sabato 24 gennaio 2015

«Non confondere l'Islam con i terroristi e nemmeno satira con volgarità»

«Il rischio da scongiurare», spiega l’islamista Paolo Branca, «è che si spaccino le religioni come foriere di violenza. In realtà le ideologie politiche sono state molto più micidiali e hanno ucciso molte più persone di tutte le fedi messe insieme»

«Dopo i fatti di Parigi c’è una trappola che tutti noi, soprattutto i credenti, devono assolutamente evitare».

Qual è, professore? 
«Sta passando l’idea, falsa e pericolosa, che se non ci fossero le religioni il mondo sarebbe più pacifico perché le fedi in quanto tali sono tutte intolleranti e vogliono imporre la propria verità. Mi sembra che la storia abbia abbondantemente dimostrato come ideologie non religiose o antireligiose abbiano massacrato più esseri umani che non tutte le religioni messe insieme. La religione come fatto storico può essersi macchiata di gravi crimini ma la religiosità come dimensione intima dell'uomo non incita a nessun atteggiamento di odio e violenza anzi è una forma di armonizzazione che porta alla pace con se stessi, con gli altri e con il Creatore. Se non è questo, non è un'autentica esperienza religiosa». 

Secondo Paolo Branca, islamista, docente di Lingua e letteratura araba presso l'Università Cattolica di Milano, responsabile dei rapporti con l’Islam per la Diocesi di Milano, questa è una «premessa inevitabile» prima di addentrarsi sul terreno delle analisi del mondo islamico dopo il massacro dei vignettisti di Charlie Hebdo. 

Dopo Parigi la tentazione è quella di identificare tutto l'Islam con i pazzi fanatici che sparano. Come se ne esce? 
«Ho paura che non se esca finché noi continueremo a cascare in questa trappola. Il più grande regalo che possiamo fare ai fanatici e ai terroristi è quello di ritenerli i rappresentanti ufficiali e i portavoce legittimi di tutto l'Islam che è esattamente quello che loro vogliono. I musulmani al mondo sono più di un miliardo e mezzo. I paesi islamici più popolosi sono l'India, il Bangladesh, la Malesia, l'Indonesia. Quindi non i paesi arabi che pure ci preoccupano perché sono vicini a noi e stanno attraversando una fase critica. Non si possono fare indebite generalizzazioni. In Italia, ad esempio, la maggioranza dei musulmani non va in moschea perché non ha tempo o voglia o perché magari non gli piace come sono gestite le moschee. Questa etichettatura sbrigativa di un mondo così variegato e vasto fa il gioco degli estremisti dell'una e dell'altra parte».

Anche parlare di “Islam moderato” è sbagliato e fuorviante? 
«È un’espressione che non mi piace. Io lavoro coi giovani e a loro non chiedo la moderazione ma l'eroismo, di avere ideali grandi, dei sogni, di spendersi per obiettivi alti. La moderazione puzza troppo di “stai buono e zitto in un angolino”. A un musulmano chiedo di essere un bravo musulmano non un musulmano moderato. Certamente ci sono i pazzi e i fondamentalisti dai quali bisogna distinguersi e prendere le distanze. Stiamo parlando di una civiltà che ha quattordici secoli di storia, appiattirla tutta su questi pazzi terroristi degli ultimi anni non so quanto ci convenga per poter comprendere e trovare magari un dialogo».
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