sabato 30 agosto 2014

Migranti, «un vero Paese sa accogliere» - "Crimini contro l’ospitalità"

No, non siamo innocenti. Anzitutto perché non potremo dire, in futuro, che non sapevamo, che eravamo all’oscuro di tutto. Né possiamo chiamarci fuori oggi lamentando l’impotenza dei cittadini di fronte al potere politico. Senza cittadini impotenti il potere sarebbe, a sua volta, impotente. Non siamo innocenti perché non possiamo ignorare che la nostra ricchezza, sempre, s’intende, relativa, ha come risvolto la povertà altrui e tutte le conseguenze incalcolabili che comporta: fame, guerre, genocidi. Non abbiamo nessun merito per vivere da questa parte del mondo. I privilegi di cui profittiamo sono altrettanti svantaggi, perdite, danni per coloro che vivono nella parte sbagliata. Un gesto compiuto qui può avere esiti devastanti altrove, fino a provocare, pur attraverso una serie ininterrotta di cause involontarie, l’agonia di qualcuno. 

La morte degli altri avviene senza che noi, abitanti delle sovrabbondanti e protette metropoli occidentali, ne siamo a conoscenza. Inconsapevoli, eppure In un mondo solcato dall’ingiustizia sociale, diviso dalle diseguaglianze, invochiamo sicurezza contro il disordine dilagante, contro la minaccia dell’immigrazione. Tutti i dispositivi sono infatti volti a proteggere noi e a escludere loro. Ci crogioliamo nell’illusione che sia sufficiente consolidare le nostre fortezze per far fronte alla pressione dei cosiddetti flussi migratori. Riteniamo legittimo e legale lasciare nell’illegalità estrema chi è rimasto fuori dalla porta. Permettiamo che, attraverso mille esclusioni, lo straniero resti estraneo alla prosperità e al conforto, al diritto e al riparo. Ci disinteressiamo della sua condizione, della sua storia, della sua sorte. Preferiamo ignorarne l’esistenza, evitarne l’incontro, sfuggirne il volto. Lo temiamo. Dietro i dispositivi e i controlli, le misure innumerevoli a cui sottoponiamo lo straniero, dall’identificazione all’espulsione, si nasconde a stento il nostro timore della vendetta. È peraltro la stessa vendetta che, sotto forma di collera popolare e spirito di rivolta, si aggira intorno a noi nei sobborghi delle capitali, nelle periferie dei capitali. Non distingue tra un dentro e un fuori; il desiderio di vendetta trascende le frontiere. Reclamare sicurezza non serve; tradisce solo la cattiva coscienza di chi si sottrae alla responsabilità. Ma non c’è esistenza, preservata e protetta, che possa dirsi innocente. 

Come mai, da che mondo è mondo, non si dà riparo allo straniero? Che Paese è il nostro, in cui la paura condiziona e pregiudica l’ospitalità? Ne fa addirittura un crimine, sanzionando chi ospita un immigrato irregolare? Mentre allo Stato è consentito perpetrare 
crimini contro l’ospitalità? Non dobbiamo dimenticare che l’accoglienza indica il luogo offerto all’altro in cui confluiscono i concetti di ospitalità, fraternità, umanità. Non ci può essere umanità senza accoglienza dell’ospite. Già Kant, delineando un diritto cosmopolitico, che varcasse i confini degli stati e delle nazioni, aveva parlato del diritto universale all’ospitalità, cioè di un 'diritto di visita', senza condizioni, e di un 'diritto dell’ospite', per cui è necessario accogliere lo straniero come 'coabitante'. 

Accoglienza è quel gesto femminile in cui si condensa l’etica stessa. Che cosa sarebbe altrimenti l’esistenza umana? Ciascuno di noi, a partire dalla nascita, è già sempre accolto in un luogo che non è suo, che lo precede, di cui non può appropriarsi e che può abitare a sua volta solo come ospite, come straniero residente. Siamo tutti stranieri residenti in una terra d’asilo che non ci appartiene, accolti e chiamati ad accogliere, nel segno di una politica di coabitazione che il mondo globalizzato rende imprescindibile. 
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Tra denuncia politica e reportage filosofico, questo libro è un viaggio in un centro di identificazione e espulsione, quell’Ade invisibile e nascosto dove vengono relegate le scorie umane della globalizzazione. Ma il viaggio diventa occasione per riflettere sui campi per gli stranieri, sulla retorica ambigua dell’accoglienza. Dove finisce la protezione umanitaria e dove comincia il controllo poliziesco?...