sabato 13 dicembre 2014

Malala davvero una ragazza da Nobel



Malala Yousafzai, 17 anni, pakistana, è stata insignita del premio Nobel per la pace per la sua lotta a favore del diritto all’istruzione di tutti i bambini e le bambine, insieme all’indiano Kailash Satyarthi, 60 anni, impegnato contro il lavoro minorile.
Raccontando la storia di questa giovane, che non ha esitato a sfidare la morte pur di affermare ciò in cui crede, ci chiediamo quale messaggio consegna, in particolare alle giovani generazioni. E quali semi di speranza riesce a spargere in un mondo dove i diritti, troppo spesso, soccombono di fronte alle esigenze delle agende politiche?

Non era mai accaduto prima nella storia: il 10 dicembre una diciassettenne riceverà il Nobel per la pace. Il Comitato per il Nobel norvegese ha infatti deciso di assegnare il prestigioso riconoscimento congiuntamente alla pakistana Malala Yousafzay e all’indiano Kailash Satyarthi (60 anni) per la loro lotta contro la sopraffazione dei bambini e per il diritto all’istruzione di tutti i minori.
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Sono molteplici gli spunti di riflessione che un tale evento porta con sé, tuttavia in questa sede ci soffermeremo solo su Malala, in quanto è la più giovane vincitrice del Nobel nella storia, sulla relazione tra donne e diritto all’istruzione e su quale eredità questo evento consegni oggi a tutto il mondo, anche laddove i diritti sono apparentemente al sicuro.
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Da più parti giungono ogni giorno segnali di eclissi dei diritti umani, specie nei confronti delle donne: molti fondamentalismi religiosi non cessano di arrestare e condannare donne e compiere esecuzioni su di loro solo perché hanno osato assistere a una partita di pallavolo o sono state sorprese a ballare; nello stesso Pakistan di Malala, una donna cristiana, Asia Bibi, è in carcere da circa 6 anni: su di lei incombe la condanna a morte con l’accusa di blasfemia. Anche in Italia, molto vicino a noi, la cronaca nera porta frequentemente alla ribalta casi di femminicidi e violenze su bambine e ragazzine.
Il conferimento di questo prestigioso riconoscimento internazionale a Malala suscita due interrogativi: che cosa significa per noi oggi che una diciassettenne vinca il premio Nobel per la pace? Che tipo di eredità consegna alle nuove generazioni?
In primo luogo si tratta certamente di un esempio di come la promozione dei diritti umani non sia solo una disciplina relegata ai simposi di diritto internazionale, ma un concreto impegno quotidiano in cui ciascuno di noi può fare la sua parte, in qualunque contesto sociale – anche il più ostile – si trovi a vivere.
La storia di Malala è fonte di incoraggiamento e speranza per tutte quelle persone che nel mondo stanno subendo ingiustizie e non hanno la possibilità, le condizioni o la forza di esprimersi. Malala ha pagato di persona: quanto siamo capaci di metterci in gioco per la difesa dei diritti dei più deboli, dei poveri, degli oppressi? Talvolta la tentazione di rinchiuderci nel nostro privato rischia di prendere il sopravvento perché le attuali forme di aggregazione e partecipazione sociale e politica (sindacati, partiti ecc.) non ci convincono a pieno.
Non dimentichiamoci però che Malala ha iniziato a far sentire la sua voce di protesta da un blog! 
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In secondo luogo, il premio Nobel a Malala ci permette un accenno al rapporto tra religione e pace. Mentre i talebani interpretano deliberatamente il Corano in modo scorretto, «abusando della nostra religione» (p. 131), la religione, o più precisamente la fede, se correttamente intese, possono costituire il motore ispiratore nella battaglia a favore non solo dell’istruzione femminile, ma della pace, anche in contesti sociali e politici dove il fondamentalismo religioso ha ormai sfigurato qualunque regola di convivenza civile. Malala non ha mai accennato alla vendetta nei confronti di chi le ha sparato e nel suo discorso all’ONU si fa interprete di una vocazione mondiale alla pace, proprio a partire dalle religioni: «Anche se avessi una pistola in mano e lui fosse in piedi di fronte a me, non gli sparerei. Questo è il sentimento di compassione che ho imparato da Maometto, il profeta della misericordia, da Gesù Cristo e Buddha. Questa è la spinta al cambiamento che ho ereditato da Martin Luther King, Nelson Mandela e Mohammed Ali Jinnah. Questa è la filosofia della non violenza che ho imparato da Gandhi, Bacha Khan e Madre Teresa. E questo è il perdono che ho imparato da mio padre e da mia madre. Questo è ciò che la mia anima mi dice: stai in pace e ama tutti».
In un momento storico in cui i diritti umani sono più veloci a sprofondare nell’oblio che a entrare nell’agenda politica internazionale, dove il realismo politico impone silenzio e accondiscendenza, dando di fatto un appoggio indiretto ai regimi che violano i più elementari diritti umani, il conferimento del Nobel per la pace alla giovane Malala è un piccolo ma prezioso seme di speranza. A noi il compito di farlo fiorire.
Leggi tutto: Malala: il Nobel a una ragazza di Chiara Tintori (pdf)

