioni. La voce del Sinai è
uno di questi eventi. Quelle parole dette e donate ad un popolo di ex schiavi
liberati e pellegrini in un deserto, hanno fatto entrare l’umanità in una
nuova epoca morale e religiosa. Un’era tutta ancora da compiere, che
resterà sempre incompiuta. Quindi sempre di fronte a noi, ad attenderci, a chiamarci.
Alle pendici del Sinai, tutta la terra e tutto il cielo parlano, dialogano tra di loro. L’ Adam, l’albero
della vita, Abele, Caino e Lamek, Noè, Abramo, Agar, Giacobbe, lo Yabboq, la veste di Giuseppe, le
levatrici, le donne, le piaghe, il mare aperto, Miriam, la manna, Ietro. Ora sono tutti lì, col popolo,
di fronte al Sinai. Le parole del Sinai non sono la legislazione di un popolo (Israele). Sono la legge
etica di tutti, le parole prime per chiunque voglia essere e restare umano, libero, in cammino verso
una promessa: “Elohim pronunciò tutte queste parole:
‘Io sono YWHW, tuo Dio [Elohim], che ti ho
fatto uscire dalla terra d'Egitto, dalla condizione servile’” (20,1-2). Lo aveva già fatto parlando dal
roveto ardente, ma ora con una nuova solennità e definitività, l’Elohim, la divinità, rivela al popolo
il suo nome: il nome della voce è YHWH. Ci sono sempre state, e ci sono ancora, esperienze
religiose che si fermano all’Elohim, ad una ‘fede’ nell’esistenza di un Dio che si trova da qualche
parte. Ma se non arriva il giorno in cui quella generica divinità ci rivela il suo nome, la fede non
cambia la nostra vita né, tantomeno, quella degli altri.
La fede biblica è fede-fiducia-fedeltà in una
voce con un nome, che ha chiamato per nome i suoi profeti e che l’uomo ha potuto chiamare per
nome. Al di fuori di questo ‘incontro di nomi chiamati’ ci sono le fedi intellettuali della filosofia, o
le non-fedi negli idoli.
YHWH si presenta come il liberatore dalla schiavitù. Poteva dire molte altre cose (‘sono il Dio di
Abramo, il creatore del mondo, il donatore della manna nel deserto’ …); e invece ha solo detto ‘Io
sono colui che ti ha fatto uscire dalla terra d’Egitto’. Basta questo breve incipit per dare contenuto
al nome di Elohim. Non si comprendono le parole del Sinai, la Torah (Legge), forse l’intera Bibbia,
se non li leggiamo dalla prospettiva dei campi di lavoro dell’Egitto e della liberazione: “Non ti farai
idolo né immagine alcuna … Non ti prostrerai davanti a loro e non li servirai ” (20,4-5). Non
‘servirai’ (‘bd) gli idoli perché sei stato liberato dalla condizione ‘di servo’ (‘bd). La liberazione, se è
vera, è una sola.
Questo comando anti-idolatrico è una grande rivoluzione religiosa e antropologica, ed è un dono immenso a difesa di ogni libertà.
...
Le ‘dieci parole’ del Sinai sono ancora di fronte a noi. Ogni giorno vengono calpestate, gli idoli si moltiplicano, e con essi si riduce la nostra libertà. Ma quell’immagine non si è spenta, l’alleanza del Sinai non è stata revocata. La speranza nell’era della fraternità non può essere vana.
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