Guarda il video del discorso di Malala

Vostre Maestà, illustri membri del comitato per il Nobel, cari fratelli e sorelle, oggi è un giorno di grande gioia per me, sono onorata che il comitato del Nobel mi abbia scelto per questo prezioso premio. Grazie a tutti per il vostro sostegno duraturo e per l’affetto. Sono grata per le lettere che ricevo da tutto il mondo. Leggere le vostre parole cordiali di incoraggiamento mi rafforza e mi ispira.
Vorrei ringraziare i miei genitori per i loro amore incondizionato. Grazie a mio padre per non aver tarpato le mie ali e avermi lasciato volare. Grazie a mia madre per avermi insegnato a essere paziente e a dire sempre la verità – quello che crediamo essere il vero messaggio dell’Islam.
Sono molto orgogliosa di essere la prima pashtun, la prima pachistana e la prima giovane a ricevere questo premio...

Questo premio non è solo per me. È per i bambini dimenticati che vogliono un’istruzione. È per i bambini spaventati che vogliono la pace. È per i bambini senza voce che vogliono il cambiamento. Sono qui per i loro diritti, per dare loro voce… Non è il momento di averne compassione. È il momento di agire, per fare in modo che sia l’ultima volta che a dei bambini è sottratta l’istruzione.

Ho notato che le persone mi descrivono in molti modi. Alcuni mi chiamano la ragazza cui i talebani hanno sparato. Alcuni la ragazza che ha combattuto per i suoi diritti. Altri, ora, mi chiamano la premio Nobel. Per quanto ne so io, sono sono una persona impegnata e testarda che vuole che ciascun bambino abbia un’istruzione di qualità, che vuol pari diritti per le donne, che vuole la pace in ogni angolo del mondo...

Racconto la mia storia non perché sia unica, ma perché non lo è. È la storia di molte ragazze. Oggi racconto anche le loro storie. Ho portato con me a Oslo alcune delle mie sorelle, che condividono la mia storia...

Potrò sembrarvi una sola ragazza, una sola persona, per di più alta neanche un metro e sessanta coi tacchi. Ma non sono una voce solitaria: io sono tante voci...

Una delle mie migliori amiche a scuola, della mia stessa età, è sempre stata una ragazza coraggiosa e fiduciosa: voleva diventare medico. Ma il suo sogno è rimasto un sogno. A 12 anni è stata costretta a sposarsi e ha avuto un figlio quando era lei stessa ancora una bambina, a quattordici anni. Sono sicura che sarebbe stata un ottimo medico. Ma non ha potuto diventarlo, perché è una ragazza.
La sua storia è il motivo per cui devolvo i soldi del premio Nobel al Fondo Malala, per aiutare le ragazze di tutto il mondo ad avere un’istruzione di qualità e per fare appello ai leader ad aiutare le ragazze come me, Mezun e Amina. Il primo luogo dove andranno i soldi e il paese dove sta il mio cuore, il Pakistan, per costruire scuole, specialmente a Swat e Shangia...

Non solo i politici e i leader del mondo, ma tutti dobbiamo fare la nostra parte. Io. Voi. È nostro dovere.
Dobbiamo metterci al lavoro, non aspettare. Chiedo ai ragazzi come me di alzare la testa, in tutto il mondo. Cari fratelli e sorelle, diventiamo la prima generazione a decidere di essere l’ultima: classi vuote, infanzie perdute, potenziale perduto, facciamo in modo che queste cose finiscano con noi.

Che sia l’ultima volta che un bambino o una bambina spendono la loro infanzia in una fabbrica.
Che sia l’ultima volta che una bambina è costretta a sposarsi.
Che sia l’ultima volta che un bambino innocente muore in guerra.
Che sia l’ultima volta che una classe resta vuota.
Che sia l’ultima volta che a una bambina viene detto che l’istruzione è un crimine, non un diritto.
Che sia l’ultima volta che un bambino non può andare a scuola.

Diamo inizio a questa fine. Che finisca con noi. Costruiamo un futuro migliore proprio qui, proprio ora. Grazie.
Leggi la traduzione integrale dell'intervento della 17enne pachistana alla cerimonia di consegna del premio

Vedi anche il nostro post precedente: